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Autore: Sghisa    03/03/2013    1 recensioni
A qualche anno di distanza dalla fine del college, a Neptune si incrociano nuovamente i sentieri di vecchi amici. Un mistero sembra celarsi dietro alle loro ordinarie e serene vite. Un mistero che li riunirà.
Genere: Romantico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Il primo giorno


Per lui non era stata affatto una buona giornata. Decisamente. Ma non lo sarebbe stata per nessuno se si fosse trovato, beh, in quella situazione. Che, ad essere veramente onesti e sinceri, era una situazione davvero delicata. E imbarazzante.
Il peggior incubo del 90% delle persone coinvolge nudità o liceo. Beh, lui si trovava nel peggior incubo che si potesse immaginare. Non solo era al liceo, periodo difficile per tutti, ma si era appena trasferito e quella per lui era la prima settimana in quella cittadina così strana e contraddittoria. Non solo le sue nudità erano in bella mostra nel piazzale della scuola, coperte solo da un po' di nastro adesivo. Il peggio era che non si trattava di un incubo ma della nuda e cruda realtà. Quella realtà che ti sorprende e ti atterra, ti lascia a bocca aperta e senza ossigeno nei polmoni. Quella realtà che gli stava dicendo “Wallace Fennell, lo vedi, questo è il giorno peggiore della tua vita! Ricordatelo bene! Ne avrai pochi di così terribili davanti a te!”
Era lì, legato ad un palo, lo skotch che gli bruciava la pelle, ma la cosa che gli bruciava di più era l'essere diventato in poche ore la fotografia più scattata dai suoi compagni di scuola. Se la ridevano, loro, mentre lui faceva di tutto per non pensarci. Provava a ignorarli, ma era difficile quando il clic delle macchine fotografiche, le risate, le battute erano tutte rivolte a lui. E poi era comparso lui. Aveva la classica aria da snob viziato, sfondato di soldi, figlio di papà: a lui tutto era permesso, tutto era perdonato. “Bene bene bene, cosa abbiamo qui? Cosa sei, un eroe o un martire? A chi hai pestato i piedi bello mio?” Wallace aveva alzato gli occhi al cielo. Era proprio irritante quel tipo che, di lì a poco avrebbe scoperto essere Logan Echolls, figlio di una star del cinema a molti zeri. Multimilionario e famoso. Insomma, c'aveva azzeccato.
Logan si mise a fianco di Wallace e, estratto il cellulare, scattò una fotografia. “Se non sbaglio questo è lo stile dei PCHears... direi che sei nei guai, amico!” e dopo avergli dato un buffetto sulla spalla lo salutò“Beh, in bocca al lupo!” e, abbracciata una bionda filiforme vestita come una Barbie sparì in mezzo alla falla. Mentre lo seguiva con lo sguardo, Wallace incontrò gli occhi glaciali di un ragazzo ben vestito ma dall'aria quasi spaventata. I suoi occhi erano profondamente tristi e Wallace vi lesse comprensione e dispiacere, ma anche impotenza. La faccia di Duncan Kane gli era nota, almeno quanto la sua storia. Provò quasi pena per lui, anche se quello appeso al palo non era certo l'erede della più grande industria di software della California.
E così i minuti passarono lenti, lunghi come ore. I suoi compagni di scuola che fino a quel momento lo avevano ignorato, non avevano occhi che per lui. Era diventato il nero legato al palo, quello che aveva fatto l'errore di disturbare la banda di motociclisti che dettava legge – o meglio la non legge – a Neptune, quello che ora stava per morire dalla vergogna. E così aspettava che tutto finisse, che finalmente qualcuno si avvicinasse e lo tirasse giù. La statistica non era certo dalla sua parte: stava a Neptune da poco tempo e non era certo ricco o famoso. Le probabilità che qualcuno lo tirasse giù di lì erano veramente basse. Restavano solo i professori.
E così non gli restava che aspettare che succedesse qualcosa, che la campanella suonasse, che qualcuno intervenisse... e poi, eccola lì, la sua salvezza. Inaspettatamente era arrivata sotto forma di una lei e piccola, bionda. Non sembrava certo una che... no, dovette contraddirsi Wallace, era una che si portava dietro un coltello a serramanico, e che sembrava decisamente intenta ad utilizzarlo. Si era arrampicata sul blocco di cemento e lo aveva liberato.

Ecco come era cominciata. Ed ecco come Wallace Fennell ricordava il suo primo giorno al Neptune High a oltre dieci anni di distanza.


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Non poteva dimenticare quanto era stato imbarazzante per lui quando, il suo primo giorno di scuola superiore, varcata la porta si era trovato travolto da sua sorella. Lilly doveva aver deciso di rovinargli la reputazione: maledetta. Aveva sperato di passare inosservato alla bionda sorella, almeno per i primi giorni. Ma perché, si domandava, mentre sua sorella lo abbracciava e gli urlava nell'orecchio, perché doveva sempre fare così. Più volte nelle settimane che avevano preceduto l'inizio della scuola, Duncan si era trovato a sperare che sua madre mettesse in atto la minaccia di spedirla in collegio, ma a nulla erano valsi i tentativi di irritarla, provocarla e infastidirla messi in atto da Lilly. Per quanto si rifiutasse di seguire le regole, per lei nessun collegio svizzero, solo l'assolata e vivace California.
Però, a pensarci bene, per Duncan la vita non sarebbe stata così divertente se sua sorella fosse stata effettivamente spedita tra le alpi. Con lei ogni giorno era una sorpresa, anche perché Lilly faceva tutta una serie di cose che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di mettere in pratica: rubare i liquori dal mobile di papà, invitare a cena la figlia della domestica, portare a casa un cane... Lilly era così ribelle, vivace, entusiasta che riusciva a compensare la compostezza, l'educazione, la misura che caratterizzavano il più giovane dei Kane.
E poi, se veramente Lilly fosse finita in collegio, Duncan avrebbe rischiato di perdere il suo contatto con Veronica. Veronica... come gli piaceva Veronica, anche se lei ancora non lo sapeva. E forse non l'avrebbe mai saputo. Duncan era un ragazzino timido, insicuro, e sua madre gli aveva insegnato che avrebbe sempre dovuto mirare in alto. Veronica era abbastanza in alto? Ne dubitava... Fattostà che lui non riusciva a pensare ad altro. A Veronica e a quanto lei gli piacesse. Se ne era accorto quell'estate, un pomeriggio. Lui e Logan erano in piscina e poi all'improvviso erano arrivate loro due. Veronica indossava la divisa da calcio, Lilly quella delle Cheer Leader. Lilly stava decantando la bellezza del liceo, delle possibilità che offriva, del gusto dolce della popolarità. Se anche Veronica avesse deciso di abbandonare la palla da calcio per i pon-pon  l'avrebbe sperimentata. Ma Veronica non sembrava interessata a un'attività extrascolastica così femminile, nonostante tutto di lei parlasse di candore e delicatezza. I capelli lunghi e setosi, raccolti in due trecce un po' spettinate, la pelle delicata, le labbra rosee, le gote arrossate per il gran caldo ma soprattutto gli occhi, così gentili, quasi fragili. Duncan si era soffermato a lungo su quegli occhi, e quando finalmente li aveva lasciati aveva preso la sua decisione. Veronica Mars era la ragazza giusta per lui. E lui l'avrebbe conquistata, protetta e difesa. Lilly se ne era accorta subito e, a suo dire, approvava, anche perché così il loro quartetto sarebbe divenuto indissolubile. Lei e Logan, che avevano cominciato a frequentarsi da un po', e Duncan e Veronica... uniti... come una famiglia... per sempre.
Questi erano i piani di Lilly e Duncan, mentre sul sedile posteriore della macchina di Jake lei lo accompagnava al suo primo giorno di scuola.

Piani che non si sarebbero mai realizzati, pensava Duncan, mentre, seduto nel retro della Limousine si apprestava nuovamente ad entrare in quell'edificio.


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Ok, era tutto come se lo era immaginato: sarebbe stata ignorata! Trasparente per la maggior parte dei suoi compagni di scuola. Ma lo aveva messo in conto e soprattutto... non è che lei fosse un tipo da feste esclusive e uscite in limousine. Non la interessava affatto quel genere di cose: Si riteneva più un tipo curioso e pratico. Lei leggeva libri, immaginava viaggi, studiava. E nel tempo libero hackerava i computer della scola, giusto per prenderci la mano. Aveva sviluppato questa passione per i computer fin da bambina, e ricordava con entusiasmo la prima volta che era riuscita ad accedere a internet. Era stato emozionante superare tutte le password e i blocchi che i genitori avevano messo al computer di casa. Aveva dieci anni all'epoca.
Ora ne aveva quattordici e si apprestava a fare il suo ingresso nel mondo degli adolescenti. Lei era preparata: aveva il suo bagaglio di armi da difesa a portata di mano. Non che temesse di venir importunata, no di certo. Lei era solo un'anonima moretta con il computer nello zaino e dei ciuffi colorati tra i capelli. Non era famosa né ricca, né lo erano i suoi genitori. Lei era solo Cindy Mac Mac Kanzie, figlia di un impiegato della Kane Software e di una segretaria. Sorella maggiore. Fissata con i computer e la musica celtica. Non era una ragazza alla moda come le sue compagne di scuola. Non aveva l'ultima borsetta firmata e non aveva l'autista. Insomma, non era come Madison Sinclaire, bionda finta dei quartieri bene. La conosceva dal corso di danza cui la madre l'aveva iscritta in prima elementare. Per fortuna ad un certo punto le suppliche di Mac avevano trovato terreno fertile e tutto d'un tratto sua madre l'aveva ritirata dal corso. E pensare che lei e Madison stavano quasi per fare amicizia all'epoca. Si erano ritrovate in classe assieme in quarta, e Madison lì era tutta un'altra persona: l'aveva ignorata fina dal primo momento. Frequentava invece la signorina Kane, di un anno più vecchia, e le altre ragazzine ricche della scuola.
Insomma, la sua dose di invisibilità Mac l'aveva già avuta, e sapeva come fronteggiarla. Era preparata al liceo, si diceva, mentre smontava dalla macchina del padre. Lo era. Si dovette ricredere poco dopo. Un ragazzo biondo, abbronzato, un po' goffo le era appena andato a sbattere contro. Dopo essersi scusato e averla aiutata a raccogliere i libri, però si era alzato e non l'aveva più guardata. Ecco, essere trasparente a uno come lui era una cosa a cui Mac non era preparata.

E pensare che a oltre dieci anni di distanza, quel ragazza, quel giovane uomo in smoking e papillon non aveva occhi che per lei... L'edificio del Neptune High era sempre più vicino. Mac si domandò, in quel momento, se Dick si ricordasse della prima volta che si erano visti.


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L'ultima volta che era uscito dalla porta del Neptune High non rappresentava certo uno dei migliori ricordi per lui. Aveva le manette ai polsi e non era riuscito ad ottenere il diploma. Maledetto Don Lamb... Al contrario la prima volta che ci era entrato era stato per lui un giorno epico. Già durante l'estate si era unito al gruppo dei PCHeras, rubacchiando qua e là con alcuni di loro. Ma il liceo, e soprattutto quel liceo, era per Eli Navarro l'occasione giusta per stringere amicizie con persone giuste e cominciare, piano piano, a risalire la scala gerarchica della banda.
Tutti lo avevano sempre trattato come un buono a nulla, un incompetente, un incapace. Ma questa cosa gli riusciva bene, gli era sempre riuscita bene. Già alle medie si era organizzato con alcuni compagni di scuola per rastrellare le tasche gonfie di soldi dei ragazzini più ricchi, e così si era comprato la sua prima bicicletta. Insomma, lui era fatto per essere un capo. Ma non era nato con la camicia, no signore, bensì con il chiodo di pelle.
E così, anfibi e giubbotto neri, si apprestava a varcare la soglia di quella che sarebbe stata la sua scuola, ma soprattutto il luogo della sua rivincita.

Rivincita che, anni dopo, voleva tradurre in un altro modo: lui non era più il ladruncolo, il capo della banda, il criminale. Era un onesto cittadino che aveva appena chiesto alla sua donna di sposarlo. Gliel'avrebbe fatta vedere lui!


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Jackie Cook aveva sempre amato i cambiamenti. O meglio, aveva sempre amato essere al centro dei cambiamenti, meglio ancora se era proprio lei il cambiamento, la novità. A New York era lei a dettare la moda, trovando il nuovo taglio, il nuovo smalto, le nuove scarpe. E tutti, dopo averla adeguatamente ammirata, la seguivano, la imitavano. Era Jackie a dettare legge in quanto all'ultima tendenza in fatto di locali e di drink. Era lei che veniva invitata all'apertura, era su di lei che i gestori puntavano per far funzionare bene il locale. E quindi consumazioni gratis, servizio speciale, sconti extra.
Quella volta però Jackie Coock non aveva nessuna voglia di essere al centro dell'attenzione, di trovarsi in un nuovo stato, in una nuova città, in una nuova scuola. Non aveva voglia di essere scansionata, osservata, squadrata, apostrofata come “quella nuova”. Lei voleva essere la novità. Ma suo padre era stato irremovibile: doveva andare a scuola, conoscere i suoi amici, stringere amicizia e soprattutto, una buona volta, fare la brava. Non le era mai riuscito di fare la brava bambina, e la prospettiva di irritare e indispettire suo padre in qualche modo la tentava. Però forse non era il caso...
In realtà la cosa che meno le piaceva di quella situazione era il fatto di trovarsi a diverse centinaia di miglia da casa sua... da sua madre... ma soprattutto da sua figlia. Era costretta a vivere con un padre che a stento conosceva, una leggenda non solo nel mondo del baseball ma anche nella sua vita. Era costretta a limiti con i quali non si era mai dovuta confrontare: il coprifuoco, i compiti, la paghetta ridotta. L'aveva combinata grossa, e ora doveva rigare dritto. Non poteva nemmeno divertirsi un po': niente alcol nella vita di Jackie, almeno per un altro po'. Queste erano state le condizioni.
Eppure i suoi genitori lo facevano per lei, lo sapeva, anche se ciò non rendeva la prigionia più sopportabile. Sua madre si era sacrificata per lei tutta la vita, e avrebbe continuato a farlo. Non poteva essere ingrata. Doveva alzarsi da quel letto, mettere addosso qualcosa di carino e affrontare quel mondo nuovo. Lo doveva a sua madre, lo doveva a sua figlia.
E poi chissà, magari dietro l'angolo ci sarebbe stato un ragazzo carino! Mai dubitare!

Quanto si era rivelato giusto quel pensiero... del suo primo giorno di scuola. E ora quell'affascinante ragazzo era seduto accanto a lei ed era pure padre di suo figlio. Si domandava se sarebbe riuscita a riconquistarlo...


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Dick Casablancas non era certo un tipo complesso. O almeno così gli era sempre stato detto. Che non fosse un genio era stato chiaro fin da subito: aveva quattro anni e suo fratello Cassidy  di un anno più piccolo non solo lo batteva nello spelling, lo stracciava. Cassidy sapeva fare di conto quando Dick ancora provava a scrivere in corsivo. Cassidy aveva vinto le olimpiadi di Matematica e Dick era stato rimandato in grammatica... insomma è naturale che la tua vita sia così se tuo fratello è un genio.
E così per Dick era meraviglioso il momento in cui, per un anno, le loro strade si separavano. E ciò accadeva ogni volta che Dick passava a un diverso livello dell'istruzione scolastica. Era anche il motivo per cui aveva sempre evitato di farsi bocciare: sarebbe stato beffato due volte! Non che qualcuno evidenziasse in qualche modo la superiorità scolastica di Cassidy. Il secondo genito restava sempre e comunque il secondo genito, soprattutto se socialmente non aveva troppo successo. Dick, al contrario, era Richard Casablancas Junior per più di un motivo: era un vincente, era simpatico ed era soprattutto il favorito di suo padre. Quindi no, non erano l'opinione che gli altri avevano, né i confronti che facevano a mettere in crisi Dick: nessuno, mai, aveva decantato le doti di Cassidy; nessuno aveva, mai, fatto confronti.
Insomma, la persona che metteva in dubbio il valore di Dick Casablancas era Dick Casablancas stesso. E liberarsi per qualche mese dell'opprimente presenza del fratello non poteva che renderlo felice.
Con questo spirito si stava recando a scuola. Avrebbe incontrato i suoi amici, che lo preferivano a Cassidy, avrebbe conquistato nuove ragazze, cosa che Cassidy nemmeno immaginava di poter fare, sarebbe stato tra i più popolari, caratteristica che sicuramente mancava a suo fratello. E così, mentre attraversava il piazzale, non faceva troppo caso alle persone. Non aveva fatto caso alla goffa moretta contro cui era andato a sbattere. Era carina, aveva l'aria intelligente. L'aria di una che, se ne avesse avuto l'occasione, avrebbe di sicuro messo in luce tutti i difetti e le mancanze di Dick. Una che avrebbe preferito Cassidy.
Per questo, quasi spaventato, dopo averla aiutata era sparito, cercando di evitare il suo sguardo indagatore.

In qualche modo Dick c'aveva visto giusto. Mac era stata con suo fratello e loro due lo avevano umiliato. Ma da un altro punto di vista era stato Cassidy a unirli, lui e Mac; Cassidy con la sua follia, Cassidy con le sue debolezze. Li aveva travolti, investiti, e stavano leccandosi le ferite in solitudine quando avevano capito che avrebbero potuto curarsi a vicenda. E così era stato, e sarebbe stato per sempre, pensò Richrad Casablancas Junior, stringendo la mano di sua moglie mentre si recavano al loro primo ballo scolastico assieme.


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Oh si, gli sembrava ieri quando si stava preparando al primo giorno di scuola superiore. Aveva deciso di festeggiare per bene la sera precedente, rubando un paio di bottiglie di birra... beh forse più di un paio. Lui, Duncan, Dick e alcuni altri 09 si erano trovati sulla spiaggia per celebrare il loro ultimo giorno di libertà. Libertà... quando mai si era sentito veramente libero? Logan sorridi di qua, Logan abbraccia tua madre di là, Logan avvicinati a tua sorella, Logan fatti fare una fotografia, Logan indossa questo, Logan mangia quello... essere figlio di un affascinante e ricchissima star del grande schermo aveva certamente dei lati positivi, molti a dire il vero. Però esisteva allo stesso tempo un'etichetta, una serie di regole da rispettare, una legge non scritta... ma che andava rispettata, che lo riguardava anche se non era lui la star del cinema. Lui... era solo il figlio, ma in quanto figlio doveva dare un'immagine di suo padre che rispecchiasse quella pubblica. Quella dell'uomo buono, onesto, corretto, del padre e marito modello, della star senza macchia.
Senza macchia... certo! Candido come la neve. Chi avrebbe mai potuto affermare il contrario. L'immagine pubblica era... stupenda... accecante. Come il dolore che Logan provava a ogni cinghiata, a ogni pugno, a ogni sigaretta spenta sul braccio. Non lo sapeva nessuno... beh nessuno... una parola grossa. Sua madre, per quanto facesse finta di nulla, lo sapeva. Doveva saperlo. Era stata lei ad accompagnarlo in ospedale con il braccio rotto o l'occhio nero. Sono ragazzate, diceva, stava giocando... mio figlio è così distratto... così maldestro... stavamo andando a cavallo... l'avevo detto alla domestica di asciugare bene per terra... dovevo farlo sistemare quel gradino... in lacrime, aveva sempre una scusa pronta. E tutti le credevano. Trina, al contrario, non sapeva nulla. Non c'era mai e quando c'era era troppo concentrata su se stessa e sulla sua carriera di attricetta da strapazzo.
E poi c'era stato lui, quel paramedico. Era la quarta volta in un mese che si incrociavano nei corridoi dell'ospedale. E non perché Logan fosse sotto osservazione. La prima volta? Una bruciatura. L'ultima un braccio rotto... E così quel giovanotto si era insospettito. Aveva seguito Logan nella stanza e aveva cercato di parlare con lui. Due settimane dopo si erano trasferiti a Neptune. Avevano lasciato Los Angeles all'improvviso.
E così il suo primo giorno di scuola Logan non poteva certo smentirsi e venire meno al suo carattere. E allora, la sera prima, si era ubriacato. E appena tornato a casa a nulla era valsa la sua discrezione. Era appena arrivato alla cucina quando il pugno di suo padre si era scontrato con il suo zigomo sinistro. Non sarebbe stata una serata facile. Non sarebbe stata una vita facile, se Logan non avesse cambiato atteggiamento.
Il giorno dopo, a scuola, entrava ridendo e scherzando, evitando lo sguardo indagatore dell'unica persona che, a quanto pare, riusciva ad andare oltre alle scuse... sono caduto... ieri sera ero proprio sbronzo... certo che è tutta colpa tua Dick... Quella persona non era la sua esuberante ragazza, Lilly, troppo concentrata su se stessa e troppo impegnata a vivere per accorgersi dei problemi degli altri. Non il suo migliore amico, Duncan, spaventato all'inverosimile dal concetto di verità, di problema: lui viveva nel mondo perfetto delle favole. Non i suoi compagni di bevute: con loro solo scherzi e battute. No, lo specchio della verità, della sua terribile verità, del suo incubo era negli occhi di Veronica Mars.

Ora doveva affrontare altri demoni, vivi e morti. Erano passati un sacco di anni. Sentiva le cicatrici grattargli sulla schiena. Sentiva la puzza di carne bruciata. Sentiva l'indifferenza e la paura delle persone che lo circondava. Ma sapeva, aveva sempre saputo fin da quel pomeriggio estivo in cui si erano conosciuti, che lei non avrebbe mai abbassato lo sguardo o voltato la testa dall'altra. E quella persona era quella che lui voleva affianco a se per il resto della sua vita.


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Non era più la stessa persona. Non lo era stata dopo poco, pochissimo tempo. Il liceo all'inizio le sembrava la sua grande occasione: sembrava tutto scintillante, tutto perfetto. Un futuro radioso che la vedeva fidanzata con un tipo sportivo, elegante, benestante. O almeno così prevedeva Lilly. Sarebbe diventata una cheer leader, sarebbe diventata amica di alcune delle più popolari ragazze di Neptune, sarebbe sostanzialmente stata felice. Sua madre le avrebbe pettinato i capelli, suo padre l'avrebbe controllata. Tutto sarebbe stato perfetto.
Eppure, non appena aveva varcato la soglia di quell'edificio le era stato chiaro fin da subito che le cose non sarebbero andate così. Quella scuola aveva un'aria strana. Le persone si ignoravano, si stuzzicavano, si provocavano. C'era chi ti guardava dall'alto in basso, come quella gallina di Madison Sinclaire e le sua amiche. C'era chi, invece di guardare te valutava il tuo orologio e le dimensioni del tuo portafoglio, come quella banda di messicani in sella alle loro motociclette. C'era chi era troppo impegnato a sfuggire dai propri demoni, come Dick Casablancas, per accorgersi di non essere l'unico ad averne. C'erano gli emarginati, gli invisibili, come quella ragazza dai capelli scuri sempre al computer o con le cuffie nelle orecchie. C'erano quelli che nessuno poteva ignorare, ma che avrebbero molto volentieri essere ignorati, come il suo amico Logan. E c'erano quelli come Duncan, con la tristezza negli occhi.
Per fortuna c'erano poi le persone come Lilly... che era la sua persona, che lo sarebbe sempre stata. Lilly le dava la forza di entrare attraverso quelle porte a vetri e affrontare una nuova giornata tra le mura della scuola. Perché c'era un'ombra su di loro, su tutti loro. C'era qualcosa che non funzionava, c'era qualcosa che stonava in tutto quel luccicare, quella perfezione, quel lusso. Prima o poi l'immagine si sarebbe incrinata. Restava solo da aspettare che accadesse.

E l'immagine si era incrinata, una volta per tutte. Quando Lilly era morta, quando aveva scoperto che Aaron era l'assassino, quando i Kane avevano ammesso di aver coperto le tracce dell'omicidio, quando Logan era stato accusato d'omicidio, quando le tensioni tra ricchi e meno ricchi erano arrivate al limite. E poi quando il bus era uscito di strada, quando Meg era morta, quando Duncan era scappato, quando Cassidy si era buttato dal Neptune Grande.
Tutti erano crollati. Ma poi si erano rimessi in piedi, chi prima chi dopo, chi da solo e chi con l'aiuto di qualcun altro. Ora toccava a lei rimettersi definitivamente in piedi, ricostruire le sue certezze e finalmente ripartire. Era pronta a farlo, doveva farlo.
Veronica Mars era finalmente pronta.




Spazio autrice: Ed ecco il capitolo introspettivo. Ho fatto fatica a scrivere entro la domenica, probabilmente il prossimo aggiornamento arriverà tra due settimane. Scusatemi, ma tra lavoro e quel poco di vita sociale che mi rimane ho davvero poco tempo per scrivere!
IN ogni caso, grazie! :)



  
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