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Autore: ArashiHime    19/09/2007    13 recensioni
E' la storia di un rifiuto e una lotta tra egocentrismo dilagante. Casse audio del computer che addobbano alberi di natale, email in birmanico (spacciato per inglese) e una storia che ormai molti pensano possa avverarsi...
Guarda e Impara Tom...Guarda e impara...
Genere: Romantico, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chalve ^^

Chalve ^^

Scusate per il ritardo, ma sono impegnatissima in questo periodo! ...ho un sacco di problemi, parte dei quali con il lavoro al romanzo. Ho letto però tutti i vostri consigli, e uno per uno ho provato ad applicarli…proprio in veste di ciò, sono orgogliosa di annunciarvi che la musa sembra essere tornata. Un po’ azzoppata magari, ma c’è xDDDDDDDDDDDD

Perciò grazie ^^ …Grazie di cuore!
Vi farò sapere presto le notizie del libro, vedrete che ce la farò.

Rispondo inoltre a Muny: Cara, sono lusingata dall’attenzione che mi presti –te che sei un’altra giovane scrittrice in erba come me!- e non mi dispiacerebbe renderti partecipe, seppur a grandi linee, della trama del mio progetto di carta e china...però, beh, qui no XD ...a malapena ne parlo in chat (Shine ne è testimone, povera piccola la faccio sempre dannare ^^” ...Scusa!), su un sito aperto online proprio no >_< ...

Casomai mandami un’email. Tanto il mio indirizzo è sempre lo stesso! ^_^

Ringrazio ancora tutti voi. Grazie per la gentilezza e l’attenzione con cui mi seguite, spero che questo nuovo chap (scritto di fretta e con un sonno assurdo addosso) vi piaccia!

Un bacio.

Hime ~

Capitolo 14

Si rese conto di non saper dove andare nel momento stesso in cui l’aria fresca della serata Milanese gli baciò i lineamenti induriti dalla rabbia.
Non sapeva né come muoversi, né come comunicare dato che a stento era riuscito a farsi indicare l’uscita posteriore –sotto lo sconvolgimento delle guardie italiane che continuavano a lanciarsi strane occhiate dubbiose, come a domandarsi per quale motivo un membro della band più acclamata del momento uscisse da solo e di nascosto a tutti come un ratto.
Sospirò, abbassando lo sguardo e si strinse nella sua felpa dell’adidas nera a doppia X prima di guardarsi attorno quasi intimorito.
La stazione. Doveva andare là.
(...) Già, la stazione…ma da che parte? E quanto distava da dove si trovava (nemmeno ricordava come si chiamava il palasport, realizzò un attimo dopo tra un’imprecazione e l’altra) …?
Quella, maledettamente, non era a New York, e non c’erano taxi che si fermavano se alzavi la mano. Nemmeno era la Germania, dove gli sarebbe bastato urlare una qualunque parola per avere schiere di persone pronte a offrirgli i migliori comfort e servizi…
…era l'Italia. L'Italia dei quadri e delle foto. L'Italia del bel paese, pastasciutta e pizza...
...e lui la stava vivendo, per la prima volta, da solo.
Solo.
Solo di notte, esposto a qualunque tipo di aggressione, di pericolo…
Solo senza suo fratello. Solo senza i suoi amici.
Solo senza…
« …Ma vaffanculo » Ringhiò improvvisamente il chitarrista dai capelli biondi roteando gli occhi al cielo e cominciando a mordicchiarsi il percing d’acciaio che gli perforava il labbro inferiore sinistro.
Una, due, cento, mille volte…fino a quando il labbro stesso non protestò, tra minute scariche di dolore e un pessimo sapore di fiele e metallo in bocca…
Male. Molto male Tom. Quando ti riduci così è proprio un brutto segno, eh?
Il ragazzo scosse la testa, sbattendosi una mano sulla fronte imperlata da quel sudore che preannunciava un’estate torrida, e sospirando compì un piccolo passo in avanti –quasi timoroso di ciò in cui si sarebbe potuto imbattere, come se dietro ogni angolo o in ogni sprazzo d’oscurità si nascondesse un orribile mostro pronto a ucciderlo…
(…) Beh si. Effettivamente era un pensiero molto idiota -realizzò, e comprese di star impazzendo.
Stava impazzendo, e non poteva farci nulla.
Gli mancava la sua dose. La sua dose giornaliera, quella che un tempo assumeva tutti i giorni e per la quale aveva riso, si era commosso, si era addirittura...
« Oddio… » Sussurrò improvvisamente Tom, e chiuse gli occhi esasperati dinnanzi quel gatto randagio bianco che schizzava via da un cassonetto aperto –disturbato durante il suo pasto serale.
Infondo, lui era proprio come quel gatto. Aveva sempre amato la compagnia, le belle donne e le feste...poi, improvvisamente, per lui si era aperta una porta.
Una porta bianca. Una porta bellissima.
...e lui non aveva più dovuto rifocillarsi in un cassonetto aperto per pura fortuna.
Era da quella porta che aveva cominciato a trarre sostentamento. Gioia. Dipendenza...
...Ma poi la porta si era chiusa, improvvisamente, brutalmente...troppo velocemente perchè lui si preparasse, o tentasse -probabilmente invano- di abituarsi...
Si era chiusa.
Gli era stato portato via tutto.
...E lui stava impazzendo. Impazzendo. Impazzendo...!
« Mah… » Mormorò, e si sistemò meglio sulla spalla sinistra la tracolla della borsa della Nike colma di una vita in fuga.
Della sua vita in fuga.
« Sai che ti dico…? » Tedesco ovviamente. « …Spero che anche te stia così male. Non mi andrebbe giù di essere il solo… » Brontolò quasi esasperato, e stando attento a mantenersi su una strada affollata –che gli evitasse spiacevoli incontri- cominciò a nascondersi tra i gruppi di imprenditori ubriachi accompagnati dalle prostitute con cui sembravano accompagnarsi quella sera, pur di avanzare.
Pur di avanzare verso la stanzione. Verso il treno. Il treno...
...e mentre camminava, prego in Dio che venisse aspettato.
Che venisse accolto.
Che, infondo, venisse accettato...

·¨¤ººº¤¨·

L' amore è l' origine,
la causa e lo scopo di tutto quanto è grande,
nobile e bello.
Si crede che la bellezza sia la madre dell'amore,
invece è l'amore che crea la bellezza,
è l'amore che dà espressione allo sguardo,
grazia al corpo,
fascino allo spirito,
vibrazione alla voce;
l'amore è il sole che fa sbocciare i fiori dell'anima;
l'amore produce le nobili ambizioni,
l'amore produce il genio.

·¨¤ººº¤¨·

Mi svegliai di soprassalto, strillando come una matta e come raramente mi accadeva di fare; ma non appena i miei occhi si aprirono –e vennero feriti dalla forte luce mattiniera che filtrava dalla finestra accanto al mio letto- mi resi improvvisamente conto di non avere voce. Non ne avevo, non più. Quella poca che filtrava dalle mie corde vocali, e si intonava attorno a me, era rauca, fredda e stonata…una sorta di rantolo, di quelli simili al pre-morte. Di quelli che avevo sentito cacciare solo alle vittime di Samara di The Ring oppure ai prigionieri di The Saw…
…Insomma, qualcosa di decisamente disumano.
Deglutii, ma anche quella –mi resi presto conto- era un’impresa. Sembrava quasi che ogni fibra del mio corpo mi avesse voltato le spalle e, ridendomi in faccia, mi avesse annunciato uno sciopero improvviso e permanente.
Probabilmente, se avessi comandato al mio cervello di comandare ai miei muscoli di comandare alle mie gambe di scendere dal letto, non ci sarebbe riuscito.
(…)
Ommiodio, ma quante diavolo di ripetizioni avevo…
« …AMORE! »
Trasalii, strillando ancora una volta, e non feci in tempo a finire l’analisi grammaticale, logica e sintattica dell’orribile frase che avevo (fortunatamente solo) pensato, che due braccia celate da una camicetta di seta bianca mi cinsero delicatamente, per poi stringermi contro un corpo morbido e profumato: Era uno di quei profumi fortissimi, che non si sentono molto spesso a giro, e che una volta provati puoi amarli oppure odiarli…perché non ci sono vie di mezzo, soprattutto nell’amore e nell’odio.
Sono due di quei sentimenti che ti porti dentro da quando nasci.
Quei sentimenti che rimangono sopiti dentro il tuo animo, -dolcemente racchiusi in uno scrigno d’argento e legno d’ebano-, e che si librano ad estasiarti e stordirti per la prima volta quando meno te lo aspetti. Spesso nei momenti più inopportuni, o peggio ancora quando desideri con tutte le tue forze che quel che hai duramente costruito con il sudore della fatica, non scemi tutto in una grande, unica, irrimediabile follia…
Inspirai a fondo, pur avendo già riconosciuto quella voce e quel caratteristico accento che tanto amavo, e prima ancora di rendermene conto, mi riscoprii a sorridere.
Muschio bianco.
Tipico. Tipico profumo di…
« …Caroline… » Lo sussurrai con voce impastata, e lo sguardo stralunato che aprii sul volto apprensivo e rassicurante della mia sorellona non era un caso. La guardavo come se avessi appena visto la Madonna: Era così bella. Così brillante e materna, così…stranamente, sfocata.
« Hai la congiuntivite amore? » Osservò Caroline, girandosi di scatto e prendendo dalla mia scrivania –distante una tensione di braccio dal mio letto- un fazzoletto della scottex con cui mi asciugò gli occhietti.
(…) E beh si. A quel punto era effettivamente tutto più a fuoco –constatai quasi compiaciuta, come se il merito della scoperta e della risoluzione del problema fosse mio.
« Che ci fai qui? » Miagolai dopo un attimo –cercando di impostare la mia voce troppo simile a un richiamo dell’oltretomba-, osservando ammirata la ragazza seduta al capezzale del mio letto, ma ero sicura di non voler subito una risposta. e lo dissi osservando la ragazza seduta al capezzale del mio letto, ma non mi curai di avere subito una risposta. Probabilmente era il post sveglia a farmi ragionare all’inverso (??), ma avevo come il terrore che una volta che Caroline mi avesse spiegato il motivo della sua visita, si sarebbe immediatamente alzata per andarsene, lasciandomi di nuovo sola…
No, uffa. Non volevo…
« Caroline… » Esordii improvvisamente, già pronta a ringhiarle contro le peggiori minacce per costringerla a rimanere almeno uno o due giorni; ma lei alzò prontamente un braccio verso di me, e prima ancora che avessi il tempo di aggiungere alcunché, mi sollevò la mogliettina del pigiama bianco che indossavo, sfilandomi da sotto l’ascella un termometro della chicco che aveva trovato, chissà dove, nei meandri della cassetta del pronto soccorso di casa mia.
Ero allibita –ed ero sicura che il mio sguardo non potesse che rendere palese ciò che provavo.
…Ma quando diavolo mi aveva messo quel termometro!?
« Ah grazie a Dio…37 gradi…ti è scesa » Sospirò Caroline portandosi una mano al seno e sorridendo sollevata, per poi accarezzarmi dolcemente i capelli.
« …Avevo la febbre? » Domandai di rimando io, ma riuscii a rispondermi da sola un immediato istante dopo, osservando la preoccupazione dipinta sul suo volto sciogliersi in una tranquillità ricercata con la forza.
Si. L’avevo avuta, e anche alta probabilmente…
Abbassai lo sguardo, smarrita, nemmeno ricordandomi quando avevo accusato i primi sintomi di quella che doveva essere un’influenza fuori stagione, quando improvvisamente il mio sguardo cadde su una valigia aperta malamente per terra accanto ad una coperta sgualcita e a un cuscino: un letto mal costruito sul pavimento. A pochi passi dal mio, di letto. Un letto vero. Comodo…
« (…) Oddio… » Soffiai sconvolta, realizzando subito ciò che era avvenuto mentre ero nel mio stato vegetativo. « …oddio, scusami! » E lo dissi urlando, strozzandomi per la troppa aria ingoiata.
Scossi la testa, sconvolta e mortificata, e stavo già provando ad alzarsi quando Caroline mi fermò, adagiandomi una mano sulla testa e costringendomi ancora sotto il mio lenzuolo stellato.
Mi sorrideva come se niente fosse stato, con quella sua pazienza che ormai reputavo santa…e io non potei che lasciarmi coccolare, proprio come una bambina malata fa con la sorella maggiore.
« …Non ti preoccupare, abbiamo fatto dei turni » Mi sussurrò lei, ridacchiando « …anche perché il letto era proprio simbolico. Continuavi a parlare nel sonno, e per chi ti vegliava era impossibile addormentarsi! »
« “Abbiamo” …? » Ripetei io, inarcando un sopracciglio dubbiosa.
« Io e Roberta » Mi rispose Caroline, accennando ad un sorriso « Natalia è stata trascinata via di forza da sua madre, dopo due notti che passava sveglia a farti impacchi sulla fronte. E’ in montagna ora, mi ha detto di avvertirti che non tornerà fino alla fine del mese…Si scusa. »
Beh. C’era poco da scusarsi. La mamma di Natalia era così, non ci si poteva opporre. Io dicevo sempre: Hitler era tedesco, ma Mussolini italiano…e i geni, da qualche parte, dovevano pur esser andati a finire!
« Ah si… » Bofonchiai io, fingendomi offesa « …E…Rob? Dov’è? » Chiesi quasi preoccupata, osservandomi intorno come se mi aspettassi di vedere la mia amica spuntare da sotto il letto strillandomi chissà quale frase incomprensibile (come di solito faceva) per togliermi qualche altro annetto di vita.
« Alla stazione » Rispose Caroline, alzandosi e cominciando a fare ordine tra le stoviglie abbandonate sulla mia scrivania: Piattini di riso non finiti, mele mal sbucciate…
« Alla stazione a fare cosa? » Ribattei io, perplessa. « Sta per partire? » Ed ero già pronta ad alzarmi, vestirmi e correre a salutare la mia Roberta, la mia lovely…
…Ma Caroline non rispose, si girò verso di me, e dopo avermi osservato per qualche istante sorrise quasi mortificata…Un’espressione che non mi piacque. Che non mi era mai piaciuta…E che in me lasciò, inesorabilmente, un orribile senso di smarrimento.
« …Caroline? » Sussurrai, deglutendo lentamente.
« Siamo qui da due giorni, amò…sarà a guardare i treni, non so… » Era vaga. Forse troppo.
« …Quando siete arrivate? Che giorno è oggi? »
« …Oggi siamo il tre di luglio » E nel dirlo abbassò lo sguardo su un cucchiaio incrostato di parmigiano reggiano. Quello che amavo, e di cui saturavo la pasta e le minestrine…
…A quel punto, mi sentii schifosamente tagliata fuori.
Ero certa che qualcosa mi stesse sfuggendo, ma non avrei saputo dire cosa. Ero sicura che c’era qualcosa –che mi riguardava, era più che ovvio- che era successa durante il mio stato di coma vigile, e…e probabilmente, anzi sicuramente, era una cosa brutta. Molto brutta.
« …Cosa diavolo è successo. » Sibilai, e il tono strozzato post febbre che avevo, non fece che partecipare attivamente al clima di minaccia che volevo creare. Ne fui quasi compiaciuta, soprattutto quando vidi Caroline alzare il suo sguardo colmo di panico verso di me, prima di abbassarlo al pavimento, rincorrendo ogni oggetto che gli passava davanti agli occhi: I trucchi sparsi sulla toiletta, i libri di letteratura classica buttati a terra…il dizionario di tedesco, e un piccolo pacchetto di fogli accuratamente racchiusi da una clip trasparente.
Distolsi subito lo sguardo, smettendo immediatamente di seguire quello della mia interlocutrice, ma lo feci troppo lentamente…troppo lentamente per non vedere quella scritta che, settimane addietro, avevo premurosamente dipinto con cura e minuziosità.
Tommino e Hime: Corrispondenza
« cos’è successo » Lo ripetei più per distrarmi che per altro, e gioii in cuor mio di sapere che Caroline non riusciva a mentire. Non lei. Non ne era capace, e nessuno di noi aveva ancora capito se questo era o meno un pregio nella società attuale… « Cos’è… »
« Non è venuto » Lo disse tutto di un fiato, con voce strozzata e lo sguardo smarrito. Non riusciva a guardarmi negli occhi, e dal modo in cui si torturava le dita e muoveva istericamente i piedi, capii immediatamente di chi stava parlando.
Già…Come avrei potuto non capirlo?
« …Lo aspettiamo da due giorni, ma non è venuto…Roberta va tutte le mattine alle sette alla stazione, e ci rimane fino alle nove…ma nulla. » Nonostante il mio sguardo fosse ormai concentrato sulla contemplazione dei rilievi che i miei piedi creavano da sotto il mio lenzuolo blu, la sentii deglutire, e quel solo suono non poté che farmi ridere: Era probabilmente lei la più disperata…la più tesa…
A me, infondo, non interessava. Giusto?
« Caroline » Esordii, pronta a dilungarmi in una delle mie solite arringhe degne di una laureanda in giurisprudenza, ma lei mi interruppe con un movimento lesto della mano. Allarmata.
« No ferma, non è come pensi! » Lo disse quasi urlando « …Lui voleva venire, ne sono sicura! »
« Caroline… » …Non voglio sentire.
« …Ma Bill ci ha mandate via. Ci ha fatte praticamente portare via di peso da Saki e… »
« CAROLINE… » …Mi dava fastidio anche il solo sentire con quale familiarità pronunciava i nomi di quelle persone che io avevo solo ripetuto in sogno o davanti allo schermo di un computer…
« Federica, io sono sicura che Tom… »

Silenzio.

Bill.
Saki.
Gustav.
Georg.
…Te li posso permettere. Te li posso passare. Ma no.
Lui no.
« Zitta… » Lo sibilai con così tanta rabbia che la voce mi vibrò pericolosamente, quasi strozzandomi. « Zitta o…o… »
...Una minaccia. Presto, mi serviva una minaccia. (…) Dannazione ero sempre stata brava a trovare delle torture e…e delle…
« Amò… » La voce mi giunse da lontano, e dal tono che era stato usato pensai subito al peggio.
Alzai immediatamente le mani sul mio volto, e non potei fare a meno di lanciare un sospiro di sollievo non appena le mie dita risultarono asciutte: Non stavo piangendo.
Meno male…
« …Dovresti… » Esordì la mia amica, ma questa volta fui io a interromperla.
« Sono io che ho chiuso i contatti… » Mormorai « Non mi ritengo né egoista né infantile. Lui non verrà, come del resto non sarebbe mai venuto…O forse si. Forse per una scopata...?
Forse due?
Carmen, guardiamo in faccia la realtà: Non c’è storia.
Il mio nome d’arte è Arashi Hime…lo uso perché ho paura di divulgare il mio nome vero, temo che qualcuno possa riconoscermi per strada e screditarmi o deridermi per il sogno che coltivo…
Lui si chiama Tom Kaulitz, e si vanta di questo. Il suo nome è conosciuto in tutto il mondo, e stai pur sicura che una sua parola è vangelo per parte della popolazione globale…
La mia parola, al massimo, può valere come… »
« Amò » Mi sussurrò Caroline, e le sue braccia mi cinsero di nuovo in un abbraccio. « …Puoi piangere… »
Rimasi un attimo in silenzio, ma ero più che decisa a non sciogliermi. Non io. Non per lui.
« Magari più tardi… » Mormorai con voce spenta e gli occhi vuoti.
« …Fa male eh… » Mi sentii dire, e non era una domanda. « …Benvenuta nel club… »
...Fu forse in quell’istante che cominciò a bruciarmi il naso e gli occhi mi si colmarono di lacrime…Lacrime che, tuttavia, non osai lasciar scivolare giù.
Le lasciai morire sulle mie ciglia, proprio come erano morte le parole che avrei voluto dire a lui.
Al mio lui.
Perché sarebbe stato mio. Mio e mio solamente.
Come lo era stato ieri…come lo era in quel momento…e come, probabilmente, lo sarebbe stato sempre.

Mio


« …Spero che tu stia male quanto sto male io Tom…perché non mi va di essere l’unica idiota della situazione… » E lo dissi a fior di labbra, prima di stringere a me la mia sorellina, la mia amica, la mia confidente.

Vaffanculo.
Vaffanculo mondo…almeno fino a domani.

  
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