Chalve ^^
Scusate per il
ritardo, ma sono impegnatissima in questo periodo! ...ho un sacco di problemi,
parte dei quali con il lavoro al romanzo. Ho letto però tutti i vostri
consigli, e uno per uno ho provato ad applicarli…proprio in veste di ciò, sono
orgogliosa di annunciarvi che la musa sembra essere tornata. Un po’ azzoppata magari,
ma c’è xDDDDDDDDDDDD
Perciò grazie ^^ …Grazie
di cuore!
Vi farò sapere presto le notizie del libro, vedrete che ce la farò.
Rispondo inoltre a
Muny: Cara, sono lusingata dall’attenzione che mi presti –te che sei un’altra
giovane scrittrice in erba come me!- e non mi dispiacerebbe renderti partecipe,
seppur a grandi linee, della trama del mio progetto di carta e china...però,
beh, qui no XD ...a malapena ne parlo in chat (Shine ne è testimone, povera
piccola la faccio sempre dannare ^^” ...Scusa!), su un sito aperto online
proprio no >_< ...
Casomai mandami un’email.
Tanto il mio indirizzo è sempre lo stesso! ^_^
Ringrazio ancora
tutti voi. Grazie per la gentilezza e l’attenzione con cui mi seguite, spero
che questo nuovo chap (scritto di fretta e con un sonno assurdo addosso) vi
piaccia!
Un bacio.
Hime ~
Capitolo 14
Si rese conto di non
saper dove andare nel momento stesso in cui l’aria fresca della serata Milanese
gli baciò i lineamenti induriti dalla rabbia.
Non sapeva né come muoversi, né come comunicare dato che a stento era riuscito
a farsi indicare l’uscita posteriore –sotto lo sconvolgimento delle guardie
italiane che continuavano a lanciarsi strane occhiate dubbiose, come a
domandarsi per quale motivo un membro della band più acclamata del momento uscisse
da solo e di nascosto a tutti come un ratto.
Sospirò, abbassando lo sguardo e si strinse nella sua felpa dell’adidas nera a
doppia X prima di guardarsi attorno quasi intimorito.
La stazione. Doveva andare là.
(...) Già, la stazione…ma da che parte? E quanto distava da dove si trovava
(nemmeno ricordava come si chiamava il palasport, realizzò un attimo dopo tra
un’imprecazione e l’altra) …?
Quella, maledettamente, non era a New York, e non c’erano taxi che si fermavano
se alzavi la mano. Nemmeno era la Germania, dove gli sarebbe bastato urlare una
qualunque parola per avere schiere di persone pronte a offrirgli i migliori
comfort e servizi…
…era l'Italia. L'Italia dei quadri e delle foto. L'Italia del bel paese,
pastasciutta e pizza...
...e lui la stava vivendo, per la prima volta, da solo.
Solo.
Solo di notte, esposto a qualunque tipo di aggressione, di pericolo…
Solo senza suo fratello. Solo senza i suoi amici.
Solo
senza…
« …Ma vaffanculo » Ringhiò improvvisamente il chitarrista dai capelli biondi
roteando gli occhi al cielo e cominciando a mordicchiarsi il percing d’acciaio
che gli perforava il labbro inferiore sinistro.
Una, due, cento, mille volte…fino a quando il labbro stesso non protestò, tra
minute scariche di dolore e un pessimo sapore di fiele e metallo in bocca…
Male. Molto male Tom. Quando ti riduci così è proprio un brutto segno,
eh?
Il ragazzo scosse la testa, sbattendosi una mano sulla fronte imperlata da quel
sudore che preannunciava un’estate torrida, e sospirando compì un piccolo passo
in avanti –quasi timoroso di ciò in cui si sarebbe potuto imbattere, come se
dietro ogni angolo o in ogni sprazzo d’oscurità si nascondesse un orribile
mostro pronto a ucciderlo…
(…) Beh si. Effettivamente era un pensiero molto idiota -realizzò, e comprese di
star impazzendo.
Stava impazzendo, e non poteva farci nulla.
Gli mancava la sua dose. La sua dose giornaliera, quella che un tempo
assumeva tutti i giorni e per la quale aveva riso, si era commosso, si era
addirittura...
« Oddio… » Sussurrò improvvisamente Tom, e chiuse gli occhi esasperati dinnanzi
quel gatto randagio bianco che schizzava via da un cassonetto aperto
–disturbato durante il suo pasto serale.
Infondo, lui era proprio come quel gatto. Aveva sempre amato la compagnia, le
belle donne e le feste...poi, improvvisamente, per lui si era aperta una porta.
Una porta bianca. Una porta bellissima.
...e lui non aveva più dovuto rifocillarsi in un cassonetto aperto per pura
fortuna.
Era da quella porta che aveva cominciato a trarre sostentamento. Gioia. Dipendenza...
...Ma poi la porta si era chiusa, improvvisamente, brutalmente...troppo
velocemente perchè lui si preparasse, o tentasse -probabilmente invano- di
abituarsi...
Si era chiusa.
Gli era stato portato via tutto.
...E lui stava impazzendo. Impazzendo. Impazzendo...!
« Mah… » Mormorò, e si sistemò meglio sulla spalla sinistra la tracolla della
borsa della Nike colma di una vita in fuga.
Della sua vita in fuga.
« Sai che ti dico…? » Tedesco ovviamente. « …Spero che anche te stia così male.
Non mi andrebbe giù di essere il solo… » Brontolò quasi esasperato, e stando
attento a mantenersi su una strada affollata –che gli evitasse spiacevoli
incontri- cominciò a nascondersi tra i gruppi di imprenditori ubriachi
accompagnati dalle prostitute con cui sembravano accompagnarsi quella sera, pur
di avanzare.
Pur di avanzare verso la stanzione. Verso il treno. Il treno...
...e mentre camminava, prego in Dio che venisse aspettato.
Che venisse accolto.
Che, infondo, venisse accettato...
·¨¤ººº¤¨·
L' amore è l' origine,
la causa e lo scopo di tutto quanto è grande,
nobile e bello.
Si crede che la bellezza sia la madre dell'amore,
invece è l'amore che crea la bellezza,
è l'amore che dà espressione allo sguardo,
grazia al corpo,
fascino allo spirito,
vibrazione alla voce;
l'amore è il sole che fa sbocciare i fiori dell'anima;
l'amore produce le nobili ambizioni,
l'amore produce il genio.
·¨¤ººº¤¨·
Mi svegliai di soprassalto, strillando come una matta e come raramente mi
accadeva di fare; ma non appena i miei occhi si aprirono –e vennero feriti
dalla forte luce mattiniera che filtrava dalla finestra accanto al mio letto-
mi resi improvvisamente conto di non avere voce. Non ne avevo, non più. Quella
poca che filtrava dalle mie corde vocali, e si intonava attorno a me, era
rauca, fredda e stonata…una sorta di rantolo, di quelli simili al pre-morte. Di
quelli che avevo sentito cacciare solo alle vittime di Samara di The Ring
oppure ai prigionieri di The Saw…
…Insomma, qualcosa di decisamente disumano.
Deglutii, ma anche quella –mi resi presto conto- era un’impresa. Sembrava quasi
che ogni fibra del mio corpo mi avesse voltato le spalle e, ridendomi in
faccia, mi avesse annunciato uno sciopero improvviso e permanente.
Probabilmente, se avessi comandato al mio cervello di comandare ai miei muscoli
di comandare alle mie gambe di scendere dal letto, non ci sarebbe riuscito.
(…)
Ommiodio, ma quante diavolo di ripetizioni avevo…
« …AMORE! »
Trasalii, strillando ancora una volta, e non feci in tempo a finire l’analisi
grammaticale, logica e sintattica dell’orribile frase che avevo (fortunatamente
solo) pensato, che due braccia celate da una camicetta di seta bianca mi
cinsero delicatamente, per poi stringermi contro un corpo morbido e profumato:
Era uno di quei profumi fortissimi, che non si sentono molto spesso a giro, e
che una volta provati puoi amarli oppure odiarli…perché non ci sono vie di
mezzo, soprattutto nell’amore e nell’odio.
Sono due di quei sentimenti che ti porti dentro da quando nasci.
Quei sentimenti che rimangono sopiti dentro il tuo animo, -dolcemente racchiusi
in uno scrigno d’argento e legno d’ebano-, e che si librano ad estasiarti e
stordirti per la prima volta quando meno te lo aspetti. Spesso nei momenti più
inopportuni, o peggio ancora quando desideri con tutte le tue forze che quel
che hai duramente costruito con il sudore della fatica, non scemi tutto in una
grande, unica, irrimediabile follia…
Inspirai a fondo, pur avendo già riconosciuto quella voce e quel caratteristico
accento che tanto amavo, e prima ancora di rendermene conto, mi riscoprii a
sorridere.
…Muschio bianco.
Tipico. Tipico profumo di…
« …Caroline… » Lo sussurrai con voce impastata, e lo sguardo stralunato che
aprii sul volto apprensivo e rassicurante della mia sorellona non era un caso.
La guardavo come se avessi appena visto la Madonna: Era così bella. Così
brillante e materna, così…stranamente, sfocata.
« Hai la congiuntivite amore? » Osservò Caroline, girandosi di scatto e
prendendo dalla mia scrivania –distante una tensione di braccio dal mio letto-
un fazzoletto della scottex con cui mi asciugò gli occhietti.
(…) E beh si. A quel punto era effettivamente tutto più a fuoco –constatai
quasi compiaciuta, come se il merito della scoperta e della risoluzione del
problema fosse mio.
« Che ci fai qui? » Miagolai dopo un attimo –cercando di impostare la mia voce
troppo simile a un richiamo dell’oltretomba-, osservando ammirata la ragazza
seduta al capezzale del mio letto, ma ero sicura di non voler subito una
risposta. e lo dissi osservando la ragazza seduta al capezzale del mio letto,
ma non mi curai di avere subito una risposta. Probabilmente era il post sveglia
a farmi ragionare all’inverso (??), ma avevo come il terrore che una volta che
Caroline mi avesse spiegato il motivo della sua visita, si sarebbe
immediatamente alzata per andarsene, lasciandomi di nuovo sola…
No, uffa. Non volevo…
« Caroline… » Esordii improvvisamente, già pronta a ringhiarle contro le
peggiori minacce per costringerla a rimanere almeno uno o due giorni; ma lei
alzò prontamente un braccio verso di me, e prima ancora che avessi il tempo di
aggiungere alcunché, mi sollevò la mogliettina del pigiama bianco che
indossavo, sfilandomi da sotto l’ascella un termometro della chicco che aveva
trovato, chissà dove, nei meandri della cassetta del pronto soccorso di casa
mia.
Ero allibita –ed ero sicura che il mio sguardo non potesse che rendere palese
ciò che provavo.
…Ma quando diavolo mi aveva messo quel termometro!?
« Ah grazie a Dio…37 gradi…ti è scesa » Sospirò Caroline portandosi una mano al
seno e sorridendo sollevata, per poi accarezzarmi dolcemente i capelli.
« …Avevo la febbre? » Domandai di rimando io, ma riuscii a rispondermi da sola
un immediato istante dopo, osservando la preoccupazione dipinta sul suo volto
sciogliersi in una tranquillità ricercata con la forza.
Si. L’avevo avuta, e anche alta probabilmente…
Abbassai lo sguardo, smarrita, nemmeno ricordandomi quando avevo accusato i
primi sintomi di quella che doveva essere un’influenza fuori stagione, quando
improvvisamente il mio sguardo cadde su una valigia aperta malamente per terra
accanto ad una coperta sgualcita e a un cuscino: un letto mal costruito sul
pavimento. A pochi passi dal mio, di letto. Un letto vero. Comodo…
« (…) Oddio… » Soffiai sconvolta, realizzando subito ciò che era avvenuto
mentre ero nel mio stato vegetativo. « …oddio, scusami! » E lo dissi urlando,
strozzandomi per la troppa aria ingoiata.
Scossi la testa, sconvolta e mortificata, e stavo già provando ad alzarsi
quando Caroline mi fermò, adagiandomi una mano sulla testa e costringendomi
ancora sotto il mio lenzuolo stellato.
Mi sorrideva come se niente fosse stato, con quella sua pazienza che ormai
reputavo santa…e io non potei che lasciarmi coccolare, proprio come una bambina
malata fa con la sorella maggiore.
« …Non ti preoccupare, abbiamo fatto dei turni » Mi sussurrò lei, ridacchiando
« …anche perché il letto era proprio simbolico. Continuavi a parlare nel sonno,
e per chi ti vegliava era impossibile addormentarsi! »
« “Abbiamo” …? » Ripetei io, inarcando un sopracciglio dubbiosa.
« Io e Roberta » Mi rispose Caroline, accennando ad un sorriso « Natalia è
stata trascinata via di forza da sua madre, dopo due notti che passava sveglia
a farti impacchi sulla fronte. E’ in montagna ora, mi ha detto di avvertirti
che non tornerà fino alla fine del mese…Si scusa. »
Beh. C’era poco da scusarsi. La mamma di Natalia era così, non ci si poteva
opporre. Io dicevo sempre: Hitler era tedesco, ma Mussolini italiano…e i geni,
da qualche parte, dovevano pur esser andati a finire!
« Ah si… » Bofonchiai io, fingendomi offesa « …E…Rob? Dov’è? » Chiesi quasi
preoccupata, osservandomi intorno come se mi aspettassi di vedere la mia amica
spuntare da sotto il letto strillandomi chissà quale frase incomprensibile
(come di solito faceva) per togliermi qualche altro annetto di vita.
« Alla stazione » Rispose Caroline, alzandosi e cominciando a fare ordine tra
le stoviglie abbandonate sulla mia scrivania: Piattini di riso non finiti, mele
mal sbucciate…
« Alla stazione a fare cosa? » Ribattei io, perplessa. « Sta per partire? » Ed
ero già pronta ad alzarmi, vestirmi e correre a salutare la mia Roberta, la mia
lovely…
…Ma Caroline non rispose, si girò verso di me, e dopo avermi osservato per
qualche istante sorrise quasi mortificata…Un’espressione che non mi piacque.
Che non mi era mai piaciuta…E che in me lasciò, inesorabilmente, un orribile
senso di smarrimento.
« …Caroline? » Sussurrai, deglutendo lentamente.
« Siamo qui da due giorni, amò…sarà a guardare i treni, non so… » Era vaga.
Forse troppo.
« …Quando siete arrivate? Che giorno è oggi? »
« …Oggi siamo il tre di luglio » E nel dirlo abbassò lo sguardo su un cucchiaio
incrostato di parmigiano reggiano. Quello che amavo, e di cui saturavo la pasta
e le minestrine…
…A quel punto, mi sentii schifosamente tagliata fuori.
Ero certa che qualcosa mi stesse sfuggendo, ma non avrei saputo dire cosa. Ero
sicura che c’era qualcosa –che mi riguardava, era più che ovvio- che era
successa durante il mio stato di coma vigile, e…e probabilmente, anzi
sicuramente, era una cosa brutta. Molto brutta.
« …Cosa diavolo è successo. » Sibilai, e il tono strozzato post febbre che
avevo, non fece che partecipare attivamente al clima di minaccia che volevo
creare. Ne fui quasi compiaciuta, soprattutto quando vidi Caroline alzare il
suo sguardo colmo di panico verso di me, prima di abbassarlo al pavimento,
rincorrendo ogni oggetto che gli passava davanti agli occhi: I trucchi sparsi
sulla toiletta, i libri di letteratura classica buttati a terra…il dizionario
di tedesco, e un piccolo pacchetto di fogli accuratamente racchiusi da una
clip trasparente.
Distolsi subito lo sguardo, smettendo immediatamente di seguire quello della
mia interlocutrice, ma lo feci troppo lentamente…troppo lentamente per non
vedere quella scritta che, settimane addietro, avevo premurosamente dipinto con
cura e minuziosità.
“Tommino e Hime: Corrispondenza”
« cos’è successo » Lo ripetei più per distrarmi che per altro, e gioii in cuor
mio di sapere che Caroline non riusciva a mentire. Non lei. Non ne era capace,
e nessuno di noi aveva ancora capito se questo era o meno un pregio nella
società attuale… « Cos’è… »
« Non è venuto » Lo disse tutto di un fiato, con voce strozzata e lo sguardo
smarrito. Non riusciva a guardarmi negli occhi, e dal modo in cui si torturava
le dita e muoveva istericamente i piedi, capii immediatamente di chi stava
parlando.
Già…Come avrei potuto non capirlo?
« …Lo aspettiamo da due giorni, ma non è venuto…Roberta va tutte le mattine
alle sette alla stazione, e ci rimane fino alle nove…ma nulla. » Nonostante il
mio sguardo fosse ormai concentrato sulla contemplazione dei rilievi che i miei
piedi creavano da sotto il mio lenzuolo blu, la sentii deglutire, e quel solo
suono non poté che farmi ridere: Era probabilmente lei la più disperata…la più
tesa…
A me, infondo, non interessava. Giusto?
« Caroline » Esordii, pronta a dilungarmi in una delle mie solite arringhe
degne di una laureanda in giurisprudenza, ma lei mi interruppe con un movimento
lesto della mano. Allarmata.
« No ferma, non è come pensi! » Lo disse quasi urlando « …Lui voleva venire, ne
sono sicura! »
« Caroline… » …Non voglio sentire.
« …Ma Bill ci ha mandate via. Ci ha fatte praticamente portare via di peso da
Saki e… »
« CAROLINE… » …Mi dava fastidio anche il solo sentire con quale
familiarità pronunciava i nomi di quelle persone che io avevo solo ripetuto in
sogno o davanti allo schermo di un computer…
« Federica, io sono sicura che Tom… »
Silenzio.
Bill.
Saki.
Gustav.
Georg.
…Te li posso permettere. Te li posso passare. Ma no.
Lui no.
« Zitta… » Lo sibilai con così tanta rabbia che la voce mi vibrò
pericolosamente, quasi strozzandomi. « Zitta o…o… »
...Una minaccia. Presto, mi serviva una minaccia. (…) Dannazione ero
sempre stata brava a trovare delle torture e…e delle…
« Amò… » La voce mi giunse da lontano, e dal tono che era stato usato pensai
subito al peggio.
Alzai immediatamente le mani sul mio volto, e non potei fare a meno di lanciare
un sospiro di sollievo non appena le mie dita risultarono asciutte: Non stavo
piangendo.
Meno male…
« …Dovresti… » Esordì la mia amica, ma questa volta fui io a interromperla.
« Sono io che ho chiuso i contatti… » Mormorai « Non mi ritengo né egoista né
infantile. Lui non verrà, come del resto non sarebbe mai venuto…O forse si.
Forse per una scopata...?
Forse due?
Carmen, guardiamo in faccia la realtà: Non c’è storia.
Il mio nome d’arte è Arashi Hime…lo uso perché ho paura di divulgare il
mio nome vero, temo che qualcuno possa riconoscermi per strada e screditarmi o
deridermi per il sogno che coltivo…
Lui si chiama Tom Kaulitz, e si vanta di questo. Il suo nome è
conosciuto in tutto il mondo, e stai pur sicura che una sua parola è vangelo
per parte della popolazione globale…
La mia parola, al massimo, può valere come… »
« Amò » Mi sussurrò Caroline, e le sue braccia mi cinsero di nuovo in un
abbraccio. « …Puoi piangere… »
Rimasi un attimo in silenzio, ma ero più che decisa a non sciogliermi. Non io.
Non per lui.
« Magari più tardi… » Mormorai con voce spenta e gli occhi vuoti.
« …Fa male eh… » Mi sentii dire, e non era una domanda. « …Benvenuta nel club…
»
...Fu forse in quell’istante che cominciò a bruciarmi il naso e gli occhi mi si
colmarono di lacrime…Lacrime che, tuttavia, non osai lasciar scivolare giù.
Le lasciai morire sulle mie ciglia, proprio come erano morte le parole che
avrei voluto dire a lui.
Al mio lui.
Perché sarebbe stato mio. Mio e mio solamente.
Come lo era stato ieri…come lo era in quel momento…e come, probabilmente, lo
sarebbe stato sempre.
Mio…
« …Spero che tu stia male quanto sto male io Tom…perché non mi va di essere
l’unica idiota della situazione… » E lo dissi a fior di labbra, prima di
stringere a me la mia sorellina, la mia amica, la mia confidente.
Vaffanculo.
Vaffanculo mondo…almeno fino a domani.