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Autore: ladyBrooke    04/03/2013    1 recensioni
morte, lotta, amore, amicizia, paura, ma soprattutto voglia di vivere.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sogno. Stavo facendo un bel sogno, almeno credo.
Amavo dormire, non perché sono una persona pigra ma perché quando chiudo gli occhi il mondo dentro di me diventa qualcosa di meraviglioso, magico, forse è proprio questa la sua bellezza, il fatto che quello che succederà là dentro non potrà mai succedere nel mondo reale, il fatto che in quel momento sai di essere al sicuro, sai di essere amata.
Ovviamente i sogni non sono fatti per restare lì nella tua mente in eterno,o meglio, tu non potrai stare nei sogni in eterno.
Infatti, quel giorno, a svegliarmi da quel paradiso ci pensò suor Carlottina che, insieme alle altre ragazze della casa, intonarono un “tanti auguri” alquanto terrificante; c’era chi urlava, chi sbadigliava e chi, come Alessandra, si limava tranquillamente le unghie e si limitava a lanciarmi delle occhiatacce solo perché le avevo rovinato il suo “sonno di bellezza”.
Quando quella, possiamo definirla canzone finì, suor Carlottina, o come mi piaceva chiamare suor Charlott, mi lesse a voce alta un foglio di carta che assomigliava a un biglietto di auguri:”Alla nostra cara Stella, che ci illumina ogni giorno con il suo bel sorriso e la sua bella voce, auguriamo un felicissimo sedicesimo compleanno, con affetto suor Calottina, suor Clelia e le tue amate sorelle.”
Avevo sentito bene?! Sedici anni, iniziai a urlare per la  felicità mentre le altre ragazze mi guardavano scioccate, ma io non riuscivo a contenere la mia infinita gioia.
Mi alzai dal letto talmente velocemente che barcollai e inciampai sui miei stessi piedi, le altre iniziarono a ridere mentre la suora scosse lentamente la testa, come rassegnata.
Anche se avevo sedici anni il mio senso dell’ equilibrio non era affatto cresciuto con me, anzi, forse era anche peggiorato.
Mi vestii e andai a fare colazione con tutte le altre, là trovai anche suor Clelia già seduta a capo tavola, con il suo classico sguardo che incute timore, mi squadrò dall’ alto al basso, mi augurò buon compleanno e mi invitò a sedere al mio solito posto. Suor Clelia era la madre superiore, noi la chiamavamo la “boss”, perché era sempre pronta a impartire ordini, non si stancava mai,era a lei che bisognava chiedere per fare qualunque cosa, anche la più banale,ma adesso finalmente ero libera, libera dalle sue raccomandazioni e libera dalle sue lunghissime prediche, finalmente potevo uscire con le mie amiche o restare fuori senza chiederle il permesso, dovevo solo rispettare il coprifuoco e dovevo rientrare a casa per l’ora dei pasti.
Per sfruttare a pieno i miei momenti di libertà feci velocemente colazione e decisi di andare a casa di Cecilia, la mia migliore amica.
Mentre camminavo accesi il cellulare e fui inondata da tantissimi messaggi di auguri, fui sorpresa di non trovare quello di Cecilia, di solito era lei la prima a inviarmi il messaggio a mezzanotte precise, forse, sarà senza credito pensai, e mi affrettai verso casa sua.
La sua casa distava dalla casa famiglia non più di 50 metri, oltrepassata la chiesa e il parco c’erano degli enormi palazzoni orrendi del comune, lei viveva in uno di questi, al nono piano.
I genitori di Cecilia erano tutti e due infermieri e non guadagnavano tanto, e poi, quasi tutti i soldi che avevano risparmiato li avevano spesi per le cure della loro unica figlia.
Due anni fa Cecilia si ammalò di leucemia, quello fu per la sua famiglia un periodo terribile, mi ricordo sua madre Cinzia era diventata sempre più magra, mentre suo padre Enzo da uomo spiritoso e allegro che era diventò triste e silenzioso.
Solo Cecilia cambiò in meglio, diventò più forte e sicura, insomma, diventò una vera e propria guerriera.
Quella volta che gli chiesi se avesse paura della morte mi rispose:” Non ho paura della morte, se il mio Dio vorrà, mi farà guarire altrimenti mi chiamerà alla sua casa e io sarò felice lo stesso!”
Da allora, oltre ad essere la mia migliore amica Cecilia diventò anche il mio punto di riferimento, l’esempio da seguire, la mia eroina.
Poi, l’anno scorso successe il miracolo.
 Il 24 dicembre, mentre io ero a provare i canti in chiesa per la messa di Natale insieme al coro, Cecilia, che non era a cantare con noi perché era a fare un controllo in ospedale mi chiamò, stava piangendo, mi parlava anzi, mi urlava, ma io non riuscivo a capire quello che diceva, ero spaventata, pensavo fosse una brutta notizia.
Chiesi a suor Charlott di interrompere le prove per portarmi in ospedale.
Entrai correndo nel reparto pediatria e trovai Cecilia che piangeva, aveva il viso tutto sfigurato, continuavano a scendere dal suo viso tante lacrime calde, mi guardò e mi sorrise, un sorriso bellissimo, naturale, gioioso, come se fosse successo qualcosa di estremamente bello, un miracolo.
Si, successe proprio un miracolo, ci abbracciammo fortissimo e lei disse:” C’è l’ho fatta, ho sconfitto la morte!”, cominciammo a piangere come delle cretine, poi corremmo per tutto l’ospedale, uscimmo e andammo nel nostro posto speciale, che solo noi due conoscevamo, si trovava in un boschetto vicino a casa nostra dove c’era un vecchissimo salice piangente, tutto incurvato che creava il nostro luogo magico, nessuno era mai entrato in quel posto, era soltanto nostro.
In quel luogo io e lei ci promisimo amicizia eterna, da quel momento non eravamo più amiche, né sorelle, eravamo un’ unica persona.
Io ero felice perché lei era felice, lei stava piangendo di gioia perché io stavo piangendo di gioia, ma soprattutto, io vivevo perché lei viveva.
 

Bussai alla porta e mi venne ad aprire Cecilia, ancora in pigiama, il suo viso era ricoperto di rughette formatesi per via del suo cuscino, gli occhi si aprivano a malapena perché erano pieni di sgarbelle(cispa) e aveva ancora dei residui di trucco sulla faccia.
Quando mi vide mi sorrise e a quel punto scoppiai a ridere, mentre lei mi guardava con aria interrogativa.
“Appena svegliata?” gli chiesi,”si vede così tanto” mi rispose facendomi entrare; la casa era talmente disordinata che sembrava ci fosse stata la terza guerra mondiale.
Vestiti dappertutto come se qualcuno avesse avuto fretta di partire, portafotografie rotti, ma la cosa che faceva rabbrividire era l’odore, c’era puzza di fumo, di qualcosa andato a male, qualcosa di morto, putrefatto.
Mi misi d’ istinto la mano davanti alla faccia poi, capendo che mi stava fissando, la tolsi e finsi un sorriso.
“è successo qualcosa?” chiesi indicando tutte le cose sparse per terra, lei mi guardò e abbassò la testa come per non farmi vedere che espressione avesse in quel momento la sua faccia.
“I miei genitori” disse “hanno litigato, niente di importante però!”, mentre lei andò in cucina io aprì la finestra, poi la vidi prendere il cartone del latte e a iniziare a bere a canna, poi rise per via della mia faccia disgustata.
“A proposito di bere dal cartone del latte,sai che cos’altro e disgustoso?” domandai ironica mentre lei faceva finta di essere offesa “dimenticarsi del compleanno della tua migliore amica” conclusi lanciandole un asciugamano in faccia.
Lei mi guardò prima con aria svampita, poi iniziò piano piano a capire e dal suo viso iniziarono a scendere una, poi due e in seguito tantissime altre lacrime, iniziò a piangere come una disperata.
Io rimasi lì, come impietrita, dopo quel 24 dicembre non avevo più visto Cecilia piangere e in quel momento mi assalì un enorme senso di colpa.
“Dai non piangere” gli dissi “può capitare tranquilla, non è mica la fine del mondo!” e l’abbracciai.
“Scusa, non me ne sono proprio ricordata, sai com’è in questi giorni…” “com’è?” gli chiesi,”niente” rispose, ci fu un’ attimo di silenzio, era chiaro che mi stava nascondendo qual cosa.
”Scusami ancora” disse “ come posso farmi perdonare?”, io ci pensai un po’ e poi gli risposi”che ne dici se vieni a mangiare da noi, alla casa famiglia, e poi andiamo a fare compere in centro?”.
Sorrise subito, ma poi diventò in un attimo seria” no scusa, ma non posso, sono impegnata” disse mangiando un po’ di cereali.
Io non la capivo, non aveva mai rinunciato a una buona passeggiata in centro e oggi, che era pure il compleanno della sua migliore amica, decide di diventare incredibilmente pigra e noiosa.
“Perché?” gli chiesi, mi stava iniziando a infastidire, non aveva il diritto di rovinarmi quella bellissima giornata solo perché si era svegliata male.
“Non ti interessa” mi rispose fredda.
Io non capivo, non mi aveva mai nascosto niente. 
Noi ci dicevamo tutto, non avevamo mai avuto segreti.
“Ceci sono la tua migliore amica, me lo puoi anche dire”, ma lei mi rispose, quasi infastidita”Io non ti devo dire proprio niente, se non lo sai anche io ho una vita sociale e non ho sempre voglia di passare tutti i pomeriggi con te!”.
Ero incredibilmente arrabbiata,furiosa, volevo spaccare tutto, presi la mia borsa e corsi via.
Correre per me è fondamentale, solo correndo riesco a pensare, a ragionare, solo correndo riesco a sentirmi libera, riesco a sentirmi sicura.
Le gambe iniziano a muoversi magicamente e a quel punto non è più il tuo cervello a controllarle, ma il tuo cuore.
Ora fermarsi è impossibile, sarebbe solo un dolore per te stesso e quindi continui a correre, ormai non ti importa più della fatica e del dolore, perché sai che fermandoti fai solo peggio.
È il dolore a spingerti a non smettere, fino a quando la paura di non farcela ti blocca.
Corsi, corsi e corsi, fino a quando mi decisi a fermarmi per prendere fiato, e mi trovai lì, nell’unico luogo in cui non dovevo trovarmi, nell’unico luogo che aveva a che fare con il mio passato, l’unico luogo che mi conosceva da sempre.

 

Lo so che questi capitoli potranno sembrare un po' noiosi, ma servono per comprendere meglio la storia, abbiate un po' di pazienza. Vorrei soltanto dire che la nostra protagonista Stella non è una ragazza "dal fazzoletto facile" anzi, come si vedrà dal prossimo capitolo è molto coraggiosa e da come si vedrà nel corso della storia... Beh, questo lo scoprirete da soli!!!

 
 

  
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