Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Tessa    20/09/2007    2 recensioni
Proprio non riuscivo a spiegarmelo. Perché quelle che all'inizio mi erano sembrate solo delle strambe affermazioni di una folle sconosciuta ora parevano diventare sempre più significative? Cosa diavolo c'era in quella villa che stuzzicava così tanto la mia memoria? Scossi il capo sempre più confuso ed innervosito mentre tentavo di ripensare all'immagine della casa che mi ero impresso nella mente....riuscivo a vederla, anche se un po' annebbiata: c'erano quelle palme, poi l'erba, le sedie ed il tavolino, i due balconi con in mezzo la grande finestra, le finestre più piccole, le persiane, il portone e quella dannata foto in bianco e nero di un ragazzo sorridente. No, no, ci doveva essere qualcos'altro...
Genere: Horror, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La Villa delle Reminescenze Questa storia dovrebbe essere horror, ecco, dovrebbe tuttavia secondo me non ha una collocazione ben precisa in un genere, ma questo sarete voi a giudicarlo. Buona Lettura!
Tessa

La Villa delle Reminescenze

Ricordo bene quel giorno anche se saranno passati, non so, sette o otto anni? Me lo ricordo particolarmente bene perché fu l'unica solitaria volta in cui decisi di fare un passo indietro nella mia vita e di tornare a visitare un luogo rimasto sepolto da tempo nei miei ricordi....non che ne avessi l'intenzione, sia ben chiaro,.semplicemente per un motivo che ora proprio mi sfugge mi ritrovai un bel giorno d'autunno nel paese dove avevo trascorso la mia infanzia, a ripercorrere i sentieri di sogni tanto solcati da bambino, a sentire di nuovo l'odore tenue e caldo di salsedine e foglie che innocentemente contamina l'aria dei paesini sulla costa come quello dove sono nato io. Dapprima fui colto da una incontenibile zaffata di commozione, sapete, di quelle che ti colpiscono così, all'improvviso spogliandoti di qualsiasi difesa e mettendoti completamente in balia della memoria, ma presto questa mia imperdonabile gaffe, così insolita per uno come me, si dissolse lasciando posto ad una vitrea indifferenza, che mi accompagnò nel mio vagabondare solitario per le strade alla ricerca di un qualsiasi intrattenimento non troppo primitivo o forse di qualche emozione abbandonata fra le pareti dei palazzi che avevano colorato i primi anni della mia vita. Increbibilmente in quel paradiso squallido ed incolto che era diventato il mio paese natale non riuscivo a trovare nulla che attirasse la mia attenzione, che mi facesse provare qualche brivido, qualche minimo sentore di nostalgia, tutto pareva vecchio ed ammuffito, perfino le persone che pascolavano ignare e cadenti per le strade scalcinate parevano vuote, senza un'anima né una meta. Ben presto l'atmosfera della città parve divenire sempre più velenosa per me, sembrava quasi che quel posto che anni prima avevo abbandonato senza rammarico fosse in collera con me e volesse che io me ne andassi perché non sopportava la mia presenza critica ed indagatrice intenta a paragonare ogni singolo squallido particolare del luogo con qualche ricordo sbiadito, ritenendo sempre e comunque quest'ultimo nettamente superiore. "E' brutto vedere come non solo le persone, ma anche i luoghi ed i sentimenti invecchino diventando obsoleti" mi dicevo nella mia testa guardando fisso la strada davanti a me annoiato, finché svoltato l'angolo mi apparve un lungo viale polveroso e sottile, così lungo che pareva portare in un'altra dimensione. Restai immobile ed in silenzio seguendo con lo sguardo quella linea gialla e spenta che si perdeva là dove inizia l'orizzonte e così, senza neanche rendermene conto, venni attraversato da quell'emozione che stavo distrattamente cercando. Era qualcosa di forte e viscido che mi penetrò dentro in un sol colpo donandomi una serie di visioni sconnesse che non riuscii a decifrare e che mi lasciarono frastornato e confuso....già, ricordo perfettamente quella sensazione, era come se.....mi stessero pungendo forte con un ago proprio in mezzo al petto, era un chiaro e limpido sentore di nostalgia, una nostalgia mai provata prima, davvero estranea al mio intero essere, una nostalgia che poteva derivare solamente da qualcosa di importante, di estremamente importante: quello era il viale dove abitavo.
  -  Mi scusi signore, si sente bene? - una voce di donna tagliò netta il filo aggrovigliato dei miei pensieri. Mi voltai inebetito cercandone la proprietaria e mi si parò davanti agli occhi una figura scura ed imponente, tanto che in un primo momento ebbi paura, ma poi, alzando lo sguardo, scorsi, in quello che doveva essere un pesante cappotto nero di panno, un grazioso volto bianco ed il mio cuore si rasserenò.
  -  Ehmm.....no, va tutto bene....la ringrazio.... - risposi, stupendomi io stesso del tono gentile e trasognato che avevano le mie parole. La ragazza sorrise, mostrando dei denti ancora più chiari e splendenti della sua carnagione, una visione che mi fece sussultare per la sua velata bellezza. Restammo un po' così, in silenzio, io e la graziosa sconosciuta, fianco a fianco senza nulla da dirci, come due amici di vecchia data, mentre il mio sguardo era intento a vagare svogliato per il panorama antistante. Subito riconobbi la casa dove avevo vissuto da bambino, ed un po' mi rattristai nel vederla ormai completamente cambiata. La guardai scuotendo il capo e sospirando: com'era triste vedere il lavoro minuzioso ed interminabile del tempo! Distolsi lo sguardo subito i miei occhi furono rapiti da una pianta ormai secca di gelsomini che celava un cancello scuro divorato dalla ruggine proprio di fronte a casa mia: era....l'entrata della casa del mostro. Fui immediatamente colpito da quella vista perché mi parve quasi di intravedere fra quelle sbarre violentate dal tempo e dall'incuria una sensazione già provata, forse la chiave di quello stordimento che mi aveva colto poco prima. Fu per questo che mi avviai per quel viale, dimenticando per un istante quella che, non so se volontariamente o casualmente, era divenuta la compagna della mia ricerca di spiegazioni....di cosa poi non lo sapevo nemmeno io, fu qualcosa di cui mi resi conto dopo, ma, in quel momento, mi sentivo semplicemente attratto, per un motivo ancora sconosciuto, dalla desolazione della villa celata da quel recinto . Mi mossi lentamente fino ad arrivare ad accarezzare quei pezzi di ferro tesi e sofferenti, sentii la loro pelle ruvida sotto le palme callose delle mani... ah se mi ricordo la consistenza di quel tocco, mi pare di sentirla ancor ora....era come se in quel momento mi fossi messo in contatto con un altro mondo mentre stringevo nelle mie mani infreddolite quel ferro opaco e cercavo con gli occhi qualcosa all'interno di quel recinto che proteggeva chissà quale segreto. Aggiravo il mio sguardo inquieto e turbato cercando di scorgere più particolari possibili alla ricerca di una chiave d'interpretazione a quel malessere appena assaggiato che piano piano stava iniziando a manifestarsi di nuovo. Sì. fu indimenticabile, sentivo dentro di me qualcosa che ribolliva e si muoveva freneticamente andando su e giù, su e giù, come un'onda o un'altalena, non so se mi capite.....è come....se dentro di me avessi un cane legato ad una corda, ecco, che smaniava poiché aveva riconosciuto il suo padrone da lontano e voleva raggiungerlo...sì, credo che questa sia una metafora adatta, era come se una parte di me riconoscesse quel luogo e mi stesse pregando di entrarvi per salutare qualcuno, chi poi non lo sapevo, diciamo che precisamente non lo so neanche adesso, ma sentivo che mi dovevo ricongiungere con qualcosa in quella casa e al contempo percepivo il forte desiderio, no, non desiderio, l'obbligo di separarmi dalla medesima cosa.....Assurdo, vero? Certo, io non sono un grande scrittore, è difficile per me spiegare.....però credo che sia questo il succo della questione...mmmh....dove passavo? Ah, sì, stavo davanti al cancello.....dietro di me sentii un lieve spostamento e presto vidi la ragazza dal volto bianco affiancarmi di nuovo come un'ombra e fissare anch'essa in maniera molto concentrata nella mia stessa direzione alla ricerca dell'oggetto che aveva attirato la mia attenzione. Io, dal canto mio, non stavo guardando nulla di particolare, tenevo solo gli occhi fissi su qualcosa mentre la mia mente si trastullava fra mille domande senza risposta. Ad un tratto lei parlò rompendo la quiete ritrovata di quel viale poco trafficato:
  -   La villa abbandonata di Viale della Vittoria...... - affermò, non so se per ricordarlo a se stessa o per farlo presente a me, fattosta che non risposti e piegai solo leggermente il capo in segno di assenzo, cosicché lei continuò - E' abbandonata da moltissimo tampo saranno venti, venticinque anni almeno....non so perché, ma nonostante sia così bella non ha mai fatto gola a nessuno....
  -   Bé, magari dentro ha avuto luogo qualche delitto.... - affermai io, conscio che in quel luogo una volta abitava un ragazzo gravemente malato di cui tutti avevano, non so perché, una paura folle, ma non glielo dissi..
  -   Può darsi....io me lo sono sempre chiesto....ma sembra che qui la gente non ami parlarne e non ami neanche informarsi.....- fermò il suo discorso proprio prima di spiegare la sua opinione, una mossa che lei sapeva, avrebbe suscitato il mio interesse fino allora assopito. Decisi di darle soddisfazione, in fondo ero incuriosito dalle sue parole, perciò mi voltai e, senza bisogno di alcun incitamento verbale lei continuò: - La gente.... - sospirò, come se stesse per dire qualcosa di grave, un verità dolorosa - La gente se ne frega......di tutto, non le interessa assolutamente nulla, non ha voglia di conoscere, di sapere....ha voglia solo di percorre ogni giorno la stessa strada, frequentare gli stessi posti, vuole solo rinchiudersi in una gabbia di monotonia e lasciare fuori tutto il resto....ci sono fin troppi misteri che aspettano nel buio di essere svelati...troppi....ed il problema è che a nessuno frega niente! - il suo vortice di frasi dette quasi casualmente in preda ad una frustrazione repressa, mi lasciarono senza fiato, turbato, mentre sentivo dentro di me un formicolio familiare.....da un lato ero conscio che ciò che aveva detto era assolutamente vero, ma dall'altro la banalità di quella affermazione mi lasciava esterefatto di fronte ad una situazione che pareva diventare sempre più ridicola. Sentendomi addosso gli occhi speranzosi della ragazza e non sapendo che rispondere decisi di puntare tutto sul mio sarcasmo, sì, ora che ci penso feci un pessimo errore: - Misteri, misteri, tanti, tanti misteri che si nascondono per le strade, ehi guarda là quella bici legata al palo potrebbe essere un mistero....già, chissà chi ce l'ha lasciata, chissà perché è stata messa proprio su quel palo..... - questa squallida dimostrazione del mio umorismo da quattro soldi lasciò me sconcertato e la ragazza incerta fra la rabbia e la compassione tanto che fra di noi piombò di nuovo il silenzio, ma stavolta un silenzio pesante, un silenzio di chi non vuole dire niente perché non sente d'avere niente in comune col suo interlocutore. Il tempo passava e l'atmosfera si faceva sempre più insopportabile, io non riuscivo a trovare nessuna frase da dire, non sapevo se provare di nuovo la carta dell'ironia o dare spago a quella strana ragazza tanto piena di begli ideali e mostrarmi interessato alle sue opinioni. Alla fine quest'ultima mi parve la cosa migliore da fare dato che, voltando lo sguardo senza farmi notare, scorsi sul viso della mia inaspettata amica, una smorfia amara, di quelle che la gente assume quando si sente incompresa ed odia segretamente il mondo per averla resa diversa, o meglio superiore, a tutto il resto dell'umanità. Così parlai:
  -  A quali...sì...a quali genere di misteri ti riferivi prima? - chiesi senza posare gli occhi su di lei per mantenere un tono distaccato. Restò un po' in silenzio, forse incerta se darmi di nuovo fiducia o lasciare perdere, tuttavia qualcosa la spinse a continuare la sua battaglia, qualcosa che successivamente decifrai come consapevolezza della verità.
 -   Tutto è un mistero.... - la sua laconica replica mi lasciò più confuso ed al contempo più divertito di prima. Certo, quella ragazza pareva proprio dare a qualsiasi banalità un peso insormontabile tanto da farla apparire la scoperta più aulica del secolo.
 -  Scusa, non potresti essere più chiara? Che ne so, fammi un esempio! - domandai cercando di celare il sorrisetto che si era manifestato sul mio volto girandomi dall'altra parte.
 -  Noi siamo un mistero....per esempio...tu per me sei un mistero... - stavolta non riuscii a trattenermi e il mio scetticismo divenne palese quando un grugnito simile ad una risata stroncata echeggiò nell'aria nebulosa del viale. Lei si girò di scatto pugnalandomi con due occhi furibondi tanto che restai pietrificato. Di nuovo silenzio, poi però, proprio mentre mi stavo abbandonando alla tensione che si stava creando, lei riprese, con aria disinteressata:
 -  Ognuno ha un segreto, perché ognuno è un segreto... - si interruppe, chiuse gli occhi, li riaprì e guardo dritta davanti a sé, il suo sguardo fu un unico, pungente fendente rivolto ad un angolo preciso della villa, un angolo che da solo era la chiave di quell'incontro e di molti altri eventi che stavano per accadere di lì a poco. Restò fissa per un po' per poi voltandosi per darmi le spalle, parlò, le sue parole furono precise, perfettamente calibrate, come se qualcuno gliele avesse appena suggerite all'orecchio:
 -  Guarda bene, guarda bene questa villa, imprimiti nella testa ogni suo più piccolo particolare....guarda attentamente ogni mattone, ogni striatura dell'intonaco, ogni tegola precipitata dal tetto, ogni fiore agonizzante, ogni rimasuglio cartaceo....osservala bene, perché se non lo farai rimpiangerai molte cose....perché c'è un mistero che devi svelare....a te stesso....- appena finito il suo monologo rimase un po' ferma sempre girata, poi, forse vedendo che io non avevo alcuna reazione si allontanò. La prima cosa che pensai fu di fermarla, di chiederle spiegazioni, ma poi mi convisi, o meglio una parte di me mi convinse che quella era solo una povera pazza che siccome non aveva niente da fare aveva deciso di interpretare la parte dell'oracolo che sforna verità. Sorrisi quando la vidi voltare l'angolo da cui era venuta, dandomi dello stupido per aver sprecato il mio tempo ad ascoltare le sciocchezze di quella tipa. Sì, forse poteva sembrare che il mio cinismo avesse risucchiato qualsiasi traccia di serietà che quell'incontro poteva avere, ma in realtà non fu così, infatti trascorsi i successivi quindici minuti in un conflitto totale con me stesso, era come se dentro di me si fossero scisse due fazioni: una voleva ridicolizzare l'accaduto, cercando di dare una spiegazione logica o perlomeno scettica a ciò che era successo, mentre l'altra sosteneva che le parole della ragazza non erano da sottovalutare, perché, in fondo al cuore, sentiva che c'era qualcosa che mi ricollegava alla villa e questo era inopinabile. Alla fine, incerto e ancora scosso da quell'evento decisi che non c'era nulla di male a guardare per un altro pò lo scenario protetto dal cancello come aveva detto la ragazza, e, perlomeno,  questo almeno sarebbe servito a calmarmi. Mi voltai e per la prima volta scorsi quel paesaggio deserto e secco. Sì, prima lo avevo guardato, ma non lo avevo osservato attentamente, con cura, considerando ogni piccola sfumatura di quello che sembrava un quadro impressionista. C'era un giardino giallo, due enormi palme marce ai lati ed un'erbetta fin troppo invecchiata che sfiorava i piedi del cancello per diventare sempre più alta e scura mano a mano che si allontanava dal recinto per perdersi in quello che pareva una piazzetta di cemento dove riposavano due sedie di ferro rovesciate e un tavolino laccato di bianco senza una gamba. Fin qui niente di strano, niente di anomale, anche se, effettivamente, non sapevo se quello che stavo cercando era qualcosa di inusuale o un elemento comune. Guardai l'edificio, era grande e grigio, davanti alla facciata facevano bella mostra due balconi che avevano l'aria di reggersi per puro miracolo. Proprio in mezzo ad essi un'enorme finestra lasciava intravedere l'interno della casa, ma essendo molto sporca si riusciva a scorgere solo l'ombra di una grande scala. Per il resto niente, non c'era nulla di particolamente degno di attenzione, sotto ai balconi c'erano delle finestre più piccole dai vetri rotti, delle persiane con delle aste mancanti, v'era l'entrata della casa con un piccolo pezzo di carta attaccato nel mezzo dell'anta destra, era una foto, niente di incredibile. Feci di nuovo il giro della villa con lo sguardo prima di confermare a me stesso che non c'era niente, assolutamente niente capace di suscitare in me un turbamento, un qualcosa...niente...così, mettendo le mani in tasca mi allontanai da quel luogo. Questo distacco, che, stranamente, sembrò pesarmi,  durò poco dato che qualche ora dopo ricevetti una telefontata sul cellulare in cui un uomo mi avvertiva che dovevo recarmi ad un stabilimento proprio alla fine di quel viale per firmare il contratto che mi aveva spinto fin lì. Mi avvai di nuovo per le vie del paesino, fingendo indifferenza, quando in realtà avevo un desiderio folle ed assurdo di rivedere la villa, desiderio per cui non riuscivo a trovare una ragione plausibile. Probabilmente sentivo che avevo ignorato qualcosa, quel qualcosa di importante che era la ragione di tutto, così, appena mi trovai di nuovo di fronte al cancello non riuscii a fare a meno di dare una sbirciatina all'interno. Stesso spettacolo di prima, stesse palme, stessa erba secca, stesse sedie cadute, stesso tavolino zoppo, stessi balconi precari, stesso finestrone sporco, stesse scale, stesse finetre più piccole, stesse persiane, stesso portone, stessa foto in bianco e nero attaccata all'anta destra. Anche stavolta niente che mi faccesse riflettere, passai oltre sentendomi un po' sollevato nell'aver appurato che nulla era cambiato. Percorsi le due o tre centinaia di metri che mi separavano dalla mia destinazione, mentre la mia ritrovata serenità si faceva sempre più cupa, tanto che, appena uscii dal luogo dell'appuntamento ero di nuovo inquieto e provavo ancora il desiderio di osservare la villa. Camminai a passo spedito appurando che il sole stava calando e presto sarebbe stato impossibile avere un'immagine nitida dell'ambiente, infatti quando arrivai davanti al fatidico cancello ormai il tramonto era giunto al suo termine e al posto del sole si respirava quell'aria fredda che precede la notte. Consapevole che non avrei comunque avuto una vista chiara, decisi lo stesso di dare un'occhiata, giusto per vedere se qualche cosa mi saltava all'occhio, magari esaltata dalla mancanza di luce. Niente purtroppo, sempre la medesima foto del ragazzo in bianco e nero attaccata all'anta destra , medesimo portone, medesime finestre più piccole, medesime persiane, medesime scale, medesimo finestrone sporco, medesimi balconi precari, medesimo tavolino zoppo, medesime sedie cadute, medesima erba secca e medesime palme. No, niente era cambiato. Sbuffai, in realtà avevo sperato di vedere qualcosa di nuovo, di diverso, un particolare che prima mi era sfuggito ed invece nulla di nuovo! Con rancore allentai la stretta alla sbarra del cancello alla quale mi ero appigliato e, rendendomi conto che era ormai buio, mi allontanai, stavolta affatto rasserenato bensì ancora più turbato. Cercando disperatamente una ragione della mia angoscia apparentemente inspiegabile, tornai all'hotel nel quale alloggiavo e, non avendo affatto fame, mi chiusi nella mia camera a riflettere. Era terribilmente strano, più il tempo passava e la notte si faceva prossima più il mio animo pareva inquieto come quello di una persona che attende un appuntamento importante. Sì, ecco, qualcosa di molto importante. Proprio non riuscivo a spiegarmelo. Perché quelle che all'inizio mi erano sembrate solo delle strambe affermazioni di una folle sconosciuta ora parevano diventare sempre più significative? Cosa diavolo c'era in quella villa che stuzzicava così tanto la mia memoria? Scossi il capo sempre più confuso ed innervosito mentre tentavo di ripensare all'immagine della casa che mi ero impresso nella mente....riuscivo a vederla, anche se un po' annebbiata: c'erano quelle palme, poi l'erba, le sedie ed il tavolino, i due balconi con in mezzo la grande finestra, le finestre più piccole, le persiane, il portone e quella dannata foto in bianco e nero di un ragazzo sorridente. No, no, ci doveva essere qualcos'altro...mi sforzai di nuovo di ricordare: allora le palme, l'erba, le sedie, il tavolo, i balconi, la finestra grande e quelle piccole, il portone e la foto di quel ragazzo con i capelli scuri che sorride....Nient'altro...no, nient'altro. "Dannazione!!!" tuonai. Ma cosa stavo facendo? Stavo lì a preoccuparmi per le parole di una pazza sconosciuta? Ero per caso impazzito anch'io? Il mio comportamento era inaccettabile, non ero mica un bambino che si lascia suggestionare dalle storie di misteri! "Che situazione ridicola!" pensai, afferrai il telecomando e accesi la televisione, sperando che qualche programma stupido mi avrebbe distratto da quello che da uno scherzo si stava trasformando in un grande problema. Tuttavia neanche le immagini vuote dello schermo riuscirono a distogliermi dall'incessante farneticare del mio cervello il quale fra gli innumerevoli percorsi che fece quella sera si soffermò più volte all'immagine della ragazza. Sì, nella mia mente la rivedevo, vedevo la sua bocca pronunciare quelle frasi che tanto mi avevano colpito, vedevo i suoi occhi fissi in un punto davanti a sé, un punto che però non riuscivo a collocare nel mio ricordo della villa. Dritta davanti a sé, guardava proprio dinnanzi a sé......"Al diavolo!" gridai lanciando il telecomando che tenevo in mano nell'angolo più remoto della stanza. L'impatto fu così forte che probabilmente si schiacciò il pulsante rosso e la tivù si spense lasciandomi solo nella penombra. Il primo pensiero fu quello di correre a raccogliere l'oggetto che avevo scagliato nel buio in un raptus di rabbia, ma, proprio quando stavo per poggiare il piede atterra, mi accorsi di quanto mi sentissi più quieto senza quell'incessante ronzare e mi ridistesi sul letto. L'idea di quella ragazza ferma davanti alla casa continuava a tormentarmi, mentre mi ripetevo fra me e me tutti gli elementi di quella dannata villa, uno ad uno come un rosario....ed ancora rivedevo le palme e l'erba e le sedie e il tavolino e i balconi e la finestra grande e le finestre piccole e le persiane ed il portone e la foto del ragazzo dagli occhi neri, e ancora, porta, finestre, sedie, balconi, palme, erba, finestra grande, tavolino, foto del ragazzo con i capelli ricci.....Mi bloccai, fu giusto in quell'attimo che mi parve di sentire muoversi qualcosa nella mia testa, qualcosa aveva vibrato mentre io elencavo quelle cose, ne ero sicuro, oh, se ne ero sicuro. Mi alzai a sedere, ripetei ancora una volta tutti quei dannati elementi, uno alla volta lentamente, ma non provai più la stessa sensazione. Intenzionato ad andare in fondo alla faccenda mi alzai afferrai la giacca, mi spinsi nelle scarpe ed uscii. Corsi per le strade ripercorrendo per l'ennesima volta quelle viuzze sterrate per arrivare al viale giallo, che, con l'aiuto delle tenebre, aveva assunto un'aria ancor più misteriosa e minacciosa. Mi affrettai verso la villa così velocemente che andai letteralmente a sbattere contro il cancello nascosto dall'oscurità. Guardai dentro di nuovo, ma nella notte tetra non riuscivo a distinguere chiaramente i particolari che avevo visto di giorno: sì, vedevo le sagome delle palme, i fili anneriti dell'erba, le ombre delle sedie e del tavolino, intravedevo le forme tondeggianti dei balconi e riconoscevo nettamente il riflesso delle finestre che brillavano alla luna, e, non so come, riuscivo anche a riconoscere a malapena il portone e le persiane, completamente divorati dal buio. C'era tutto, era tutto come me lo ricordavo....no....no, mancava qualcosa, qualcosa era scomparso.....ma cosa? Provai a ripetermi ancora una volta l'elenco delle cose che avevo visto: palme, erba, sedie, tavolo, balconi, finestra, finestrelle, persiane, portone....finestrelle, persiane e portone...e poi? .....La foto! Quella stramaledetta foto non c'era più! Avvicinai il viso alle sbarre e socchiusi gli occhi cercando di vedere meglio. Il portone era lì davanti a me, ma la foto non c'erà, non era più sull'anta destra dove l'avevo vista nel pomeriggio! Cercai di calmarmi, distolsi lo sguardo e cercai di convincermi che mi ero sbagliato, che me l'ero sognata, provai a ripensare alla villa immersa nella calda luce del crepuscolo e più mi figuravo in mente quest'immagine più quella dannatissima foto mi appariva nitida e spavalda troneggiare nel bel mezzo dell'anta destra del portone. Sì, c'era, ne ero certo, c'era una foto su quella maledetta porta....Mi voltai di nuovo, il portone era completamente nero e nulla di più chiaro spiccava sulla sua superfice: "Dov'è finita quella cacchio di foto?" biascicai sottovoce non riuscendo a contenere il nervosismo. Mi imposi di nuovo l'autocontrollo: in fondo non era accaduto nulla di così strano, nulla di sovvrannaturale, fino a quel momento, la foto poteva tranquillamente essere stata presa da qualcuno, mi dissi. Tirai un sospiro di sollievo. Era ovvio! Qualche marmocchio curioso era passato di là e, vedendo quella foto, si era intrufolato nella recinzione e l'aveva rubata! Sì, era una spiegazione più che scontata, appurai dandomi al contempo dello stupido. Ecco, il misterioso caso della sparizione era risolto! Mi asciugai la fronte: cavoli, quella ragazza e il suo ridicolo discorso mi avevano impressionato e non poco. ....A questo punto potrebbe sembrare che la storia sia finita, già, pareva proprio che l'espediente logico avesse salvato la situazione, invece, non saprei se per fortuna o per disgrazia, non fu così, infatti, mentre scuotevo il capo nella repentina gioia che mi aveva colto mi appoggiai con un braccio al cancello, spostandolo lentamente. Sì, il cancello si mosse, ma solo di pochi centimetri, forse un paio, cosa che mi fece immediatamente notare l'enorme catenccio che legava insieme le due ante. Lo toccai, era grande e pesantissimo, nessun bambino sarebbe stato in grado di toglierlo. Paralizzato dal terrore della consapevolezza, rivolsi gli occhi alle sbarre, ma notai che queste erano troppo vicine le une alle altre per essere attraversate anche dal più gracile pargoletto e, alzando lo sguardo, vidi delle punte affilate come lance, che di certo tenevano lontano qualsiasi visitatore. No, nessuno poteva essere entrato, quel cancello era troppo alto e troppo minaccioso, decisamente insormontabile, eppure, guardando di nuovo il portone all'interno, confermai a me stesso che quella foto era sparita. Ci doveva essere una spiegazione, era naturale....forse....forse si era staccata ed era caduta nell'erba. Sì, sì, poteva essere successo, ma la cosa non mi calmava. Dovevo avere una conferma, una dannatissima conferma della mia teoria, così, senza pensarci e sensa ragionare mi allontai dalla villa per cercare un qualsiasi oggetto capace di rompere il catenaccio e permettermi di entrare per controllare. I momenti che seguirono sono abbastanza annebbiati nella mia memoria, riesco a malapena a ricordare il cantiere in cui entrai e da cui sottrassi un grosso pezzo di ferro dalla forma allungata e due tenaglie....ora, con il senno di poi,  posso dire che quel cantiere era fin troppo vicino alla villa, ma questo a quel tempo non mi preoccupò, anche perché forse era solo l'ultimo tassello del puzzle...comunque tornai in quel luogo e preso da un sentimento che non saprei se definire paura o euforia, spezzai la catena e spalancai il cancello. Un suono di metallo arruginito accompagnato da un lento cigolare mi accolse in quel regno notturno....sì, quel luogo pareva proprio un mondo a parte, quest'idea fu lampante nella mia mente appena entrai. Mossi qualche passo incerto in avanti, tenendo i sensi all'erta, poiché, anche se mi costava caro ammetterlo, quell'atmosfera tetra e silenziosa, mi terorizzava. "Devo fare presto!" pensai "Voglio rimanere il minor tempo possibile in questo postaccio!" e così mi avviai svelto verso il portone. Avrei controllato se c'era la foto davanti all'entrata e, appena confermata la sua presenza, me la sarei svignata, perché ovviamente era scontato che la foto ci fosse, non sapevo assolutamente che quella foto non l'avrei vista quella sera, bensì solo dopo. Giunto di fronte al fatidico uscio mi chinai e frugai fra i fili d'erba secca e più il tempo passava senza risultati, più mi innervosivo. Quella foto doveva essere lì! Era l'unica spiegazione plausibile. In preda alla rabbia iniziai a strappare quel pagliericcio e fu allora che qualcosa accadde, una sensazione che ricordo ancor ora. Proprio mentre ero intento a tirar fuori una radice dal terreno, sentii uno scricchiolio al mio fianco e, voltandomi, vidi chiaramente il portone oscuro che si apriva, lentamente, con la stessa delicatezza con cui un padrone di una casa apre la porta ad un suo gradito ospite. Fu qualcosa che percepii perfettamente....un muto invito....qualcuno mi aveva chiesto di entrare, lo sentivo dentro, ero di nuovo attraversato da una dolorosa nostalgia che aspettava solo di essere placata....e l'unico modo per farlo, aimé, era varcare quella soglia e perdermi nell'oscurità di quell'abitazione....Rimasi a lungo fermo a pensare sul da farsi, indeciso se seguire quel richiamo o tornarmene nell'albergo e nel mio scetticismo, ma qualcosa, una sorta di segno, sì, fu un chiaro segnale, mi pregò di entrare....infatti, proprio mentre mi alzavo per scrollarmi dai vestiti il terriccio che mi ero buttato addosso, udii qualcosa muoversi all'interno, qualcosa di flebile eppure di netto, fu come....sì, fu come un ribalzo, avete presente? Il rimbalzo di una palla, ma di una palla leggerissima, tanto che il suono fu a malapena percepibile. Senza pensare entrai, come se avessi sentito qualcuno chiamare il mio nome dall'interno. Lo scenario che mi si presento fu quantomeno inquietante: mi ritrovai in un immenso salone spoglio, pieno solo di calcinacci e di polvere. Osservai attentamente l'ambiente, niente che saltasse all'occhio se non una zona della sala completamente divorata dall'ombra, un'ombra così densa da sembrare innaturale. Non sapendo come comportarmi pensai che la cosa più ovvia sarebbe stata accertarsi che non ci fosse nessuno, o che ci fosse qualcuno, precisamente non sapevo neanch'io cosa desideravo, se mettermi in contatto con la persona che mi aveva chiamato o appurare che non c'era niente di sovrannaturale in quella casa, tuttavia chiesi: "C'è qualcuno lì?".......attesi......silenzio: non un suono, non un rimbombo, né proveniente dall'interno della casa né dall'esterno. Quel luogo era completamente atono, ma atono in una maniera oscura ed inquietante, no, non era un silenzio normale. Passò un po' di tempo in cui aspettai un qualsiasi segno, fruscio, respiro, poi, quando mi resi conto che le mie parole si erano perse nel vuoto, scossi la testa impercettibilmente, dandomi di nuovo dello stupido, ma, appena feci per muovermi, mi sentii come paralizzato, non saprei dire se da qualcosa o da qualcuno, semplicemente mi accorsi che il mio corpo non rispondeva ai comandi, rimaneva fermo, pietrificato. Fu immediatamente panico, perché non sapevo a cosa ricollegare quell'improvvisa mancanza di forze, se alla paura, o a qualche....presenza....? Fattosta che mi guardai attorno muovendo solo gli occhi all'interno delle loro orbite indurite e non vidi nessuno, niente che potesse insospettirmi, se non....quella macchia di oscurità che ora pareva fattasi ancora più nera ed inscindibile....Continuai ad osservarla e, non riuscendo a trovare una soluzione alla situazione, chiesi di nuovo: "C'è qualcuno qui?"......di nuovo nulla, un silenzio marmoreo aleggiava nell'aria....digrignai i denti sentendo ancora i miei muscoli bloccati, mi sforzai di muovere le mani o almeno le dita quando qualcosa di inaspettato fece sobbalzare il mio cuore......"C'è qualcuno qui?" sgranai gli occhi quando udii questa frase provenire da non so quale angolo della stanza.....rimasi atterrito, incapace di pensare e di agire, senza sapere se essere impaurito o semplicemente stupito.....chi aveva parlato?....ma era stato veramente qualcuno a pronunciare quelle parole oppure era stato solo un'eco tardiva della mia stessa voce? Non volevo credere che ci fosse qualcuno lì, qualcuno che mi osservava nascosto nell'ombra, no, dovevo dimostrare che non era così....allora gridai con voce stridula "Sono....sono io, Pitt...tu chi sei?"......nulla, vuoto, un silenzio interminabile, un silenzio durato fin troppo per essere quello che scandisce una voce dalla sua eco....eppure...."Sono....sono io....." rimasi proteso all'ascolto....erano le mie stesse identiche parole, il tono con cui erano pronunciate aveva addirittura la mia stessa incertezza, però....la frase si interrompeva a metà....non aveva la mia stessa conclusione.....forse perché il suono si era interrotto all'improvviso o perché le ultime parole erano state dette con una voce troppo flebile per essere riprodotta oppure....perché chi aveva detto quella frase.....non aveva il mio stesso nome...lì per lì non ci pensai, di certo non era la spiegazione più logica da dare ad un simile evento, tuttavia incuriosito, seppur terrorizzato, continuai a parlare cercando una conferma:  “Chi c’è là?”. Aspettai. No, non poteva essere un’eco, stava passando troppo, troppo tempo....Aspettai, aspettai ancora finché non sentii un grido smorzato. Mi allarmai, mi guardai intorno facendo una fatica immane, cercai una via di fuga senza sapere tuttavia come arrivarci finché arrivò una risposta quasi sussurrata: “Sono io....” . "Di nuovo? Ma cos’è uno scherzo?" pensai "Chi è che parla? C’è qualcuno che parla o sono solo io che faccio domande e mi rispondo da solo?": “Chi sei? Chi sei? Rispondimi” sbraitai apparendo arrabbiato, ma in realtà ero solo terrorizzato da quella strana situazione...... “Sono io....”. Di nuovo, rimasi paralizzato, ormai ero quasi certo ci fosse qualcuno..... “Io chi? Dimmi il tuo nome!”...Silenzio, un’attesa che mi parve interminabile, poi... “Il mio nome....” Sussultai: "C’è qualcuno, ci dev’essere per forza qualcuno, per la prima volta ha utilizzato una parola diversa dalle mie e quindi non può essere solo un’eco!" mi dissi, mentre percepivo il mio corpo sciogliersi da quella che mi era parsa una morza. Mi sgranchii le ossa, mi osservai le mani constatando che non c'era nulla di anomale ma, proprio quando stavo per tranquillizzarmi, sentii di nuovo: "Il mio nome....". Alzai il capo e cercai con lo sguardo per il salone alla ricerca di chi mi aveva dato quella risposta. Non trovai nessuno.....quando ad un tratto mi ricordai di quella macchia nera che rabbuiava l'angolo più remoto della stanza. Mi girai da quella parte eppure, con mio grande stupore vidi che non c'era più, o meglio, che si era spostata, al suo posto infatti v'era un lungo corridoio che si concluva nelle tenebre più nere. Mi chiesi come fosse possibile una cosa del genere, ma mi risposi che non aveva senso cercare una spiegazione ai fenomeni che si stavano susseguendo in quel luogo, non più almeno, era decisamente meglio impegnarsi a scoprire chi c'era dietro a tutto ciò, perché lo sentivo, c'era qualcuno e quel qualcuno era lì, alla fine di quel corridoio, nascosto nel buio. Senza pensarci mi avvicinai all'arcata che precedeva quel passaggio e lì scrutai attentamente la densità quasi tangibile di quell'oscurità. Non so come, mi parve di essermi già fermato in quel punto, mi sembrò d'aver visto già quel corridoio illuminato però da un'opaca luce pomeridiana. Mentre catturavo questa reminescenza osservavo attetamente il buio e notai che si intravedevano come dei filamenti, qualcosa di strano, che tuttavia non mi impedì di continuare la mia ricerca. Mi incamminai per quella via muovendo passi incerti, mi voltai più volte per controllare che dietro di me fosse tutto tranquillo e quindi assicurarmi una via di fuga. Piano piano attorno a me si iniziò a fare più buio e stranamente i miei occhi non riuscivano ad abituarsi a quel nero quasi solido. Avanzavo, avanzavo e più avanzavo più mi iniziavo a preoccupare chiedendomi quanto fosse lungo quel corridoio ed avendo paura a rispondermi. L'aria si faceva sempre più rarefatta, facevo fatica a respirare, mi sentivo sempre più stanco, tanto che, dopo un buon quarto d'ora di cammino decisi di appoggiarmi ad una parete. Appoggiando la mano sul muro sobbalzai. C'era come qualcosa di viscido ed umido che ricopriva le pareti, ma, anche avvicinandomi la mano al volto non riuscivo a dedurre cosa fosse, anche se percepii un odore strano, tipo l'unione fra il profumo dei gelsomini e la muffa. Poggiai di nuovo la mano su quella superficie, cercando di riconoscere quella sostanza almeno al tatto, ma a quel punto accadde qualcosa di ancor più straordinario. Nel punto che avevo toccato si aprì una specie di varco e una luce fortissima, mi accecò.
Appena riniziai a distinguere qualcosa, cercai di capire cosa vi fosse all'interno e con mio grande sgomento mi accorsi che non v'era nulla, o meglio, non si riusciva a scorgere nulla per quanto era potente la luce, l'unica cosa che notai e che mi è rimasta impressa dato che fu l'unica volta che vidi verificarsi un fenomeno simile, fu un'ombra lunga che partiva dalla porta e si perdeva nel bianco. Di solito quando ci si trova in un luogo buio e si apre una porta dove c'è una luce accesa, questa filtra attraverso la soglia e fende l'oscurità, giusto? Bé lì era il contrario, era l'oscurità a fendere la luce, qualcosa di praticamente impossibile. Preso da questa visione non mi accorsi che mano a mano di fronte a me si stavano iniziando a delineare i contorni di qualcosa. Appena me ne accorsi riuscii a distinguere chiaramente il profilo di un grosso tavolo, quello di una sedia e qualche linea indefinita sullo sfondo, forse la sagoma di una porta finestra, ma quello che catturò la mia attenzione fu la sagoma di una persona seduta sulla sedia. Non ero sicuro che fosse proprio un essere reale, o meglio, umano, semplicemente le sue forme parevano quelle di un ragazzo.....Avendo ormai sconfitto ogni timore, parlai, la mia voce rimbombò per tutta quella che credo fosse una stanza: "Chi sei tu?"....La figura si voltò, fu un movimento appena percettibile dallo spostamento dei contorni, si alzò lentamente, quasi con grazia direi, e iniziò ad incamminarsi verso di me. Ad ogni passo la mia ritrovata inquitudine cresceva a dismisura, tanto che, quando fu ad un paio di metri da me, iniziai ad indietreggiare avvicinandomi alle tenebre. Allora, senza che io focalizzassi subito le sue intenzioni, quella sagoma iniziò a camminare più veloce, e più si avvicinava più sentivo degli sbalzi di temperatura, in alcune zone del corpo sentivo un piacevole tepore, mentre in altre una rinfrescante brezza. Quando fui proprio al limite fra luce ed ombra il ragazzo mi raggiunse e fra i contorni indefiniti del suo essere distinsi nettamente due occhi neri, più neri dell'oscurità in cui mi ero addentrato. All'inizio mi pavero arrabbiati, quasi malvagi, poi, accantonando il mio terrore, mi accorsi che avevano una venatura triste, quasi malinconica, erano come.....gli occhi di una persona che dice addio.....Tutto questo durò un attimo, appena un istante, perché subito la mia attenzione si spostò sul suo braccio, appena definito da un lieve contrasto fra la luminosità della stanza e il buio all'esterno, questo si alzò e, facendo un ampio movimento, sfiorò con la sua mano sinistra la mia mano destra. Subito la ritrassi e la infilai nella tasca del giubbotto per paura che la toccasse ancora, ma se devo dire la verità non percepii affatto quel contatto, cioè non sentii nulla, era come se la sua mano non avesse alcuna consistenza. Preso dal panico per la vicinanza che c'era fra me e quella sorta di, non saprei dire.... spirito forse, feci un passo indietro e mi rimmersi nelle tenebre. In un secondo vidi sparire il varco e la luce e mi ritrovai a galleggiare nel nero puro, con addosso un'inspiegabile sensazione di angoscia che mi toglieva il respiro. Sentivo quasi come se la nostalgia si attaccasse al mio corpo e lo trattenesse, lo dilaniasse. Mi passarono davanti agli occhi tante scene che si confondevano con le tenebre, scene che riguardavano quella villa, scene che non sapevo dove ricollocare se nel mio passato o in un sogno. Non so quanto durò quel brutto momento, so solo che ad un certo punto, mi parve di scorgere, con la coda dell'occhio, una chiazza rosa che squarciava quel paradiso oscuro. Presto questo taglio di colore si allargò, divenendo sempre più vivace, sempre più sfumato di altri colori, rosso, arancione, giallo, pareva quasi....l'alba....ed infatti fu all'alba che mi svegliai nella mia camera d'albergo, tutto sudato e con le coperte attaccate al corpo. Mi alzai di scatto, mi guardai attorno, non riuscendo a capacitarmi di essere tornato alla normalità. Scrutai attentamente ogni particolare della stanza, senza tuttavia trovarvi nulla di anormale. Così mi rilassai e mi ridistesi. In un primo momento non riuscii a pensare a niente, fu come se io avessi dimenticato tutto ciò che era successo, poi però, a poco a poco, iniziarono a riaffiorare nella mia mente delle immagini incredibilmente limpide. Rividi la villa, quella maledetta villa, rividi le sue palme, il salone ed il corridoio,l'erba, le sedie ed il tavolino, i due balconi con in mezzo la grande finestra, le finestre più piccole, il portone, rividi il salone desolato e polveroso, rividi il corridoio e l'oscurità assoluta, rividi i contorni indefiniti dello spirito, rividi.....la foto, quella dannatissima foto. Mi misi a sedere, trafelato: la foto, dovevo vedere quella foto, dovevo accertarmi che era ancora sulla porta, dovevo convincermi che era stato tutto un sogno. Mi alzai, mi misi il cappotto e le scarpe e corsi come un folle verso il viale ingiallito....quello che vidi mi lasciò di stucco....un'enorme e malefica palla demolitrice stava colpendo senza pietà quella povera casa. Restai per un po' incredulo, non riuscendo a concepire come ciò fosse possibile, quando mi ricordai del cantiere dov'ero stato a prendere le tenaglie per aprire il cancello, quel cantiere proprio a fianco alla villa. Non sapevo se considerare questo mio ricordo una prova della realtà di ciò che mi era successo. No, mi dissi, la foto era la chiave, ma proprio mentre me ne restavo fermo a pensare la palla si scagliò impietosa contro il fragile uscio, distruggendolo. Scossi il capo incredulo: no, non poteva essere, ora avrei dovuto vivere per sempre nel dubbio. Mi avvicinai al cancello avvilito ed osservai quel cumulo di macerie che era diventata l'entrata di quel luogo surreale, ma proprio mentre chinavo il capo affranto sentii una voce dietro di me:
 -  Un vero peccato, eh? -  La riconobbi subito, ancor prima di voltarmi. Era lei, la donna del giorno prima, sempre avvolta nel suo cappotto nero. Si avvicinò al cancello e ne strinse, con le sue mani di un bianco cadaverico, le sbarre spesse. Io risposi, senza guardarla, troppo preso dal grigio panorama di calcinacci che si estendeva all'interno della villa:
 -  Già.....chissà qual'era il mistero che celava questa casa.... - lei si voltò rimandendo incredula, poi tornò ai suoi pensieri ed il silenzio piombò fra noi, interrotto solo dai rimbombi dei muri che venivano abbattuti. Con la sua demolizione quella villa avrebbe portato per sempre con se il suo segreto, nessuno, neanche io, avrebbe potuto sapere la sua storia, nessuno avrebbe conosciuto il nome di quella presenza, ma mentre riflettevo sull'entità inviolabile dei misteri, la donna parlò, delle parole che mi colpirono:
 - Lui voleva solo dirti addio....- all'inizio non capii il senso di questa frase, ma quando mi resi conto che si riferiva all'esperienza della sera prima, sussultai e mi girai immediatamente verso di lei. - Me lo ha chiesto due giorni fa.....- continuò lei - mi ha detto che un suo amico sarebbe arrivato in città e mi ha pregato di condurti qui.....di invogliarti ad entrare......voleva solo salutarti...- ripeté con voce atona.
 - Ma chi? Chi voleva solo salutarmi? - le domandai preso da una fervente curiosità e da un raggelante sgomento. Lei rimase in silenzio per un po', poi riprese:
 - Non lo so, non so precisamente chi fosse....mi ha detto di essere tuo amico....mi ha detto che abitava in questa casa, che era malato....mi ha detto....- si interruppe come se si sfozasse di ricordare.
 Un flashback solcò la mia mente....il mostro? Così chiesi:
 - Che ti ha detto?
 - Ha detto....che ti vedeva sempre dalla finetra della sua camera....e che avrebbe voluto tanto...tanto...- divenni di pietra quando vidi il suo volto deformarsi in una smorfia di dolore ed i suoi occhi farsi piccoli e lucidi - avrebbe voluto tanto giocare con te....ma...- all'improvviso si bloccò, il suo viso si distese, divenne di marmo, completamente inespessivo - io avrei voluto tanto giocare con lui, perché lui me lo ha chiesto, una volta....ed io avrei voluto rispondergli di sì, io volevo giocare con lui, ma non potevo....perché stavo male, però lui me lo ha chiesto, ha rotto la solitudine della mia vita tanto che io da quel giorno mi rallegravo anche solo di vederlo correre felice fuori per la strada, mi bastava questo....lui è l'unico che mi ha parlato....l'unico che è entrato nel mio mondo...ti prego parlagli, digli di venire che lo voglio salutare, perché questa mia reggia è soltanto un altro umano baluardo che non può resistere allo scorrere del tempo ed io devo almeno un addio a chi ha portato un raggio di luce nella mia vita....- la ragazza sembrò scossa, poi, davanti ai miei occhi increduli, si accasciò a terra e iniziò ha respirare affannosamente. Io mi mossi per aiutarla, ma lei rifiutò il mio soccorso facendo cenno di stare bene. Si rialzò aggrappandosi al cancello, poi quando fu di nuovo in piedi, concluse:
 - Questo mi ha detto.... - io ero completamente spaesato, non riuscivo a capire il significato di quelle frasi.
 - Cosa sei tu? Una medium? - fu la prima cosa che mi venne da chiedere. Lei annui con aria affranta, allora io continuai:
 - Io non conosco nessuno in questa villa, cioè abitavo qui di fronte, ma non mi è stato mai permesso di entrare perché dicevano che ci abitasse un demone, un....ragazzo mostruoso....- tacqui nell'ascoltare la mia stessa voce. Un ragazzo mostruoso....due grandi occhi neri, capelli ricci ed inspidi, fu quello che mi balenò nella mente all'udire quelle due parole, sì, io in quel momento vidi chiaramente nella mia mente il ragazzo della foto, lo vidi, ma non lo vidi sorridente come era in quell'immagine sbiadita, bensì con un'espressione timidamente impaurita, lo vidi con un realismo impressionante, lo vidi seminascosto dall'anta di una porta e mi resi conto....di stare ricordando qualcosa, qualcosa che avevo dimenticato, qualcosa a cui non avevo mai dato importanza....Avevo mentito, ma, che Dio mi perdoni, non l'avevo fatto con cattive intenzioni, ma semplicemente perché avevo rimosso dalla mia mente un'episodio che ritenevo insignificante e che invece si era rivelato il tassello mancante di tutta quella vicenda...Non era vero che non ero mai entrato in quella villa, l'avevo fatto una volta: un pomeriggio d'estate la mia pallina preferita si era infilata fra le sbarre del cancello ed aveva varcato la fessura della porta d'ingresso che stranamente quel giorno era socchiusa. Con l'ingenuità di un bambino, mi ero intrufolato all'inteno ignorando i moniti dei miei che mi avevano raccomandato di non entrare. Ricordo che mi appoggiai alla porta, il pomello era tiepido, ricordo che sentii un lieve rimbalzo all'interno, ricordo che era tutto buio e tetro. Forse un po' intimorito dall'aspetto della casa, corsi per raggiungere la pallina che stava rotolando ormai stanca verso un lungo corridoio. Questa si vermò proprio al suo inizio. Giunsi saltellando fin lì, senza smettere di guardarmi attorno avendo paura che sbucasse qualche mostro. Mi chinai in fretta a raccoglierla, ma mentre mi alzavo, notai una presenza silenziosa che mi osservava da dietro una delle porte che si affacciavano sul corridoio. Lo osservai, un ragazzo bruno ed impaurito che si stringeva forte alla porta terrorizzato dalla mia presenza. "Chi sei tu?" gli domandai. Lui sussultò e dapprima non rispose, poi si fece coraggio e con la voce tremula ripeté: "Chi sei tu?". "Io sono Pitt" risposi sorridendo "Qual'è il tuo nome?". "Il mio nome....?" sussurrò lui stupito, come se fosse la prima volta che gli porgessero questa domanda. Non concluse la frase, tanto che io, non sapendo che fare gli chiesi: "Vuoi venire a giocare con me?". Lui mi guardò, i suoi occhi parevano quelli di un cerbiatto inseguito dai cacciatori. Non rispose, anzi, si allontanò e chiuse la porta. Io mi indispetti subito e, sbuffando, me ne andai da quello strano posto e non  vi rientrai mai più, fino ad allora. Era stata una vicenda insignificante che avevo subito dimenticato. Cercai con la mia mente di cogliere ogni piccola sfumatura di quel momento, incredulo e commosso dalla dolcezza che suscitava in me il pensiero che per quel ragazzo quell'incontro aveva assunto un valore straordinario tanto che, anche dopo la morte, aveva sentito il bisogno di salutarmi prima di abbandonare per sempre questo mondo. Sorrisi lievemente, mentre scuotevo il capo stupito e intenerito da quest'affetto di cui ero stato reso inconsapevolmente partecipe, quando ad un tratto fui fulminato da una domanda:
 - Ehi, ma come si chiamava? - chiesi voltandomi di scatto in direzione della donna e stupendomi del fatto che lei non fosse più al mio fianco. La cercai con lo sguardo e la vidi che si allontanava seguendo il viale, ricordo perfettamente l'ondeggiare lento del suo cappotta che la faceva sembrare così irreale. Ora che si penso avrei potuto rincorrerla, fermarla, chiederle tante altre cose....eppure non lo feci, quel poco che ero riuscito a scoprire mi soddisfava, ero felice così, ero felice di sentire quei sentimenti che mi avevano accompagnato per una vita senza che io me ne rendessi conto .Restai fermo ad osservare la donna  fino a che non scomparve all'orizzonte e, anche dopo che se ne fu andata, restai immobile a fissare la villa, o ciò che ne rimaneva, fino a sera, crogiolandomi nel piacevole tepore dei ricordi perduti. Quando poi divenne troppo buio per poter scorgere qualcosa decisi di avviarmi verso l'albergo per preparare le valige dato che quello era il mio ultimo giorno di soggiorno. Per la strada si levava la piacevole brezza dell'inverno ormai prossimo, un vento che ti penetra dritto alle ossa facendo rabbrividire tutto il corpo. Mi strinsi di più nel cappotto scuro sentendo le mie mani indurirsi sempre più, divenire sempre più nodose. "Certo, quello che è accaduto oggi ha dell'incredibile" mi dissi, mentre mi alitavo sulle dita per riscaldarmi "e pensare che ancora non ho chiaro se quello di ieri sera fosse solo una visione indottami da quel ragazzo oppure se sia successo veramente.....non ho certezze" sospirai mentre mi infilavo le mani paralizzate nelle tasche. Ricordo il calore ruvido della stoffa del cappotto carezzarmi nel mani, quando ad un tratto sentii qualcosa di liscio sfiorare la mia mano detra, sembrava un pezzetto di carta. Mi fermai e lo tirai fuori. Sgranai gli occhi.....la foto....la foto di quel ragazzo, quella appesa alla porta era lì, nella mia mano destra....sussultai pensando alla sera prima, quando quel giovane mi aveva sfiorato proprio quella mano ed io l'avevo infilata subito in tasca. Sorrisi e forse nella mia mente lo ringraziai per avermi regalato quel suo ricordo e, segretamente, anche peravermi donato quell'incredibile esperienza.Così, mentre il vapore dei miei respiri si perdeva nella notte, camminai per la via e nei miei ricordi, scuotendo più volte il capo e rimpiangendo tutte le cose ormai senza forma e le persone ormai senza volto che avevo dimenticato. Di certo, pensai, quel ragazzo sarebbe rimasto impresso nella mia memoria per sempre....ed è così che finisce questo racconto, nella nostalgia delle cose passate, perse lungo la via che conduce al futuro, nella smania placida e disperata di cercare i noi qualche frammento di sentimento per sfuggire alla realtà latente della condizione umana.




  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Tessa