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Autore: melania    20/09/2007    11 recensioni
Una notte come le altre. Un futon caldo in cui dormire. Una finestra a separarlo dalla pioggia che imperversa fuori. Poi...il suono di un campanello che interrompe il silenzio. E la sua vita.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi richiudo la porta in metallo dietro di me

AIUTAMI

°7°

 

 

*Ciauzzzzzzzzzzz …dopo – di nuovo - una pausa millenaria (e meno male che mi avevate scritto di non metterci troppo a postare il capitolo…hem… ^^;;;) rieccomi qui!*

*Con questo capitolo penso di aver fatto un piccolo passo in avanti…non penso mancherà molto alla fine…(anche se con i miei tempii…non si sa mai…^^;;*

“Sempre un enorme “GRAZIE” a tutte le/i ragazze/i (Cla21, Brinarap, Cristie, releuse83, Yumi, hinao85, airis, Key_Saiyu e Seika) che hanno commentato o che hanno solo letto l’ultimo capitolo….GRAZIE (_ _) !!!*

*Un baciotto enorme…e buona (si spera) letturaaaaaaa….*

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

Mi richiudo la porta di metallo dietro di me. Il clangore leggero si perde nell’aria.

 

 

Il sole è tiepido. Fa freddo. Avrei dovuto prendere una giacca…un qualcosa con cui coprirmi. Ripenso a ciò che ho fatto in classe. Il professore potrebbe anche farmi sospendere. Ma in fondo m’importa davvero?

 

No…non m’importa.

 

Mi stringo nella giacca della divisa…poi mi accosto contro il muretto, lasciandomi scivolare lentamente verso terra. Il pavimento è tiepido. Anche il muro contro cui poggia la mia schiena.

Il sole colpisce direttamente il mio viso…chiudo gli occhi. Sento il lieve calore sulle palpebre.

 

 

Il cielo è azzurro. Quell’azzurro così intenso che vi può essere solo in inverno. Qualche nuvola soffice si perde all’orizzonte.

 

 

 

Rimango immobile…il suo urlo silenzioso, quell’ “Aiutami” in cui non avrei mai sperato.

Sakuragi.

 

-          Shhh…non c’è bisogno di dire altro. Non ti abbandono…te l’ho detto…

 

Lo sento stringersi con forza contro di me. Il suo calore

La sua pelle nuda contro i palmi delle mie mani.

Il suo respiro caldo contro il mio collo.

Il suo profumo…di uomo.

 

Con delicatezza mi stacco dal suo corpo, facendo scorrere le mani lungo le braccia.

Penso ai tagli…mi avranno sporcato il maglioncino.

Mi scosto dal suo calore, sfilandomi l’indumento.

Per una frazione di secondo le nostre pelli nude si sfiorano…lo sento trattenere il respiro.

E anch’io mi stupisco nell’aver sussultato.

Eppure ci siamo già toccati…picchiati in molte circostanze.

 

Sarà il silenzio scuro che ci circonda.

Sembra tutto rimbombare fra le mura.

I nostri respiri attutiti.

Il battito dei nostri cuori.

 

Non so dare un nome a tutto questo.

Non so ancora darlo.

 

 

 

 

 

 

 

“La felicità…”

 

 

 

 

 

Sospiro lentamente…

Ho pensato a questa parola mentre leggevo quel brano. La felicità

 

Non so dare un significato a questo termine. Sarà che da anni mi scivola accanto, beffarda.

Forse l’unico momento in cui mi posso definire felice è quando gioco a basket.

 

Se potessi far comprendere…al mondo…che cosa significhi per me giocareadrenalina pura.

 

Che scorre nelle mie braccia,

 

nelle mie gambe,

 

nella mia mente…

nel mio sangue.

 

 

 

 

È come vivere, respirare dopo anni immutabili di apnea. È voler gridare al mondo a squarciagola, lacerandoti le corde vocali…la gola.

 

 

 

 

Si questa è per me felicità. Tenere una palla arancione, ruvida sotto i miei palmi, pesante sotto le mie mani. Farla rimbalzare sulla terra e bearmi del suono che produce. Ritmico. Scardinato se voglio.

 

 

La palla va dove voglio io.

 

 

 

 

 

Io sono la palla. Io sono adrenalina mentre corro.

 

Io sono orgasmo. Quando scivola dentro la rete metallica. Quando il sudore scorre sulla mia pelle.

 

 

 

 

Questo è basket. Questa è felicità.

 

Forse…

 

 

 

 

 

 

 

Mentre…Sakuragi cosa è per me…?

 

Ieri gli ho medicato i tagli. Tremava sotto le mia mani…con della garza pulita gli ho fasciato le braccia. E dentro di me pensavo “Mai più…non permetterglielo mai più…”.

E Sakuragi mi osservava. Sentivo il suo respiro caldo vicino ai miei capelli.

Quando ho finito, ho rialzato lo sguardo, posandolo sul suo viso vicino al mio. I suoi occhi erano lucidi. Liquidi. È arrossito, sorridendo tristemente…e mi ha sussurrato candidamente che erano anni che nessuno lo curava.

 

 

Dopo è tornato a casa sua. Non è voluto rimanere, nonostante le mie proteste.

 

 

È tutto così strano…e ho ancora paura che si faccia di nuovo male volontariamente.

 

 

 

Sento provenire dal cortile gli schiamazzi di una classe…deve essere l’ora di educazione fisica.

È strano quando si osserva “da spettatore esterno” la scuola. È come essere sospesi in un’altra dimensione, dove il tempo e i rumori sono attutiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ad un tratto sento la porta di metallo aprirsi.

 

Alzo lo sguardo e due occhi scuri incrociano i miei. Mito.

 

 

 

L’amico di Sakuragi.

 

 

 

Per pochi secondi rimane immobile sulla soglia, osservandomi. Il suo sguardo è indecifrabile. Sembra studiarmi. Poi si richiude la porta dietro di sé, avvicinandosi lentamente verso la ringhiera che da sul cortile. Le mani in tasca.

 

Il suo sguardo sembra disperdersi nel vuoto. Dopo come risvegliandosi da un qualche pensiero, estrae dalla tasca della divisa un pacchetto di sigarette. Lo picchietta contro i pantaloni della divisa, estraendone una. L’accende, inalando una boccata.

 

Il fumo lentamente fuoriesce dalle narici e dalla bocca semichiusa in leggere volute nell’aria.

 

 

 

Gira la testa, dando la schiena al vuoto, poggiando i gomiti contro la ringhiera. Osservandomi di nuovo. Con un sorriso sarcastico sulle sue labbra.

 

 

Che cosa cazzo vuole…non mi ha mai guardato in questo modo. E mi da fastidio. Molto.

 

 

 

Un’altra boccata.

 

Lenta.

È calma irreale.

Scivola su di noi, mi circonda.

 

 

 

 

 

 

Il nostro contatto visivo dura ancora per pochi secondi…a un tratto sentiamo il suono della campanella.

 

Le lezioni sono finite. Lo schiamazzo dal cortile sotto di noi aumenta. I ragazzi si disperdono, urlando, in confusi colori.

 

 

 

 

Devo andare in palestra ad allenarmi.

 

 

 

 

 

Mi alzo…mi dirigo verso la porta, sentendo sempre gli occhi di Mito addosso. Ma vaffanculo

 

 

Faccio per aprire la porta metallica quando ad un tratto si apre di scatto.

 

Sorpreso osservo stagliarsi sulla soglia gli altri amici di Sakuragi. Non so il loro nome.

 

Rimangono immobili sulla soglia, sorridendomi. Li vedo guardare oltre le mie spalle, verso Mito.

 

 

 

Suppongo che non sia un caso il trovarci qui, tutti insieme….

 

 

 

 

Cosa cazzo vogliono? Non ho tempo da perdere…

 

Faccio per passare tra di loro ma il biondo dandomi una spallata mi fa arretrare. Gli lancio un’occhiata di fuoco.

 

Sento una risata…mi giro di scatto irritato vedendo Mito sorridere sarcastico.

 

-          Quanta fretta…Rukawa.

 

 

La porta di metallo viene richiusa.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-         Cosa cazzo hai fatto al viso?

 

Sakuragi mi afferra per le spalle osservandomi preoccupato gli ematomi che ho sulla faccia.

Mi sorprende la sua reazione…così emotiva. In fondo sono stato io prenderle.

 

 

 

 

 

-          Sono inciampato.

 

 

 

 

 

 

Non è ironia. Giuro. Ma vedo l’espressione di Sakuragi incupirsi.

 

 

 

-          Chi ti ha preso a pugni stupido? Dovresti andare in infermeria.

 

 

 

Sembra pensare a qualcosa…mentre osserva i vari ematomi sul mio viso.

Effettivamente sento un po’ di dolore. Il sopracciglio si deve essere rotto. E l’occhio si sta gonfiando. E anche il petto…lo stomaco mi bruciano.

 

Non ci sono andati molto leggeri.

 

Fanculo.

 

Gli spogliatoi sono ancora vuoti. Ma fra un poco arriveranno anche gli altri. Spero che Akagi non commenti troppo.

 

-          Lascia stare. Passeranno.

 

E per chiudere la discussione esco dagli spogliatoi, deciso ad allenarmi. Sento gli occhi di Hanamichi sulla mia schiena. Non mi giro.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Rukawa…ti vuole Anzai-san nel suo ufficio.

 

Smetto di palleggiare, girandomi verso Akagi. Mi sta fissando con fastidio. Hai paura che ci possa essere qualche ripercussione verso la squadra Akagi?

 

-          Proprio oggi dovevi fare a botte deficiente? – incrocia le braccia.

 

Sbuffo leggermente, buttando la palla da un lato. Prima di uscire dalla palestra lancio uno sguardo obliquo verso Hanamichi. I suoi occhi possiedono una lieve sfumatura di preoccupazione.

 

Non ti preoccupare stupido.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Entro dentro l’ufficio del mister. È seduto dietro la sua scrivania, legge il giornale. Busso allo stipite della porta per notificare la mia presenza.

 

-          Ah…Rukawa! Entra entra…oh oh oh….ti aspettavo.

 

Mi richiudo la porta alle spalle, rimanendo in piedi, davanti a lui.

 

-          Allora…Rukawa. Mi è stato riferito…che stamattina hai creato un po’ di scompiglio nelle tua classe…

 

Merda! Me ne ero completamente scordato. Il prof di letteratura…deve aver parlato con il preside. Stupido! Idiota! Sondo lo sguardo severo di Anzai-san…

 

-          Hai avuto una nota disciplinare che si ripercuoterà sulla tua media scolastica…inoltre il Preside mi ha ordinato di prendere un provvedimento anche riguardo il Club.

 

Sospira…lentamente. Poi mi sorride, facendo rilucere gli occhialetti che porta.

 

-          Rukawa…sei un ottimo elemento…non rovinarti con le tue stesse mani…

 

Mi sento a disagio…distolgo lo sguardo, posandolo sulle mie scarpe di ginnastica.

 

-          Insomma…per punizione dovrai rimanere per questo mese intero oltre l’orario di “chiusura”. Sarai tu a pulire la palestra ogni giorno e a provvedere che tutto sia in ordine. E inizi da oggi.

 

Maledizione...

 

M’inchino profondamente.

 

-          Mi scusi per i disagi arrecati al Club Anzai-san.

 

-          Spero che la prossima volta ci penserai due volte prima di comportarti in quel modo…e ricorda Rukawa, non voglio che ci siano ancora risse…intesi?

 

E’ vero…gli ematomi sul viso saranno diventati bluastri...la mia pelle è troppo chiara…

 

-          Sì Anzai-san – e m’inchino ancora più profondamente.

 

Se qualcuno mi vedesse ora…non riconoscerebbe in questo ragazzo piegato l’algida figura di Rukawa.

 

-          Bravo ragazzo…- ride leggermente, facendomi alzare il busto e il viso con sorpresa - in realtà ti avevo fatto chiamare anche per un altro motivo.

 

Prende da un cassetto della scrivania una busta arancione, porgendomela. Perplesso la prendo in mano, saggiandola.

 

-          L’anno scorso mi avevi detto che saresti voluto andare negli Stati Uniti per giocare….ricordi?

 

 

 

Il cuore senza preavviso incomincia a battere più forte.

 

 

 

 

-          Sì… - la mia voce esce in un soffio caldo dalle mie labbra.

 

-          Ti avevo detto che non eri ancora pronto…ma ora è passato un anno…e penso che, se tu sei ancora interessato, potremmo riparlarne.

 

 

 

Sgrano gli occhi, fissandoli sulla busta che tengo fra le mani.

 

 

 

-          Lì ci sono tutti i fascicoli inerenti al viaggio…e al tuo soggiorno per un anno in un college nel centro di New York. Frequenterai il terzo anno di liceo negli Stati Uniti…e ti diplomerai lì. Giocherai a basket…e potrai farti notare. Se tutto va bene potrai continuare gli studi e la tua carriera sportiva in negli USA.

 

Rimango in silenzio, sorpresoattonito.

 

-          Il liceo Shohoku possiede vari gemellaggi con scuole americane…quella che frequenteresti è una di quelle. Non dovresti avere problemi di nessun genere. I ragazzi che ti hanno preceduto negli ultimi anni, hanno sempre espresso un giudizio positivo sull’esperienza. Naturalmente Rukawa, dovrai migliorare la tua media scolastica per accedere a questa borsa di studio e soprattutto imparare l’inglese come se fosse la tua lingua madre. Dovrai superare il TOEFL con un ottimo punteggio.

 

-          Io…non so davvero cosa dire… - ed è vero. Mille pensieri in testa che si scontrano, si accavallano, s’intorcigliano…in un ingorgo impazzito dentro la mia mente.

 

-          Non ti preoccupare…hai tempo un mese per decidere…verso metà gennaio, se non prima, dovrai darmi la tua risposta. E’ ovvio che ci sarà una graduatoria, non sei l’unico studente che parteciperebbe per la domanda…ma io potrei mettere una buona parola a tuo riguardo e inoltre l’Istituto ha da sempre riconosciuto i tuoi ottimi potenziali. Naturalmente ci vuole il consenso dei tuoi genitori, in quanto sei ancora minorenne...nella busta troverai tutte le risposte che ti servono.

 

 

 

 

Gli Stati Uniti…era il mio sogno, la mia ancora di salvezza per non sprofondare, per non impazzire.

 

 

Gli Stati Uniti…finalmente.

 

 

 

 

 

Finalmente?

 

 

 

 

 

Perché mi sento emozionato…ma…non felice?

 

 

 

 

 

-          Grazie Anzai-san…devo ancora capacitarmi di ciò che mi ha detto – e non sarebbe da Kaede Rukawa ammettere una propria debolezza davanti ad un’altra persona.

 

 

Ma sono davvero confuso.

 

 

 

L’allenatore scoppia a ridere, in quel suo modo bonario e simpatico.

 

-          Non ti preoccupare…pensaci bene. Fra non molti giorni sarà Natale, avrai tutto il tempo per pensarci e per confrontarti con tuo padre…alla squadra per ora non dirò nulla, se vorrai potrai informarli tu.

 

-          Grazie Anzai-san..

 

 

-          Bene…vai ad allenarti Rukawa.

 

-          Sì. Grazie Anzai-san.

 

 

 

 

Dopo essere uscito, rimango con le spalle contro la porta. Sento la consistenza cartacea della busta nella mia mano. Dentro una semplice pezzo di carta è racchiuso il mio sogno. Il mio sogno.

 

 

 

 

Eppure…per un attimo penso a Sakuragi. Potrei davvero andarmene…e lasciarlo qui, da solo? Dopo avergli promesso che non l’avrei abbandonato…che l’avrei aiutato.

 

 

 

 

M’incammino lentamente verso la palestra. Mille pensieri dentro di me. Anzai ha anche accennato a mio padre. Mio padre.

 

Una valanga di sensazioni negative erompono all’improvviso dentro la mente. Ricordi tristi. Cattivi.

 

 

 

No…non voglio pensarci ora.

 

 

 

 

-          Hey Kitsune! Te la meritavi finalmente anche tu una bella sgridata dal nonnetto! AHAHAHAHA – Sakuragi ride sguaiato attirando tutti gli sguardi su di me. La busta l’avevo preventivamente nascosta sotto la canottiera leggera della divisa…

 

-          Mh. Niente.

 

Vedo con la coda dell’occhio Akagi tirare un sospiro di sollievo…vado negli spogliatoi per riporre la busta dentro la sacca. Non voglio che gli altri la vedano e mi pongano domande a cui, per ora, non voglio rispondere.

 

-          Che cos’è quella busta?

 

Appunto!

 

 

 

 

Mi giro con sguardo assassino verso Sakuragi. Mi ha seguito…

 

-          Nulla – chiudo la zip del borsone velocemente.

-          Tu non me la racconti Rukawa…

 

Sorride, dandomi le spalle e ritornando in palestra.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il sudore, la sporcizia si mischiano con l’acqua. Scorrono lungo la mia pelle, in volute calde e profumate. Gli ematomi bruciano…anche i tagli. Lo shampoo alla vaniglia scivola sul mio viso, s’insinua lungo le mie fossette, sulle pieghe delle labbra.

 

 

 

 

-          Vuoi venire a casa mia?

 

Spalanco di colpo gli occhi. Cazzo brucia!!!

 

Sotto lo scrosciare dell’acqua avverto la risata di Sakuragi. Ci siamo solo noi due nello spogliatoi. Come negli ultimi giorni.

 

 

Gli lancio uno sguardo seccato, mentre mi tiro indietro le ciocche nere dagli occhi arrossati.

 

-          Non lo sai che ci sono i momenti adatti per parlare idiota?

 

-          Ah scusami…la prossima volta ti chiederò il lascia-passare per poterti rivolgere la parola.

 

Mi sorride divertito. Ci fissiamo negli occhi. Per la prima volta…in questo momento…sono consapevole della mia nudità. E della sua.

 

 

 

 

Quante docce abbiamo fatto insieme? Senza nemmeno accorgercene…prima che ci avvicinassimo. Prima che imparassimo a conoscerci.

 

 

 

 

 

Sembra che sia passata un’eternità. E invece…poche settimane.

 

 

 

 

 

Eppure. Vedo il suo sguardo posarsi sul mio viso. Lo sento scendere lungo il mio corpo. I suoi occhi…che mi fanno impazzire.

 

Che mi leggono dentro.

 

Che mi scavano dentro.

Che mi studiano.

 

Dio…i suoi occhi.

 

Che mi fanno vergognare della mia nudità ora.

 

 

 

 

 

Sakuragi assume un’espressione seria. Esce dal getto della sua doccia, accanto alla mia. Vedo la sua pelle inturgidirsi per l’aria fresca, non più sottoposta all’acqua calda. Si avvicina a me.

 

Vedo la sua mano alzarsi, accostarsi al mio viso. Per un attimo penso che voglia accarezzarmi. Ma rimane sospesa nell’aria, a pochi millimetri dalla mia pelle lattea. Posso avvertire il calore bagnato e umido sprigionarsi dalle sue dita. Scendono dal mio viso lungo il mio torace, i miei fianchi…in una carezza inesistente, impalpabile sui miei lividi. Poi si richiudono in un pugno stretto.

 

Il suo sguardo sembra quasi triste. Perso dietro pensieri che non posso condividere.

 

 

 

 

-          Chi ti ha picchiato?

 

 

 

 

 

I suoi occhi si riposano sui miei. Miele. Nocciola. Cioccolato. Oro.

 

-          Te l’ho detto prima…sono inciampato. Nelle scale. Dormo troppo…lo dici anche tu no?

 

 

Mi giro di spalle con finta aria da indifferente. Chiudo la manopola della doccia. Mi sottraggo ai suo occhi. Maledetti. Si può mentire ad uno sguardo simile?

 

 

Avverto il suo corpo dietro il mio. Mi vengono in mente quelle battute stupide e triviali dette fra ragazzi, ridendo sguaiatamente, di non dare mai le spalle ad altro uomo sotto una doccia. Pensieri stupidi fino alla fine. Non ti smentisci mai.

 

 

 

 

 

 

Ad un tratto sento le sue labbra posarsi vicino ai miei capelli. Al mio orecchio destro.

 

-          Solo io posso picchiarti Kaede. Nessun altro deve permettersi di farlo. Nessun altro… – mi sussurra.

 

 

 

 

 

E veloce come si era avvicinato si allontana, chiudendo anche lui la manopola dell’acqua, uscendo dai box doccia.

 

Posso solo intravedere per pochi secondi le sue guance arrossate per…l’imbarazzo.

 

Devono essere identiche alle mie…ora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pochi minuti più tardi siamo entrambi fuori dalla palestra. Lievemente imbarazzati per ciò che è successo sotto la doccia. Nonostante non sia successo nulla di particolare…o forse sì.

 

 

 

 

 

 

-          Prima…non mi hai risposto. Vuoi venire a casa mia?

 

 

 

 

 

Sakuragi non mi guarda in viso. Sembra osservare interessato il lampione accanto a noi. O forse il suo fascio giallastro che illumina il selciato umido della strada.

 

-          Vai a lavorare più tardi? – mi sta invitando nella sua casa. Nella sua casa. Casa.

 

-          Sì…oggi ho il turno di notte. Vado alle 22… - mi lancia uno sguardo di sfuggita.

 

 

-          Va bene. Non ho di meglio da fare.

 

 

 

 

-          Va bene. Non ho di meglio da fare.

 

-          Io sono il meglio…do’hao.

 

 

Come ieri.

E lui capisce. E la tensione sembra calare lievemente.

 

 

 

- Io sono il meglio. Io sono il Tensai.

 

 

 

 

E osservando il suo sorriso ironico…penso che non scorderò mai quelle labbra piegarsi in quel modo. Non lo scorderò mai. Perché lui sorride.

 

E sorride a me.

 

A me. Kaede Rukawa. Quel ragazzo introverso. Quello che non parla molto. Quello con lo sguardo duro…che fa impazzire le ragazzine. Quello che ha dimenticato cosa sia il calore umano. Sì…proprio quello lì.

 

Quello che ha riscoperto cosa siano i sorrisi.

 

Sì.

 

Kaede Rukawa che ora sta sorridendo a un altro ragazzo.

 

Un ragazzo dai capelli rosso fuoco…caldi come le sue guance arrossate ora.

 

E devono sembrare proprio stupidi quei due ragazzi. A sorridersi…con le guance arrossate entrambi. Con il vento freddo di fine novembre che raggela le ossa.

 

 

 

Già…devo sembrare proprio stupido.

 

 

 

 

 

Eppure perché mi sento così maledettamente felice?

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il vagone della metropolitana è stracolmo di gente. A quest’ora gli impiegati escono dagli uffici. I ragazzi finiscono le attività dei club o dei doposcuola. E poi nell’aria…c’è l’aspettativa per le vacanze. Per il Natale. Più passano i giorni…più si avverte. Si appiccica fastidiosamente ai vestiti. All’umore.

 

-          Non pensavo abitassi così lontano dalla scuola.

 

 

 

Sakuragi mi sorride rassegnato.

 

 

 

-          Il Comune offre le case più periferiche a quelli come noi.

 

 

E penso che dietro il suo tono triste ci sia rabbia. E penso a ieri notte quando è dovuto tornarsene a casa sua a quell’ora…a piedi. E a tutte le notti che torna dal lavoro. La mattina sarà distrutto…eppure a scuola…sembra sempre lo stesso casinista. E riesce a partecipare anche alle attività del club.

 

 

 

 

 

 

Siamo vicini, spalla contro spalla. Contro due schienali scomodi. Avverto il profumo dei suoi capelli appena lavati. Della sua pelle.

 

Non voglio dare un nome…non voglio ancora dare un nome…a ciò che si agita contro di me.

 

Quando poso gli occhi su di lui.

 

Quando penso a lui.

 

Quando lo sogno.

 

 

 

 

Vorrei riabbracciarlo. Vorrei che non soffrisse più.

 

 

 

Per un attimo penso al mio sogno racchiuso dentro quella busta marrone, dentro il mio borsone.

Come posso lasciarlo…come posso lasciarlo qui in Giappone?

 

 

 

 

Mi passo stancamente le dita sugli occhi, strofinandoli.

 

-          Ti bruciano ancora?

 

La voce lievemente preoccupata di Sakuragi mi riporta alla realtà.

-          No…tranquillo.

-          Non mi stavo preoccupando per te baka! – s’infervora, facendo girare infastidito qualche pendolare verso la nostra direzione.

-          Io non avevo detto nulla.

 

E la mia espressione mezza soddisfatta provoca una bella gomitata nel fianco da parte sua.

 

Cazzo…ha beccato il livido. Che dolore….

 

Ma non mostro nulla sul mio viso…lo so che Sakuragi si è preoccupato per gli ematomi che ho sul corpo…ma non voglio che si preoccupi ulteriormente. E soprattutto non voglio che ci siano ripercussioni su Mito e gli altri. Non meritavo il pestaggio…ma posso capirli.

 

 

 

 

Vogliono bene a Sakuragi.

 

 

 

 

-          Quando arriviamo a casa ti metto qualcosa sui lividi e sui tagli. E non voglio sentire storie.

 

Faccio per protestare…ma poi penso di lasciar perdere.

 

 

 

 

 

 

Il biondo e il grosso mi afferrano dalle braccia, immobilizzandomi.

Non faccio nulla per liberarmi.

Mito mi osserva. Attento. Comprende che non ho paura di loro. Comprende che forse sono addirittura indifferente alla situazione.

Conosce la mia forza.

 

-          Forse ti starai chiedendo il perché…

 

-          Penso di immaginarlo.

 

Mito sorride…butta per terra il mozzicone di sigaretta, lo schiaccia contro la scarpa.

Si avvicina a me.

 

-          Hanamichi si è allontanato da noi…improvvisamente…e penso che tu centri qualcosa.

 

 

 

-         Perché non lo chiedi invece a lui?

 

 

Mito storce la bocca…la sua espressione è stanca. E dentro i suoi occhi neri come la pece, intravedo dolore.

 

 

Lui vuole bene a Sakuragi.

 

 

Chissà…forse lo considera come un fratello.

Soffre per quest’allontanamento.

Probabilmente non lo comprende.

 

Quando si vuole bene a un’altra persona si diventa ciechi.

 

Se Mito…osservasse meglio…forse capirebbe che qualcosa non va con Sakuragi.

O forse l’ha già compreso.

Ma non può accettare di essere allontanato.

E cerca…cercano un capro espiatorio.

 

E va bene…eccomi.

 

Non mi difenderò molto Mito.

Dovete approfittarne.

Approfittatene oggi.

Perché domani ve le ridarò tutte.

 

 

.

 

***

 

 

 

 

Dopo un quarto d’ora finalmente usciamo dalla metro.

Ci accoglie un profumo di pioggia. Vicino Kanagawa deve star piovendo…e il vento trasporta l’umidità…e l’odore della terra bagnata.

 

-          E’ meglio se ci muoviamo…non vorrei rifarmi un‘altra doccia!

 

E incomincia a correre. Lo seguo pensando a quel giorno in cui suonò alla mia porta tutto grondante di pioggia. Quando iniziò tutto. Non mi ha ancora spiegato cosa successe quel giorno…cosa lo portò da me.

 

 

 

Ci sono ancora troppe cose non dette.

 

 

 

 

La strada, le case, i negozi illuminati, ci passano velocemente davanti agli occhi, in scie luminose, in confusi colori.

 

 

Dopo pochi minuti, accompagnati dal preannunciarsi di un tuono e da una lieve pioggerellina, arriviamo a destinazione. Lievemente ansanti ci ripariamo sotto il portone della palazzina di Sakuragi. E’ una casa popolare, di pochi piani…con la tintura scrostata.

 

Entriamo, salendo due piani di scale. La targhetta “Hanamichi Sakuragi” mi accoglie nella sua casa.

 

-          Mi dispiace…non è bella e accogliente come la tua…però è pur sempre la casa del grande Tensai – si giustifica imbarazzato, lasciando il suo cappotto in uno storto appendiabiti.

 

-          Non ti preoccupar…- mi blocco sorpreso.

 

Dalla stanza vicino (forse la cucina) incominciano a uscire dei gatti…tre…quattro…cinque gatti!!!

 

Rivolgo lo sguardo sorpreso verso Sakuragi.

 

-          Io pensavo odiassi i gatti…

 

-          Io odio il TUO gatto…è ben diverso…anzi…è il TUO gatto che odia me.

 

Sorridendo dolcemente incomincia ad accarezzarne uno.

 

Ammetto che non me lo aspettavo.

 

I mici (che devono avere pressappoco l’età di Micky) si avvicinano a lui, strusciandosi contro le sue gambe, contro i palmi delle sue mani. Fuseggiano. Miagolano felici.

 

-          Sono randagi. Li ho raccolti un giorno da uno scatolone. Erano stati abbandonati vicino a questo palazzo…erano tutti e cinque rannicchiati per il freddo…facevano così tanta tenerezza. Dovevi vederli…anche un pezzo di ghiaccio come te si sarebbe sciolto…

 

E ride affettuoso. Mi avvicino anche io, inginocchiandomi per terra. Ne accarezzo uno dal pelo rossiccio…striato…gli occhi chiari mi studiano, prima di rannicchiarsi contro il palmo della mia mano.

 

-          Sai… - Sakuragi abbassa il tono della voce, quasi sussurrando, perdendo il sorriso – a volte…quando mi sembrava di impazzire fra queste mura…io mi lasciavo coccolare da loro. Lo so…ti sembrerò un pazzo ma…erano loro a curarsi di me…erano loro che mi accarezzavano. Grazie a loro…avevo l’illusione per pochi secondi di non essere solodi poter essere importante per qualcuno. Io devo molto a questi gatti. E quando non ce la facevo…quando non ce la faccio…mi chiudo nel bagno. Non voglio mi vedano…non voglio che vedano la mia debolezza…l’odore del sangue li fa agitare troppo.

 

 

 

 

-          Anch’io voglio bene a Micky…anch’io gli devo molto.

 

 

 

 

 

Per un attimo rimaniamo in silenzio, cullati solo dal suono della pioggia che sbatte violentemente contro i vetri delle finestre e dai miagolii dei mici.

 

Poi Sakuragi si riscuote dal torpore in cui eravamo caduti. Si alza in piedi energicamente.

 

-          Vieni…gli do da mangiare e poi preparo qualcosa anche per noi due.

 

Mi alzo con il micio rosso in braccio. Entriamo nella stanza da cui erano usciti i gatti. È una stanza non molto grande…addossato alla parete opposta alla porta vi è un letto e un mobile con sopra alcuni libri di scuola.

Un tavolino che penso servi da scrivania, con sopra un quaderno e vicino una tazza nera. Una sedia di plastica colorata di giallo.

Al centro della stanza vi è un piccolo muretto che divide la “stanza da letto” dalla “cucina”. Infatti dall’altro lato vi è un piccolo cucinino, con varie credenze appese al muro.

 

Un balcone costeggia un lato della stanza…in estate deve essere piacevole trascorrere un po’ di tempo lì fuori…anche se è stretto.

 

 

 

Mi rendo conto che questa è la sua casa. Una stanza. Ordinata, pulita, accogliente…ma pur sempre una stanza singola.

 

 

 

 

Ammetto di essere imbarazzato…se penso alla mia casa…alla ricchezza che trasuda da ogni muro, da ogni oggetto…mi vergogno.

 

 

 

 

-          Non hai mai visto un televisore do’hao?

 

 

 

 

In questa casa non c’è nemmeno una televisione…forse era dovuto a questo, quel suo sguardo attento e fanciullesco quando era a casa mia.

 

 

 

 

Forse Sakuragi intuisce i miei pensieri perché sento la sua mano posarsi sulla mia spalla.

 

-          Non essere imbarazzato Rukawa. Non ti ho portato qui per metterti a disagio. Volevo…volevo solo farti vedere dove abito. Mostrarti…una parte di me…anche se non molto grande… - e sorride della sua allusione…

 

 

Abbozzo anche io un sorriso.

 

 

 

 

 

 

Mi siedo sulla sedia gialla osservandolo dare i croccantini ai gatti. Il micio rosso invece non mostra intenzioni di abbandonare le mie braccia.

 

-          E lui? Non ha fame…?

 

 

Sakuragi s volta verso di me. Sorride…

 

 

-          Sembra abbia trovato qualcosa di più piacevole del mangiare.

 

-          Delle braccia?

 

 

-          No…dell’affetto

 

 

 

-          Gli animali sanno davvero come ottenere l’affetto degli uomini eh?

 

 

 

 

 

-          Vuoi anche tu essere stretto fra le mie braccia? – la mia battuta innocente (?) scatena un violento gioco di rossori sul suo viso.

 

-          Baka Kitsune! Non prendermi in giro! – e paonazzo si gira verso la credenza, prendendo una pentola.

 

 

 

 

 

 

E se ti dicessi che non stavo scherzando Hanamichi?

 

 

 

 

 

-          Come si chiama questo gatto coccolone?

 

-          Do’hao.

 

E sorrido. E so che anche lui lo sta facendo, anche se mi da le spalle.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Sakuragi ha preparato un bel brodo caldo…mi fa sedere sulla sedia gialla, consegnandomi le bacchette in legno per il ramen fumante. Mi accorgo che non c’è un’altra sedia.

 

-          E tu?

 

-          Non ti preoccupare…mi siedo sul letto.

 

-          No…mi metto io sopra il letto.

 

-          Chi è l’ospite fra noi due? Tu! Quindi zitto e mangia!

 

-          No!

 

 

-         Sì!

 

-         No!!!

 

E mi alzo con la ciotola in mano, andando a sedermi accanto a lui.

Mi guarda stupito…poi scuote la testa.

 

-          Sei testardo maledizione…

 

Sorrido portandomi il ramen alla bocca. Ottimo…Sakuragi sa cucinare benissimo.

 

-          Vedi di non far cadere il brodo sulle lenzuola! – e con le labbra imbronciate incomincia a mangiare anche lui.

 

 

 

 

 

 

Io…penso che non mi scorderò mai di questa giornata Hanamichi.

 

 

 

 

 

 

Potranno passare gli anni…potrò crescere…forse potrò non essere più accanto a te…ma non mi scorderò di noi due seduti su questo letto, con le schiene doloranti per la posizione scomoda, le ciotole ustionanti fra le mani, il ramen delizioso fra le labbra. I gatti poco lontani…la pioggia contro i vetri. Il silenzio intimo e complice fra noi due.

 

 

Non ti scorderò mai. Anche se dovessi andare via dal Giappone. Mai.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Grazie per la cena…era davvero buona.

 

-          Ma no…di nulla – imbarazzato si passa la mano dietro la testa…poi recupera la sua aria strafottente – alla fine non ti ho medicato!

 

 

-          Non ce ne era bisogno…domani saranno già passati – e liquido la discussione con un’alzata di spalle…poi lo sguardo mi cade sull’orologio da polso - Sono le 8.00…non sei in ritardo per il lavoro?

 

-          No tranquillo…il tempo di cambiarmi e vado.

 

 

-          Ok…ancora grazie.

 

-          E meno male che dicevi che non eri un tipo da ringraziamenti…

 

Gli lancio uno sguardo finto seccato per poi girarmi e andarmene.

Sto per scendere il primo gradino quando Sakuragi mi chiama.

 

 

 

Mi volto e lo vedo sulla soglia. Ha abbassato il viso. E sembra imbarazzato.

Mi avvicino e lui a un tratto estrae dalla tasca un fazzoletto con dentro qualcosa.

 

 

 

 

-          Tieni.

 

Me lo porge con la mano lievemente tremolante.

 

I nostri occhi s’incatenano.

 

-          Che cosa è? – lo soppeso. Non è pesante.

-          Aprilo.

 

La mie mani scartano due strati di stoffa.

 

 

 

 

 

 

 

Un taglierino laccato di azzurro. Con una piccola volpe stilizzata sul manico.

 

 

 

 

 

 

 

 

Alzo sorpreso il viso guardandolo.

 

Mi sorride imbarazzato.

 

 

 

 

 

-          E’ il mio preferito.

 

 

 

 

 

 

 

E non ci sono altre parole da aggiungere. Ho capito.

 

 

 

 

 

 

 

Ho capito Hanamichi.

 

 

 

 

 

Copro i pochi passi che ci separano e ti abbraccio con forza. E Dio…capisco che volevo farlo da stamattina. Stringerti contro di me. Sentirti attorno le mie braccia, il tuo petto contro il mio. Il tuo profumo…il tuo viso che si nasconde caldo e imbarazzato contro il mio collo. Le tue braccia strette al mio torace.

 

 

 

 

 

 

Lo puoi sentire il mio cuore Hanamichi? Cazzo lo senti come batte? Senti come ha ripreso a funzionare da quando ti ho conosciuto?

 

 

 

 

 

 

 

-          Grazie Hanamichi…e lo sussurro contro il tuo orecchio. E ti stringo…

 

-          Te lo prometto…non mi taglierò…cercherò di non farlo più. Quello che ti ho dato…è come un pegno…per la mia promessa…

 

 

Non voglio che ti fai male…non voglio.

 

 

 

-          Quando sarai triste… - mi stacco leggermente per poterlo guardare negli occhi… - vieni da me. A casa mia. A Micky farà piacere vederti. – e sorridiamo.

 

Ci stacchiamo e lui annuisce.

 

Lo guardo per un ultimo momento.

 

-          Ci vediamo domani…allora. A scuola…

 

-          Sì…….ciao…

 

 

-          Ciao…

 

E mi giro, infilandomi il taglierino nella tasca della tuta. Ignorando Hanamichi sulla soglia…e quelle lacrime che scorrono sulle sue guance.

 

 

 

 

 

 

 

Ma c’è davvero bisogno di dare un nome…a quello che sta…accadendo fra noi due?

 

 

 

 

   
 
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