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Autore: Latis Lensherr    05/03/2013    4 recensioni
[Spin-off della long "Dove ci sei tu, ecco, quella è casa mia".]
Xerxes Avery e Tristan Carrow sono al settimo anno, fanno parte della ristretta cerchia degli accoliti di Tom Riddle e sono amici da sempre.
Anzi, molto più che amici!
E tutto sembra andare al meglio...almeno fino a quando i doveri sociali e famigliari di entrambi non creano tensioni ed incomprensioni.
In una società dove il futuro dei figli è deciso e imposto dalle famiglie, c'è ancora posto per i desideri e i sentimenti?
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"All that's done is forgiven"'
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“Here we go again,
I kinda wanna be more than friends.
So take it easy on me,
I’m afraid you never satisified.
[…]
You’re just a canible,
and I’m afraid I won’t get out alive.
No, I won’t sleep tonight.”
(“Animal”, Neon Trees).

 
 
 
Capitolo uno.
 
Quando il portone d’ingresso si apre, il vento gelido di metà autunno che sta spazzando inesorabile le colline scozzesi intorno al castello mi investe in pieno, spingendomi ad alzare il bavero fin sotto il mento e a stringere il mantello pesante con più forza intorno alle spalle. E, con il vento che mi spettina crudelmente l’ordinato caschetto castano, mi incammino verso il campo da Quidditch. Mi dirigo là a colpo sicuro ma le grida e gli incitamenti che l’aria fredda trascinano fino alle mie orecchie mi rassicurano non poco.
E’ con infinito sollievo che raggiungo l’entrata dello stadio, chiudendo fuori quell’assaggio d’inverno inaspettato e fuori stagione. Lancio un’occhiataccia alle mie più acerrime nemiche – le scale! – e, dopo aver appurato con frustrazione che non esistono alternative, comincio a salire in direzione degli spalti scoperti riservati agli studenti di Serpeverde. E nonostante la testa continui a suggerirmi di tornare sui miei passi ad ogni gradino che faccio, mi impongo di proseguire e obbligo le mie gambe tremanti a muoversi.
La lettera ripiegata nella tasca dei pantaloni gracchia ad ogni contrazione della coscia e mi da l’impressione di pesare almeno quanto un macigno.
Il cielo plumbeo mi aspetta in cima agli spalti, dove le sferzate di vento mi danno il bentornato e mi costringono a strizzare leggermente le palpebre per poter dare un’occhiata tutto intorno. I posti a sedere sono tutti vuoti e liberi e le tribune sarebbero altrettanto deserte se non fosse per un gruppetto di ragazzine del quarto e quinto anno che, appiccicate alle balaustre come se fossero delle foglie d’edera, osservano le azioni di gioco dei giocatori verde-argento strillando acute frasi di incoraggiamento.
Mi avvicino all’estremità della ringhiera opposta alla loro e il mio esofago si contrae dolorosamente quando, dal punto in cui mi trovo, mi accorgo che fra quelle studentesse c’è anche Charissa Gibbon.
Naturale che si trovi qui dopotutto…no?
Scaccio a fatica il groppo che mi si è formato in gola e cerco di distrarmi, seguendo con lo sguardo le traiettorie invisibili che le scope dei miei compagni tracciano nell’aria e cercandone una in particolare.
Individuare Tristan non è difficile per diversi motivi: il primo riguarda il fatto che gioca nel ruolo di Battitore, quindi bisogna solo rintracciare i due giocatori che impugnano le mazze come degli indemoniati. Il secondo invece è che tra lui e Maximilien Dolohov, l’altro Battitore della squadra, quello che sembra sempre sul punto di far esplodere la divisa da un momento all’altro è sicuramente il secondo. Lo avvisto proprio nell’istante in cui, zigzagando come un colibrì ubriaco a mezzo metro dall’erba perfettamente tagliata del campo, anticipa il Bolide e con un unico gesto fluido lo colpisce in pieno facendolo schizzare verso l’alto. Ha seguito la corsa della palla incantata con il naso all’insù e in quel frangente mi ha intravisto abbarbicato sulla gradinata. Anche dal punto in cui mi trovo, riesco a vedere benissimo come il suo viso si sia illuminato e come, alzandosi sulla scopa più che può, abbia cominciato ad agitare il braccio che impugna la mazza nella mia direzione. Le ragazzine si scambiano all’istante gridolini eccitati, convinte come sono che il gesto sia rivolto ad una di loro.
E io, godendomi scarsamente la consapevolezza di sapere come stanno invece le cose, decido di non disilluderle e ricambio il saluto con un discreto movimento delle dita.
Mi rendo conto di essere arrossito solo quando comincio a sentire caldo alla faccia.
Ci sono delle volte in cui ancora mi sorprendo dell’effetto che mi fa.
Eppure dopo poco meno di due anni dovrei esserci abituato…no?
No. Non ci sono abituato: perché ci sono delle volte in cui ancora mi domando come possa essere successo.
Se anni indietro qualcuno avesse preannunciato a me, Xerxes Avery, che un giorno avrei intrecciato una relazione sentimentale ed intima con un ragazzo, probabilmente avrei cominciato a deridere e sbeffeggiare il malcapitato con la mia risata cristallina, trapassandolo poi con uno dei miei glaciali sguardi grigi. Se in seguito la stessa persona avesse aggiunto che il ragazzo in questione era quel disadattato e tendenzialmente sociopatico del mio compagno di stanza, Tristan Carrow, i miei occhi si sarebbero fatti più duri e spaventosi, prima che maledizioni quasi letali cominciassero a fuoriuscire a fiotti dalla punta della mia bacchetta.
Eppure se anni indietro qualcuno mi avesse anticipato tutte queste cose, non avrebbe sbagliato più di tanto – e avrebbe dimostrato di possedere vere e proprie capacità divinatorie!
E non importa quante volte continui a chiedermi come sia potuto accadere o quanto tempo passi a rimuginarci su: alla fine è successo.
Tristan ed io ci siamo conosciuti il giorno in cui entrambi mettemmo piede per la prima volta fra le mura della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Smistati entrambi dal Cappello Parlante nella Casata di Serpeverde ci eravamo ritrovati a condividere la stessa stanza, insieme con Tom Riddle, Lennox Rosier e Artemius Yaxley. Eravamo diventati da subito buoni amici. Sebbene anche solo quella semplice ed innocente relazione fosse già sembrata alquanto strana! Infatti, sembrava che non potessero esistere due persone più diverse ed incompatibili di Xerxes Avery e Tristan Carrow.
Io ero un ragazzetto minuto, con ossa talmente piccole da sembrare grissini e un’aria sempre un po’ malaticcia.
Tristan era il ritratto della salute: spalle muscolose e una perenne abbronzatura color caramello.
Io avevo capelli chiari e lisci e due grandi, banali occhi grigi spesso contornati da un paio d’occhiali da lettura.
Tristan aveva capelli neri come il petrolio, tirati all’insù con generose quantità di gel, e occhi di una tonalità talmente straordinaria da sembrare quasi viola!
Io avevo una predisposizione naturale e quasi cronica per il disordine: non utilizzavo mai la stessa piuma per più di una settimana.
Tristan era ad un passo dall’appendere le sue cravatte nell’armadio per gradazione di colore.
Io avevo morbide mani da violoncellista e un tono di voce pacato ed accigliato.
Tristan aveva le dita rovinate dai calli e dai graffi e una voce alta e squillante per natura – che sembrava non riuscire mai a moderare.
Io facevo parte di una famiglia purosangue entrata nel giro dell’aristocrazia magica solo da due o tre generazioni – ero figlio unico e vivevo solo con mia madre.
Tristan poteva facilmente elencare i nomi dei suoi avi fino al Medioevo ed era il figlio maggiore: dopo di lui i suoi genitori avevano avuto solo figlie femmine.
Io avevo una media di voti molto buona, più per necessità che per una vera e propria passione per lo studio.
L’unico libro che probabilmente Tristan aveva mai sfogliato erano riviste dal contenuto palesemente osé.
Io ero un tipo schivo e non parlavo mai a sproposito – e  molte volte una sola mia parola poteva bruciare più di una fattura.
Tristan viveva per scovare i guai e buttarcisi a pesce e, oramai, la strada per l’ufficio del preside la conosceva talmente bene da essere in grado di ripercorrerla bendato.
Io avevo trovato un posto fra le file di Tom Riddle grazie ad una profonda conoscenza delle Arti Oscure – dovuta soprattutto per merito di mio padre, ricercatore, morto proprio a causa di studi approfonditi su di esse quando ancora frequentavo il secondo anno.
Tristan c’era entrato per la sua assoluta incapacità di preoccuparsi dei rischi.
Non c’erano due persone più diverse. Ma questo non ci aveva impedito di diventare amici, di ridere insieme delle barzellette idiote di Lennox Rosier o di intrufolarci nelle cucine della scuola per uno spuntino di mezzanotte. E le nostre diversità non avevano mai rischiato di incrinare il nostro rapporto, così come non c’erano riusciti i numerosi sbalzi d’umore da cui inevitabilmente venivo contagiato né le false confessioni di Tristan che mi costringevano a fargli compagnia durante le sue punizioni.
Niente aveva mai rischiato di incrinare il nostro rapporto: niente!
A parte i festeggiamenti in Sala Comune alla fine del nostro quinto anno…
Non ricordo come i ragazzi più grandi avessero fatto entrare nella scuola tutte quelle bottiglie di alcolici né chi si fosse preso la briga di addobbare le pareti e il soffitto con quei terribili festoni incantati. Ma ricordo alla perfezione la lieve euforia che aveva viaggiato veloce nell’aria e che aveva contagiato tutti come un raffreddore in quegli ultimi giorni di scuola, dopo che l’Erede di Serpeverde era stato individuato ed allontanato dalla scuola insieme alla sua orrida bestiaccia, grazie anche all’intervento del brillante Tom Riddle. Sebbene la casata dei verde-argento non ospitasse nessuno studente dai dubbi natali, e, anzi, avesse incoraggiato in più occasioni l’operato dell’Erede, era indiscutibile che l’ansia e la paura fossero filtrate anche fra le sue mura umide.
Ricordo l’insistenza esasperante e le implorazioni teatrali di Tristan affinché anche io partecipassi e come mi fossi sbarazzato della sua fastidiosa presenza solo nel momento in cui gli risposi che, sì, ci sarei andato. Ricordo la delusione generale dei presenti in Sala Comune, quando si erano resi conto dell’assenza dell’ospite d’onore della serata e come, solo in seguito, fossi venuto a sapere che aveva passato l’intera nottata in Infermeria. Ricordo di avere ricevuto un bicchiere colmo di Whisky Incendiario ma non chi lo avesse messo nella mia mano. Ricordo il tono di sfida di Lionel Rookwood tra il ridacchiare degli altri ragazzi del gruppo, ma non come riuscii a tracannare tutta d’un fiato la restante metà della bottiglia di vodka elfica che mi aveva teso.
Ricordo il sapore aspro sulla punta della lingua…e poi ricordo il buio.
E flash. Spezzoni d’immagini che la mia mente mi porgeva per sottrarmele velocemente non appena mi allungavo un po’ per afferrarle. Il dormitorio invaso dalla penombra verdognola dei riflessi del lago; le tende smeraldine perfettamente tirate e i letti tutti rifatti e il vociare attutito e confuso della festa ormai lontana.
La protesta cigolante del materasso quando ci caddi sopra a peso morto e il mormorio colmo di riso di Tristan che mi diceva:
< Stasera hai fatto il pieno, eh, amico?>
E poi quell’immagine così nitida, l’unica che mi sia stato concesso di tenere e che ogni volta mi fa mancare il fiato, nello stesso identico modo di quella prima volta. Tristan. Con il volto esattamente sopra il mio e quell’espressione mezza divertita e mezza inquieta che mi osservava in silenzio, assicurandosi che stessi bene. Il volto di Tristan luminoso come un faro e quegli occhi viola che bruciavano il buio. I capelli appena flosci e le labbra magistralmente disegnate, che sembravano invitare chiunque a prendere un po’ di quella luce che solo lui riusciva ad emanare.
E quell’unico pensiero che mi sussurrava che era la cosa più bella che avessi mai visto in vita mia.
E quella voglia improvvisa e prepotente di accostarmi a tutta la sua luce.
Non ricordo come feci ad alzarmi sui gomiti o dove fossi andato a trovare un equilibrio che il troppo alcol in circolo non mi poteva permettere. Ma ricordo il sapore salato delle labbra di Tristan contro le mie e quel suo retrogusto amarognolo causato dai tanti drink che si era scolato. E la rigidità della sua bocca troppo sconcertata e lo spintone veloce ed improvviso che mi fece ripiombare contro il materasso.
Ricordo persino il botto secco della porta del dormitorio che si chiudeva in un punto imprecisato al di là delle mie spalle, prima che il buio mi ghermisse nuovamente.
Ma più di ogni altra cosa, ricordo lo strozzato verso di orrore che mi era sfuggito dalle labbra il mattino seguente.
Avevo baciato Tristan!
Cosa mi era saltato in mente? Che cosa avevo fatto?!
Avevo sbirciato cautamente in direzione del baldacchino del mio amico e lo avevo trovato vuoto. Sistemato alla perfezione. E senza neppure il baule e i suoi oggetti personali, che doveva aver portato alle carrozze mentre io ancora dormivo.
Avevo sospirato, un po’ per la delusione e un po’ per il sollievo, e mi ero accinto a preparare i bagagli e a svegliare Artemius che poltriva scompostamente sul pavimento, abbracciato ad un tappeto.
Non lo rividi per il resto della giornata.
Né all’interno della scuola, né sul treno di ritorno a casa. L’imbarazzo e l’insensato desiderio di cambiare nome e nazione era stato sostituito dalla voglia di chiarire il più presto possibile: sebbene fosse un emerito ed irrecuperabile idiota, Tristan era una delle poche persone di cui mi importasse qualcosa. In fin dei conti, quando il gufo di mia madre mi aveva recapitato la pergamena nella quale mi veniva annunciata la morte di mio padre, era stata la sua mano a stringermi con forza la spalla senza lasciarla andare…
Avevo dovuto ammettere che avrei fatto fatica a rinunciare all’amicizia del mio compagno di stanza, specialmente a causa di un equivoco così stupido ed involontario. Ma nonostante avessi percorso l’intero treno su e giù per un paio di volte di Tristan non avevo intravisto nemmeno l’ombra. Arrivai a chiedermi se non si fosse abbarbicato sul tetto di un vagone, pur di non incontrarmi…
E ciò mi aveva provocato una fastidiosa sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco.
Sensazione che non migliorò affatto con l’avanzare dell’estate.
Avevo cominciato a spedirgli lettere fin dal primo giorno di vacanza. Avevo aspettato impazientemente risposte mai arrivate davanti alla finestra della mia stanza, incapace di restare fermo o seduto per più di una manciata di secondi. Le mani si agitavano convulsamente intorno alla piuma e lo stomaco mi torturava con fitte tremende, ogni volta che mi accingevo a scrivergli di nuovo e la tensione mi assaliva. Gli avevo mandato almeno un centinaio di lettere nelle quali, con parole sempre nuove e frasi sempre più accalorate, avevo cercato di chiarire il significato del mio gesto; nelle quali mi davo deliberatamente del deficiente e cercavo di giustificarmi attribuendo tutta la colpa ai troppi alcolici della festa. Gli avevo chiesto scusa più volte e implorato il suo perdono in tutti i modi che mi erano venuti in mente.
Ma Tristan Carrow non aveva risposto a nessuna delle mie lettere.
Nulla. La quiete più assoluta. Avrei preferito qualunque cosa al posto di quel silenzio che non riuscivo in alcun modo a colmare. Qualunque cosa; tutto. Anche un biglietto stropicciato e scritto di fretta, pieno di insulti sulle mie insane tendenze e di minacce di morte se solo mi fossi azzardato ancora ad avvicinarmi a lui. Ma non ricevetti nemmeno quello.
E la sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco che non accennava minimamente a diminuire…
Più avevo cercato di convincermi che quel malessere fosse causato dal mutismo di Tristan, più avevo compreso che non era affatto quello il motivo. Più ero rimasto a pensarci e più avevo capito che, quella fatidica sera, l’alcol che avevo ingerito non era stato poi così eccessivo come mi aveva fatto comodo credere; più ero rimasto a pensarci e più avevo capito che se avevo cercato le labbra del mio migliore amico era perché in quel momento le avevo desiderate più che mai.
Avevo baciato Tristan – non era stato uno sbaglio o un equivoco – perché lo avevo voluto!
Nell’esatto istante in cui quella consapevolezza mi investì, mi venne quasi da vomitare. Non avevo mai coltivato un interesse particolare per le ragazze – l’unico bacio che aveva dato ad una di loro era stato una sorta di esperimento; un modo come un altro per togliermi uno sfizio che mi aveva assillato per troppo tempo – questo era vero, ma non era neanche una valida argomentazione per asserire che fossi, invece, attratto dai ragazzi!
Dopo ciò che era successo, però, non avevo potuto non prendere in considerazione tale eventualità.
Nonostante tutto continuai a scrivere e a fissare lo spezzone di cielo al di là della mia finestra.
Quando finalmente ricevetti una risposta avevo quasi smesso di sperarci: una parte sempre più grande della mia mente si era pian piano rassegnata all’idea che avrei avuto notizie del rampollo della famiglia Carrow solo col ritorno ad Hogwarts, dove con tutta probabilità mi sarei ritrovato a dover schivare fatture e maledizioni già durante la cena d’apertura del nuovo anno. Invece Tristan si era fatto vivo verso l’inizio del mese di Agosto dopo che, in un ultimo, disperato tentativo di riappacificazione, lo avevo invitato a passare una settimana a casa mia approfittando di una delle tante conferenze che avrebbe tenuto mia madre lontana per un po’.
Solo due parole ma che bastarono per mettermi in completo subbuglio il petto: Ci sarò.
Un euforico sollievo si era fatto strada mescolandosi ad una piccola ma potente punta di panico.
Che cosa avrei dovuto dirgli?
Come mi sarei dovuto comportare?!
Quelle domande avevano continuato a riecheggiarmi nelle orecchie come un ronzio molesto, mentre camminavo avanti ed indietro per il suntuoso salone della villa attendendo – temendo! – il momento in cui Tristan Carrow sarebbe apparso all’interno del mio camino. Ma quando la vampata di freddo fuoco verde sparì per lasciare spazio allo sguardo violetto del mio compagno di scuola, non avevo ancora trovato nessuna risposta.
L’accusa che ero riuscito perfettamente a leggere nei suoi occhi mi bruciava addosso come un tizzone ardente. Ogni suo minimo gesto non mi permetteva di respirare: mi ero sentito mancare l’aria quando si era spazzolato con la mano della cenere dal mantello; quando aveva gettato senza troppi complimenti il proprio borsone rigonfio per terra e quando infine si era piazzato di fronte a me, eliminando la distanza con poche falcate. Tutto questo senza smettere neanche per un secondo di osservarmi. E dovetti deglutire un paio di volte prima che il nodo che avevo in gola si sciogliesse, permettendomi di pronunciare un balbettante ed esitante saluto.
Ma ciò che veramente mi mozzò il fiato fu il pugno forte e preciso che andò a schiantarsi contro la mia bocca. Barcollai all’indietro per qualche passo e poi caddi picchiando il sedere contro il pavimento. Il sapore rugginoso del sangue mi inondò la lingua e il labbro superiore cominciò a torturarmi con un dolore accecante, informandomi a suo modo che era con tutta probabilità rotto.
< “CIAO?!”> aveva sbraitato, mentre una grossa vena gli pulsava sulla parte laterale del collo e le mani fendevano sconclusionatamente l’aria. < DOPO QUELLO CHE E’ SUCCESSO, LA PRIMA COSA CHE PENSI BENE DI DIRMI E’ “CIAO”? E IN QUEL MODO! DOVREI SPACCARTELA QUELLA FACCIA DA CAZZO CHE TI RITROVI!>
Con gli occhi spalancati per la confusione avevo mormorato appena:
< Tristan, non…>
< Chiudi all’istante quella fogna, non ti voglio nemmeno sentire!> mi aveva interrotto, puntandomi minacciosamente un dito contro.
Il giovane Carrow si era mosso alla rinfusa per la stanza, come se non sapesse nemmeno lui dove volesse andare o cosa volesse fare. Era agitato; come se non avesse proferito parola con nessuno per tutti e due quei mesi e, in quel momento, stesse dando libero sfogo a pensieri che aveva per troppo tempo repressi dentro di sé.
< Io…io non ci sto più con la testa. Sto impazzendo. Tu mi stai facendo impazzire!> aveva ripreso a camminare su e giù davanti a me con le mani fra i capelli, visibilmente sconvolto. < A me piacciono le ragazze, Merlino: le ragazze! Non riesco nemmeno più a contare tutte le volte che me lo sono smanettato pensando al culo della Nott! O di Walburga; anche quello di Dorea Black non è male. Ma…ma è tutta l’estate che non riesco a pensare ad altro che a quel…cazzo, dovrei proprio spaccartela quella faccia…>
Le mani si erano spostate direttamente sul viso, stropicciandolo senza pietà, come se quell’inutile gesto potesse rimettere ordine fra i suoi pensieri. O potessero cambiare ciò che era successo; ciò che aveva provato. Poi, senza muoverle, aveva confessato mugugnando:
< Mi è piaciuto. Troppo.>
Io mi ero limitato a fissarlo con occhi sbarrati e sconnessi.
< E quindi…? Co-cosa facciamo, adesso?> mi ero ritrovato a chiedere, senza ragionare su ciò che stavo dicendo.
A quelle parole, Tristan Carrow si era scoperto il volto e mi aveva fissato con lo stesso sguardo di esasperazione che avrebbe riservato ad un bambinetto eccessivamente ottuso. Ma non avevo nemmeno avuto il tempo di provare fastidio per quell’espressione indulgente.
Mi aveva raggiunto senza rispondere. Si era accomodato a cavalcioni sul mio grembo e mi aveva piantato un bacio in bocca, strattonandomi per il colletto del maglioncino fino a farmi picchiare forte la nuca contro il pavimento. Ma quel dolore finì ben presto nel dimenticatoio insieme a quello del labbro, quando la sua lingua cercò e trovò la mia, avvolgendola.
Quel momento e la seguente settimana, trascorsa con una borsa del ghiaccio appoggiata sul mio indolenzito osso sacro, sancirono l’inizio della nostra storia.
E per quanto mi imbarazzi ammetterlo, non sono più riuscito a fare a meno di lui.
Certo, ci sono certi suoi atteggiamenti che mi fanno salire il sangue al cervello: come quando mi tira delle sonore pacche sul sedere davanti a tutti nei corridoi o quel suo maledetto vizio di sputare per terra alla prima occasione. Oppure come quella volta che, durante uno degli svariati incontri che Tom Riddle organizza di tanto in tanto, ero stato colpito da un incantesimo difensivo particolarmente potente che mi aveva fatto fare un volo di parecchi metri all’indietro. Per poco Tristan non aveva cambiato i connotati di Magnus Lestrange a suon di cazzotti. E se non l’avessi allontanato all’istante e fatto calmare, con tutta probabilità Riddle gli avrebbe fatto trascorrere uno dei suoi “indimenticabili” quarti d’ora.
Certo, ci sono certi suoi atteggiamenti che mi fanno salire il sangue al cervello…ma allo stesso tempo non sono più riuscito a fare a meno di lui. Della sua risata sguaiata e dei suoi sorrisetti irriverenti e strafottenti, con la punta della lingua che saetta fuori maliziosa. Del suono preoccupante che fa la sua schiena quando si stiracchia e addirittura del modo in cui strizza gli occhi per la concentrazione, quando si sistema scrupolosamente il gel sui capelli. Non sono più riuscito a fare a meno dei nomignoli idioti che mi affibbia a fior di labbra e dei brividi che riesce a strapparmi quando sospira il mio nome contro la mia nuca. Delle sue dita ruvide che graffiano e modellano i miei fianchi e del modo in cui la sua bocca tortura la parte sinistra del mio petto, quasi fosse intenzionato a divorarmi il cuore un morso alla volta.
Non sono più riuscito a fare a meno di lui…
Questo semplice pensiero mi fa rammentare della lettera, che perfidamente sembra deridermi dall’interno della mia tasca.

 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE.
 
*riunione dei fanfictionari anonimi*
Ciao. Il mio nome è Latis Lensherr…
 
“Ciaooo Laaatis!”
 
 …ed è da Agosto dell’anno scorso che non pubblico niente su EFP!
*timidi applausi si perdono nella saletta*
 
MA OGGI RICOMINCIO!!
*esplode un coro da stadio che fa tremare le pareti*
 
Un caloroso saluto a tutti voi!
Finalmente torno a pubblicare qualcosa – e credetemi se vi dico che mi tremano le mani dall’eccitazione!
Diciamo qualcosa di questa cosina che ho pubblicato?!
Ma sì!
 
Allora, per chi mi conosce già e specialmente per chi ha seguito la pubblicazione della mia long “Dove ci sei tu, ecco, quella è casa mia”, questo è uno spin-off esterno alla storia e ambientato parecchio avanti rispetto al punto in cui è rimasta la long. E una sorta di mio regalo per chiedere perdono per il mio luuuuuungo periodo di latitanza.
 
Per chi invece non sapesse minimamente chi sono, spero che la storia sia comprensibile anche senza dover rivedere la long. A me sembra di non aver inserito dettagli particolarmente oscuri o che comunque verranno chiariti nei prossimi capitoli.
Per qualsiasi domanda o dubbio, sono a completa disposizione di chiunque :)
 
E’ una mini-long. I capitoli saranno 3, al massimo 4, devo decidere ancora bene come suddividerli XD
E aggiornerò una volta a settimana! Al massimo 10 giorni, giurin giurello!
 
Che altro posso dire?!
Ah sì: nelle note dell’epilogo di questo breve lavoro, darò una notiziona succulentissima che riguarda “Dove ci sei tu, ecco, quella è casa mia”. Quindiiiiii…non vi resta che seguirmi fino alla fine!
*ahuauahuahuahuahuah…sono una perfida markettara! mastrota e le offerte della eminflex mi fanno un baffo!*
 
E’ tutto direi.
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento e…ci si vede la prossima settimana ;)
 
Un bacio. Latis.
   
 
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