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Autore: Latis Lensherr    12/03/2013    2 recensioni
[Spin-off della long "Dove ci sei tu, ecco, quella è casa mia".]
Xerxes Avery e Tristan Carrow sono al settimo anno, fanno parte della ristretta cerchia degli accoliti di Tom Riddle e sono amici da sempre.
Anzi, molto più che amici!
E tutto sembra andare al meglio...almeno fino a quando i doveri sociali e famigliari di entrambi non creano tensioni ed incomprensioni.
In una società dove il futuro dei figli è deciso e imposto dalle famiglie, c'è ancora posto per i desideri e i sentimenti?
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"All that's done is forgiven"'
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Capitolo due.
 
< Hai le labbra tutte bordeaux, lolly > mi informa Tristan. Se ne sta ancora a cavalcioni sulla sua scopa – di cui non riesco mai a ricordare il modello, nonostante me l’abbia ripetuto almeno un migliaio di volte – con le braccia appoggiate sull’estremità arrotondata e la testa, leggermente inclinata da un lato, posata a sua volta sopra di esse. Totalmente incurante degli svariati metri che lo separano dal terreno.
Istintivamente mi porto una mano alla bocca e appuro con la punta delle dita che ha ragione: a causa del vento e del freddo sono diventate tremendamente screpolate e secche. Il pensiero della lettera mi picchia la gola, bloccandola con un groppo che mi impedisce di pronunciare anche la più piccola parola. Così, mi limito a rispondergli con una scrollata di spalle.
Lui ridacchia fra i denti.
Nonostante l’allenamento si sia concluso quasi più di un’ora fa, Tristan ha continuato a sorvolare il prato verde del campo fingendosi indaffarato a mettere ordine fra palle, mazze e scope, fino a quando anche la più ostinata delle ragazzine presenti sugli spalti non ha rinunciato ad aspettarlo e se n’è andata amareggiata.
Mi ha raggiunto solo quando sono rimasto completamente solo.
Facendo fare alla scopa una lieve inclinazione si avvicina alla balaustra degli spalti. Scavalca il ferro ghiacciato con un unico salto e ci si mette seduto sopra, getta da parte la scopa e afferrando il nodo del mio mantello mi strattona senza troppi complimenti più vicino a lui. Mi costringe a stare in mezzo alle sue gambe inchiodando i miei fianchi fra le ginocchia e porta le mani ancora ricoperte dai guanti verso le mie spalle, massaggiandole con movimenti lenti e ritmici. Senza smettere di muovere le dita si allunga verso di me e mi sparge baci sapientemente calcolati su tutta la lunghezza della tempia.
Il suo odore di cuoio misto a sudore è una tisana che riesce a porre fine alla tensione che fino a quel momento ha torturato il mio intero corpo. Abbandono la testa contro la parte imbottita della divisa ed allaccio mollemente le braccia intorno alla sua vita, riuscendo a stento a trattenere un sospiro.
< Hai cominciato quella raccolta di informazioni per il Lord?> mi domanda, con la bocca affondata nei miei capelli e le dita che sono scivolate a vezzeggiarmi la nuca.
< No > rispondo con un altro sospiro, chiedendomi come abbia fatto, fra tutte le cose che mi poteva domandare, a tirare fuori proprio quell’argomento. < Oggi non ne ho proprio voglia…>
Tamburella le dita sulla porzione di pelle scoperta del mio collo, in un chiaro gesto che manifesta la sua disapprovazione. Mugugna pensieroso, prima di chiedere ancora:
< Sbaglierò, ma non te l’aveva chiesta tipo…quattro giorni fa?>
< Sei giorni fa > lo correggo in tono piatto.
< Che diavolo hai, una crisi adolescenziale?> mi schernisce. Mi afferra saldamente per le spalle e mi allontana da lui, rompendo l’abbraccio con uno spintone per potermi guardare in faccia. < Per sei anni hai sempre eseguito i suoi ordini e le sue richieste alla lettera, e proprio ora cominci coi colpi di testa? Cos’è, vuoi sapere che effetto fa disobbedire al paparino?>
Boccheggio come un pesce per un paio di volte cercando la risposta più adatta da dare.
I primi due giorni non ho fatto nulla per pigrizia, lo ammetto. Poi durante il terzo i miei occhi si sono imbattuti in quella stramaledettissima lettera e non sono più stato in grado di concentrarmi su altro che non fossero quelle parole vergate con severità!
Sembrano volermi comprimere sempre più la testa ogni volta che le rileggo. La delusione, la rabbia e il timore hanno creato una sostanza oleosa e appiccicaticcia che ha avviluppato ogni singola cellula del mio corpo, lasciandomi indifferente, come anestetizzato. Sono arrivato ad un punto in cui nemmeno il terrificante Tom Riddle e le sue velate minacce riuscirebbero a scuotermi.
E Merlino solo sa il terrore che mi mettono addosso le sue scure occhiatacce torve…
Apro e chiudo la bocca a vuoto ancora una volta, poi sbuffo risentito e volto lo sguardo da un’altra parte. Non riesco a trovare il coraggio per parlargli di ciò che mi turba e questo mi fa provare un fastidioso senso di irritazione verso me stesso. E verso Tristan che non capisce mai niente!
In tutta risposta lui sfoggia il suo sorriso più compiaciuto, la punta rosata della lingua stretta saldamente fra le due arcate dentali: se la gode sempre come un matto quando capita l’occasione in cui è lui ad avere l’ultima parola.
< E va bene, monellaccio, ho capito: non hai voglia di fare i compiti > dice alla fine, alzando le braccia in segno di resa e dando un taglio alla questione solo dopo che ho incrociato le braccia sul petto nella mia imitazione più riuscita del Lord.
Fa una breve pausa, nella quale si sporge oltre la balaustra per sputacchiare verso il basso. Una nuova folata di vento ci spazzola i capelli e il mio sguardo non riesce a slegarsi dal suo profilo.
Guardarlo mi fa male agli occhi.
E’ come se avessero paura che possa scomparire nel nulla da un momento all’altro…
Non passano nemmeno una manciata di secondi che il volto di Tristan si spiegazza nell’ennesimo sorrisetto irritante. Porta una mano davanti a sé e muovendo l’indice mi invita lascivo ad avvicinarmi nuovamente a lui.
Mi agguanta il viso con urgenza e nell’istante successivo le sue labbra vanno a combaciare perfettamente con le mie. Le succhiano piano e con una dolcezza che stona visibilmente con il suo temperamento naturale. E quasi a voler stroncare ogni mio dubbio sul nascere, ecco la lingua – tentatrice! – che traccia avanti ed indietro la linea socchiusa della mia bocca. Una punta d’eccitazione comincia a solleticarmi insistentemente il palato, rendendo quel procrastinare fastidioso e impossibile da sopportare.
Per quanto possa sembrare incredibile sono io a prendere in mano la situazione. Senza lasciargli il tempo di comprendere e anticipare le mie intenzioni, mi arpiono con le mani al collo della sua divisa e lo strattono con forza verso il basso, verso di me. Lui è impreparato e non riesce a impedirsi di scivolare giù dalla balaustra. Quando finalmente siamo alla stessa altezza, faccio nuovamente leva sulla stoffa verde smeraldo della sua maglia e mi getto sulla sua bocca insinuando la lingua. Quasi mi spavento io stesso per la disperazione con la quale lo bacio, come se fossero passati anni dall’ultima volta che ho potuto assaggiare il suo sapore irripetibile – quando invece risale a nemmeno cinque ore prima!
E Tristan deve star pensando più o meno la stessa cosa: lo capisco dal modo impacciato e indeciso con il quale risponde alle mie provocazioni sempre più ingestibili. Si riscuote da quel leggero torpore solo quando, senza interrompere il mio operato, mi avvicino del tutto azzerando ogni distanza tra i nostri bacini. La sua mano inerte prende vita all’improvviso e abbandona il lido sicuro del mio braccio per inabissarsi nelle onde nere del mio mantello e giungere sulla mia schiena, dove abborda la divisa scolastica. L’altra invece si avventura dietro la mia testa e afferra con forza e prepotenza i capelli sottili. Il dolore non è insoffribile ma molesto e lo sento irradiarsi per tutto il collo quando mi allontana dalle sue labbra tirandomi per la nuca.
E’ il suo modo di ripristinare le gerarchie.
Lo fisso attraverso le palpebre semiaperte: i suoi occhi sono di un viola cupo dovuto al primo accenno di fermento che gli ho procurato e all’irritazione.
Anche quella procuratagli da me.
Come sempre da me!
Muove lentamente la testa facendo segno di no, accompagnando il tutto con il suono cadenzato della sua lingua che schiocca contro il palato. La mano che prima era sulla schiena scivola minacciosa sul mio fianco e attraverso la stoffa lo infilza con le unghie. Non faccio in tempo a protestare per quel trattamento che lui mi rigira fra le sue mani e mi spinge con troppa forza contro la ringhiera, che mi si piazza in mezzo al petto e mi spezza il fiato per un secondo doloroso.
Mi circonda col suo corpo: il petto che si unisce alla mia schiena e le mani grandi e rovinate che si intrecciano alle mie dita circondando il ferro gelato. Percepisco l’abbraccio umido dei suoi denti che mi torturano la carne del collo senza pietà.
< Ora, forse, ho capito perché sei così nervosetto. Porca puttana, non ti ho mai scopato qua sopra!> mormora sensuale ed esaltato nel mio orecchio e riprende da dove aveva interrotto.
La mano strattona i lembi della mia camicia fino a quando non si sfila dai pantaloni. Il tocco freddo e grinzoso dei suoi guanti sulla schiena mi provoca un brivido a dir poco evidente, che non ha nulla a che vedere con l’aria autunnale che ci accarezza leggera. Scivola e mi sfiora con tenerezza, per poi raggiungere il nodo del mantello e slacciarlo dopo un paio di tentativi falliti.
Chiudo gli occhi: le ginocchia sono diventate poco più di un inconsistente ricordo. Il mio respiro evapora in nuvolette di vapore semidenso, così come la mia ragione e il pensiero della lettera e tutte le preoccupazioni che mi ha procurato…
…la lettera…
La lettera!
Cerco di scacciare quel pensiero strizzando con forza le palpebre. Tristan ha raggiunto la cintura dei pantaloni e sicuramente non mancherà molto prima che me li slacci con prepotenza e li faccia andare a raggrupparsi intorno alle mie caviglie; e io vorrei solo perdermi in quel calore che sento ribollire pian piano in fondo al torace…
Ma oramai il pensiero della lettera è diventata una nota stonata. Piccola ma impossibile da ignorare, come il fischio stridulo di un flauto otturato all’interno di un’enorme orchestra.
< A- aspetta. Fermati; fermati…!> riesco a farfugliare appena.
< Ti prego, Xer, smettila > mugola infastidito, mentre mi stringe più stretto e fa sfilare la cintura dai passanti con un movimento lento ma deciso. < Non mi fai ridere.>
Faccio appena in tempo a bloccare le sue mani che, dopo aver lanciato distrattamente la cinta a lato, si sono già avventate sulla cerniera dei pantaloni. Le allontano a malincuore: persino il mio bassoventre mi sta insultando in questo momento…
Quando finalmente mi riesco a liberare dalla sua presa e a voltarmi a guardarlo in faccia, Tristan mi inchioda con un allibito sguardo omicida. E continua a guardarmi nello stesso modo anche mentre mi abbasso per prendere il mantello ed avvolgerlo intorno alle spalle. La mia voce è insopportabilmente esitante, quando dico:
< Noi…noi dobbiamo parlare.>
< Di cosa?!> quasi ringhia.
< E’ una cosa importante…davvero…>
< PIU’ IMPORTANTE CHE SCOPARE?!?>
Le parole mi si bloccano in gola – un po’ per l’ansia e un po’ perché mi rifiuto di rispondere ad una domanda tanto cretina! – e riesco a malapena ad annuire con un cenno del capo.
Lui sbuffa continuando a guardarmi con un odio che non si prende nemmeno il disturbo di celare o contraffare.
< Fai in modo che sia davvero importante come dici > mi avverte lievemente minaccioso, picchiettando un dito contro il mio petto prima di incrociare le braccia sul proprio per tenere a bada il caldo innaturale che gli ha fatto arrossare tutto il viso e la bozza nei pantaloni della divisa.
Nel momento in cui capisco di avere a mia disposizione la sua completa attenzione, la mia lingua si secca all’improvviso e assume una consistenza simile a quella di una suola. L’unica cosa che riesco a fare è fissarlo negli occhi con la bocca socchiusa e l’espressione più spaesata.
< Allora?!> mi incita, ancora più spazientito.
Quell’unica parola sembra riportarmi alla realtà e ridonarmi un briciolo di lucidità. Respiro profondamente ad occhi chiusi e poi affondo la mano nella tasca dei pantaloni, mentre la superficie un po’ ruvida della lettera sembra pizzicarmi i polpastrelli. La estraggo il più velocemente possibile e continuando a non dire una parola la allungo in modo che sia perfettamente in mezzo a noi. Cerco di incitarmi mentalmente ma nemmeno quello riesce a placare la mia ansia, che oramai sta correndo a briglia sciolta.
Tristan studia sospettoso il pezzo di carta stropicciato per un lungo secondo. Il suo sguardo violaceo fa più volte avanti e indietro tra quello e il mio volto silenzioso e angosciato e, solo dopo quelli che mi sembrano decenni, finalmente mi strappa bruscamente la lettera di mano, borbottando:
< Che roba è?>
Sono quasi certo che abbia riconosciuto la carta da lettere intestata di suo prozio Deonne solo toccandola, la conferma che ha identificato la calligrafia e il contenuto all’interno però ce l’ho quando le sue sopraciglia scure si inarcano lentamente e andando quasi a scontrarsi tra loro.
< L’ho trovata qualche giorno fa nel tuo baule > mormoro, non riuscendo a staccare lo sguardo dalla punta delle mie scarpe e non sapendo decidermi su quale tono di voce sarebbe meglio usare, uno dispiaciuto per il torto che gli ho fatto rovistando nelle sue cose o uno furioso per il torto che lui invece ha fatto a me – anzi, che mi farà? L’immagine del baule durante quel fatidico pomeriggio mi ritorna prepotente in testa: vestiti e libri e dolcetti, penne e inchiostro; gomitiere, ginocchiere, Bolidi d’allenamento, pentoloni, provette ed erbe mediche. Tutto era sistemato con il solito ordine ossessivo e millimetrico. Per questo motivo il pezzo di carta arrotolato e infilato senza criterio dentro un calzino aveva inevitabilmente attirato la mia attenzione. Strizzo appena gli occhi, per allontanare quell’immagine e il ricordo del saporaccio acido che avevo percepito in fondo alla gola dopo aver terminato di leggere per la prima volta quella fottuta lettera, e apro la bocca per aggiungere qualcosa…ma l’unico suono che riesco ad emettere è un guaito di sorpresa e dolore, quando Tristan mi afferra per il bavero del mantello e utilizzando un solo braccio mi fa andare a sbattere nuovamente contro la ringhiera gelida.
< Cosa cazzo ti è saltato in mente? Eh?!> mi sibila contro, il tono ostile e i denti digrignati come quelli di un lupo a caccia. I nostri nasi sono così vicini che rischiano di sfiorarsi. La sua presa sul mio collo aumenta e mi costringe a sollevarmi un po’ sui piedi, mentre con la mano libera accartoccia il pezzo di carta e lo getta oltre la balconata. Sebbene il suo sguardo scuro e fiammeggiante mi stia spaventando enormemente, non riesco a staccargli gli occhi di dosso, nemmeno quando aggiunge: < Non ci riprovare, Xerxes; non riprovare mai più a ficcare il naso nei miei affari, chiaro?! E cerca di non farmi ripetere!>
Mi da l’ennesimo spintone e poi si allontana di qualche passo, voltandomi le spalle e sfregandosi la faccia con entrambe le mani ancora incastrate dentro i guanti. Solleva il viso verso l’alto ed emette un sonoro grugnito di frustrazione.
Il mio istinto di conservazione mi sussurra a un orecchio di ringraziare la mia buona stella per essermela cavata solo con una ramanzina e una spinta e di lasciar perdere l’intera questione, ma non ce la faccio a lasciar perdere.
Proprio non ce la faccio!
< Sono anche fatti miei…> dico, facendo un mezzo passo verso di lui.
< No, non lo sono.>
Deglutisco a fatica. Cerco di darmi una qualche sorta di contegno e di sembrare risoluto – cosa che non sono neanche lontanamente! – ma nonostante l’esitazione riesco a dare alla mia voce un tono abbastanza risentito:
< Tuo zio ha stipulato un accordo prematrimoniale con la famiglia di Charissa Gibbon: la sposerai subito dopo che lei avrà terminato i suoi sette anni a Hogwarts. Come fai a dire che non sono anche fatti miei?!>
< E’ un accordo prematrimoniale, lolly. Cosa c’è di così strano?! Non è nulla di importante…> ribatte, allargando le braccia e guardandomi con un’espressione esasperata.
< Nu-nulla di importante…?>
< E’ solo un fottutissimo accordo prematrimoniale > ripete con più enfasi. < Quasi tutti i nostri compagni di Casa ne hanno già firmato uno o si sono addirittura fidanzati ufficialmente: persino Dolohov – Dolohov! – ha già stabilito la data delle nozze.>
Mi mordo il labbro inferiore quasi a sangue per soffocare sul nascere una mezza risata isterica e amareggiata, per poi lanciargli un’occhiataccia e dire:
< Oh beh, fantastico; tanti auguri e figli maschi a Maximilien! Ora spiegami in che modo questo dovrebbe migliorare la situazione. Ti sposerai con…un’altra!>
< E allora? CHI SE NE FREGA!> mi urla contro. Riprende a camminare avanti e indietro, come fa ogni volta che comincia ad agitarsi, e lo sento respirare rumorosamente per cercare di riacquistare un minimo di quel poco autocontrollo che solitamente ha e che sono stato in grado di far scemare in una manciata di minuti. Poi aggiunge, con più calma: < Io…io non capisco per quale motivo tu stia facendo tutto questo casino per una simile cazzata.>
Apro prontamente la bocca per ribattere ma la voce rimane incastrata in fondo alle corde vocali. Possibile che non ci arrivi da solo? Possibile che io debba rispondere per davvero ad una domanda la cui risposta mi sembra così banalmente ovvia?!
< Perché…perché non voglio. Perché…io voglio stare con te…> riesco a balbettare alla fine, ingoiando un groppo in gola dolorosissimo.
Mi sento così frastornato che quasi non mi accorgo di Tristan che, con pochi passi fulminei, distrugge lo spazio che ci separa raggiungendomi. Mi afferra la testa con entrambe le mani e, fronte contro fronte, pianta i suoi occhi viola dentro i miei. Il tono adirato che gli esce dalle labbra contrasta pesantemente con la dolcezza del gesto che ha appena compiuto:
< E secondo te, stupido coglione, io non voglio esattamente la stessa cosa?!>
Rimango a guardarlo in silenzio come un povero idiota. Sento gli angoli degli occhi bruciare, così come il palpitante desiderio di trovare conforto nel contatto umido con la sua bocca bellissima. Vorrei baciarlo – dovrei baciarlo – rimangiarmi tutto quanto e porre così fine alla questione!
< E allora perché non fai qualcosa?> gracchio invece con voce bagnata.
< Perché non posso fare niente!>
< Non è vero; è una cazzata…>
< Fottiti, Xerxes > impreca lui, scostandosi da me. < Smettila per un momento di fare la parte della fidanzatina offesa e cerca di ragionare. Cosa credevi, dannazione?! Che i nostri parenti sarebbero stati d’accordo? Che una volta usciti da Hogwarts saremmo potuti andare ad abitare insieme in una bella casa sul mare e avremmo vissuto per sempre felici e contenti, come nelle fiabe? Beh, cerca di darti una svegliata, allora, perché questa possibilità non è mai stata contemplata! Siamo entrambi gli unici figli maschi delle nostre famiglie, non abbiamo nessuna possibilità di scegliere. E, credimi, l’unico motivo per cui tu non sei stato ancora appioppato a qualcuna, è che tua madre non trova cinque minuti del suo prezioso tempo per levare la sua bella testolina dall’organizzazione di qualche convegno!>
Lo stomaco mi si contrae così dolorosamente che abbasso il capo per accertarmi che Tristan non mi abbia piantato un pugno in mezzo al torace.
La parte razionale della mia testa ammette che non ha detto cose sbagliate, anzi che probabilmente è la prima volta che gli sento fare un ragionamento corretto e coerente. Ma il mio cuore batte così forte contro il petto che sembra voler nascondere quella vocina impertinente sotto il suo battito rumoroso. Per tutto il tempo che siamo stati insieme non ho mai pensato all’idea di un futuro serio per noi due, lo ammetto. Ho trascorso quell’anno e mezzo prendendo solo ciò che lui voleva darmi e quando voleva darmelo, come veniva: non mi sono mai preoccupato di pensare alla direzione che le nostre strade potrebbero prendere, una volta abbandonati i confini sicuri della scuola.
Non ho mai preso in considerazione l’idea che lui possa deviare dalla mia strada.
Non ho mai pensato a un futuro serio per noi due…e ora quella stupida lettera me lo fa desiderare come non mai!
Ciò che fa più male, però, non sta nel freddo panico che questa nuova consapevolezza mi ha provocato. Bensì nel capire che potrebbe essere una cosa che desidero soltanto io…
Continuo a tenere lo sguardo basso. Il dolore allo stomaco sale verso la gola e mi fa provare un’orribile sensazione di soffocamento.
Non riesco più a stare qui. Non riesco più a sopportare la sua presenza.
Il primo passo per allontanarmi dalla balaustra è il più difficile, è come se il mio intero corpo avesse deciso di restare dov’è senza chiedermi nemmeno cosa ne penso al riguardo. Procedo un po’ impacciato ma riesco a fare almeno una decina di passi, prima che Tristan mi squadri da capo a piedi e mi chieda:
< Dove vai, adesso?>
Borbotto qualcosa nella sua direzione, così fievole e così confuso che persino io faccio fatica a capire che cosa mi sia uscito dalle labbra. Invece lui sembra averlo sentito benissimo perché la sua espressione si accende ancora e mi viene contro nuovamente. Non mi tocca né mi sfiora eppure la sua espressione mi fa temere che stavolta possa davvero arrivarmi una poderosa testata in mezzo alla faccia.
< Cosa hai detto?!> ulula.
< Ho detto…ho detto…> biascico inizialmente. Poi qualcosa scatta: non so se è solo una risposta istintiva al suo atteggiamento aggressivo o la mia dignità che si è stancata di essere trattata come una pezza da piedi. Fatto sta che quando ricomincio a parlare sto urlando: < Ho detto che non voglio averti davanti agli occhi un minuto di più! Ho detto che finalmente ho capito che non ti importa nulla di me, di no…non ti importa di niente! Non te n’è mai importato.>
Mi mette un dito davanti alla faccia in modo ostile. Ha uno sguardo furibondo e lo vedo prendere un profondo respiro, prima di rispondere:
< Non ci provare, Xerxes! Non ti permetto di dirmi una cosa del genere. Se c’è qualcuno a cui non è mai importato nulla di questa relazione, quello sei tu. Io – per te! – non mi sono fatto problemi a raccontare ogni cosa alla mia famiglia, di guardare in faccia mio zio Deonne e di dirgli che, se non gli andava bene, poteva benissimo andare a prenderlo nel culo! Io l’ho fatto. E tu?! Nemmeno hai preso in considerazione l’idea di parlare di me a tua madre.>
Nell’esatto momento in cui me ne parla, mi torna alla mente quel piovoso pomeriggio dello scorso Luglio in cui me lo sono ritrovato senza preavviso nel bel mezzo della grande biblioteca di casa mia, fradicio e sorridente. Io mi ero svegliato la mattina precedente con parecchie linee di febbre e avevamo passato il resto della giornata chiusi in camera, lui che parlava e parlava e deponeva lunghi baci sul lato del mio collo e io che cercavo di afferrare maldestramente ogni sua parola.
Ora ricordo che mi aveva raccontato qualcosa al riguardo. Qualcosa su un furibondo litigio scoppiato fra lui, i suoi genitori e il tanto vecchio quanto temuto prozio Deonne Carrow che, sebbene fosse un suo parente di secondo grado e non si fosse nemmeno costruito un nucleo famigliare proprio, aveva in qualche modo ottenuto il potere decisionale su tutta la casata. E ricordo anche la furtiva ansia che mi aveva asfissiato per il resto delle vacanze estive, temendo che da un momento all’altro una delegazione dei Carrow facesse una visita di cortesia a mia madre per informarla del problemino che accomunava i loro figli.
Probabilmente quest’accordo prematrimoniale così sbrigativo è dovuto anche a questo.
< Forse perché hai ragione tu > mormoro. Purtroppo la considerazione precedente non fa in tempo a raggiungere il mio cervello, rallentata com’è dalla mia rabbia e dal mio rancore: < Forse non mi importa poi un granché di questa relazione.>
Tristan socchiude appena le labbra: i suoi occhi viola sono sporcati da un’espressione ferita che mi lacera il petto. Mi osserva smarrito per un secondo, come se non mi riconoscesse; come se non potesse davvero credere che quelle parole siano uscite proprio dalla mia bocca! Ma si riprende subito dopo, lo sguardo indurito e glaciale.
< Forse non importa un granché ad entrambi > dice infine.
Fa un paio di passi all’indietro, poi mi volta le spalle e raggiunge la propria scopa, agguantandola dal punto in cui l’aveva abbandonata poco prima.
Raggiunge la balaustra e salta dall’altra parte.
Nel vuoto.
Senza dire altro.
E in cima a questi spalti, al di sopra dei fischi del vento, posso perfettamente sentire il suono del mio cuore che lo segue e si getta a sua volta, schiantandosi sull’erba del campo da Quidditch.

 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE.
 
*Latis festeggia la propria puntualità nella pubblicazione del secondo capitolo con una generosa dose di Pandistelle. Dolohov cerca di rubargliene uno e lei si mette a ringhiare*
 
Ciao di nuovo a tutti!
Se avete letto il primo capitolo di questa breve long siete delle brave persone; se poi siete anche arrivati alla fine del secondo capitolo siete degli eroi! Ciò comporta che se arriverete all’Epilogo diventerete una sorta di semidei, ma sorvoliamo XD
 
Allora, che dire?!
Ho un paio di considerazioni, in effetti.
 
LOLLY. Questo termine io l’ho utilizzato come una sorta di soprannome tenero che Tristan appioppa al povero Xerxes, perché viene tradotto come “lecca-lecca” o “zuccherino”. Ma non so se è effettivamente un nomignolo usato. Mi sono presa la libertà di utilizzarlo come tale: al massimo, cosa rischio?! Che la Regina Elisabetta mi faccia venire a prelevare per rinchiudermi nella Torre di Londra? Ma andiamo!
*bussano alla porta*      o__________O
 
 
TRISTAN. Si parliamo un po’ di lui! Spero che non sia risultato troppo sgradevole, ma era mia intenzione renderlo un po’ volgare: in fin dei conti, è padre dei futuri Alecto e Amycus e quest’ultimo sputerà dritto in faccia alla McGranitt. Insomma, qualcuno la maleducazione gliel’avrà pure insegnata, no?! XD
 
XERXES. Parliamo anche del mio patatino. Oltre alle pene d’amore, Xerxes ha decisamente altri problemi che riguardano un certo futuro Signore Oscuro. Chissà che ricerca dovrà mai fare per il nostro amabilissimo Tom? Qualcuno ha qualche idea?!
Tranquilli: si scoprirà tutto nel prossimo capitolo.
E A PROPOSITO DEL PROSSIMO CAPITOLO, rullo di tamburi, prego…
*Rosier e Yaxley provvedono all’accompagnamento sonoro*
…sono orgogliosa di informarvi che nel terzo capitolo ci sarà una favolosa comparsata dei nostri piccioncini preferiti: TOM E PHOEBE!
*Phoebe lancia coriandoli, mentre Tom cerca disperatamente un impegno improrogabile nel suo diario*
 
E con questo è tutto, bella gente ^^
Ringrazio tutte le persone che hanno messo la storia nei preferiti e nelle seguite e chi ci ha semplicemente dato una sbirciata.
Un ringraziamento particolare a chi ha commentato: le mie fedelissime SANTA VIO DA PETRALCINA, ERODIADE, ENIDE E MAYA_POTTER. Grazie mille :)
 
Come sempre, spero che la lettura sia stata di vostro gradimento.
Alla prossima!
Un bacio. Latis.
   
 
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