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Autore: MissNothing    05/03/2013    4 recensioni
«..Ti salvo io.» Esordì timidamente il più piccolo, e se non fosse più o meno sicuro di non averlo mai granché fatto in vita sua, avrebbe potuto giurare di essere arrossito. Era difficile fare considerazioni quando Gerard era così, perché le situazioni di sbocco erano tre: o finivi per sentirti un completo idiota, o finivi per sentirti un completo genio, o, come era accaduto poco prima in via straordinaria, finivi a letto con lui. Frank sperava in un misto fra le ultime due, ma d'altronde non c'era da biasimarlo. «Quanto potrà mai essere difficile?» Domandò, chiedendo mentalmente a sé stesso se mai la sua voce fosse suonata così stridula in vita sua, se mai le sue gambe fossero state così intorpidite, se mai si fosse sentito così lontano dalla realtà e dalla concretezza che lo circondavano.
[Dall'inizio, una storia il più realistica possibile.]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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14. 'Cause I've always been stronger than that, hold the weight of the world on my back


 

Avete presente quelle situazioni in cui cominciate a parlare, parlare, parlare, ma onestamente non avete alcuna idea di cosa stiate dicendo? Quelle situazioni in cui le parole cominciano ad ammassarsi l'una sull'altra, alcune perdono importanza, altre che di solito si sarebbero ignorate cambiano invece l'intero significato del discorso, altre che in teoria sapete che dovreste tenere per voi vi solleticano letteralmente le corde vocali e fremono dalla voglia di uscire?

Ecco, Frank ricordava tutto quello. Non ricordava cosa avesse detto, ma ricordava di aver sicuramente detto qualcosa che lo aveva fatto incazzare da pazzi. Fin lì andava tutto bene. Ricordava di aver avuto quella grandissima faccia di cazzo davanti a lui e di essere stato particolarmente incazzato e ubriaco. Poi ricordava che, dato che certi concetti non si possono esprimere con nessun “vaffanculo” al mondo, gli aveva letteralmente sputato in faccia. Così. Tanto per.

Poi ricordava gli sguardi indignati di tutta quella gente che in quel momento lo credeva come una specie di pazzo, un eretico, come un ebreo che aveva appena preso a calci nelle palle un nazista, come se Frank fosse paragonabile al nulla solo perché si era permesso di dissentire, di esprimere lo schifo che provava nei confronti di Bert McCracken. Poi ricordava come si era sentito vivo prima di ricevere un pugno in pieno volto; ricordava il modo in cui il cuore aveva cominciato a battergli più forte di quanto non avesse mai fatto e le vene sembravano pulsargli sotto la pelle, il modo in cui era perfettamente consapevole che stessero per picchiarlo -e anche forte-, eppure più di tutto ricordava il modo in cui era stato lì, aspettando semplicemente di prenderle, e ogni volta che rivedeva la scena nella sua mente si sentiva sempre meglio. Sempre più vivo. Come se, dopo anni di vita, fosse stato spedito sulla terra solo in quel momento. E ci fosse arrivato a calci in culo.

Ricordava la forza del primo pugno che aveva ricevuto, premeditato e fin troppo ben assestato, la paradossale morbidezza della mano di Bert e ricordava perfettamente il momento in cui era finito a terra e aveva chiuso gli occhi. Ricordava le luci soffuse e i volti appannati quando li aveva riaperti brevemente e ricordava l'istante in cui tutto aveva preso a girare e si era arreso di nuovo al buio. Ricordava tutti i calci nelle costole, ricordava le risate degli altri e ricordava vividamente il momento in cui aveva desiderato di poter perdere conoscenza.

E un po' era quello che si aspettava, quando faceva a botte: si aspettava di svegliarsi all'ospedale e non ricordare nulla come era sempre stato. Infondo se l'era cercate, ed era proprio quello che desiderava- insomma, non andava semplicemente a sputare in faccia a uno di cinque centimetri più altro di lui perché in quel momento gli girava così.

Ed il primo pugno era stato fantastico, finire a terra era stato fantastico, ma sbattere ripetutamente la testa contro il cemento lo era stato un po' meno. Quando aveva cominciato a sputare sangue, poi, aveva simultaneamente cominciato a sperare di poter semplicemente chiudere gli occhi, ignorare il dolore, e far finta che non ci fosse nessuno lì. Far finta che non si fosse creata una folla di accaniti spettatori senza palle che preferivano guardare ed esprimere versi di sdegno piuttosto che agire e far finta di non sentire le loro voci. Se fosse stato in condizioni di parlare li avrebbe mandati tutti a fare in culo. E okay che si era sentito vivo, che aveva cercato un po' di adrenalina, ma aveva smesso di sentirsi così “vivo” e carico proprio nel momento in cui aveva pensato che sarebbe morto così.

Poi però ricordava di aver sentito una presa, e a quel punto si era aggrappato ad essa: perché c'erano mille voci che gli dicevano che forse non avrebbe dovuto fidarsi di nessuno, in quel momento, soprattutto perché non riusciva granché a mettere a fuoco il volto dello sconosciuto che lo stava tirando via e volendo avrebbero potuto portarlo nel bosco più vicino e lasciarlo lì a crepare, ma a quel punto la cosa peggiore era proprio la possibilità che chiudesse gli occhi e non li riaprisse più, e a quel punto aveva già metabolizzato l'idea. Non aveva mai pensato che si sarebbe mai arreso così facilmente al fatto che forse sarebbe morto, se nessun l'avesse aiutato, eppure eccolo lì che valutava se la prospettiva di essere mangiato da un qualche animale mentre era paralizzato fra l'erba fosse migliore di quella di morire per mano di quel coso-Mc-comecazzosichiamava: e non c'era dubbio, pensare che sarebbe morto senza nemmeno ricordarsi cosa avesse detto per meritarselo era decisamente peggio.

A due giorni di distanza dall'accaduto, continuava a non avere la minima idea di quale affronto così tremendo il suo cervello fosse stato capace di partorire per dare un buon motivo a quel cazzone cavernicolo di ridurlo in quello stato. Frank non era proprio morto, ma sicuramente ci era andato vicino. Sicuramente la morte era qualcosa di simile non solo a quello che aveva provato quella sera, ma anche allo stato in cui si trovava in quel momento.

Era steso nel suo scompartimento da due giorni interi. Gli unici motivi che lo avevano spinto anche solo a muoversi erano le cuffie dell'mp3 che gli scivolavano via dalle orecchie, la bottiglia d'acqua che finiva troppo velocemente e la vescica che chiedeva di essere svuotata. Nient'altro. Passava il tempo fissando il nulla. E sapeva perfettamente che quello non era lui.

Ogni volta che lo chiamavano diceva di non sentirsi bene: il primo giorno aveva pensato che forse, se nessuno si faceva problemi a credergli, era solo perché era sempre stato uno che si ammalava facilmente. Adesso però aveva avuto un'altra nottata per riconsiderare tutto e cominciava a pensare che magari, molto più semplicemente, non fregava un cazzo a nessuno. Ecco tutto.

E fu per questo che, quando sentì dei passi avvicinarsi nella sua direzione e vide effettivamente Ray entrare nel suo scompartimento e mettersi a sedere dal lato opposto rispetto a quello dove lui aveva poggiato la testa, rimase.. stupito? “Stupito” non era la parola adatta perché se ti isoli per due giorni interi e uno dei tuoi migliori amici ti viene a cercare non c'è nulla di cui “stupirsi”. Era forse un po' più sorprendente nel suo caso, dato che aveva passato qualcosa come dodici ore ad auto-convincersi che lo odiasse, però era okay. Nonostante non stesse dicendo una singola parola andava bene. Anche solo avere qualcuno che gli stesse vicino era perfetto, quindi rimase fermo, anche lui in silenzio, e chiuse gli occhi. Perse la cognizione di tutto: non aveva idea di quanto tempo avesse passato così e né voleva scoprirlo. Quel che sapeva sicuramente, però, era che era proprio sul punto di addormentarsi nel momento in cui sentì Ray tirargli via le cuffie e strattonarlo con poco contegno.

Aprì pigramente gli occhi e sbuffò, stropicciandosi il volto con l'intero palmo della mano.

«Frank, è un'ora che ti chiamo.» Disse, e in quel momento fu piuttosto strano sentire dopo due giorni la voce di un qualche essere umano che non fosse accompagnata da una base musicale e non provenisse dalle sue auricolari. Frank deglutì, mettendosi a sedere con le gambe strette al petto. E ora? Ora era ancora zitto. Ed era a disagio. E, soprattutto, non capiva cosa gli fosse successo per cambiare così radicalmente: era sempre stato più forte di quel che gli succedeva, ma c'era poco da fare in quel momento. «Frank

«Cosa.» Chiese, sbuffando dall'esasperazione che provava nei suoi stessi confronti. Si stupì del suono della sua voce: erano due giorni che non parlava e di conseguenza non la sentiva, e ora gli sembrava tutto nuovo, come se fosse stato rinchiuso in una qualche campana di vetro per tutta la sua vita e ne fosse stato appena liberato, come se avessero alzato improvvisamente il volume della radio e fosse tutto amplificato per cento. Tossì due volte per mandar via quella strana sensazione che aveva in gola e osservò l'altro scuotere il capo, manco avesse fatto qualcosa di male, manco si aspettasse un qualche tipo di risposta anticipata ad una domanda che non aveva ancora fatto.

«Hai qualcosa da dirmi?» chiese, e Frank aggrottò le sopracciglia.

In effetti erano tante le cose che aveva da dirgli, ma optò per l'opzione più facile: il silenzio.

«Dovrei?» Chiese con il tono di voce più casuale di sempre, come se non fosse perfettamente consapevole del fatto che gli stesse nascondendo un centinaio di cose. Frank sapeva di essere il peggior amico di sempre sotto quel punto di vista, ma allo stesso tempo sapeva che certe cose non poteva semplicemente spiegarle se non le aveva ancora capite. Come gli avrebbe potuto spiegare perché si era fatto prendere a pugni da quel coso se non lo sapeva nemmeno lui? Come avrebbe potuto spiegargli la fitta di gelosia che lo aveva preso ogni volta che aveva sentito Gerard difenderlo mentre era ancora in stato confusionale e teneva premuta contro l'occhio una busta di fagiolini surgelati? Cioè, in tutta onestà, come poteva spiegare al tuo migliore amico che credeva lo odiasse?

«Non ricord- non ricordi niente.» Constatò, balbettando la frase prima con tono di domanda e poi, per intero, come affermazione. Frank in effetti non ricordava niente, ma non sapeva fino a che punto desiderava che qualcuno gli rinfrescasse la memoria. L'occhio nero faceva già abbastanza male di per sé, figuriamoci poi se si fosse ricordato anche che cosa aveva fatto per meritarlo.

«No.» Deglutì rumorosamente, sentendo all'improvviso quello strano peso all'altezza del petto che senti quando sei in ansia e sai che sta per arrivare. Sai che fra qualche secondo potrebbero ribaltarti completamente e non sai se sarai a terra oppure ti riuscirai a rialzare dal limbo del momento perché in effetti non sai nemmeno fino a che punto ti convenga sapere la verità. E infondo cos'era quella sua morte momentanea se non il suo modo di rimanere impassibile di fronte a ciò che lo circondava e rifiutarsi di vedere la verità?

«E vuoi che te lo racconti?» Ray domandò, come se a quel punto non lo avesse incuriosito abbastanza da fargli desiderare di sapere di più e ci fosse davvero il bisogno di assicurarsene. Frank si strinse nelle spalle nel tentativo di celare ansia ed entusiasmo e rimase zitto, mettendosi seduto con le gambe strette al petto e sopprimendo i versetti di dolore che lo pregavano di uscire per colpa di quel movimento brusco. «Forse stai decisamente meglio adesso che non lo sai.» Disse dopo una lunga pausa di riflessione e dopo un momento in cui gli era sembrato che stesse per parlare, e fu lì che Frank cominciò seriamente a preoccuparsi.

«Non può essere così male.»

«Diciamo che è cinque tipi diversi di malignità.»

«Parla.» Replicò Frank, tono più intimidatorio possibile per uno che era nelle stesse condizioni di un orfanello denutrito. Poi cominciò a sentire il battito del suo cuore accelerare così tanto che gli rimbombò anche nelle orecchie, ed era più o meno sicuro che stesse già cominciando a subire le conseguenze di almeno due dei cinque tipi di malvagità che l'altro aveva nominato prima. O qualcosa del genere.

«Oh mio Dio, Frank..» Cominciò. «Partiamo dal presupposto che stavi da cani, perché quell'amico di Mikey- quel tipo.. Wentz, credo, ti ha fatto portare un numero non meglio definito di drink perché secondo lui avevi “bisogno di scaricare la tensione”..» Frank si parò il volto con le mani. Era consapevole del fatto che tutte le peggiori storie cominciassero così. Ne era perfettamente consapevole. «E andava tutto bene, cioè, okay che lo hai chiamato amore e avete.. ballato, credo? Eravate in piedi su delle sedie, comunque.» Ray si fermò a ridere e Frank si fermò a metabolizzare il suo imbarazzo. Dal semplice essere devastati al ballare con Pete Wentz c'era una sottile linea e lui sapeva di averla appena oltrepassata e di averci apparentemente ballato sopra. «Comunque poi sei uscito fuori da solo perché “volevi una boccata d'aria fresca”..» Disse Ray, mimando due virgolette. «E da quello che racconta in giro, Bert dice che lo stavi guardando- cioè, cazzo, ti rendi conto dei problemi che deve avere questo coglione?» Frank prese a mordersi le unghie. Cominciava a ricordare, e più i flash gli passavano per la testa, più aveva paura di cosa avrebbero potuto rivelare una volta collegati l'uno all'altro. «Ti si è avvicinato, e..» Ray si fermò, e immediatamente qualcosa nel suo tono da cantastorie e nel suo volto relativamente calmo e rilassato cambiò. Frank si inumidì le labbra spaccate e sentì lo stesso sapore di sangue di quella sera. Avrebbe voluto tapparsi le orecchie. «Io non lo so che cosa abbia detto precisamente, ma da quel che ho capito non c'era bisogno che lo fissassi perché “non è colpa sua se sei una ragazzina checca con una cottarella che non è capace di accettare il rifiuto di una persona a cui fa schifo”.» Disse, e calò il silenzio. L'espressione del più piccolo fra i due era completamente vuota. Nulla. Non c'era nulla nei suoi occhi o nella curvatura delle sue labbra che potesse anche solo minimamente tradire un qualche tipo di emozione. Forse Frank era di per sé vuoto, e l'anima di una persona non è semplicemente qualcosa che puoi riempire di parole e frasi fatte, quindi rimase zitto. «Poi gli hai detto qualcosa su quanto ti facesse schifo, precisamente non lo so. E gli hai sputato in faccia.» Concluse l'altro, magari in un tentativo fallito di smuoverlo e di ottenere una qualche risposta, ma niente. Niente oltre un breve e appena sussurrato “okay”, seguito da un “grazie” ancora più flebile.

«Chi è che mi ha portato via?» Domandò solo dopo almeno cinque minuti di nulla.

«Wentz. Si sentiva in colpa perché crede che, probabilmente, se non ti avesse fatto bere non avresti fatto nulla di tutto.. quello. Ma io dico che né è colpa tua se quel Bert ha dei seri problemi a contenere la sua rabbia e né è colpa tua se sei innamorato, no?» A quelle parole gli si bloccò il cuore in petto. Solo in quel momento lo sfiorò la consapevolezza che adesso Ray sapeva. E che probabilmente anche Mikey e Matt sapevano. Che adesso praticamente chiunque poteva saperlo, Gerard compreso. E la parte peggiore di quella situazione era che lo aveva capito quel cavernicolo e lui no. Ci era arrivato Bert che lo conosceva da tre o quattro giorni e Gerard, che conosceva praticamente dal momento in cui cominciavano gli unici ricordi precisi che aveva della sua vita, ancora non riusciva a rendersene conto. Qualcosa dentro di lui si risvegliò: non era più vuoto perché adesso poteva dire di essere completamente distrutto. Schiacciato dal peso di sé stesso.

«Mi dispiace se non te l'ho mai detto.»

«Ognuno ha i suoi segreti.» Si strinse nelle spalle il più grande. Silenzio. «E tu hai scelto il peggiore, coglione.» Riprese, dandogli uno schiaffo amichevole in testa e ridendo. Frank non sapeva proprio in che modo ci riuscì, eppure sorrise. Un minimo, ma era pur sempre un inizio. «Avremmo potuto.. fare qualcosa.»

«Minacciarlo?»

«Qualcosa del genere. Saremmo entrati in casa sua con i passamontagna.»

«Immagino che a questo punto avremmo già fatto grandi progressi.» Sbuffò Frank, rimboccandosi le coperte e stendendosi nuovamente dopo quei dieci minuti di puro dolore che gli aveva provocato lo stare seduto. Cominciò a chiedersi quando quei dannati lividi sarebbero scomparsi, e, soprattutto, se magari fosse il caso di vedere un vero medico, uno che non facesse parte dello staff del Warped Tour, perché cazzo, persino il tocco di un polpastrello per anche solo un secondo gli faceva inarcare la schiena dal dolore e digrignare i denti per bilanciarlo equamente.

«Aspetta, cazzo, non hai ancora sentito la parte in cui arrivi e lo salv-»

«Credo di aver scoperto il tuo segreto.»

«Eh?» Domandò Ray, l'espressione più confusa di sempre stampata in volto.

«Sei uno sceneggiatore di telenovele argentine.» Rispose Frank, combattendo contro l'istinto di ridere sia per il dolore che sentiva ogni volta che lo faceva (sul serio, era come se i polmoni gli sbattessero contro una parete fatta di aghi), sia perché avrebbe rovinato il tono della battuta. Si morse il labbro mentre l'altro rideva, trattenendosi, e improvvisamente Ray schioccò le dita come se si fosse ricordato di qualcosa di importante.

«Oh! Ora che mi ci fai pensare, che cazzo hai fatto a Jamia?»

«Jam- chi?» Chiese Frank, sentendo la sua voce aumentare di qualche ottava. L'ultima cosa che gli serviva erano altri problemi. E tra l'altro, qual'era il nesso fra una telenovela argentina e la sua vita? Stupido Ray.

«Jamia. La nostra tecnica del suono. Qualche sera fa usciva di qui piangendo e ora non ti vuole più parlare.» Disse, e in quel momento, dopo aver brevemente pensato un “non che mi avesse mai parlato” con il tono mentale più stronzo di sempre, Frank, battutine a parte, capì con un brivido a chi si riferisse. La ragazza del sorriso.

Jamia. Jamia? Jamia.

Quelle cinque lettere non sembravano voler trovare la porticina “uscita” del suo cervello, e Frank, in quel momento, si rese conto che un nome non era quello che voleva. Non voleva la storia della sua vita, né scoprire improvvisamente che forse avevano più legami in comunque di quanto pensasse, né voleva sentirsi obbligato a frequentarla solo perché a quanto pareva era un'amica di amici: quella sera lui l'aveva voluta per quello che conosceva di lei, che fosse poco e niente non importava, ed era finita lì. E sembrava così anche per lei, onestamente, perché non aveva perso tempo prima di rivestirsi e andarsene, e Frank ora ne era sicuro: non aveva colpa. Zero. Quei sensi di colpa che lo stavano affogando erano completamente inutili e ingiustificati, e soprattutto in quel momento non credeva davvero di meritarseli. Maledizione.

«E' subito andata via, non pensavo le importasse..» Disse, abbassando gradualmente il tono di voce quando vide Ray sbuffare e scuotere il capo come per dirgli che non aveva veramente speranze. Se non era proprio capace di cavarsela con i rapporti umani, potevano mai fargliene una colpa?

«Le piaci da anni.»

«Non c'era modo in cui potessi saperlo.»

«L'hai fatta piangere.»

«Mi dispiace..» Ed era vero, okay, non riusciva nemmeno a mettere in parole il dispiacere che provava in quel momento, ma soprattutto non riusciva a immaginare la stessa ragazza che gli aveva fatto rivalutare interamente gli stessi rancori che si portava dietro da anni con un solo sorriso mentre piangeva. Era assurdo. Era come se l'intero ideale di amore che si era creato in quei giorni gli stesse crollando addosso pezzo per pezzo, come se tutte quelle certezze che aveva acquisito avessero improvvisamente perso senso. E sapere che poteva fare quell'effetto ad una persona, poi, era qualcosa da fantascienza.

«Non importa, Frank, al massimo.. non so, prova ad uscirci qualche volta, non è come tutte le ragazze, davvero, e non puoi stare ad aspettare qualcosa che non sai se mai arriverà, okay, io- non te la prendere, lo dico per.. per te.» Frank annuì. Eccome se lo sapeva che “non era come tutte le altre”, ma questo non lo faceva sentire più sicuro riguardo l'ipotesi che avrebbe potuto effettivamente provare ad uscirci insieme. Da un lato Ray aveva ragione: stava passando una vita intera a sperare che qualcosa succedesse, che qualcosa dentro Gerard si smuovesse e che finalmente capisse che se voleva davvero qualcuno che lo amasse, allora forse non si era mai davvero scomodato a cercarlo, dato che ce l'aveva sotto il naso ogni santissimo giorno e ancora non lo aveva capito. Stava passando il tempo a guardare mentre quest'ultimo gli scorreva davanti, e non sapeva più come uscire dal circolo vizioso. O meglio, ci provava, ma più ci provava -così come ci aveva provato con Jamia, così come ci aveva provato con la scazzottata-, peggio andava.

«Ci penserò, okay?»

«E' un inizio.» Ray gli diede una pacca sulla spalla, e con un sorriso se ne andò.

E Frank stava annegando nella sua stessa testa.

 

**

 

Questo capitolo è cortissimo. Sul serio.

E chiedo veramente scusa, scusa, scusa a tutte voi per il tempo che ci ho messo a scriverlo.

La verità è che non so, semplicemente non riuscivo a far nulla di meglio e allora mi sono detta che la situazione non sarebbe migliorata e boh, ecco qui.

So che molte di voi rimarranno tipo.. deluse, credo, da come sta continuando questa storia (?)

Il punto è che non so dove sto andando a parare e in relazione a quanti ne ho già postati mancano veramente pochi capitoli e addirittura alcune di voi mi hanno chiesto di un ipotetico seguito, cioè, no, non ho proprio idea, davvero.

Quindi, umh, la fine si approccia ed io sono sempre più in balia della scuola e delle mie crisi di ispirazione (che poi cazzo dico, alla fine sono solo attacchi nervosi <3), mi scuso nuovamente!

Il titolo del capitolo è preso da “Love, selfish love” di Patrick Stump (<3<33<<33<33<<3<3<3), e si ringraziano i Crystal Castles che mi inquietano quel poco che basta per farmi mettere a scrivere.. o farmi venire la folle idea di postare un capitolo a cui mancava una parte intera.

Un grazie gigante che a parole non si può nemmeno scrivere, ciao. <3<3<3<3

   
 
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