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Autore: Lorelaine86    06/03/2013    1 recensioni
Lei sbatté le ciglia, posando le mani sui fianchi, una gamba morbidamente piegata davanti all'altra.
«Perché?» domandò, il ritratto stesso dell'innocenza. «Le sembro il tipo che può creare guai?»
In quel preciso momento seppi che stavo sbagliando tutto e che prima o poi avrei pagato caro quell'errore. Non avrei mai dovuto lasciarmi convincere da quella donna. Non avrei mai dovuto investirla, accidenti a lei. «Come una bomba a orologeria» risposi in tono truce. «Vorrei soltanto sapere quando ha intenzione di esplodere»
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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CAPITOLO BETATO DA  Amy Dickinson

«Come sarebbe a dire niente?», abbaiai nel ricevitore, mentre buttavo via con gesti frenetici gli abiti ancora stazzonati per l'acqua. Il telefono portatile incuneato tra la spalla e la mandibola, aprii l'armadio e presi un altro vestito, più scuro di quello che mi ero tolto. «Deve esserci qualcosa su di lei!»
«Niente. Uno zero assoluto», disse la voce di Charlie dall'altra parte del ricevitore. «In realtà, Alice Cullen non esiste.»
Eccome se esisteva. I miei vestiti bagnati ne erano una prova. E non solo quelli. Mentre mi infilavo una camicia pulita, lanciai un paio di imprecazioni colorite. «Che diavolo di storia è questa?», domandai perplesso.
«È quello che vorrei sapere anch'io. Tu che cosa credi?»
«Uhm...», borbottai. «Non ne ho idea.»
«È possibile che la tua bella lavori per lui? Le donne sono abili a mentire, Jazz. Più degli uomini.»
«Per lui? Butler? Negativo, Charlie. Non è possibile.»

Sentii un sospiro dall'altra parte del filo, che esprimeva tutti i dubbi di Charlie.
«Senti, devo andare adesso. Il rendez-vous è all'hotel Hilton, e sono maledettamente in ritardo. Voglio vedere che cosa succede.»
«Sta' in guardia, Jazz. Quella ti sta facendo fesso.»
«Ci sentiamo», tagliai corto togliendo la comunicazione.
Mi aggiustai la cravatta, mi infilai pantaloni e giacca e mi diedi una ravviata ai capelli. Maledizione, pensai guardando l'orologio. Quella vipera l'aveva fatto apposta? M'aveva bagnato da capo a piedi per impedirmi di seguirla all’Hilton? E quella storia di avermi fatto spogliare, allora? Puro divertimento, o una complessa strategia? A che fine? Non ero uno stupido. Non completamente, almeno. Sapevo quando nello sguardo di una donna c'era la scintilla del desiderio. Beh, nei suoi l'avevo vista, e molto brillante, anche. Ma il resto? Quel bagliore di pericolo, di intrigo, di sfida... A che cosa era dovuto? Rimpiansi di non
avere dato un'occhiata in casa sua, quando lei m’aveva buttato fuori del bagno nudo come un verme. Ma in quelle condizioni, come potevo ragionare lucidamente?
Mi fiondai fuori di casa e salii sulla BMW, partendo poi a tutto gas in direzione dell'hotel Hilton.

************

Mi sembrava di non essere mai stata così emozionata. Il cuore mi batteva forte quando dissi il mio nome al portiere. «Sono... Stata invitata dal signor James Butler», aggiunsi, cercando di nascondere il nervosismo. Che cosa sarebbe successo se lui si fosse dimenticato di dirlo e non fossi potuta entrare? Ma il nome magico mi fruttò un sorriso da parte dell'uomo, che mi si
inchinò lievemente.
«Prego.» mi aprì la porta e  mi trovai immersa in una folla elegante e rumorosa. Camerieri in livrea percorrevano i soffici tappeti con coppe di champagne e leccornie appetitose e stuzzicanti. Alle pareti, troneggiavano i manifesti della nuova campagna pubblicitaria di James Butler. Restai senza fiato dinanzi alle immagini provocatorie di tre adolescenti che indossavano biancheria intima giovanile. Non vi era nulla di osé, eppure quelle fotografie in bianco e nero, che sfumavano in pallide nebbie, avevano qualcosa di conturbante, più di un messaggio sessuale diretto.
Vorrei averle fatte io, quelle foto, pensai con ammirazione.
Potevo prevedere la polemica che ne sarebbe nata: James Butler accusato di pedofilia, di omosessualità, di perversione. E intanto, l'immagine sarebbe comparsa oltre che sui cartelloni anche su tutti i giornali, ne avrebbero parlato nei talk show e, se ci fosse stata anche una denuncia di qualche associazione, tanto meglio. La ditta produttrice della biancheria avrebbe
beneficiato in pubblicità e James Butler avrebbe intascato la sua solita parcella stratosferica, oltre ad aumentare ancora il suo livello di popolarità.
«Champagne, signorina?», domandò una voce.
Mi riscossi, girandomi a guardare chi avesse parlato. Un uomo  mi stava fissando con ammirazione, due bicchieri in mano e un'espressione interrogativa sul volto. «Vorrei poter dire di conoscerla, ma non credo di...»
«Oh, no. Non credo proprio che ci conosciamo», ammisi, accettando la coppa. «Mi chiamo AliceCullen. Sono... Stata invitata dal signor James Butler.»
«Edward Mansen. Piacere di conoscerla.»
«Mansen? Ho sentito parlare di lei», assentii. Quell'uomo era il copywriter dello studio James Butler. «Il piacere è mio.»
Edward sollevò un sopracciglio. «Davvero ha già sentito il mio nome? Pensavo di essere uno sconosciuto.»
C'era un velo di ironia nella sua voce che mi stupì.
«Oh, assolutamente no. Non si può restare a lungo sconosciuti se si lavora per James Butler!», dissi con entusiasmo.
Di nuovo, il sopracciglio si inarcò. «Lei crede?»
«Oh sì! Tutto questo è...» indicai i cartelloni appesi e feci roteare gli occhi. «... Fantastico. Geniale. James Butler è un genio.»
L'uomo aggrottò tutta la fronte questa volta. «In questa sala, la pensano tutti come lei.»
«Lei no?»
L'altro sospirò impercettibilmente. «Immagino di sì. Oh, ecco là il nostro eroe. Sta entrando ora. Il momento giusto per ricevere gli osanna generali.»
Percepii una nota di freddezza nella voce dell'uomo e gli scoccai una breve occhiata interrogativa. Sembrava quasi che fosse invidioso, e che nutrisse un segreto rancore. Ma non era difficile credere che un uomo come James Butler potesse generare tali sentimenti.
Come tutti gli altri presenti nella sala, non riuscii a tenere lo sguardo lontano dal nuovo arrivato. Un applauso accolse la sua entrata, poi una ressa di donne, curiosi e giornalisti gli si strinse intorno.  Notai che una donna bruna vestita con un abito da cocktail bianco mi stava avvicinando, facendo dondolare un bicchiere tra le mani.
«Bello spettacolo, eh?», domandò quando fu accanto a noi.
Edward Mansen le scoccò un'occhiata significativa, che faticai a interpretare, ma che era chiaramente di complicità. «Già.»
«Lei è una mia collega, si chiama Isabella Marie Swan», presentò Edward.
«Piacere. Alice Cullen. Anche lei fa parte dello staff di James Butler, allora?», chiesi con aria ammirata e un sospiro invidioso. «Immagino che sia molto stimolante lavorare accanto a
un uomo come lui.»
«Può giurarci», fu la risposta della bruna, che di nuovo scambiò un'occhiata con Edward. Sembrava che avessero un pensiero comune, e segreto, non particolarmente allegro.
«Lei è... Una nuova amica?», continuò la bruna. «Non credo di averla mai conosciuta.»
«Io...» sembrai incerta sulla scelta delle parole. «L'ho conosciuto da poco. Spero di poter lavorare con lui a un progetto...»
Isabella piegò la testa di lato. «Buona fortuna, allora.»
Di nuovo, guardò Edward. «Io me ne andrei. Visto che ho fatto atto di presenza...»
«Come preferisci», disse Edward, stringendosi nelle spalle.
La bruna fece una smorfia. «Non se ne accorgerà nessuno, no?»
Edward sogghignò. «Non credo.»
«Come pensavo.» Isabella fece vagare ancora una volta lo sguardo sui
presenti, poi scrollò le spalle in un gesto irritato. «Piacere di averla conosciuta, Alice. Chissà, magari ci si incontrerà di nuovo, se farà tutte le mosse giuste. Arrivederci, Edward.»
Quando se ne andò, rimasi a guardarla con aria perplessa. «Che cosa ha voluto dire con quella frase sibillina?», domandai a Edward.
«Oh, non ci faccia caso. Bella a volte ha il dente un po' avvelenato.»
«Beh, immagino che non siano tutte rose e fiori. Questo lavoro può essere anche... Stressante.»
«L'ha detto. In certi casi, molto stressante. Io ho una fame da lupi, che cosa ne dice di fare un salto al buffet, mentre tutta questa folla pende dalle labbra del grande uomo?»
«Accettato», assentii, lo champagne a stomaco vuoto stava dando qualche problema. Ancheggiando lievemente sui tacchi alti, il tessuto di seta verde che mi dondolava mollemente sui fianchi, lo seguii e mi lasciai riempire il piattino di tartine al salmone e al caviale. Ne stavo assaggiando una quando strabuzzai gli occhi e per poco il cibo non mi andò di traverso.
«Oh, Dio!», esclamai.
Sulla scala, appoggiato in modo disinvolto alla ringhiera, un abito asciutto e impeccabile, i capelli pettinati spavaldamente all'indietro, c'era Jasper.
Che diavolo ci faceva lì? Dannazione a lui e alla sua testardaggine.
«Qualcosa non va?», chiese Edward notando il mio disappunto.
Feci uno sforzo per inghiottire il boccone. «Oh, no, niente. Mi sono solo ricordata di un problema.» Poi, di nascosto, feci dei rapidi cenni nell'aria. Vattene! Vattene, per l'amor di Dio. Togliti di mezzo.
«Che genere di lavoro pensa di fare con James Butler?», volle sapere Edward continuando a mangiare tranquillamente.
«Vorrei lavorare a una nuova campagna pubblicitaria», risposi, un po' incerta. «Io... Penso di sottoporgli delle idee...»
Edward, che aveva vuotato il piatto, mi scoccò un sorrisetto strano. «Idee? Se ha delle buone idee, lui le apprezzerà senz'altro. È davvero abile nel valutare le buone idee.»
Di nuovo, quel tono ironico.
«Ne vuole delle altre?»
Non capii e lo fissai interrogativamente. «Tartine.»
«Oh, no, grazie. Non ho ancora finito queste.»
«Beh, io sì. La cosa buona di questi ricevimenti è che si mangia e si beve gratis.»  si servì di nuovo con abbondanza e riprese a mangiare.
Guardai sulla scala, e mi accorsi che Jasper era sparito. Possibile che se ne fosse andato? No, di sicuro non l'aveva fatto. Lo cercai intorno con lo sguardo, senza vederlo. In compenso notai James Butler che, liberatosi della folla che lo assediava, stava avanzando verso di me.
Il fiato mi restò in gola. Sembrava una sorta di divinità davanti alla quale il popolo si era prostrato. Un suo cenno era come una benedizione. Il piatto che avevo in mano quasi mi scivolò a terra.
Fu James a togliermelo gentilmente dalle dita. «Mangi queste porcherie, Alice?», mi domandò con un tono confidenziale e un caldo sorriso.
Sentii le gambe che cedevano. mi appoggiai all'indietro contro il buffet, ma James Butler mi prese sottobraccio in modo autoritario.
«Vedo che hai conosciuto il nostro Edward. Come va, Ed?», domandò, con un tono di condiscendenza che solo i grandi sanno avere.
Edward fece un cenno con il capo, la bocca piena di tartine, e James Butler gli assestò un colpetto sulla spalla. «Mangia pure quanto vuoi, è tutto gratis.» poi si voltò verso di me. «Questi ricevimenti mi annoiano, dopo i primi cinque minuti. Ce ne andiamo.» restai senza fiato. Non riuscii a dire né sì né no e mi lasciai pilotare da lui attraverso la folla. Sentii su di me lo sguardo di Edward, carico di disappunto, e notai altri sguardi di vario tipo: invidia, gelosia... Non mi sembrava di vedere molta benevolenza intorno. Probabilmente James Butler suscitava più ostilità di quanto avesse supposto.
Seguendolo come in trance, mi ritrovai fuori dell'hotel, a bordo di una limousine color argento guidata da un autista. «Dove... Andiamo?» domandai, piuttosto sbigottita. James Butler aveva recuperato al guardaroba il mio soprabito e la cartella che vi avevo lasciato.
«A casa mia, nel mio studio personale. Un posto tranquillo dove possiamo vedere il tuo materiale.» mi si avvicinò sul sedile, premendo la sua coscia contro la mia. «Ti sta bene questo vestito.»
Il complimento, sebbene piuttosto scarno, mi fece avvampare. Mi sembrava un grande onore che lui si fosse accorto del mio abito. «Grazie.»
Lui sorrise. «Non c'è di che. Raccontami qualcosa di te, Alice. Sembri ancora una bambina.» Non seppi capire se era un complimento, e se fosse contento della cosa. Dal modo in cui mi passò un braccio intorno alle spalle, però, giudicai che doveva trovarmi attraente. Cercai di scostarmi lievemente, con la scusa di una breve risata. «Di me? Non c'è molto da dire. Credo che troverebbe la mia vita tremendamente... Noiosa.»
«Non penso proprio. Una donna come te non può essere noiosa», disse lui galantemente. Si chinò lievemente e mi posò un lieve bacio sui capelli. «Perché continui a darmi del lei, tesoro? Vuoi mantenere le distanze?»
Chiusi gli occhi un istante. L'avevo creata io quella situazione, toccava a me gestirla. «Io... Sta succedendo tutto così in fretta... Troppo in fretta, per me.»
James Butler buttò indietro il capo e rise. Una breve risata piuttosto brusca.
«L'ho detto che sei una bambina.»
Non proprio, pensai. Ma lui poteva anche crederlo.
«Sai, tu mi piaci», proseguì lui, in modo piuttosto rozzo. Era un uomo abituato a prendere ciò che voleva.
 Sbattei le ciglia, con espressione confusa. «Sono lusingata. Lei è il mio maestro e io spero che le... Ti piaccia anche il mio lavoro.»
Tentai di riportarlo in carreggiata, battendo sulla cartella posata accanto a noi sul sedile.
James Butler fece un cenno con il capo. «Ora vedremo.»
Intanto l'auto aveva imboccato la rampa sotterranea di un garage, sotto una splendida palazzina circondata da un parco secolare. La porta si aprì automaticamente e la limousine scivolò all'interno, fermandosi subito dopo. L'autista scese per aprire la portiera e James Butler balzò a terra tendendomi poi la mano. «Andiamo.»
Lo seguii all'interno della casa attraverso una scala di legno, poi lungo un corridoio con il pavimento di marmo. Tutto lì dentro aveva l'impronta del lusso e della ricchezza.
«Tu abiti... Qui?» domandai, guardandomi intorno stupefatta.
«Ogni tanto», rispose lui. «Ho anche altri posti. Qualcosa da bere?»
«No, grazie, ho già bevuto anche troppo», risposi, pensando allo champagne. Non lo reggevo bene.
«Perché no?», insistette James andando a prendere una bottiglia. «Dobbiamo pure festeggiare la nostra collaborazione, no?»
Il cuore mi batté più forte. «Ma... Non hai ancora visto il mio lavoro...».
Lui mi venne accanto, porgendomi un bicchiere colmo. «È un vino dolce che faccio venire apposta dalla Francia. Devi assaggiarlo.»
Mi sentii soggiogata da quello sguardo intenso e penetrante. Sospettavo che ben poche persone riuscissero a opporsi a quell'uomo.
Presi il bicchiere, e mi bagnai appena le labbra. «Uhm... Buono.»
«Sono contento che ti piaccia.» mi fece cenno di sedere accanto a lui sul divano di pelle. «Vieni qui.»
«Non dovevamo andare... Nel tuo studio?», domandai.
«Oh, nessuno ci disturberà a quest'ora.»
James si sporse e m’afferrò per un braccio, tirandomi verso di sé. Per poco non rovesciai il vino. Posai il bicchiere sul tavolino e presi in fretta la cartella. «Oh, beh... Quand'è così», dissi, aprendola e cominciando a tirare fuori le fotografie. «Ti mostro il mio lavoro qui.»
Quasi subito l'attenzione di James si spostò da me al lavoro. Esaminò le foto in silenzio, guardò gli schizzi e i disegni realizzati al computer e infine fece schioccare la lingua in un gesto di apprezzamento.
«Uhm... Come immaginavo.»
Io trattenevo il fiato. Tutto il resto era stato una specie di gioco, questa era l'unica parte seria dell'intera faccenda.
«Come... Le trovi?»
Lui fece un grugnito. «Non c'è male. Davvero niente male.»
Mi sentì prossima allo svenimento. Hai visto, signor  Newton? Pensai, in un impeto di orgoglio professionale.
«Quanto alla campagna dei cosmetici», mi affrettai a dire, senza lasciargli il tempo di cambiare argomento, «io avrei già una proposta.»
Quasi senza accorgermene, James si era allontanato. In quel momento non mi sfiorava neppure, tuttavia mi guardava con concentrazione.
«Avanti», mi incoraggiò. «Racconta.»
Mi passai la lingua sulle labbra. Quello era il momento di giocarmi il tutto per tutto. Con parole dapprima impacciate poi sempre più sciolte e vivaci, gli parlai di quello che aveva pensato e di come intendevo realizzare il progetto. Quando mi zittì il cuore mi batteva forte e gli occhi luccicavano. Per un po' James rimase in silenzio, assorto. La sua espressione era seria.
«Sì», disse infine lui. «C'è del buono nella tua idea. Però è necessario parlarne ancora, e lavorarci su. Potrebbe venirne fuori qualcosa di valido, alla fine.»
Avrei voluto urlare di felicità. «Lo pensi davvero?», chiesi, per rassicurare me stessa.
James fece un cenno secco con il capo. «Stammi a sentire, tesoro», mi disse, il tono piuttosto freddo. «Io sul lavoro non mento mai.»
«Questo mi fa felice!», esclamai, e nell'impeto del momento gli gettai le braccia al collo. Ma mi irrigidii quando sentii che lui mi stringeva in modo fin troppo intimo.
«Io... Credo che si sia fatto molto tardi, adesso», dissi allontanandomi da lui bruscamente. «Devo rientrare a casa.»
James scoppiò a ridere. «Che cosa devi fare?», domandò cercando di riacchiapparmi.
Rapidamente, sollevai la cartella di robusto cartone, insinuandola tra i nostri corpi, ma malauguratamente la mandai a sbattere contro la fronte del grand'uomo. Si sentì un botto piuttosto preoccupante e  sgranai gli occhi.
«Oh, mio Dio!», esclamai, prendendo l'occasione per alzarmi in piedi. «Ti ho fatto male?»
Mezzo accecato, James si stava massaggiando la fronte con una smorfia di dolore. «Accidenti, che cos'è, di ferro, quell'affare?»
«Devi aver urtato contro lo spigolo. È rinforzato», feci notare, nascondendo un sorrisetto di soddisfazione e affannandomi a raccogliere le fotografie sparse in giro. «Forse dovresti metterci un po' di ghiaccio, se non vuoi che ti venga un bernoccolo.»
James lacrimava da un occhio e si lamentava con un gemito lugubre.
«Mi dispiace», affermai, in piedi sul tappeto, l'espressione niente affatto contrita. «Credo che tu sia troppo... Come dire... Aggressivo.»
James mi guardò con l'unico occhio buono. «Aggressivo io?»
«È stato un incidente, James... Non ti avrei colpito se tu non ti fossi buttato in avanti a quel modo.»
«Oh, certo», annuì lui, cupo. «Ho capito.»
Sotto lo sguardo truce di quell'unico occhio, mi sentii venire meno.  E così, avevo sciupato tutto all'ultimo minuto. Accidenti!
«James, io...», cominciai, chinandomi in avanti, ma lui si trasse indietro di
scatto, come se temesse di essere colpito di nuovo.
«Non c'è problema», disse, ricomponendosi rigidamente. «Sta già passando.»
«In questo caso, io tolgo il disturbo. Posso usare il tuo telefono per chiamare un taxi?»
«Posso accompagnarti io», si offri lui, alzandosi. «L'autista sarà già andato via a quest'ora, ma...»
«Non è affatto necessario», dissi in fretta, sollevando la cornetta del telefono. Feci il numero. «Qual è l'indirizzo qui?»
Lui me lo disse e  lo ripetei nel ricevitore, quindi ringraziai e riappesi.
Lanciando uno sguardo incerto a lui, per spiare le sue reazioni, recuperai le mie cose. «Io... Credo che ci rivedremo... Vero?»
Se lui m'avesse mandata al diavolo, me e le mie idee, forse avrei anche potuto buttarmi ai suoi
piedi. Invece lui disse, sebbene un po' cupo: «Va' avanti con quell’ idea.» intanto si massaggiava la fronte. «E chiamami quando hai preparato qualcosa da mostrarmi.»
«Okay.» risi, sollevata. «Adesso vado, il taxi dovrebbe arrivare subito.»
Lui fece un cenno con il capo. «Non ti do il bacio della buonanotte», disse, in tono allusivo. «Non vorrei rimanere accecato anche all'altro occhio.»
Sorrisi un po' rigida, gli feci un cenno di saluto con la mano e mi allontanai rapida lungo la scala che portava nel parco. Percorsi quasi di corsa il vialetto di accesso e mi ritrovai al cancello. Vidi il taxi che si fermava poco più avanti proprio in quel momento, e mi avviai in quella direzione, ma non l'avevo ancora raggiunto che una figura uscì dall'ombra e si avvicinò all'autista. Si chinò e disse qualcosa al tassista, poi gli passò qualcosa, quindi l'auto partì di nuovo lungo la strada.
Alzai la mano per richiamare la sua attenzione. «Ehi! Accidenti! Ehi!» poi notai l'uomo che si era raddrizzato sotto la luce del lampione e mi immobilizzai. «Tu? Che dannazione ci fai qui?»
  
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