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Autore: Leopoldo    08/03/2013    2 recensioni
Due vite più differenti e distanti sono difficili da immaginare.
Un soldato dello US Army che ha lasciato la sua città natale senza tornare per anni ed una giovane supplente di Letteratura possono intrecciare i loro destini e rimanere legati l’uno all’altro?
-Au, Quick centric, accenni possibili di altre coppie-
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck, Nuovo personaggio, Quinn Fabray | Coppie: Puck/Quinn
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2. Il Passato non è mai passato. 

 

Per la prima volta da quando è diventata un’insegnante vera e propria, seppur come supplente, Quinn Fabray può affermare con assoluta certezza di aver finalmente ingranato la marcia giusta.

 

Non solo perché le impressioni dei primi tempi si sono rivelate esatte, visto che i suoi studenti continuano ad essere attenti, interessati e disciplinati, quanto perché finalmente è riuscita a provare quel senso di orgoglio di cui le hanno parlato i suoi vecchi insegnanti quando era ancora al liceo e sognava di diventare professoressa. 

 

A due settimane da quella piccola vittoria personale ottenuta in presidenza, infatti, il Club del libro del McKinley High School è pronto ad inaugurare la sua prima seduta ufficiale. E lei è lì, a guardare, quasi commossa dal sapere che ciò che ha davanti è praticamente merito suo.

 

Stacey Evans ha già preso il suo posto vicino alla lavagna della stanza –a quanto pare l’unica aula disponibile come sede è un quadrato di sei metri quadri a dir tanto in cui le persone devono sedersi le une sulle altre per starci–, sorridente come forse nemmeno un vincitore della lotteria nazionale potrebbe essere.

“Ragazze, benvenute alla prima riunione del nostro club!”

 

Le ragazze, un gruppo ben assortito di circa venti persone che variano da Cheerios a ‘normali’ studentesse, applaudono e fischiano mostrando tutto il loro apprezzamento.

 

“Prima di iniziare, vorrei ringraziare a nome di tutte le persona che ci ha permesso di trovarci qui, oggi. La professoressa Quinn Fabray!”

 

Quinn sobbalza contro lo stipite della porta a cui si è appoggiata mentre le teste delle ragazze si voltano contemporaneamente verso di lei e, imitando l’esempio di Stacey, le rivolgono un applauso. Timido e scoordinato, ma c’è.

 

“Non importa … su, non è necessario. Ho solo portato un foglio in presidenza” sminuisce la supplente, vagamente in imbarazzo.

 

“Non è cosa da poco” le fa notare una.

 

“La professoressa di prima aveva il culo talmente pesante che persino portare un foglio le risultava troppo difficile” aggiunge una Cheerio.

 

“Non penso sia il caso di offendere la professoressa May, ragazze” tenta Quinn, ottenendo come risposta qualche mugugno di protesta e un qualcosa di simile a “Perché non sa quante gliene tiriamo alle spalle” che fa scoppiare a ridere tutti e le strappa un sorriso incerto. Crudeli.

 

“Prof, se vuole unirsi a noi oggi dobbiamo decidere quale libro leggere per primo” fa Stacey per cercare di riprendere le redini della seduta.

 

“Oggi non posso proprio, ragazze” rifiuta, a malincuore, facendo una smorfia dispiaciuta che non ammette molte obiezioni. “Mi sono fermata solo per assicurarmi che vi avessero dato l’aula e il permesso per prendere i libri dalla biblioteca”

 

“Ma è la prima riunione! E il primo libro!” insiste la presidentessa del club. “Insomma, dobbiamo partire con letture semplici o impegnate? ‘A Game of Thrones’ o ‘Orgoglio e pregiudizio’?”

 

Mm” mormora, improvvisamente interessata e pensierosa, valutando attentamente le due proposte. “Non ho mai sentito parlare del primo che hai … no!”

Vorrebbe davvero restare, vorrebbe davvero consigliare e suggerire, raccontare e menzionare, citare e spoilerare, perché è nella sua natura di essere umano ancor prima che di professoressa di Letteratura.

“Mi dispiace. Davvero, mi spiace tantissimo. Oggi ho un impegno improrogabile che mi aspetta” ripete, più a sé stessa che al gruppo di ragazze.

 

Quante volte l’avrà detto nella sua pur giovane vita? Tante, troppe, abbastanza da perdere il conto.

Perché il suo impegno improrogabile non è uno di quelli che si può mettere da parte, è uno di quelli che conservi fino alla fine dei tuoi giorni.

Tuttavia non vuole e non può lamentarsi: sapeva perfettamente a cosa sarebbe andata incontro facendo la scelta che ha fatto ed era altrettanto consapevole di tutto quello a cui avrebbe rinunciato nell’immediato.

 

“Fossi in voi leggerei ‘Orgoglio e pregiudizio’” aggiunge, sorridendo, prima di salutare il gruppo e dirigersi al parcheggio, stavolta a colpo quasi sicuro –ormai ha sviluppato una discreta padronanza della planimetria della scuola.

 

Nonostante sia stata interrotta e quasi bloccata in aula da Stacey, quando entra in macchina –il primo scassone che è riuscita a trovare, a Chicago non la usava mai– si rende conto di avere ancora un quarto d’ora prima del suono della campanella della scuola elementare.

 

Appoggia la borsa di cuoio sul sedile del passeggero e ne tira fuori un rossetto, muovendo poi lo specchietto retrovisore finché non riesce a vedere bene il suo riflesso.

Avere un aspetto sempre perfetto o almeno curato è uno dei pochi vezzi che si porta dietro dal liceo e, probabilmente, lo conserverà per sempre. Non le piace per niente avere un’aria sciatta, soprattutto quando deve farsi vedere dove sta andando ora.

 

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Il dottor Menkins gli ha spiegato più volte che il ritorno alla vita civile è una fase terribilmente delicata nella vita di un soldato.

 

Quando passi mesi in situazioni pericolose, ogni persona che incroci potrebbe essere un nemico e non puoi abbassare la concentrazione nemmeno per un secondo, il tuo corpo è sottoposto ad un continuo stress psicofisico che lo logora e, per riprendere un ritmo accettabile, ci vogliono tempo e pazienza.

 

Non cambia solo questo, ma anche il modo di concepire i rapporti con gli altri.

La maggior parte dei veterani e dei reduci parla di un legame speciale, un senso di fratellanza unico che si sviluppa tra compagni d’arme, tra persone che si trovano uniti ad affrontare gli stessi pericoli giorno dopo giorno contando solamente gli uni sugli altri.

Solo legami speciali, difficili se non impossibili da ricreare nella vita ‘reale’.

 

Forse è per questi motivi che da quando ha rimesso piede a Lima ha la netta sensazione di essere come uno spettro che spia la vita degli abitanti della sua città natale senza che questi lo possano vedere. 

Non saprebbe come spiegarlo meglio, anche se il proverbio ‘sentirsi come un pesce fuor d’acqua’ rispecchia abbastanza bene la sua situazione: ha contatti con sua sorella, il proprietario del motel e i ragazzini che lavorano al fast-food di fronte alla sua casa temporanea. Fine. 

 

A Fort Benning, durante i mesi di cure, era tutto diverso. Era circondato da militari, poteva parlare con commilitoni alle prese con la riabilitazione come lui e c’era sempre il dottore a cui rivolgersi nelle situazioni più intricate.

 

E uno degli ultimi consigli del Tenente Cooter Menkins è stato proprio di cercare di consolidare i vecchi legami e di creare di crearne di nuovi, di reinserirsi nel contesto delle relazioni interpersonali prima che in quello lavorativo e sociale.

Insomma, Deborah è stata la prima fondamentale tappa di un percorso molto più complesso e accidentato, soprattutto perché di legami vecchi così forti ne ha sì e no tre o quattro.

 

Tra questi, un nome spicca sugli altri. Qualcuno che potrebbe aiutarlo, di nuovo, ci potrebbe essere, oggi come allora. Un lavoro, magari, o semplicemente un amico con cui parlare apertamente … è questo di cui ha bisogno, giusto? Una mano per piantare di nuovo le radici.

La prossima tappa è Burt.

 

Burt Hummel è stato tante cose per Noah quando era un ragazzino attaccabrighe. Tra tutte, è stato soprattutto la cosa più simile ad una figura paterna che abbia mai avuto.

 

Quando avevano … no, non può più parlare di loro

Quando vinse le sue paure e decise di arruolarsi subito dopo il diploma, lui fu la prima persona a cui riuscì a confessarlo.

Non dimenticherà mai quel momento.

 

*

“Ehi” mormorò un po’ in imbarazzo e un po’ impaurito, attirando l’attenzione dell’uomo che, dopo averlo sentito, uscì di slancio da sotto una scintillante Opel Astra Elegance grigia.

 

“Oh, Puck” lo salutò con un sorrisone dopo essersi tolto l’immancabile berretto per asciugarsi la fronte. “Devi vedere questa macchina come è ridotta dopo solo due mesi dall’uscita dal concessionario” ridacchiò, agitando una mano in direzione dell’Opel. “Una manna per me, non c’è che dire”

 

“Devo parlarti, Burt”

 

L’uomo assunse istantaneamente un’espressione seria, facendo un paio di passi verso di lui.

“Sì, figliolo?”

 

“Tra una settimana salirò sul bus diretto a Fort Benning. Mi arruolo”

 

Burt rimuginò parecchio sul come prendere quella notizia. Si passò un paio di volte il berretto sotto il naso, pensieroso, prima di provare a parlare.

“Non lo stai facendo per-”

 

“Assolutamente no” lo interruppe, risoluto e determinato. “È una decisione mia, presa da solo e … ci penso da tre mesi. Tre. Fottuti. Mesi. È tanto per uno come me” sorrise, ricevendo di rimando solo una smorfia. “Sono sicuro”

 

“Ok, volevo solo controllare” sospirò, rassegnato, prendendo tempo per cercare parole adatte alla situazione e che evidentemente non riusciva a trovare.

 

“Qui non c’è futuro per me, non c’è un cazzo di niente … e, anche se per caso ci fosse, col cazzo che rimarrei a Lima”

 

“Va bene, ho capito” lo assecondò, appoggiandogli poi una mano sulla spassa con il suo modo di fare un po’ burbero ma intimamente buono. “La porta della mia officina è sempre aperta nel caso … beh, nel caso cambiassi idea”

 

“Grazie, Burt”

 

“Vedi di non fare scherzi e di tornare sulle tue gambe, mi raccomando … ragazzo mio”

*

 

“Se non te la senti possiamo anche tornare un altro giorno”

 

“No, no, sono più che pronto” risponde immediatamente a Deborah, seduta sul sedile del passeggero di quella che sarebbe la sua auto ma di cui è stata praticamente scippata dal fratello.

“Sto solo … hai presente quando hai … uno ha quella cosa … come si chiama la sensazione di rivivere un momento del passato?”

 

“Un déjà vu”

 

“Esatto! Un déjà vu e …” indugia, non osservando lo sguardo divertito della sorellina “… niente. Vuoi venire con me?”

 

“Preferisco rimanere qui”

 

Annuisce un paio di volte prima di aprire lo sportello e scendere, appuntandosi mentalmente di ringraziarla di nuovo per la sua discrezione una volta affrontato Burt.

 

Affrontare, già, perché il proprietario del ‘Hummel Tires & Lube’ è un pezzo importantissimo del suo passato e non c’è un modo semplice di confrontarsi con esso.

Prende un respiro gigante prima di entrare in officina dall’ingresso riservato ai meccanici. 

 

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Si accarezza piano il braccio, maledicendosi per aver lasciato il giacchetto in macchina.

Non fa così freddo, ma il cielo coperto non aiuta per niente a tenerla al caldo, soprattutto considerando che è ferma nello stesso punto da una decina di minuti.

 

Si guarda intorno, scuotendo appena il capo.

Il fatto che sia nettamente più giovane di ognuna delle persone radunate all’ingresso della scuola non la disturbava nemmeno le prime volte, figurarsi oggi.

Continua a non capire come le persone possano giudicare chi non conoscono solo dall’aspetto, ma i commenti e le occhiatine fanno parte del modo in cui ha deciso di vivere la propria vita e lo accetta. Nessuno rimpianto. Almeno da questo punto di vista ha sempre cercato di rimanere coerente con sé stessa.

 

Finalmente i primi bambini escono dalla porta di corsa, raggiungendo i propri genitori.

 

Ovviamente lei non è mai la prima. È troppo ordinata e tiene troppo alle sue cose per uscire alla svelta. No, assolutamente, lei non lo fa. Lei rimane seduta composta, rimette tutte le matite e le penne nell’astuccio, sistema i fogli nei raccoglitori e li mette nello zainetto con cura e precisione.  

 

Sorride come solo una mamma sa fare quando la vede uscire, lo zainetto verde –il suo colore preferito– sulle spalle, i capelli dorati che le ricadono sulle spalle, la frangia che ama alla follia sulla fronte e un sorriso che le parte da un orecchio e le arriva all’altro.

Sta chiacchierando con una bambina con i capelli ramati un po’ più bassa di lei ed è davvero sollevata per questo. Di certo non è una timidona, anzi, tutto il contrario, ma farsi nuovi amici in una nuova scuola è sempre un’operazione complicata.

 

“Mamma!”

 

Si rende conto che anche lei l’ha vista solo quando le si aggancia alle gambe, rischiando seriamente di farla cadere per la forza della slancio.

“Ciao amore mio” la saluta, istantaneamente allegra, accarezzandole piano la testa. “Come è andata oggi?”

 

Beniffimo!” trilla, sfoggiando con orgoglio il buco dove una volta c’erano gli incisivi superiori  che da caduti le hanno fruttato ben due dollari. “Ho una nuova amica!” sorride, indicando la bambina che è rimasta un po’ in disparte a giocherellare con la punta delle scarpette e il terreno.

“Lei è Karen!”

 

“Ciao Karen” le sorride. “Io sono Quinn, la mamma di Beth

 

“C-ciao Quinn” le risponde, adorabilmente titubante. Ha grandi occhioli nocciola da cerbiatto e il nasino spruzzato di lentiggini. “P-piacere di conoscerti”

 

“Piacere mio” ridacchia, sorpresa da tanta educazione, mentre Beth inizia a tirarle la gonna per attirare su di sé tutta l’attenzione della mamma. “Cosa c’è, peste?”

 

“Non fono una pefte” sbuffa, gonfiando le guance nella sua più celebre espressione imbronciata. “Oggi abbiamo giocato con i numeri!” trilla, riacquistando subito l’allegria.

 

“Con i numeri? E come avete fatto, tesoro?” le sorride, accarezzandole il capo, mantenendosi comunque vigile su Karen che continua a guardarsi intorno, siuramente alla ricerca dei suoi genitori che non sono ancora arrivati.

 

“La maeftra ci ha dato un numero … io avevo il quattro … e poi li abbiamo meffi sul banco e poi dovevi dire … uhm … quello che c’è prima e dopo il quattro. Karen aveva il tre e cofì abbiamo parlato e fiamo diventate amiche!”

 

“Che bello, tesoro” sorride, osservando incuriosita la stellina dorata appiccicata alla mano paffuta della bambina. “E questa per cos’è?”

 

“Perché ho meffo tutti in fila dall’uno al dieci fenfa fbagliare!”

 

“Sei bravissima” sorride di nuovo. “Karen, ti vengono a prendere i tuoi genitori di solito?” si rivolge poi alla piccola che sta pian piano allontanandosi.

 

“Oh … sì, la mia mami mi viene a prendere però lavora e arriva sempre tardi”

 

Quinn riprende a guardarsi intorno, notando come ormai l’ingresso della scuola sia praticamente vuoto a parte un paio di genitori impegnati come lei a chiacchierare con i propri figli.

“Possiamo aspettare qui finché non arriva la tua mami. Vero, Beth?”

 

Lo squittio eccitato di sua figlia che prende per mano Karen all’istante le fa capire che no, non è un problema per lei rimanere di più.

Non le piace neanche un po’ l’idea di lasciare solo un bambino, fosse anche solo per un paio di minuti. Se fosse lei ad essere ritardo le piacerebbe molto che Beth rimanesse con qualcuno perché, nonostante le abbia detto più e più volte che nel caso in cui non riesca a trovarla deve rimanere dentro le mura scolastiche, è sicura che non lo farebbe. È troppo … espansiva per rimanere dentro ad aspettare.

 

Secondo motivo, potrebbe anche fare amicizia con una mamma, cosa che non è mai riuscita a fare. È molto più giovane della maggior parte delle donne –e degli uomini, molto pochi– che ha avuto modo di vedere fin’ora e in più è decisamente stupenda, fatto che molto spesso può generare una certa frustrazione.

È uno dei sogni che ha nel cassetto delle cose da riuscire ad ottenere, esattamente come lo era ‘ricevere la domanda a fine lezione’ e ‘avere un amico insegnante’ fino a due settimane fa. Lima da questo punto di vista sembra essere in grado di esaudire ogni sua richiesta.

 

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Continua a galleggiare nell’officina, trovandola tanto uguale a com’era quanto intimamente diversa. Perché manca un pezzo fondamentale: il capo.

 

Conosce Burt Hummel da troppo tempo per non sapere che il suo orario di lavoro va dalle otto alle diciotto, dal lunedì al sabato, e che per nessuno motivo abbandonerebbe la sua officina ad una manica di sbarbati come quelli che ha davanti.

 

Eppure, nessuno dei meccanici che ha visto passare è Burt. E non riesce a concepire come questo posso essere possibile. Non è capace di stare seduto in ufficio a comandare, è uno di quelli che prende attrezzi e olio di gomiti e si mette in prima linea a faticare.

 

“Mi dispiace amico, qui non puoi stare” gli fa un ragazzo in tuta blu, l’unico ad averlo notato fermo in mezzo ai piedi. Si pulisce le mani con uno straccio, facendo poi un cenno con la testa verso l’altro lato del suo negozio. “Se hai bisogno di una mano per sistemare l’auto devi prima passare dall’altra parte”

 

“Veramente …” si sporge per leggere il nome sulla tuta “… Ryder, volevo parlare con Burt”

 

“Il signor Hummel è in pensione da anni” gli fa con fare ovvio il meccanico, sistemandosi di lato un ciuffo particolarmente lungo di capelli castani.

 

Pensione?”

 

“Sì. Diciamo che passa ogni tanto a vedere come vanno le cose e per salutare noi e i clienti, ma lui non mette mano in un motore da parecchio. È solo …” appoggia le mani sui fianchi, ruotando lo sguardo verso l’alto per cercare la parola giusta “… il proprietario formale, credo si dica così. È il capo che risulta sui documenti me non lo è più nella realtà”

 

“Ha avuto dei gravi problemi di salute che l’hanno costretto a smettere di lavorare, vero?” chiede allibito. “Perché il Burt Hummel che conosco io la parola pensione non l’avrebbe mai nemmeno presa in considerazione”

 

“Non sei il primo che me lo dice” ammette il ragazzotto con un sorriso che fa venire i nervi a Noah. “Effettivamente è stato parecchio male. Io non c’ero ancora quando è successo, ma Phil …” indica con il pollice un uomo chinato dentro un cofano “… mi ha detto che ha avuto una specie di infarto qui, a lavoro”

 

Per un momento il pensiero che l’uomo che l’ha cresciuto per anni quasi come fosse stato davvero suo padre sia morto gli toglie il fiato. Per fortuna si ricorda che quel Ryder gli ha detto poco prima, ovvero che passa di quando in quando, quindi tira un enorme sospiro di sollievo.

 

“Di cosa volevi parlargli?” gli chiede il ragazzo, attirando di nuovo la sua attenzione. “Non che io voglia farmi gli affari tuoi, amico, è solo per vedere se posso aiutarti in qualche modo”

 

“Cerco un lavoro”

 

“Allora non posso aiutarti” gli fa particolarmente dispiaciuto, grattandosi la folta chioma castana. “Delle assunzioni si occupa ancora Burt”

 

“Quindi …” mormora Noah, riflettendo ad alta voce “… per avere un colloquio di lavoro devo venire in officina fintantoché non riesco a beccarlo?”

 

“No” ridacchia lui. “Compili un breve … uhm… è una specie di questionario, in realtà, e la segretaria lo invia a Burt via fax”

 

“Una volta bastava una chiacchierata con lui e voglia di fare” farfuglia abbastanza dubbioso, alzando poi le spalle. “Passami uno di questi fogli da compilare, và”

 

Ryder annuisce e si congeda con un sorriso, lasciando a Noah il tempo per pensare a cosa effettivamente stia succedendo.

 

Burt è stato male, molto male, tanto male da essere costretto a lasciare il lavoro.

Burt non c’è e, nonostante si fosse preparato per sostenere una conversazione che sarebbe finita sicuramente su qualcosa difficile da ricordare o da raccontare e nonostante il senso di profonda tristezza per il dolore che deve aver provato il signor Hummel, la cosa un po’ lo solleva. Una parte di lui non è ancora pronta a ciò che seguirà riallacciare i rapporti con lui.

 

Oltre a ciò, probabilmente non avrà il lavoro come sperava ma sarà Burt a venirlo a cercare quando leggerà il suo nome su quel foglio. Per qualche strano motivo, la cosa lo solleva ancora di più. Perché la vede come una sorta di ‘vediamo se ci tiene ancora a me’, nel senso che se questo incontro non avverrà sarà solo per volontà di Burt e, se così sarà, almeno avrà risparmiato una difficile chiacchierata. 

 

“Ecco qui” lo sorprende Ryder, arrivandogli alle spalle all’improvviso. “Compilalo e riportamelo, qualcuno poi lo invierà a Burt. In un paio di giorni avrai la sua risposta”

 

Noah legge rapidamente i campi principali, come nome, cognome, contatto telefonico, numero di previdenza sociale e impieghi precedenti, prima di richiamare Ryder che si era già avviato per tornare al lavoro con un fischio. “Se hai una penna te lo compilo subito”

 

Via il dente, via il dolore.

 

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Da quando è riuscita ad insegnare alla figlia come si fa ad usare un telefono, Quinn ha scoperto che osservare Beth alle prese con le chiamate della zia è una delle cose che più la rilassano.

Il modo in cui tiene il telefono con entrambe la manine, le smorfie che fa quando capisce che la sta prendendo un po’ in giro e le risate genuine in cui si esibisce ogni tre per due la riconciliano sempre con il mondo.

 

“… cofì la maeftra mi ha meffo una ftellina fulla mano!”

 

Quinn sorride, nascondendo il volto dietro uno dei suoi libri, perché sua figlia è l’unica persona al mondo in grado di non annoiare la zia con i racconti delle sue giornate. L’unica e no, non è un’esagerazione.

 

Ftellina!” ripete, gonfiando subito le guanciotte. “Uffi, mi fono caduti i dentini! … eh, intanto io ho due dollari e tu no!”

 

Quasi si strozza con la sua saliva, non tanto per il modo in cui si è difesa da vera Fabray, quando per l’occhiata vittoriosa che la bimba, seduta sul tappeto, le scocca voltandosi.

 

“Ok, te ne poffo dare uno. Tanto ne ho due, che me ne faccio di due?” chiede alla zia ma rivolgendosi per sicurezza anche alla madre.

 

“Glielo puoi dare solo se viene qui a prenderlo” le suggerisce Quinn, facendola illuminare.

 

“Te lo regalo folo se vieni qui!” trilla subito dopo Beth, ridacchiando non appena sente la risposta.

“Ok, ora ti paffo la mami” sbuffa, imbronciandosi per l’offesa che le è appena stata fatta, salvo poi ridere di nuovo mezzo secondo dopo. “Anche io ti voglio bene!”

 

Quinn, seduta comodamente sul divano, fa una piega alla pagina del libro prima di sporgersi per afferra il suo telefonino dalle mani della figlia che, una volta liberatasi dal fardello, torna felice a colorare il suo album degli animali.

 

“Buonasera, straniera” sorride, appoggiando il cellulare all’orecchio. “Lo sai vero che non si rubano i soldi ai bambini, soprattutto se si parla di mia figlia?”

Fottiti, Fabray. Un regalo è un regalo, chi sono io per rifiutarlo?

Quinn ridacchia estremamente divertita, mordendosi un labbro non appena si focalizza sul pensiero di quanto la ragazza con cui sta parlando le manchi da morire.

Comunque, tralasciando quanto la mia baby sia un amore e quanto mi piaccia sentire il ‘tutto il Beth minuto-per-minuto’, ti ho chiamata per un altro motivo

“Quale?” chiede, corrucciandosi per il tono serio della migliore amica.

Sei in quello scherzo geografico da un mese ormai. Non hai ancora trovato un contadinotto ignorante che ti dia una bella sturata alle condutture?!

“Santana!” esclama, indignata, facendo poi segno con la mano ad una confusa Beth di tornare a colorare l’album. “Sei fortunata che ci sono delle orecchie innocenti ad ascoltare, altrimenti ti ci avrei mandata sicuramente” soffia, passandosi la mano libera lungo una ciocca bionda.

Lo prendo come un no?

“Ho conosciuto una sola persona da quando sono qui ed è molto più gay di te e Sebastian messi assieme”

Su questo permettimi di dissentire

Rotea gli occhi verso il soffitto, sospirando per il tono forzatamente malizioso usato dall’amica.

Comunque lo dico per il tuo bene. A me fa piacere se ti circondi di gai marinai come questo Turt–

“Kurt”

… come preferisci. Il punto è che hai bisogno di scopare! S c o p a r e! Scopare!” 

“Credo che chiuderò qui questa conversazione ormai ampliamente degenerata” sospira, massaggiandosi la tempia opposta all’orecchio a cui è appoggiato il telefono.

Ok, come vuoi. Lo dico per il tuo bene ma …  non mi dilungo oltre se questo è quello che vuoi

“Grazie a Dio”

Almeno esci! Chiedi a questo Kurt di farti da guida e metti le chiappe fuori da casa. Devi vedere persone nuove, conoscere gente, fare amicizia … divertiti, Quinn, hai solo venticinque anni

“Ho delle responsabilità”

Verso Beth, concordo, ma vorrei ricordarti che ne hai anche verso te stessa. Ormai la piccola può resistere a casa con una baby sitter, dai

“… ci penserò” concede dopo diversi secondi di silenzio in cui ha guardato Beth colorare il suo album con lo stesso impegno con cui un supereroe tenta di salvare il mondo.

Conoscendoti è già una vittoria. A proposito del tipo gay, Sebastian vorrebbe una foto

“Conoscendo Sebastian, mi capisci bene se ti dico che non lo farò” ridacchia, facendo ridere anche l’altra.

Capisco benissimo. Ora ti devo proprio lasciare, Quinn. Ho ancora un paio di bozzetti da finire e non ho la minima intenzione di essere sgridata … Dios mio, sgridata. Senti cosa mi sta facendo quella malata di mente della Wright?! Sto regredendo! E poi, ascolta questa perché è grossa. Viene dall’Ohio! Cioè, capisci? Viene da un buco e pretende di insegnare a me lo stile! No dico … a me!

“Dovresti esserle un minimo riconoscente, non credi?” la riprende da brava mammina, ottenendo uno sbuffo come risposta. “Ti sta aprendo un mondo e sai meglio di me cosa vuol dire potersi vantare di aver lavorato per Vogue”

Dici così perché non la conosci. È così … gentile e disponibile che … ugh, rabbrividisco. Lei sgrida, capisci? Dove sono finite le Miranda Priestly che ti vessano, ti urlano contro e ti umiliano per un caffè? Uhm?

“Colpa mia, dimentico sempre il tuo lato masochista” ridacchia, sorridendo alla pagina tutta colorata che le sta mostrando Beth. “Ti lascio ai tuoi lavori e ai tuoi scleri. Salutami Seb”

In cambio dai un bacio alla mia figlioccia. A domani, Fabray

“A domani, Lopez”

 

L’amicizia tra lei e Santana affonda le radici in una giornata afosa di tanti anni fa quando la famiglia Lopez aveva accolto ufficialmente i nuovi coinquilini dell’appartamento di fronte, i signori Fabray, offrendosi di ospitarli a cena.

Una volta lasciate sole a giocare, le bimbe più piccole delle due famiglie –Quinn ha una sorella maggiore, Frannie, di circa dieci anni più grande di lei, con cui non ha mai veramente legato– si erano subito sfidate a ‘chi ha la bambola più bella?’.

 

Quel giorno nacque la loro amicizia, tanto profonda quanto difficile da capire per gli altri. Un’amicizia costellata fin dall’inizio di grandi litigi e profonde invidie, una costante e non sempre leale rivalità a fare da filo conduttore.

Alla resa dei conti, però, nei momenti di vera difficoltà ci sono sempre state l’una per l’altra. Sempre, anche quando il resto del mondo aveva voltato loro le spalle.

Per amicizie così, vale la pena sopportare qualche discussione e qualche volgarità, anche se, al posto di qualche, sarebbe meglio metterci tante.

 

Appoggia il cellulare sul divano, lasciando un bacio tra i capelli di Beth prima di stendersi vicino a lei e consigliarla su come colorare i vari animali.

Anche se al momento sta bene più che bene così, in un futuro non troppo distante potrebbe davvero cercare di seguire il consiglio di Santana. In fondo ha ragione quando dice che ha solo venticinque anni, è che a volte se ne dimentica.

 

 

 

 

Note dell’autore.

 

Partiamo dalle cose importanti, ovvero i ringraziamenti a chi ha letto, commentato, messo nelle preferite, seguite e da ricordare la one-shot di ieri. Wow, siete grandi! Totalmente inaspettato, sono senza parole.

Per quanto riguarda questa fan fiction, una menzione particolare a COMETIPARE che ha commentato entrambi i capitoli precedenti. Grazie davvero!

 

Passando alle inutili note a margine, ho aggiunto Kurt tra i personaggi nelle note perché mi sto accorgendo, più vado avanti nella storia, che il suo ruolo è sempre più importante e si ritaglierà sempre più spazio.

Poi … la parte in corsivo scritta al passato e inserita tra gli asterischi ** è un flashback, lo scrivo per sicurezza. Nell’ultimo pezzo, ho scritto il dialogo tra Quinn e Santana tutto attaccato e con alcune parti in corsivo per distinguere la telefonata da un discorso normale.

 

Ultima cosa, Beth. Non è figlia di Puck, direi che è una bella bomba. Il padre farà la sua comparsa? Sì, più avanti, ma non aspettatevi il grande stronzo perché non ci sarà.

E parla in quel modo, ovvero f al posto delle s perché ha perso gli incisivi davanti. Se urta o da fastidio, lo cancello.

 

Altre cose non mi vengono in mente, a parte ovviamente la più importante. AUGURI a tutte le donne, vi mando una mimosa virtuale!

Lo so, sono un ruffiano.

 

Come al solito per qualsiasi cosa contattatemi con una recensione o per messaggio privato, vi risponderò il prima possibile!

Al prossimo weekend con il capitolo 3.

Pace.

  
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