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Autore: __21century    08/03/2013    2 recensioni
Okay, questo è un tentativo di MorMor piuttosto maldestro, credo.
Ma questa canzone non poteva non farmi pensare a Jim e bhe, chi meglio di Sebastian per parlare di lui sulla linea del ‘sono innamorato di un criminale’?
Anche perché non mi andava di inserire un altro personaggio, magari una donna innamorata di Jim, perché la mia mente semplicemente non lo accetta. Solo al pensiero di una coppia Jim/Donna qualsiasi rabbrividisco in quanto credo e supporto Moran/Moriarty da quando ho scoperto l’esistenza del cecchino, ovvero quando ho cominciato le mie ricerche nel fandom.
E’ la prima volta che scrivo nel fandom, basta guardare il mio account, e penso che verrà una schifezza e che entrambi i personaggi (non credo menzionerò nessun’altro, semmai ne parlerò a fine shot) diventeranno terribilmente OC, ma che ci posso fare, io ci provo.
E quale metodo migliore che la pratica?
Enjoy. (per quanto si possa, ovviamente.)
---
Ah, non ci saranno riferimenti alla canzone se non nel titolo del capitolo che riprenderà il capitolo stesso, insomma, non è proprio una song-fic, ma la linea è quella.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Jim Moriarty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusate l'immenso ritardo! Meglio tardi che mai, no? Buona lettura.




Erano le dieci di mattina quando il mio odiatissimo cellulare cominciò a vibrare, scuotendo tutto il tavolino della caffetteria in cui avevo trovato rifugio.
Svogliatamente –e goffamente- premetti il tasto verde e risposi.
“Qui colonnello Moran. Con chi ho il piacere di parlare?”
Forse avrei dovuto perdere l’abitudine di rispondere con ‘Colonnello Moran’, ma era una parte di me che non riuscivo più a cancellare.
“Colonnello? Addirittura?” sentii una voce ridere dall’altra parte. Ci misi un po’ a capire chi era.
“Che vuoi?” risposi scocciatamente.
“Ci sono stati dei problemi a casa. Dove posso trovarti?”
Controllai la brochure con i prezzi al centro del tavolino.
“Il bar si chiama Amore, all’italiana.”
“Tienimi un posto!”
disse lei e me la immaginai che correva per una strada con i suoi tacchi a spillo, stando in perfetto equilibrio, cercando sullo smartphone dove si trovasse quel bar.
“Basta che non ti presenti nuda.”
La sentii ridere ancora e attaccai. Intanto che ne avevo la possibilità le avrei fatto un paio di domande.
Ad esempio cos’era successo all’ultimo cecchino prima di me e se James era uno di quei tipi un po’ flippati. Cose così.
Mi sarebbe piaciuto parlare anche con Juliet, chissà se anche lei si sarebbe presentata. Non vedevo l’ora di scoprirlo.
Ovviamente venne solo la Adler. Aveva un bel cappotto nero, quasi da uomo, tacchi a spillo, rossetto rosso e capelli sciolti. Era davvero bella.
“Ciao, posso offrirti qualcosa?” le chiesi.
“Ho già ordinato quando sono entrata.”
Sorrise.
“Bene. Cos’è successo?”
Non mi interessava molto sapere cos’era successo, a dire il vero.
“Niente, una parte del piano di James o quello che è. E’ venuta la polizia a casa e cose così ma ovviamente non c’era nessuno di noi, solo un vecchietto piazzato lì per reggere la storia, non so. In ogni caso, tieniti lontano dalla casa per qualche giorno, vai a vivere in un motel, quello che vuoi.”
Irene teneva le mani congiunte sul tavolo, senza mai muoverle. Erano laccate di rosso.
“Okay, ma che è successo?”
“Pare che avere delle foto compromettenti della gente ricca sia un male. Ti racconterò.”
Mi chiesi se con gente ricca intendesse anche la bionda della sera prima.“Ad ogni modo, tra un paio di mesi cominceranno i tuoi compiti, tieniti pronto.”
“Un paio di mesi?”
chiesi, probabilmente con un espressione incazzata sul viso.
“Sì.”
La cameriera portò a Irene un caffè e lei ci mise tre bustine di zucchero.
“E come crede che vivrò un paio di mesi senza essere pagato? Sono un cecchino, non voglio stare un paio di mesi a fare niente. Ho bisogno di lavoro.” Sbattei i palmi sul tavolo, con fin troppa violenza.
“Abbassa la voce. Verrai pagato anche durante questi mesi e se ti annoi puoi sempre andare a sparare ai cervi.”
“Che male ti hanno fatto i cervi?”
“Che male ti hanno fatto le persone?”
“Chiedere a un cecchino cosa gli hanno fatto di male le persone. Non una grande idea.”
Irene sollevò le spalle e bevve il suo caffè.
“Piuttosto. Cos’è successo al cecchino prima di me?”
“Ah, l’amour.”
La donna prese la borsetta e si aggiustò il trucco con noncuranza.
“L’amour?”
“Si era solo innamorato quel poveretto ed è finito morto. Mi è dispiaciuto.”
Non sembrava tanto dispiaciuta.
“Innamorato di te?”
“Innamorato di Jim.”
Sorrise ancora, un sorriso cordiale.
“E lui l’ha ammazzato?” chiesi, non capendo.
“Era diventato imbarazzante.”
“Mh, okay. Beh, quello non sarà un problema per me.”
Alzai le spalle e mi appoggiai allo schienale della sedia.
“Non esserne sicuro. Jim fa quell’effetto alle persone. Io sono lesbica, però non rinuncerei mai a certe notti con lui, te lo assicuro.” Irene mi colpiva sempre di più. Era così.. libera. Faceva ciò che voleva, diceva ciò che voleva e l’ultima cosa di cui aveva paura era l’opinione degli altri. Gli aveva rivelato la sua omosessualità come un “Come stai oggi?” detto dal dottore a un paziente. Era stato banale.
“Ribadisco che non sarà un problema. Juliet ti ha detto qualcosa?”
“Le piaci.”

Questa volta sorrisi io.



Per quella giornata presi una camera in un piccolo motel malmesso alla periferia di Londra, sperando di non vedere nessuno di quella casa per più tempo possibile, perché mi stavano facendo dare di matto, di già.
Come se per una volta le cose potessero andare come volevo. Io ci speravo davvero.
Erano le due e quarantasette di notte quando sentii bussare alla porta del motel. Se avessero bussato anche solo un pochino più forte la porta sarebbe venuta giù.
Mi alzai lentamente, aprendo le palpebre e visualizzando a pezzi quel posto schifoso. La prima cosa che vidi fu il soffitto che Dio solo sa quante cose avesse visto. C’erano macchie di tutti i generi e davvero non ci tenevo ad indagare. Vidi poi i mobili scassati e la lampada che rimaneva in piedi a fatica a fianco del letto. Non c’era neanche più un comodino. Mi chiesi perché avevo scelto quel posto.
Cercai le chiavi su una mensola che probabilmente era montata con dello scotch.
Aprii la porta, pensando che non avevo neanche la pistola con me, dato che i miei vestiti erano appoggiati su una sedia ed ero in biancheria.
Vidi Jim sulla porta, il vestito elegante spiegazzato ma non troppo e gli occhi lucidi.
Aveva bevuto fin troppo.
“Che diavolo ci fai tu qui?” fu la prima domanda che riuscii a formulare.
“Mi annoiavo, sono uscito, ho bevuto e sono venuto a trovarti. Anche perché Irene non mi vuole in casa quando sono ubriaco.” Sorrise e in quel momento notai che aveva una mano ancora attaccata a una bottiglia di birra, mentre l’altra lo aiutava a stare in piedi, appoggiato allo stipite.
Si fece strada nella stanza e cadde su quella che doveva essere una scrivania ma che sembrava una scatola di cartone. Fortunatamente non si ruppe. Si addormentò lì, sdraiato su una specie di tavolino.
Decisi di lasciarlo lì fino alla mattina dopo e che solo allora avrei deciso che fare.
Tornai al mio letto, ma non riuscii ad addormentarmi, nonostante avessi provato almeno trenta posizioni diverse.  Svogliatamente mi alzai di nuovo, sbuffando e lanciando un’occhiataccia a Jim. Presi il pacchetto di sigarette dalla giacca, appoggiata alla sedia, insieme all’accendino.
Avevo chiesto una camera che desse sulle scale anti-incendio, per scappare in fretta in caso di imprevisto, e si era rivelato utile.
Passai il resto della serata sulle scale a fumare come un turco, guardando le luci di Londra spegnersi e accendersi. Era bello.





Grazie mille a tutti quelli che leggono.♥
  
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