25
Hycarus
"'Cause
there's a side to you that I never knew, never knew
All the things
you'd say, they were never true, never true
And the games you'd
play, you would always win, always win"
[Set Fire To The Rain – Adele]
"I
don't know what stressed me first
or how the pressure was fed
But
I know just what it feels like
To have a voice in the back of my
head"
[Papercut – Linkin Park]
3
Aprile, 22:45, Villa Stark
Lo trovò rannicchiato dietro al
divano in posizione quasi fetale, un
braccio alzato a coprirgli il viso stravolto.
Pepper si chiese
cosa, esattamente, l'avesse spinta a rifiutare la cortese offerta del
dottor Banner per conto dello SHIELD e a tornare là. Avrebbe
potuto
passare qualche giorno di serenità sull'Helicarrier o alla
loro base, senza doversi costantemente
preoccupare di cosa stesse combinando il suo capo e di quale misure
avrebbe dovuto adottare per arginare i relativi danni.
Invece
era di nuovo lì dopo neanche mezza giornata, nel buio cupo
dell'atrio devastato. Bruce doveva aver avuto la previdenza di
staccare corrente. Con fare cauto ma rassegnato si avvicinò
a
Tony, che dal respiro lento e regolare sembrava profondamente
addormentato e ignaro della sua presenza. Represse l'impulso di
svegliarlo a schiaffi solo quando notò il livido violaceo e
il
rivolo di
sangue che correva lungo la sua mandibola, segno che Bruce era stato
costretto a inculcargli un po' di buonsenso con metodi un po'
più
diretti dei suoi.
Ci volle una buona dose di scossoni e di
richiami per farlo rinvenire, ma infine aprì
l'occhio appannato
dal sonno e dagli strascichi della sbronza. Annaspò per
qualche
secondo come non rendendosi conto
di dove si trovava, forse riscosso da un incubo, poi sbattè
la
palpebra nel tentativo di mettere a fuoco il mondo. Sbarrò
l'occhio
nel riconoscerla e si ritrasse di scatto abbassando lo sguardo.
Pepper si accorse dello sguardo fugace che aveva lanciato al suo
braccio dove, sotto al giacchetto, spiccava ancora l'alone rosso
lasciato dalla sua mano.
Bene. Aveva almeno la decenza di sentirsi
in colpa.
Ci fu un lungo, teso, imbarazzante silenzio, che Pepper
non ritenne opportuno rompere.
«Non pensavo che saresti
tornata,» gracchiò
infine Tony con la voce sfibrata dall'alcool e dalle urla,
nell'evidente sforzo di far coincidere i pensieri con le
parole.
«Neanch'io,» lo
freddò la donna, duramente.
Tony ammutolì, distogliendo di nuovo lo
sguardo. Si sentiva così debole e confuso da riuscire a
malapena a mettere in ordine le sensazioni che gli inviava il suo corpo.
Uno smorzato pigolio del
suo stomaco gli ricordò di non aver toccato cibo da quella
mattina
prima del processo, ma il solo pensiero di mangiare gli
rivoltò le
viscere. Provò a muoversi, ottenendo solo una sonora
protesta dei
suoi muscoli indolenziti per le troppe ore passate sul pavimento
duro. La cosa non sfuggì a Pepper, che si
accigliò e si avvicinò
appena, acquistando una visione più dettagliata del suo
stato pietoso, dalla camicia macchiata di sangue ai pantaloni sporchi
di
polvere e calce, passando per suoi capelli sconvolti e umidi.
Sospirò.
«Potevi almeno
trascinarti fino al divano,» commentò,
mantenendo la propria asprezza.
Prese nel frattempo nota del preoccupante rossore
sulle guance dell'uomo e dell'occhio troppo lucido per essere solo
assonnato. Probabilmente stava ancora scontando la febbre degli
ultimi giorni, che in quel momento doveva toccare vette
inarrivabili. Tony trasalì con un po' di ritardo alle sue
parole,
poi sollevò svogliato un sopracciglio:
«È perché mai? Il
pavimento è così comodo,» rispose,
abbozzando un sorrisetto smorto.
Pepper non replicò, ma si alzò
di scatto e si allontanò in direzione della
cucina. Tony
sperò con tutto se stesso che tornasse con un'aspirina. O
con un
sedativo per elefanti. Sentiva che l'effetto degli antidolorifici
stava scemando di nuovo, lasciando posto alle solite fitte e a un
solido, arroventato cerchio alla testa.
Abbandonò la posizione
vagamente composta che aveva assunto per sdraiarsi di nuovo a terra e
poggiare la fronte bollente sulla superficie fresca del pavimento di
marmo. Era un bel
po' che non aveva un mal di testa post-sbornia. Cominciava a
ricordare perché li detestasse tanto, e adesso aveva l'onore
di
sperimentarlo in combinazione con la febbre. Non trattenne un rantolo
esasperato. Iniziò a rendersi conto delle sue condizioni e
di
quanto patetico dovesse apparire, con una faccia che immaginava
essere terribile dopo il pugno Bruce e la quantità immane di
alcool.
Senza contare i capelli, che era sicuro fossero in quello stato per
allontanarsi il più possibile dal loro proprietario. Si
passò una
mano tremante tra essi trovandoli ancora umidi; tentò di
districarli, ma finì solo per arruffarli di più.
Rinunciò con un
moto di stizza ed emise un mugolio involontario nel girarsi
sulla
schiena.
"Alzati."
"No," risposero
indifferenti le... la... al diavolo, le gambe.
Si costrinse ad
aspettare il ritorno di Pepper, tre minuti di attesa che gli parvero
lunghi tre ore. Temeva che se ne andasse di nuovo, per davvero.
Temeva di sentire i suoi tacchi avvicinarsi e poi superarlo
dirigendosi verso la porta. Temeva di sentire il rombo di una
macchina che si accendeva e lo stridio di ruote che si allontanavano
sul vialetto. E poi sapeva che avrebbe ripreso a urlare.
Il
ticchettio che preannunciava l'arrivo di Pepper risuonò
nelle sue
orecchie e un nodo d'ansia gli strinse lo stomaco già
contratto
dalla fame. Fu con immenso sollievo che sentì la mano della
donna
che si posava sulla sua fronte. Non si era neanche reso conto di aver
serrato l'occhio. Avrebbe voluto prolungare quel contatto, ma lei
si ritrasse e lo sospinse per farlo mettere a sedere. La sua
impressione di deja-vù
aumentava di secondo in secondo.
Magari in
futuro avrebbe potuto far infuriare pure Thor, così da farsi
pestare anche da lui per ripetere tutta quella scena una terza
volta.
Pepper gli porse un bicchiere d'acqua con una pasticca che
sembrava essere qualcosa di più forte di un'aspirina. Non si
soffermò a riflettere e ingollò il tutto senza
fiatare, sperando
improvvisamente di potersi mettere a dormire e chiudere tutto il
mondo fuori dalla sua mente. Aveva appena posato il bicchiere a
terra, già convinto di sentirsi meglio, quando le parole
lasciarono
le sue labbra, senza consenso:
«Perché sei qui?»
"Sempre
più in gamba, eh, Tony?"
La domanda ebbe l'effetto immediato
di accentuare ogni ombra sul viso di Pepper, rendendola insolitamente
minacciosa. Sembrò tentata dal non rispondere, poi lo
guardò
dritto negli occhi, dietro un velo di tristezza.
«Perché da solo
non ce la faresti,» disse
piano e, nonostante fosse certo che non avesse voluto realmente
ferirlo, sentì un dolore atroce stritolargli il petto e si
sentì svuotato di tutta la rabbia che ancora era annidata
in lui.
Si sentì solo debole e indifeso, più che mai. Era
di
nuovo nella grotta, qualcuno aveva di nuovo il suo destino in mano,
aveva ancora i mitra puntati alla testa e la vita che gli scorreva
via tra le dita senza che lui potesse fare nulla per trattenerla. La
guardò smarrito, poi scosse la testa, tentò di
tirar fuori il suo
sorriso sfrontato, e gli uscì solo una smorfia penosa. Vide
qualcosa che somigliava terribilmente a compassione fare capolino sul
volto di
Pepper.
«Perché continuate a pensare che abbia bisogno di
aiuto?» sbottò, indurendo il volto in una maschera
sprezzante.
«Non ne ho bisogno, non ho alcun bisogno dell'aiuto
di...»
«Tony...» mormorò
semplicemente Pepper, e lui ammutolì senza neanche capirne
il motivo.
«Perché sei qui per terra?»
gli chiese, e lui assunse un'espressione
spaesata.
«Che razza di
domanda è?»
«Tu rispondi.»
«Perché ero ubriaco e sono caduto, ecco
perché! Credevo fosse evidente! E sto già bene,
adesso,» mise in
chiaro, irritato, non capendo dove volesse andare a parare e
già
presagendo un'interminabile paternale.
«Allora alzati,» commentò
semplicemente Pepper.
Fu un'altra stoccata al petto che gli mozzò il
fiato. Si aspettava un
rimprovero, una sfuriata, un addio, qualunque cosa,
ma non quella schiettezza quasi crudele. Se la meritava, e lo sapeva,
ma non potè fare a meno di sentirsi tradito, come se avesse
ricevuto
una pugnalata alle spalle da chi aveva il compito di
proteggerlo. Tentennò, incapace di imbastire la solita
facciata
di circostanza.
«Non ho molta voglia di... adesso
non...»
«Tony.»
Stavolta
c'era una sfumatura più severa nella sua voce.
Sentì la vergogna affiorargli al volto in una vampata
rovente,
mentre si sforzava di cacciar fuori quelle parole.
«Non ce la
faccio,» esalò
infine, sentendosi scoperto, soffocato dall'umiliazione. «Non
riesco
ad alzarmi da solo,» si
costrinse ad aggiungere, combattendo contro le parole aspre e
sprezzanti che gli salivano alle labbra.
Girò di scatto la testa,
rivolgendole il lato cieco e desiderando come non mai di poter
correre via. E non poteva. Non avrebbe più potuto,
si rese
conto. Per un attimo tutto quello che aveva costruito gli
sembrò
una vana illusione, elaborata per l'uomo perfetto che lui non era.
Respinse il pensiero, ma questo si rifugiò in un angolo non
troppo
remoto della sua mente, pronto a rispuntare al momento
opportuno.
Sentiva lo sguardo di Pepper su di sé,
opprimente.
«Era così difficile ammettere di aver bisogno di
qualcuno?» sospirò
lei, e gli sembrò improvvisamente esausta.
Tony captò la differenza
tra "aiuto" e "qualcuno", ma non volle
riconoscerla e si ostinò a rimanere in silenzio.
Lei gli
scostò i capelli dalla fronte accaldata, in un gesto
delicato che non seppe
come interpretare. Non sapeva neanche decifrare quello che stava
provando in quel momento, se non un'immensa debolezza e il desiderio
di ancorarsi a qualcosa, a qualsiasi cosa, ma attorno a lui percepiva solo il vuoto.
Pepper arrivò a riempirlo, posandogli una mano sulla guancia
con una gentilezza
che non si
sarebbe mai aspettato né meritato dopo tutto quel che era
successo. Gli fece
male, anche quello. Non si ritrasse, ma socchiuse l'occhio, non
osando muoversi nel timore che si scostasse. Avrebbe voluto fare
molte cose in quel momento, tra cui abbracciarla, accarezzarla,
chiederle scusa, baciarla, stringerla a sé – non
necessariamente in
quell'ordine.
E invece, come al solito, fu la parola ad arrivare
prima delle azioni:
«Pensi che adesso cambierà qualcosa?»
Ecco,
adesso l'avrebbe schiaffeggiato, e a ragione. Invece gli prese il
volto tra le mani e lo costrinse a guardarla, gli occhi chiari che
sembravano leggergli dentro. Per un attimo ebbe il folle impulso
di baciarla lì, adesso, ma esitò: il momento
giusto era passato tempo fa
e lui l'aveva sprecato.
«Tony.» L'uomo
sfuggì brevemente i suoi occhi. «No,
guardami. Non
sto scherzando,
come non ho mai scherzato in tutto questo tempo. Non sei il solo ad
essere "stanco".» A quel punto esitò brevemente,
per poi riprendere con voce più cauta e bassa: «Ti
voglio bene, e lo sai, ma non ho più né la
pazienza,
né la
forza per badare a te.»
Tony fece per protestare, sentendo un'alternanza di spilli roventi e
gelidi pungergli il cuore a quelle parole inaspettate, ma lei lo
anticipò:
«Riesci a capirlo?»
L'uomo tentò debolmente di
svicolare alla sua stretta, ma rinunciò quasi subito.
Annuì piano,
rassegnato, sentendosi un bambino che ammette di aver torto. Pepper
gli liberò il volto, ma lasciò una mano sulla sua
guancia bollente,
appena sopra l'escoriazione che gli solcava lo zigomo.
«Capisci
cosa sto cercando di dirti?» mormorò
ancora, lasciando scivolare via la mano in una lieve carezza.
Lui annuì
di nuovo, muto. Lo capiva molto bene.
Gli stava dicendo che la
prossima volta non sarebbe tornata indietro. E, se fosse caduto di
nuovo, l'avrebbe lasciato a sprofondare nel fango.
***
4
Aprile, 00:10, Villa Stark
Mentre
Tony si stava ancora slacciando le scarpe, il vapore aveva
già
iniziato a condensarsi sullo specchio.
Le mani gli tremavano
nello sforzo di controllare le dita e sciogliere i nodi. La protesi
rifiutava di collaborare, probabilmente a causa della situazione
disastrata in cui versava la sua mente: i nervi dovevano essere ormai
annegati nell'alcool. Al terzo tentativo mandò
definitivamente a
quel paese le scarpe e le scalciò via esasperato, come a
scacciare
anche i pensieri che lo assalivano: il processo, i giornalisti,
Christine, la sbronza, Hulk, la casa semidistrutta... e Pepper.
"Che
macello..." considerò tra sé, lanciandole
un'occhiata di
sottecchi.
Non sapeva con quali forze, nascoste nel suo corpo così
minuto, era riuscita a trascinarlo
fino al bagno evitando persino di farlo svenire durante il tragitto.
Pensò
che forse il suo aiuto gli sarebbe servito anche per arrivare alla
vasca. Nonostante tutti i disastri della giornata si era persino
offerta di aiutarlo a lavarsi, dato il suo scarso controllo
psicofisico. Non era la prima volta che succedeva, anzi, si era
completamente affidato a lei quando le protesi erano ancora in
progettazione e lui era decisamente incapace di spostarsi da solo,
tantomeno entrare nella vasca. C'erano stati molti momenti d'imbarazzo,
soprattutto da parte propria verso il suo corpo abbrutito, e si era
sentito sollevato quando negli ultimi tempi però era
arrivato a
fare sempre a meno del suo aiuto, man mano che recuperava le sue
facoltà motorie. Peccato che adesso riuscisse a
malapena a
reggersi in piedi e fosse regredito a quella fase iniziale.
Si chiese quanta pazienza potesse davvero avere
quella donna. Al posto suo se ne sarebbe andato... dal primo istante?
Non senza averlo prima picchiato a sangue, ovviamente.
Pepper aprì
l'acqua calda e sistemò gli asciugamani, sempre voltandogli
accuratamente le spalle. Tony aspettava perso nei suoi pensieri,
volti soprattutto a distogliere l'attenzione da cosa avevano
riversato le sue viscere nel water, chiuso, su cui era
seduto. Avrebbe voluto avere modi più costruttivi per
occupare la
sua mente, ma non aveva molta scelta, al momento, a parte continuare
a litigare con bottoni, lacci, asole, zip e altre invenzioni del
demonio.
«Posso aiutarla?» gli chiese infine lei in
tono
neutro, probabilmente notando le sue evidenti difficoltà di
coordinazione.
Più che un'offerta sembrava una domanda ironica,
come se la risposta fosse scontata. Con un cenno appena percettibile
della testa annuì, sentendosi terribilmente spossato e con
la
sbronza ancora in via di smaltimento. Non riuscì nemmeno a
ringraziarla, ad articolare una risposta sufficiente o anche solo a
guardarla negli occhi.
"Tony Stark" e "senso del
pudore" erano due concetti collocati pressoché agli antipodi
l'uno dall'altro, ma in quel momento riuscì a provare solo
un
profondo senso di vergogna e inadeguatezza al pensiero di farsi
svestire da lei, soprattutto considerando l'ultima occasione in cui si
era fatto spogliare da una donna.
"Fa' che si sbrighi, ti
prego," si ritrovò a pensare, rivolto non sapeva bene a chi,
non riuscendo a sopportare di stare nella stessa stanza con lei
ancora per molto.
Pepper gli si avvicinò e lo liberò dalla
cravatta, iniziando poi a
sbottonargli la camicia con dita gentili, sfiorandolo appena. Tony
concentrò il suo sguardo su un punto poco oltre la testa di
lei,
cercando di non pensare a quanto sarebbe stato piacevole quel gesto
in un'altra situazione. Arrossì violentemente, in un misto
di
vergogna e imbarazzo per quel pensiero inopportuno, un mix di
emozioni che non credeva avrebbe mai provato in vita sua e che soffocò
sul nascere il lieve tramestio al basso ventre.
Pepper
aveva appena allentato l'ultimo bottone e stava per allargargli la
camicia per farla scivolare dalle sue spalle, il tutto senza che una
sola traccia di
emozione solcasse il suo viso. Tony dal canto suo non riusciva quasi
più a
sopportare la sua presenza: troppo immeritata... troppo bella, tanto
da farlo agitare di nuovo. Era come se si fosse riempito
così tanto,
di rabbia, di frustrazione, di impotenza, da essere infine
straripato, ma l'acqua non si fermava e continuava a riempirlo, e lui
a straripare, ininterrotto, come un fiume in piena. Arginò
quell'inondazione in cui si sarebbe volentieri lasciato annegare, per
poi realizzare con un lampo di puro panico di essere a petto nudo,
col reattore in bella vista. Perse il controllo appena recuperato e si
ritrasse
bruscamente dalle mani di
Pepper, voltandosi di lato, non del tutto sicuro di essere in grado
di guardarla negli occhi adesso sorpresi. Celò con una
mano il reattore e con esso il lieve reticolo violaceo che lo
contornava; fu con sollievo che chiuse nuovamente i lembi della
camicia nascondendolo del tutto.
«Lasci. Faccio da solo,» quasi
ringhiò, come un animale ferito che tenti di difendersi con
le
ultime forze nonostante sia già in fin di vita.
Vide uno
scorcio di esitazione da parte sua e capì che si stava
chiedendo se fosse davvero
il caso di lasciarlo da solo.
«Che aspetta? Le ho detto che faccio da solo,»
sbottò,
con una voce che odiava essere così aspra eppure
così
tremante.
Quando lei esitò ancora continuò, alzando
la
voce. La cacciò praticamente fuori, quasi urlandole che ce
la faceva
da solo e che non doveva preoccuparsi per lui, che era stanco che
tutti si preoccupassero per lui, di avere sempre tutti attorno e poi
non riuscì a ricordare cos'altro. Qualunque cosa, pur di
allontanarla da quell'ulteriore preoccupazione, da quell'ennesima
crepa che solcava il suo guscio inutile.
Pepper, che aveva subito lo sfogo senza proferir parola, non aggiunse
nulla,
freddata da quell'esplosione improvvisa, ed uscì
semplicemente senza
guardarsi indietro, sbattendo la porta. Non seppe decifrare se non lo
avesse insultato per rassegnazione o puro
sdegno. Quell'indifferenza fu peggio di qualsiasi rimprovero.
Avrebbe voluto che gli urlasse contro, che gli dicesse finalmente
quanto lo detestasse e quanto fosse ingrato, che se ne andasse
lasciandolo davvero nel fango – e invece continuava a tornare
indietro e diceva di tenere a lui. La gola ancora
gli bruciava per lo sforzo e se prima si era sentito un mostro,
adesso non sapeva come definirsi.
Scosse la testa, questa volta
veramente sgombra da qualsiasi pensiero per quanto era stanco e
spossato. Fece per togliersi la camicia, ma la costola incrinata e la
spalla meccanica indolenzita gli impedirono di girarsi a sufficienza
per liberarsene; riprese quindi a lottare con la chiusura dei
pantaloni. Alla fine, esasperato, si lasciò scivolare nella
vasca
ancora parzialmente vestito, quasi cadendoci dentro. Emise un sospiro
di sollievo
nel sentirsi abbracciare
dall'acqua calda, ma i dolori muscolari lo assalirono subito dopo. Non
si era reso conto dello sforzo che il suo fisico
non più in forma come una volta aveva dovuto sopportare.
Prese il
doccino e se lo puntò sulla nuca, rilassandosi completamente
sotto
il getto che gli accarezzava i capelli, alleviando almeno
apparentemente l'emicrania. Rimase così a lungo, godendosi
quel
momento di estasi.
Dopo molti minuti si risolse ad
abbandonare quel sollievo e si immerse del tutto, con la testa
più
leggera poggiata mollemente sul bordo della vasca. Con enorme
fatica si liberò dall'impiccio della stoffa lacera, sporca e
pesante, che gettò poi sul pavimento. Tirò un
sospiro di sollievo nel
ritrovarsi completamente libero e a diretto contatto con il calore,
abbandonandosi al suo effetto ristoratore. Solo allora
notò quanto
fosse dimagrito: i pantaloni non gli andavano più
così larghi da
mesi...
Qualche chiazza violacea incominciava a delinearsi sulla
sua pelle attraverso la membrana cristallina dell'acqua e la visione
delle sue dita impresse sul braccio di Pepper si ripresentò
prepotente. Tastò un livido sulla gamba sana, assicurandosi
che
facesse male, e sperando di rivivere il colpo che Bruce gli aveva
sferrato, ma il dolore non era paragonabile a quello che provava nel
vedere il volto di Pepper contratto a causa sua, una macchina di
ferro incompleta che invece di autodistruggersi demoliva ciò
che gli
stava intorno.
Poggiò una mano sul reattore, avvertendo il lieve
ronzio che emetteva senza sosta. Quello almeno era rimasto
invariato, ma non sapeva se fosse un bene o un male. Non cambiava il
nucleo di palladio da circa tre mesi, da poco dopo l'incidente. Era
così irreale, quando fino a pochi mesi prima era costretto a
cambiarne uno ad ogni utilizzo dell'armatura. Eppure una
singola, sottile venatura nera spuntava evidente dal reattore,
solcandogli la pelle. Era irregolare, dai contorni squadrati, e si
protendeva minacciosa verso il suo collo arrivando qualche centimetro
sotto la clavicola. Era lì da un po', in effetti, ma
all'inizio era
così piccola e fine da non avergli dato troppo peso. Adesso,
oltre
alla linea che serpeggiava pericolosamente vicina all'attaccatura
della protesi, intravedeva sottopelle un reticolo di striature
più chiare attorno alla
circonferenza del
reattore,
che sembravano pronte a seguire la sua compagna e ad estendersi per
tutto il suo
torace. Colto da un sospetto improvviso inclinò la testa e
cercò di
guardare l'attaccatura della protesi anteriore: anche lì
intravedeva
dei capillari più scuri che si intrecciavano lungo il bordo
metallico, ma erano appena percettibili e molto più sottili.
Spostò
lo sguardo sulla gamba, notando solo la piaga più infiammata
del
solito che probabilmente poteva già celare un altro reticolo
di vene
intossicate.
Il suo volto si fece corrucciato mentre tastava con
malcelato ribrezzo la linea scura in leggero rilievo. Era sempre
stato consapevole della tossicità del palladio, ma non
aveva mai pensato seriamente a come contrastarla, a parte bevendo un
litro e mezzo di clorofilla al giorno. Aveva riso degli avvertimenti
di Ian in proposito e si era sottratto a qualunque altro controllo
medico da parte sua, proibendogli di farne parola con Pepper.
Forse
aveva sottovalutato la cosa.
Poggiò di nuovo la testa sul bordo
della vasca e chiuse l'occhio, lasciando ricadere la mano lungo il
fianco: non aveva senso cercare soluzioni quando non era neanche
sicuro di volerne trovare.
Si lasciò avvolgere dall'abbraccio
invitante della vasca, immergendo completamente la testa e avvertendo
il tepore che lo scaldava pian piano fino ai muscoli indolenziti.
Percepiva a malapena il peso del cilindro metallico nel suo petto; la
luce azzurrina che ne scaturiva dipingeva riflessi contorti sulle
pareti levigate della vasca. Lo strato trasparente d'acqua gli dava una
visione distorta del mondo esterno, ridotto a una massa tremolante
sopra di lui, dai contorni indistinti, quasi come la realtà
che
non voleva vedere con chiarezza. Sbattè un paio di volte la
palpebra prima di chiuderla, un po' infastidito. Incominciava a
risentire della mancanza di ossigeno, ma il suo corpo sembrava
abbandonato sul fondo della vasca e la testa era così
pesante da
sostenere... l'acqua invitante e accogliente. Non aveva nessun motivo
per riemergere da quella quiete. Qualche tremolante bolla
d'aria sfuggì alle sue labbra, risalendo verso la superficie.
Un
bussare ovattato lo raggiunse fin sotto l'acqua, attraversando senza
difficoltà la dimensione di tranquillità che era
riuscito a
ritagliarsi.
Non rispose: non voleva riprendere aria. Non
ora...
«Signor Stark?» chiese Pepper, non
ricevendo alcuna
risposta.
I polmoni brucianti per la carenza di ossigeno
lo costrinsero a riemergere, respirando affannosamente. I
capelli arruffati e grondanti d'acqua che sgocciolavano
interrompevano a malapena lo sgradevole silenzio.
Notò con la
coda dell'occhio la porta che si schiudeva appena.
«Non
entri,» rispose infine col fiato corto, quasi
ansioso,
impedendo alla donna di affacciarsi.
Pepper richiuse la porta,
l'ennesima tra di loro.
***
4 Aprile, 01:20, Villa Stark
La
polvere dei calcinacci era ancora ovunque, il muro stesso sembrava
essersi spalmato ovunque. Sul divano, per la cucina, sul pavimento
dell'intera casa...
Nonostante tutto, Tony si sentì quasi
soddisfatto del suo lavoro da casalinga disperata: i calcinacci erano
radunati in pile più o meno ordinate, le bottiglie d'alcool
erano finite nell'immondizia e un paio di
mobili avevano ripreso una posizione verticale.
Eppure gli
sembrava di non aver concluso ancora nulla. La casa era ancora
sottosopra, immersa nell'intonaco sgretolato e in qualche bottiglia
dimenticata, col tavolo ancora a gambe all'aria, e aveva patito le pene
dell'inferno per sistemare quelle
quattro cosette che non avevano cambiato poi molto la situazione
generale. Anzi, la protesi alla gamba sembrava andare a fuoco e
poteva giurare di sentire anche lo sforzo dei muscoli metallici
nonostante il cocktail decisamente azzardato di antidolorifici che
aveva ingollato prima di mettersi all'opera. Era addirittura riuscito a
mangiucchiare a forza qualche cracker, l'unico cibo di fronte al quale
il suo stomaco non si fosse ribaltato per la nausea, accompagnato da un
mezzo bicchiere d'acqua dal retrogusto alcolico.
L'unica nota positiva
in tutto quello scompiglio era di essere riuscito a non svegliare
Pepper, che dopo essersi accertata delle sue condizioni era andata a
dormire stremata al piano di sopra,
rivolgendogli uno sguardo che voleva chiaramente dire:
"fatti-trovare-in-piedi-e-ti-ammazzo". Purtroppo il suo
istinto di conservazione sembrava essere andato in vacanza, visto che
era ancora impegnato a vagare da un capo all'altro della villa nel
tentativo di renderla presentabile.
"Ok, JARVIS, hai vinto
tu."
Tony si rassegnò a riconnettere la scheda madre
dell'intelligenza artificiale che amministrava la casa e che
l'avrebbe tirata a lucido attivando il sistema di aspirapolveri e
robot appositamente installato, così si trascinò
con le stampelle fino all'ascensore e scese in laboratorio. Era da meno
di un giorno che
non vi metteva piede, ma sembrava già essere un secolo, e
doveva
ammettere che gli mancava terribilmente la sua "sala giochi"
e anche il benvenuto di JARVIS. La stanza si illuminò
automaticamente come vi mise piede, ma gli mancava ancora quella
scintilla di vitalità che aveva di solito: gli schermi erano
spenti
e le interfacce assenti. Quasi non riconosceva il suo covo.
Chiunque
avrebbe potuto notare a colpo d'occhio la sua assenza, seppur breve:
tutto era quasi ordinato, il contrario di ciò che restava
dopo il
suo passaggio. Era anche vero che l'ultima cosa sulla quale aveva
lavorato era la propria gamba: non c'era modo di creare troppo
disordine. Si accigliò quando quell'impressione fu
smentita
dalla scrivania nell'angolo, ancora rovesciata così come
l'aveva
lasciata quella mattina. La lasciò lì e si
diresse con decisione
verso il pannello di controllo piazzato in un angolo. Spostò
a colpo
sicuro qualche filo per poi reinserire la scheda, e questa riprese
subito vita, illuminando i suoi circuti della familiare luce
azzurrina.
"Azzurro. Perché azzurro ovunque?" si chiese
distratto, picchiettando un ritmo sul reattore mentre un ronzio
rassicurante pervadeva l'ambiente, segno che JARVIS stava riattivando
le connessioni.
«Bentornato, signore,» lo
accolse cordialmente, e Tony si
sentì
finalmente di nuovo a casa.
Assistette soddisfatto al riavvio del
laboratorio: improvvisamente tutto riprendeva vita.
Quasi
tutto. La parete delle armature rimase immersa nel buio, come sempre
da quando l'aveva isolata e aveva trovato il tempo e la forza per
schermarne il vetro, in modo da celarne il contenuto. Una vista
dolorosa in meno per il suo già affaticato occhio.
Si fece strada
fino alla consolle, scostando dal suo percorso i progetti e le
interfacce dimenticate aperte nell'ultima sessione, poi si sedette
sulla sua sedia come un re da lungo assente che riprende posto sul
suo trono.
«Tesoro, ti sono
mancato?» cinguettò
scherzosamente, scostando uno schermo fluttuante in maniera quasi
affettuosa e non volendo ammettere a se stesso il contrario.
Visto
che gli avvisi del reboot di JARVIS cominciavano a privarlo dello
spazio
vitale, con un gran gesto delle braccia radunò tutte le
schermate e
le ridusse a una pallina di dati tremolante, che gettò poi
nel
cestino virtuale che gli apparve accanto.
«Signore, la
planimetria dell'abitazione è stata
modificata.» Tony alzò
l'occhio al cielo. «Vuole registrare l'aggiornamento
o...»
«Registra
l'aggiornamento e tieni da parte il vecchio progetto della casa:
forse il mio nuovo hobby sarà costruire muri.»
«Sì,
signore.»
Essere tornato nel suo mondo gli dava un senso di
sicurezza, un misto di serenità e sollievo: era dove poteva
lasciare
fuori tutti i suoi problemi e decidere di far entrare solo quelli che
desiderava. E al momento aveva davvero bisogno di concentrarsi su
qualcosa di pratico, fisico e concreto. Avrebbe voluto riprendere in
mano la
progettazione delle protesi, ma sentiva di aver già fatto
troppo per
quella giornata, e non era esattamente di umore creativo per
fantasticare su tecnologie ancora inesistenti. Soprattutto non con le
mani che ancora gli tremavano e la vista vagamente ondeggiante per
l'alcool. C'era qualcos'altro che lo preoccupava
maggiormente.
«JARVIS, avvia ricerca: compatibilità elementi
esistenti con il nucleo del reattore arc.»
«Eseguo. Ricerca in
corso.»
Tony sollevò la maglietta fino a scoprire il reattore,
utilizzando lo schermo davanti a lui come specchio: osservò
incuriosito la vena innaturalmente squadrata che incombeva minacciosa
sul suo petto. Avrebbe potuto giurare che si fosse già
allungata, ma forse
era solo suggestione. Intanto un secondo schermo lampeggiante
richiamò la sua attenzione, mostrandogli i risultati della
ricerca.
«Nessun elemento compatibile con la tecnologia arc, signore.
Al
momento il palladio è l'unica soluzione
disponibile.»
Tony osservò
la tavola periodica appena analizzata, cercando di pensare a qualche
possibile combinazione tra i vari elementi, poi con un gesto
scacciò
via la schermata. Non credeva davvero di avere forze sufficienti per
sostenere anche quell'esito negativo. Inoltre, non riusciva a non
preoccuparsi per il fatto che se mai avesse dovuto sostituire il
nucleo del reattore, i micro-reattori che alimentavano le protesi
avrebbero dovuto subire la stessa sorte. E ciò voleva dire
modificare un qualcosa che era ancorato alla protesi... e al suo
midollo osseo.
Si passò una mano sul pizzetto, turbato dalla
necessità di dover subire una qualsiasi altra operazione:
dopo
l'intervento alla gamba aveva momentaneamente accantonato anche il
progetto di un occhio sintetico, per quanto era spaventato all'idea
di finire
– in ogni senso – di nuovo sotto i ferri. Ma
dopotutto le protesi non erano così dannose e i sintomi
potevano
essere tenuti sotto controllo dalla clorofilla e da qualche altra
diavoleria che era sicuro di poter trovare o inventare: avrebbe
potuto cambiare solo il nucleo del reattore centrale, decisamente
più
problematico, visto che si trovava a contatto diretto coi suoi organi
interni.
Si accigliò, rendendosi conto che anche in questo caso
avrebbe avuto un'unica possibilità. Quanto gli sarebbe
costato
inserire un elemente incompatibile nel reattore? E
soprattutto: un arresto cardiaco causato da una scheggia che gli
spaccava il miocardio sarebbe stato meglio o peggio di una morte
lenta e dolorosa per intossicazione da metallo pesante?
Tornò ad
osservare la venatura nerastra che spiccava sulla sua pelle. Sentiva
un lieve senso di oppressione al petto e gli sembrava che i polmoni
fossero meno ampi del solito.
"Solo suggestione,"
si ripeté con fermezza, ma il suo volto non si
rilassò.
«JARVIS...»
Esitò. Voleva
davvero saperlo?
«Quanto... tra
quanto
l'intossicazione
diventerà un problema serio?» modificò
la domanda in corso d'opera, sentendo
che in quel momento non era nelle condizioni di farsi rivelare il
tempo che gli rimaneva.
«Mi è impossibile eseguire dei calcoli
precisi, ma la mia stima è che tra circa sei o sette mesi i
sintomi
diventeranno evidenti, quando la concentrazione di palladio
supererà
il 20%»
«Sintomi?»
Le sopracciglia di Tony si aggrottarono ulteriormente mentre seguiva
le venature di palladio con l'impressione di riconoscervi forme e
figure geometriche.
«Signore, le sconsiglio vivamente di
ricercare i sintomi dell'intossicazione da metalli pesanti,»
rispose
JARVIS, in uno slancio di premura inatteso.
«Mh. Per
fortuna ti ho dotato di più buonsenso di me,»
commentò lui, con un
sorrisetto spento, decidendosi a lasciar ricadere la maglietta.
Il logo degli AC/DC
tornò a celare il
reticolo venefico che occupava il suo petto.
Fissò assente
il suo riflesso, cercando di collocare quell'ultimo problema nel
puzzle già abbastanza complicato e malmesso che era
diventata la sua
vita. Per ogni tassello che sistemava al posto giusto ne spuntavano
fuori altri dalle forme stravaganti che sembravano non avere nulla a
che fare con i pezzi che già aveva.
«Signore, posso suggerirle
di utilizzare un rilevatore di tossicità?»
Tony sobbalzò,
riportato alla realtà dalla voce elettronica del suo
maggiordomo
virtuale. Uno schermo galleggiava a un palmo dal suo volto e lo
allontanò un poco con la mano, focalizzando lo spaccato di
un
congegno. Nella sua mente era ancora impressa l'immagine della
vena squadrata e nociva che risaltava sulla sua pelle. Strinse il
pugno metallico più volte, nervoso, poi afferrò
titubante gli
occhiali da saldatore rimasti abbandonati sulla consolle.
Li
soppesò per qualche istante, mentre la vena prendeva a
ramificarsi
nella sua immaginazione, occupando pian piano tutto il suo petto.
Scrollò la testa e a quel gesto la sua spossatezza
sembrò
evaporare dalle sue membra.
Scivolò rapido al banco di
lavoro, iniziando ad assemblare il congegno.
***
4 Aprile, 04:20, Villa Stark
Il
salone aveva un aspetto molto più presentabile, adesso, per
quanto
una stanza con un muro diroccato potesse essere presentabile. La
polvere e
i calcinacci erano spariti, segno che JARVIS aveva svolto a dovere la
pulizia.
Tony era sprofondato nel divano dopo essere brevemente
passato per il letto solo per rigirarsi insonne tra le lenzuola, e il
suo occhio era ancora spalancato nel buio. Sarebbe dovuto
teoricamente collassare per la stanchezza di quella giornata
interminabile, ma temeva quel che avrebbe potuto sognare se l'avesse
chiuso, così si limitava a fissare il circoletto azzurrino
del
reattore proiettato sull'immensa vetrata, sperando che potesse
ipnotizzarlo e
conciliargli il sonno.
Non stava funzionando.
Le protesi
gli facevano meno male, adesso, ma ogni movimento era comunque
un'agonia.
Si massaggiò le tempie e cambiò posizione, con
l'emicrania che gli martellava
ancora il
cervello; chiuse appena l'occhio e quando lo riaprì il suo
sguardo
fu catturato da un tenue riflesso di fronte alla parete crollata.
Riconobbe i vetri sparsi attorno a un oggetto più scuro: la
cornice
che aveva accuratamente evitato di raccogliere prima.
"Quello
è di Pepper," pensò stancamente, recuperando le
stampelle e
alzandosi senza quasi rendersene conto.
Si inclinò un poco,
esaminando i resti del quadro: il vetro era irremediabilmente
infranto e la cornice un po' storta, ma la tela era integra: una
semplice striscia nera su fondo bianco, dalla bellezza a lui
incomprensibile. Pepper teneva immensamente a quel pezzo,
il primo che aveva acquistato per la collezione d'arte moderna, e non
riusciva a ricordare quante volte l'avesse implorato di trattarlo con
cura durante le sue numerose e fantasiose ristrutturazioni della
villa.
Sospirò e lo sollevò con qualche
difficoltà, rischiando
di perdere l'equilibrio.
Ancora dolorante, recuperò un chiodo dai
recessi della casa e si avvicinò alla parete che dava
direttamente
di fronte alle scale, dietro alla cascata a vetro. Al piano superiore
dormiva
Pepper: non sarà stato un gran modo per chiedere scusa, ma
poteva
essere un inizio. Si guardò istintivamente intorno in cerca
di un
martello, poi sbuffò, dandosi dell'idiota e piantando il
chiodo con
un paio di manate ben assestate della protesi. I tonfi rimbombarono
nel salone, più forti di quanto avesse pensato, ma si
arrischiò a
dare un altro colpetto per fissarlo meglio. In tutta fretta
riappese il quadro e fece per scivolare via il più
silenziosamente
possibile, ma i pochi secondi che perse per imbracciare le stampelle
bastarono a Pepper per comparire in cima alle scale.
«Cosa ha
rotto adesso?» lo
apostrofò
senza giri di parole, con voce ancora assonnata.
"Avrei una
lunga lista..." pensò lui.
«Qualcosa a cui tenevi,» rispose
invece, a voce bassa.
Pepper lo fissò spaesata, indecisa se
prenderlo sul serio. Notò solo allora il quadro appeso alle
spalle
di Tony, e rimase davvero senza parole.
«Perché sposta quadri nel
cuore della notte?» chiese,
scendendo cautamente le scale, nel chiaro tentativo di mascherare la
sua sorpresa.
Era avvolta in una vestaglia chiara, coi capelli ramati
sciolti e un po' scomposti dal sonno; i piedi nudi si posavano
silenziosi ed eleganti sul marmo dei gradini. A Tony parve di vederla
di nuovo fasciata da quel vestito blu elettrico che le aveva
"regalato". Non poté evitare che un sorriso
malinconico gli incrinasse il volto al ricordo, subito sostituito da
un'espressione a metà tra il colpevole e l'imbarazzato non
appena
Pepper si portò dinanzi a lui. Distolse lo sguardo da quello
indagatore di lei e si limitò ad alzare le spalle,
trattenendo una
smorfia di dolore. Udì distintamente Pepper sospirare, per
poi
incrociare le braccia. Il suo sguardo spaziò nel salone
adesso quasi
in ordine, accentuando il suo stupore.
«Si è dato da fare,» si
limitò a dire infine, in tono
neutro. «Adesso, la
prego:
vada a dormire,» aggiunse,
non potendo fare a meno di notare che l'iride nocciola di Tony si era
improvvisamente illuminata al suo commento.
«Scusa,» replicò
lui, stavolta cercando i suoi occhi.
Pepper ebbe un altro moto di
sorpresa, probabilmente chiedendosi quando, in vita sua, avesse
sentito Tony Stark che si scusava.
«Me
lo avrebbe dovuto dire prima, forse,» ribatté, riluttante ad abbandonare le
formalità.
«Non cambia nulla,
ma scusami. Per tutto.» insistette
lui, e s'incupi, colpito da molti pensieri spiacevoli che non
poteva tradurre in parole.
Pepper notò quel turbamento.
«Cos'altro deve dirmi?»
Tony esitò,
rimanendo con le labbra socchiuse, senza decidersi a
parlare.
«Ho dei pensieri strani,» mormorò
poi, mentre una miriade di sensazioni esplodeva nella sua testa
risalendo prepotentemente fino alla bocca, non chiedendo altro che
essere espresse, ma le ricacciò indietro con violenza.
«Di che tipo?» Pepper
si accigliò, improvvisamente inquieta e attenta.
Attenta per lui,
ancora, nonostante tutto. Sentì una stretta al petto e
poteva essere il palladio, così come il senso di colpa o
qualche altra emozione a cui esitava a dare un nome.
«Niente
d'importante,» sospirò,
un po' brusco. «Torna pure a dormire,»
aggiunse
con voce più dolce.
«Tony, capisco che adesso non vuoi darmi
altre preoccupazioni, ma non vuol dire che tu non debba mai dirmi
nulla,» ribatté
lei, seria e rassegnata, e incrociò più
strettamente le braccia sotto al seno,
rimanendo piantata al suo posto.
Lui, nel vederla ancora
così forte e incrollabile, si scoprì ad
osservarla con un'intensità
che non aveva mai usato e che gli suscitò un vivo pizzicore
nello stomaco.
Tacque, con la sensazione ineluttabile di aver perso troppo tempo, e
che adesso fosse troppo tardi per recuperarlo.
***
Pepper
non si aspettava che le rispondesse, ma rimase comunque amareggiata
dal suo silenzio. Fu solo allora che lo osservò meglio e la
rassegnazione si tramutò in apprensione.
Una luce esausta
brillava nel suo sguardo, che cercò il suo e vi si
ancorò per
secondi interminabili. Un sorriso stanco e inclinato da una piega
amara attraversò il suo volto, così rapido da
sembrare un
miraggio.
«Sei bellissima,» disse
infine, semplicemente, e Pepper non riuscì a cogliere alcun
velo
d'ironia o sfacciataggine in quelle parole del tutto fuori
luogo e inaspettate.
Riconobbe quello
sguardo e quel timbro, che forse era il più espressivo
tra la vasta gamma che Tony
era in grado di utilizzare. Era quella voce più grave del
solito,
fredda e quasi priva d'inflessione; si sarebbe detta provenire da
un'altra persona totalmente estranea se non fosse stato per quella
luce di serietà e determinazione nello sguardo, che pareva
diventare
così profondo da potervisi perdere dentro.
Alle orecchie di Pepper acquisiva
una sfumatura minacciosa.
Era lo stesso tono che usava
quando parlava di suo padre, quelle rare, dolorose volte. Lo stesso
con cui le aveva detto che non voleva più produrre armi.
Quello con
cui le aveva spiegato perché era diventato Iron Man e le
aveva
confessato quanto solo fosse in realtà; con il quale le
aveva
chiesto, tremante, di togliergli le bende in un giorno che sembrava
una vita fa. Lo stesso che aveva usato quando era crollato,
impotente, stroncato da una doccia di caffè e da un peso
troppo
voluminoso che gravava sulle sue spalle. Temeva quella voce venata di
una tristezza irreale e di una grave compostezza che non gli si
addiceva, perché era associata a ricordi e confessioni
dolorose e
colme di rabbia e impotenza.
E quello sguardo apriva un abisso
denso nel suo occhio spossato.
Le parole che le aveva rivolto, che
sarebbero suonate allegre e forse scherzose in un momento normale,
assunsero una sfumatura più cupa, più profonda,
tanto che non
riuscì a coglierla del tutto, ma non potè fare a
meno di sentire un
velo freddo che le ostruiva la gola impedendole di ribattere.
«Si
è fatto veramente tardi. Sarà meglio che vada a
dormire. E anche
lei,» commentò infine lui in rapida successione,
apparentemente
distaccato «Buonanotte,» aggiunse
poi, recuperando quel mezzo sorriso mesto che lei non riuscì
a
ricambiare.
«Buonanotte,» replicò lei con voce
sottile, così piano
che dubitava l'avesse sentita.
Lui distolse lo sguardo senza
aggiungere altro, allontanandosi a passi stanchi.
Pepper tornò
lentamente in camera, sentendo di avere le mani ghiacciate, e forse
anche il cuore.
Revisione effettuata il 04/03/2018
Note delle Autrici:
Gesùbbambino... LA FATICA! Manco le ostetriche fanno così tanta fatica a far partorire... ma siamo qui. Ancora. Onnipresenti. Sempre più logorroiche, cattive e odiate da Tony. Sempre più r-o-m-p-i-b-a-l-l-e. *scandiscono*
Questo capitolo è un massacro per Tony, per voi e lo è stato per noi, credeteci! Ci stiamo rendendo conto che tutte le pene che gli facciamo passare alla fine si riversano anche su di noi sotto mentite sembianze di blocco dello scrittore e di scornamenti vari.
Ah, si pregano i gentili lettori di prestare particolare attenzione alla citazione iniziale, quella "spaccata": la parte blu è Tony, quella arancio Pepper. Tipo "dialogo interiore", o qualcosa del genere... E sono lievi spoiler del prossimo capitolo, quindi scervellatevi pure! :D
NOTA BENE:
Possiamo ufficialmente comunicarvi che il prossimo capitolo verrà pubblicato il 18 MARZO, giorno dell'anniversario di questa fan-fic, e sì, è un anno che stiamo qua e nessuno ci ha ancora preso a sprangate :3 Sarebbe anche ora, in effetti. Comunque, tutta questa importanza data al prossimo capitolo e il nostro estremo fomento sono dati da 3 principali motivi:
1. [Edit 04/03/2018: Teoricamente nel capitolo successivo si sarebbe dovuta concludere la prima parte della storia, almeno secondo il piano originario; in pratica ciò è stato slittato al capitolo 28, più sensato in seguito alla revisione e in luce dei nuovi capitoli.]
La FF è stata pensata in tre parti, rappresentati la vita della Fenice: Flames, Ashes e Rebirth, per concludere appunto con Phoenix. Tutto ciò, soltanto perché è una cosa figa che ci è venuta in mente e volevamo darvi un'idea più precisa della storia: non è campata del tutto in aria come potrebbe sembrare. La sofferenza di Tony avrà un perché.
2. È un capitolo che abbiamo in mente dall'inizio della storia e, dopo che lo avrete letto, vi renderete conto di quanto stiamo male... perché così stiamo. MA, ma, ma... Chi vivrà vedrà e "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate"; (?)
3. Riusciremo a pubblicare quando lo diremo noi, dato che il capitolo è già pronto, concluso e completo *piangono dalla commozione*
Detto ciò, ringraziamo chiunque abbia letto, recensito in passato, presente e futuro, aggiunto la storia tra le seguite/preferite/ricordate e in particolare coloro che hanno recensito l'ultimo capitolo! Rogue92, Alley, Thirrin, 81serena, aston e Sherlock_Watson <3
Moon&Light
P.S.: LA FATICA! Anche la citazione ci ha fatto sanguinare... adesso siate sadiche e godetevi la nostra sofferenza :D Bye!
Edit 04/03/2018: È stata introdotta in maniera più incisiva la problematica del palladio, che diventerà in effetti il filone principale di tutta la seconda parte della storia
© Marvel