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Autore: ___MoonLight    09/03/2013    6 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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25

Hycarus






"'Cause there's a side to you that I never knew, never knew
All the things you'd say, they were never true, never true
And the games you'd play, you would always win, always win"

[Set Fire To The Rain – Adele]



"I don't know what stressed me first
or how the pressure was fed
But I know just what it feels like
To have a voice in the back of my head"

[Papercut – Linkin Park]



3 Aprile, 22:45, Villa Stark

Lo trovò rannicchiato dietro al divano in posizione quasi fetale, un braccio alzato a coprirgli il viso stravolto.
Pepper si chiese cosa, esattamente, l'avesse spinta a rifiutare la cortese offerta del dottor Banner per conto dello SHIELD e a tornare là. Avrebbe potuto passare qualche giorno di serenità sull'Helicarrier o alla loro base, senza doversi costantemente preoccupare di cosa stesse combinando il suo capo e di quale misure avrebbe dovuto adottare per arginare i relativi danni.
Invece era di nuovo lì dopo neanche mezza giornata, nel buio cupo dell'atrio devastato. Bruce doveva aver avuto la previdenza di staccare corrente. Con fare cauto ma rassegnato si avvicinò a Tony, che dal respiro lento e regolare sembrava profondamente addormentato e ignaro della sua presenza. Represse l'impulso di svegliarlo a schiaffi solo quando notò il livido violaceo e il rivolo di sangue che correva lungo la sua mandibola, segno che Bruce era stato costretto a inculcargli un po' di buonsenso con metodi un po' più diretti dei suoi.
Ci volle una buona dose di scossoni e di richiami per farlo rinvenire, ma infine aprì l'occhio appannato dal sonno e dagli strascichi della sbronza. Annaspò per qualche secondo come non rendendosi conto di dove si trovava, forse riscosso da un incubo, poi sbattè la palpebra nel tentativo di mettere a fuoco il mondo. Sbarrò l'occhio nel riconoscerla e si ritrasse di scatto abbassando lo sguardo. Pepper si accorse dello sguardo fugace che aveva lanciato al suo braccio dove, sotto al giacchetto, spiccava ancora l'alone rosso lasciato dalla sua mano.
Bene. Aveva almeno la decenza di sentirsi in colpa.
Ci fu un lungo, teso, imbarazzante silenzio, che Pepper non ritenne opportuno rompere.
«Non pensavo che saresti tornata,»
gracchiò infine Tony con la voce sfibrata dall'alcool e dalle urla, nell'evidente sforzo di far coincidere i pensieri con le parole.
«Neanch'io,»
lo freddò la donna, duramente.
Tony ammutolì, distogliendo di nuovo lo sguardo. Si sentiva così debole e confuso da riuscire a malapena a mettere in ordine le sensazioni che gli inviava il suo corpo.
Uno smorzato pigolio del suo stomaco gli ricordò di non aver toccato cibo da quella mattina prima del processo, ma il solo pensiero di mangiare gli rivoltò le viscere. Provò a muoversi, ottenendo solo una sonora protesta dei suoi muscoli indolenziti per le troppe ore passate sul pavimento duro. La cosa non sfuggì a Pepper, che si accigliò e si avvicinò appena, acquistando una visione più dettagliata del suo stato pietoso, dalla camicia macchiata di sangue ai pantaloni sporchi di polvere e calce, passando per suoi capelli sconvolti e umidi. Sospirò.
«Potevi almeno trascinarti fino al divano,»
commentò, mantenendo la propria asprezza.
Prese nel frattempo nota del preoccupante rossore sulle guance dell'uomo e dell'occhio troppo lucido per essere solo assonnato. Probabilmente stava ancora scontando la febbre degli ultimi giorni, che in quel momento doveva toccare vette inarrivabili. Tony trasalì con un po' di ritardo alle sue parole, poi sollevò svogliato un sopracciglio:
«È perché mai? Il pavimento è così comodo,»
rispose, abbozzando un sorrisetto smorto.
Pepper non replicò, ma si alzò di scatto e si allontanò in direzione della cucina. Tony sperò con tutto se stesso che tornasse con un'aspirina. O con un sedativo per elefanti. Sentiva che l'effetto degli antidolorifici stava scemando di nuovo, lasciando posto alle solite fitte e a un solido, arroventato cerchio alla testa.
Abbandonò la posizione vagamente composta che aveva assunto per sdraiarsi di nuovo a terra e poggiare la fronte bollente sulla superficie fresca del pavimento di marmo. Era un bel po' che non aveva un mal di testa post-sbornia. Cominciava a ricordare perché li detestasse tanto, e adesso aveva l'onore di sperimentarlo in combinazione con la febbre. Non trattenne un rantolo esasperato. Iniziò a rendersi conto delle sue condizioni e di quanto patetico dovesse apparire, con una faccia che immaginava essere terribile dopo il pugno Bruce e la quantità immane di alcool. Senza contare i capelli, che era sicuro fossero in quello stato per allontanarsi il più possibile dal loro proprietario. Si passò una mano tremante tra essi trovandoli ancora umidi; tentò di districarli, ma finì solo per arruffarli di più. Rinunciò con un moto di stizza ed emise un mugolio involontario nel girarsi sulla schiena.
"Alzati."
"No," risposero indifferenti le... la... al diavolo, le gambe.
Si costrinse ad aspettare il ritorno di Pepper, tre minuti di attesa che gli parvero lunghi tre ore. Temeva che se ne andasse di nuovo, per davvero. Temeva di sentire i suoi tacchi avvicinarsi e poi superarlo dirigendosi verso la porta. Temeva di sentire il rombo di una macchina che si accendeva e lo stridio di ruote che si allontanavano sul vialetto. E poi sapeva che avrebbe ripreso a urlare.
Il ticchettio che preannunciava l'arrivo di Pepper risuonò nelle sue orecchie e un nodo d'ansia gli strinse lo stomaco già contratto dalla fame. Fu con immenso sollievo che sentì la mano della donna che si posava sulla sua fronte. Non si era neanche reso conto di aver serrato l'occhio. Avrebbe voluto prolungare quel contatto, ma lei si ritrasse e lo sospinse per farlo mettere a sedere. La sua impressione di deja-vù aumentava di secondo in secondo. Magari in futuro avrebbe potuto far infuriare pure Thor, così da farsi pestare anche da lui per ripetere tutta quella scena una terza volta.
Pepper gli porse un bicchiere d'acqua con una pasticca che sembrava essere qualcosa di più forte di un'aspirina. Non si soffermò a riflettere e ingollò il tutto senza fiatare, sperando improvvisamente di potersi mettere a dormire e chiudere tutto il mondo fuori dalla sua mente. Aveva appena posato il bicchiere a terra, già convinto di sentirsi meglio, quando le parole lasciarono le sue labbra, senza consenso:
«Perché sei qui?»
"Sempre più in gamba, eh, Tony?"
La domanda ebbe l'effetto immediato di accentuare ogni ombra sul viso di Pepper, rendendola insolitamente minacciosa. Sembrò tentata dal non rispondere, poi lo guardò dritto negli occhi, dietro un velo di tristezza.
«Perché da solo non ce la faresti,»
disse piano e, nonostante fosse certo che non avesse voluto realmente ferirlo, sentì un dolore atroce stritolargli il petto e si sentì svuotato di tutta la rabbia che ancora era annidata in lui.
Si sentì solo debole e indifeso, più che mai. Era di nuovo nella grotta, qualcuno aveva di nuovo il suo destino in mano, aveva ancora i mitra puntati alla testa e la vita che gli scorreva via tra le dita senza che lui potesse fare nulla per trattenerla. La guardò smarrito, poi scosse la testa, tentò di tirar fuori il suo sorriso sfrontato, e gli uscì solo una smorfia penosa. Vide qualcosa che somigliava terribilmente a compassione fare capolino sul volto di Pepper.
«Perché continuate a pensare che abbia bisogno di aiuto?» sbottò, indurendo il volto in una maschera sprezzante. «Non ne ho bisogno, non ho alcun bisogno dell'aiuto di...»
«Tony...»
mormorò semplicemente Pepper, e lui ammutolì senza neanche capirne il motivo. «Perché sei qui per terra?» gli chiese, e lui assunse un'espressione spaesata.
«Che razza di domanda è?»
«Tu rispondi.»
«Perché ero ubriaco e sono caduto, ecco perché! Credevo fosse evidente! E sto già bene, adesso,»
mise in chiaro, irritato, non capendo dove volesse andare a parare e già presagendo un'interminabile paternale.
«Allora alzati,»
commentò semplicemente Pepper.
Fu un'altra stoccata al petto che gli mozzò il fiato. Si aspettava un rimprovero, una sfuriata, un addio,
qualunque cosa, ma non quella schiettezza quasi crudele. Se la meritava, e lo sapeva, ma non potè fare a meno di sentirsi tradito, come se avesse ricevuto una pugnalata alle spalle da chi aveva il compito di proteggerlo. Tentennò, incapace di imbastire la solita facciata di circostanza.
«Non ho molta voglia di... adesso non...»
«Tony.»

Stavolta c'era una sfumatura più severa nella sua voce. Sentì la vergogna affiorargli al volto in una vampata rovente, mentre si sforzava di cacciar fuori quelle parole.
«Non ce la faccio,»
esalò infine, sentendosi scoperto, soffocato dall'umiliazione. «Non riesco ad alzarmi da solo,» si costrinse ad aggiungere, combattendo contro le parole aspre e sprezzanti che gli salivano alle labbra.
Girò di scatto la testa, rivolgendole il lato cieco e desiderando come non mai di poter correre via. E non poteva. Non avrebbe più potuto, si rese conto. Per un attimo tutto quello che aveva costruito gli sembrò una vana illusione, elaborata per l'uomo perfetto che lui non era. Respinse il pensiero, ma questo si rifugiò in un angolo non troppo remoto della sua mente, pronto a rispuntare al momento opportuno.
Sentiva lo sguardo di Pepper su di sé, opprimente.
«Era così difficile ammettere di aver bisogno di qualcuno?»
sospirò lei, e gli sembrò improvvisamente esausta.
Tony captò la differenza tra "aiuto" e "qualcuno", ma non volle riconoscerla e si ostinò a rimanere in silenzio.  Lei gli scostò i capelli dalla fronte accaldata, in un gesto delicato che non seppe come interpretare. Non sapeva neanche decifrare quello che stava provando in quel momento, se non un'immensa debolezza e il desiderio di ancorarsi a qualcosa, a
qualsiasi cosa, ma attorno a lui percepiva solo il vuoto. Pepper arrivò a riempirlo, posandogli una mano sulla guancia con una gentilezza che non si sarebbe mai aspettato né meritato dopo tutto quel che era successo. Gli fece male, anche quello. Non si ritrasse, ma socchiuse l'occhio, non osando muoversi nel timore che si scostasse. Avrebbe voluto fare molte cose in quel momento, tra cui abbracciarla, accarezzarla, chiederle scusa, baciarla, stringerla a sé – non necessariamente in quell'ordine.
E invece, come al solito, fu la parola ad arrivare prima delle azioni:
«Pensi che adesso cambierà qualcosa?»
Ecco, adesso l'avrebbe schiaffeggiato, e a ragione. Invece gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a guardarla, gli occhi chiari che sembravano leggergli dentro. Per un attimo ebbe il folle impulso di baciarla lì, adesso, ma esitò: il momento giusto era passato tempo fa e lui l'aveva sprecato.
«Tony.»
L'uomo sfuggì brevemente i suoi occhi. «No, guardami. Non sto scherzando, come non ho mai scherzato in tutto questo tempo. Non sei il solo ad essere "stanco".» A quel punto esitò brevemente, per poi riprendere con voce più cauta e bassa: «Ti voglio bene, e lo sai, ma non ho più né la pazienza, né la forza per badare a te.»
Tony fece per protestare, sentendo un'alternanza di spilli roventi e gelidi pungergli il cuore a quelle parole inaspettate, ma lei lo anticipò:
«Riesci a capirlo?»
L'uomo tentò debolmente di svicolare alla sua stretta, ma rinunciò quasi subito. Annuì piano, rassegnato, sentendosi un bambino che ammette di aver torto. Pepper gli liberò il volto, ma lasciò una mano sulla sua guancia bollente, appena sopra l'escoriazione che gli solcava lo zigomo.
«Capisci cosa sto cercando di dirti?»
mormorò ancora, lasciando scivolare via la mano in una lieve carezza.
Lui annuì di nuovo, muto. Lo capiva molto bene.
Gli stava dicendo che la prossima volta non sarebbe tornata indietro. E, se fosse caduto di nuovo, l'avrebbe lasciato a sprofondare nel fango.


***


4 Aprile, 00:10, Villa Stark

Mentre Tony si stava ancora slacciando le scarpe, il vapore aveva già iniziato a condensarsi sullo specchio.
Le mani gli tremavano nello sforzo di controllare le dita e sciogliere i nodi. La protesi rifiutava di collaborare, probabilmente a causa della situazione disastrata in cui versava la sua mente: i nervi dovevano essere ormai annegati nell'alcool. Al terzo tentativo mandò definitivamente a quel paese le scarpe e le scalciò via esasperato, come a scacciare anche i pensieri che lo assalivano: il processo, i giornalisti, Christine, la sbronza, Hulk, la casa semidistrutta... e Pepper.
"Che macello..." considerò tra sé, lanciandole un'occhiata di sottecchi.
Non sapeva con quali forze, nascoste nel suo corpo così minuto, era riuscita a trascinarlo fino al bagno evitando persino di farlo svenire durante il tragitto. Pensò che forse il suo aiuto gli sarebbe servito anche per arrivare alla vasca. Nonostante tutti i disastri della giornata si era persino offerta di aiutarlo a lavarsi, dato il suo scarso controllo psicofisico. Non era la prima volta che succedeva, anzi, si era completamente affidato a lei quando le protesi erano ancora in progettazione e lui era decisamente incapace di spostarsi da solo, tantomeno entrare nella vasca. C'erano stati molti momenti d'imbarazzo, soprattutto da parte propria verso il suo corpo abbrutito, e si era sentito sollevato quando negli ultimi tempi però era arrivato a fare sempre a meno del suo aiuto, man mano che recuperava le sue facoltà motorie. Peccato che adesso riuscisse a malapena a reggersi in piedi e fosse regredito a quella fase iniziale.
Si chiese quanta pazienza potesse davvero avere quella donna. Al posto suo se ne sarebbe andato... dal primo istante? Non senza averlo prima picchiato a sangue, ovviamente.
Pepper aprì l'acqua calda e sistemò gli asciugamani, sempre voltandogli accuratamente le spalle. Tony aspettava perso nei suoi pensieri, volti soprattutto a distogliere l'attenzione da cosa avevano riversato le sue viscere nel water, chiuso, su cui era seduto. Avrebbe voluto avere modi più costruttivi per occupare la sua mente, ma non aveva molta scelta, al momento, a parte continuare a litigare con bottoni, lacci, asole, zip e altre invenzioni del demonio.
«Posso aiutarla?» gli chiese infine lei in tono neutro, probabilmente notando le sue evidenti difficoltà di coordinazione.
Più che un'offerta sembrava una domanda ironica, come se la risposta fosse scontata. Con un cenno appena percettibile della testa annuì, sentendosi terribilmente spossato e con la sbronza ancora in via di smaltimento. Non riuscì nemmeno a ringraziarla, ad articolare una risposta sufficiente o anche solo a guardarla negli occhi.
"Tony Stark" e "senso del pudore" erano due concetti collocati pressoché agli antipodi l'uno dall'altro, ma in quel momento riuscì a provare solo un profondo senso di vergogna e inadeguatezza al pensiero di farsi svestire da lei, soprattutto considerando l'ultima occasione in cui si era fatto spogliare da una donna.
"Fa' che si sbrighi, ti prego," si ritrovò a pensare, rivolto non sapeva bene a chi, non riuscendo a sopportare di stare nella stessa stanza con lei ancora per molto.
Pepper gli si avvicinò e lo liberò dalla cravatta, iniziando poi a sbottonargli la camicia con dita gentili, sfiorandolo appena. Tony concentrò il suo sguardo su un punto poco oltre la testa di lei, cercando di non pensare a quanto sarebbe stato piacevole quel gesto in un'altra situazione. Arrossì violentemente, in un misto di vergogna e imbarazzo per quel pensiero inopportuno, un mix di emozioni che non credeva avrebbe mai provato in vita sua e
che soffocò sul nascere il lieve tramestio al basso ventre.
Pepper aveva appena allentato l'ultimo bottone e stava per allargargli la camicia per farla scivolare dalle sue spalle, il tutto senza che una sola traccia di emozione solcasse il suo viso. Tony dal canto suo non riusciva quasi più a sopportare la sua presenza: troppo immeritata... troppo bella, tanto da farlo agitare di nuovo. Era come se si fosse riempito così tanto, di rabbia, di frustrazione, di impotenza, da essere infine straripato, ma l'acqua non si fermava e continuava a riempirlo, e lui a straripare, ininterrotto, come un fiume in piena. Arginò quell'inondazione in cui si sarebbe volentieri lasciato annegare, per poi realizzare con un lampo di puro panico di essere a petto nudo, col reattore in bella vista. Perse il controllo appena recuperato e si ritrasse bruscamente dalle mani di Pepper, voltandosi di lato, non del tutto sicuro di essere in grado di guardarla negli occhi adesso sorpresi. Celò con una mano il reattore e con esso il lieve reticolo violaceo che lo contornava; fu con sollievo che chiuse nuovamente i lembi della camicia nascondendolo del tutto.
«Lasci. Faccio da solo,» quasi ringhiò, come un animale ferito che tenti di difendersi con le ultime forze nonostante sia già in fin di vita.
Vide uno scorcio di esitazione da parte sua e capì che si stava chiedendo se fosse davvero il caso di lasciarlo da solo.
«Che aspetta? Le ho detto che faccio da solo,» sbottò, con una voce che odiava essere così aspra eppure così tremante.
Quando lei esitò ancora continuò, alzando la voce. La cacciò praticamente fuori, quasi urlandole che ce la faceva da solo e che non doveva preoccuparsi per lui, che era stanco che tutti si preoccupassero per lui, di avere sempre tutti attorno e poi non riuscì a ricordare cos'altro. Qualunque cosa, pur di allontanarla da quell'ulteriore preoccupazione, da quell'ennesima crepa che solcava il suo guscio inutile.
Pepper, che aveva subito lo sfogo senza proferir parola, non aggiunse nulla, freddata da quell'esplosione improvvisa, ed uscì semplicemente senza guardarsi indietro, sbattendo la porta. Non seppe decifrare se non lo avesse insultato per rassegnazione o puro sdegno. Quell'indifferenza fu peggio di qualsiasi rimprovero. Avrebbe voluto che gli urlasse contro, che gli dicesse finalmente quanto lo detestasse e quanto fosse ingrato, che se ne andasse lasciandolo davvero nel fango – e invece continuava a tornare indietro e diceva di tenere a lui. La gola ancora gli bruciava per lo sforzo e se prima si era sentito un mostro, adesso non sapeva come definirsi.
Scosse la testa, questa volta veramente sgombra da qualsiasi pensiero per quanto era stanco e spossato. Fece per togliersi la camicia, ma la costola incrinata e la spalla meccanica indolenzita gli impedirono di girarsi a sufficienza per liberarsene; riprese quindi a lottare con la chiusura dei pantaloni. Alla fine, esasperato, si lasciò scivolare nella vasca ancora parzialmente vestito, quasi cadendoci dentro. Emise un sospiro di sollievo nel sentirsi abbracciare dall'acqua calda, ma i dolori muscolari lo assalirono subito dopo. Non si era reso conto dello sforzo che il suo fisico non più in forma come una volta aveva dovuto sopportare. Prese il doccino e se lo puntò sulla nuca, rilassandosi completamente sotto il getto che gli accarezzava i capelli, alleviando almeno apparentemente l'emicrania. Rimase così a lungo, godendosi quel momento di estasi.
Dopo molti minuti si risolse ad abbandonare quel sollievo e si immerse del tutto, con la testa più leggera poggiata mollemente sul bordo della vasca. Con enorme fatica si liberò dall'impiccio della stoffa lacera, sporca e pesante, che gettò poi sul pavimento. Tirò un sospiro di sollievo nel ritrovarsi completamente libero e a diretto contatto con il calore, abbandonandosi al suo effetto ristoratore. Solo allora notò quanto fosse dimagrito: i pantaloni non gli andavano più così larghi da mesi...
Qualche chiazza violacea incominciava a delinearsi sulla sua pelle attraverso la membrana cristallina dell'acqua e la visione delle sue dita impresse sul braccio di Pepper si ripresentò prepotente. Tastò un livido sulla gamba sana, assicurandosi che facesse male, e sperando di rivivere il colpo che Bruce gli aveva sferrato, ma il dolore non era paragonabile a quello che provava nel vedere il volto di Pepper contratto a causa sua, una macchina di ferro incompleta che invece di autodistruggersi demoliva ciò che gli stava intorno.
Poggiò una mano sul reattore, avvertendo il lieve ronzio che emetteva senza sosta. Quello almeno era rimasto invariato, ma non sapeva se fosse un bene o un male. Non cambiava il nucleo di palladio da circa tre mesi, da poco dopo l'incidente. Era così irreale, quando fino a pochi mesi prima era costretto a cambiarne uno ad ogni utilizzo dell'armatura. Eppure una singola, sottile venatura nera spuntava evidente dal reattore, solcandogli la pelle. Era irregolare, dai contorni squadrati, e si protendeva minacciosa verso il suo collo arrivando qualche centimetro sotto la clavicola. Era lì da un po', in effetti, ma all'inizio era così piccola e fine da non avergli dato troppo peso. Adesso, oltre alla linea che serpeggiava pericolosamente vicina all'attaccatura della protesi, intravedeva sottopelle un reticolo di striature più chiare
attorno alla circonferenza del reattore, che sembravano pronte a seguire la sua compagna e ad estendersi per tutto il suo torace. Colto da un sospetto improvviso inclinò la testa e cercò di guardare l'attaccatura della protesi anteriore: anche lì intravedeva dei capillari più scuri che si intrecciavano lungo il bordo metallico, ma erano appena percettibili e molto più sottili. Spostò lo sguardo sulla gamba, notando solo la piaga più infiammata del solito che probabilmente poteva già celare un altro reticolo di vene intossicate. 
Il suo volto si fece corrucciato mentre tastava con malcelato ribrezzo la linea scura in leggero rilievo. Era sempre stato consapevole della tossicità del palladio, ma non aveva mai pensato seriamente a come contrastarla, a parte bevendo un litro e mezzo di clorofilla al giorno. Aveva riso degli avvertimenti di Ian in proposito e si era sottratto a qualunque altro controllo medico da parte sua, proibendogli di farne parola con Pepper.
Forse aveva sottovalutato la cosa.
Poggiò di nuovo la testa sul bordo della vasca e chiuse l'occhio, lasciando ricadere la mano lungo il fianco: non aveva senso cercare soluzioni quando non era neanche sicuro di volerne trovare.
Si lasciò avvolgere dall'abbraccio invitante della vasca, immergendo completamente la testa e avvertendo il tepore che lo scaldava pian piano fino ai muscoli indolenziti. Percepiva a malapena il peso del cilindro metallico nel suo petto; la luce azzurrina che ne scaturiva dipingeva riflessi contorti sulle pareti levigate della vasca. Lo strato trasparente d'acqua gli dava una visione distorta del mondo esterno, ridotto a una massa tremolante sopra di lui, dai contorni indistinti, quasi come la realtà che non voleva vedere con chiarezza. Sbattè un paio di volte la palpebra prima di chiuderla, un po' infastidito. Incominciava a risentire della mancanza di ossigeno, ma il suo corpo sembrava abbandonato sul fondo della vasca e la testa era così pesante da sostenere... l'acqua invitante e accogliente. Non aveva nessun motivo per riemergere da quella quiete. Qualche tremolante bolla d'aria sfuggì alle sue labbra, risalendo verso la superficie.
Un bussare ovattato lo raggiunse fin sotto l'acqua, attraversando senza difficoltà la dimensione di tranquillità che era riuscito a ritagliarsi.
Non rispose: non voleva riprendere aria. Non ora...
«Signor Stark?» chiese Pepper, non ricevendo alcuna risposta.
I polmoni brucianti per la carenza di ossigeno lo costrinsero a riemergere, respirando affannosamente. I capelli arruffati e grondanti d'acqua che sgocciolavano interrompevano a malapena lo sgradevole silenzio.
Notò con la coda dell'occhio la porta che si schiudeva appena.
«Non entri,» rispose infine col fiato corto, quasi ansioso, impedendo alla donna di affacciarsi.
Pepper richiuse la porta, l'ennesima tra di loro.

***


4 Aprile, 01:20, Villa Stark

La polvere dei calcinacci era ancora ovunque, il muro stesso sembrava essersi spalmato ovunque. Sul divano, per la cucina, sul pavimento dell'intera casa...
Nonostante tutto, Tony si sentì quasi soddisfatto del suo lavoro da casalinga disperata: i calcinacci erano radunati in pile più o meno ordinate, le bottiglie d'alcool erano finite nell'immondizia e un paio di mobili avevano ripreso una posizione verticale.
Eppure gli sembrava di non aver concluso ancora nulla. La casa era ancora sottosopra, immersa nell'intonaco sgretolato e in qualche bottiglia dimenticata, col tavolo ancora a gambe all'aria, e aveva patito le pene dell'inferno per sistemare quelle quattro cosette che non avevano cambiato poi molto la situazione generale. Anzi, la protesi alla gamba sembrava andare a fuoco e poteva giurare di sentire anche lo sforzo dei muscoli metallici nonostante il cocktail decisamente azzardato di antidolorifici che aveva ingollato prima di mettersi all'opera. Era addirittura riuscito a mangiucchiare a forza qualche cracker, l'unico cibo di fronte al quale il suo stomaco non si fosse ribaltato per la nausea, accompagnato da un mezzo bicchiere d'acqua dal retrogusto alcolico.
L'unica nota positiva in tutto quello scompiglio era di essere riuscito a non svegliare Pepper, che dopo essersi accertata delle sue condizioni era andata a dormire stremata al piano di sopra, rivolgendogli uno sguardo che voleva chiaramente dire: "fatti-trovare-in-piedi-e-ti-ammazzo". Purtroppo il suo istinto di conservazione sembrava essere andato in vacanza, visto che era ancora impegnato a vagare da un capo all'altro della villa nel tentativo di renderla presentabile.
"Ok, JARVIS, hai vinto tu."
Tony si rassegnò a riconnettere la scheda madre dell'intelligenza artificiale che amministrava la casa e che l'avrebbe tirata a lucido attivando il sistema di aspirapolveri e robot appositamente installato, così si trascinò con le stampelle fino all'ascensore e scese in laboratorio. Era da meno di un giorno che non vi metteva piede, ma sembrava già essere un secolo, e doveva ammettere che gli mancava terribilmente la sua "sala giochi" e anche il benvenuto di JARVIS. La stanza si illuminò automaticamente come vi mise piede, ma gli mancava ancora quella scintilla di vitalità che aveva di solito: gli schermi erano spenti e le interfacce assenti. Quasi non riconosceva il suo covo.
Chiunque avrebbe potuto notare a colpo d'occhio la sua assenza, seppur breve: tutto era quasi ordinato, il contrario di ciò che restava dopo il suo passaggio. Era anche vero che l'ultima cosa sulla quale aveva lavorato era la propria gamba: non c'era modo di creare troppo disordine. Si accigliò quando quell'impressione fu smentita dalla scrivania nell'angolo, ancora rovesciata così come l'aveva lasciata quella mattina. La lasciò lì e si diresse con decisione verso il pannello di controllo piazzato in un angolo. Spostò a colpo sicuro qualche filo per poi reinserire la scheda, e questa riprese subito vita, illuminando i suoi circuti della familiare luce azzurrina.
"Azzurro. Perché azzurro ovunque?" si chiese distratto, picchiettando un ritmo sul reattore mentre un ronzio rassicurante pervadeva l'ambiente, segno che JARVIS stava riattivando le connessioni.
«Bentornato, signore,»
lo accolse cordialmente, e Tony si sentì finalmente di nuovo a casa.
Assistette soddisfatto al riavvio del laboratorio: improvvisamente tutto riprendeva vita. 
Quasi tutto. La parete delle armature rimase immersa nel buio, come sempre da quando l'aveva isolata e aveva trovato il tempo e la forza per schermarne il vetro, in modo da celarne il contenuto. Una vista dolorosa in meno per il suo già affaticato occhio.
Si fece strada fino alla consolle, scostando dal suo percorso i progetti e le interfacce dimenticate aperte nell'ultima sessione, poi si sedette sulla sua sedia come un re da lungo assente che riprende posto sul suo trono.
«Tesoro, ti sono mancato?» cinguettò scherzosamente, scostando uno schermo fluttuante in maniera quasi affettuosa e non volendo ammettere a se stesso il contrario.
Visto che gli avvisi del reboot di JARVIS cominciavano a privarlo dello spazio vitale, con un gran gesto delle braccia radunò tutte le schermate e le ridusse a una pallina di dati tremolante, che gettò poi nel cestino virtuale che gli apparve accanto.
«Signore, la planimetria dell'abitazione è stata modificata.» Tony alzò l'occhio al cielo. «Vuole registrare l'aggiornamento o...»
«Registra l'aggiornamento e tieni da parte il vecchio progetto della casa: forse il mio nuovo hobby sarà costruire muri.»
«Sì, signore.»
Essere tornato nel suo mondo gli dava un senso di sicurezza, un misto di serenità e sollievo: era dove poteva lasciare fuori tutti i suoi problemi e decidere di far entrare solo quelli che desiderava. E al momento aveva davvero bisogno di concentrarsi su qualcosa di pratico, fisico e concreto. Avrebbe voluto riprendere in mano la progettazione delle protesi, ma sentiva di aver già fatto troppo per quella giornata, e non era esattamente di umore creativo per fantasticare su tecnologie ancora inesistenti. Soprattutto non con le mani che ancora gli tremavano e la vista vagamente ondeggiante per l'alcool. C'era qualcos'altro che lo preoccupava maggiormente.
«JARVIS, avvia ricerca: compatibilità elementi esistenti con il nucleo del reattore arc.»
«Eseguo. Ricerca in corso.»
Tony sollevò la maglietta fino a scoprire il reattore, utilizzando lo schermo davanti a lui come specchio: osservò incuriosito la vena innaturalmente squadrata che incombeva minacciosa sul suo petto. Avrebbe potuto giurare che si fosse già allungata, ma forse era solo suggestione. Intanto un secondo schermo lampeggiante richiamò la sua attenzione, mostrandogli i risultati della ricerca.
«Nessun elemento compatibile con la tecnologia arc, signore. Al momento il palladio è l'unica soluzione disponibile.»
Tony osservò la tavola periodica appena analizzata, cercando di pensare a qualche possibile combinazione tra i vari elementi, poi con un gesto scacciò via la schermata. Non credeva davvero di avere forze sufficienti per sostenere anche quell'esito negativo. Inoltre, non riusciva a non preoccuparsi per il fatto che se mai avesse dovuto sostituire il nucleo del reattore, i micro-reattori che alimentavano le protesi avrebbero dovuto subire la stessa sorte. E ciò voleva dire modificare un qualcosa che era ancorato alla protesi... e al suo midollo osseo.
Si passò una mano sul pizzetto, turbato dalla necessità di dover subire una qualsiasi altra operazione: dopo l'intervento alla gamba aveva momentaneamente accantonato anche il progetto di un occhio sintetico, per quanto era spaventato all'idea di finire – in ogni senso – di nuovo sotto i ferri. Ma dopotutto le protesi non erano così dannose e i sintomi potevano essere tenuti sotto controllo dalla clorofilla e da qualche altra diavoleria che era sicuro di poter trovare o inventare: avrebbe potuto cambiare solo il nucleo del reattore centrale, decisamente più problematico, visto che si trovava a contatto diretto coi suoi organi interni.
Si accigliò, rendendosi conto che anche in questo caso avrebbe avuto un'unica possibilità. Quanto gli sarebbe costato inserire un elemente incompatibile nel reattore? E soprattutto: un arresto cardiaco causato da una scheggia che gli spaccava il miocardio sarebbe stato meglio o peggio di una morte lenta e dolorosa per intossicazione da metallo pesante?
Tornò ad osservare la venatura nerastra che spiccava sulla sua pelle. Sentiva un lieve senso di oppressione al petto e gli sembrava che i polmoni fossero meno ampi del solito.
"Solo suggestione," si ripeté con fermezza, ma il suo volto non si rilassò.
«JARVIS...»

Esitò. Voleva davvero saperlo?
«Quanto...
tra quanto l'intossicazione diventerà un problema serio?» modificò la domanda in corso d'opera, sentendo che in quel momento non era nelle condizioni di farsi rivelare il tempo che gli rimaneva.
«Mi è impossibile eseguire dei calcoli precisi, ma la mia stima è che tra circa sei o sette mesi i sintomi diventeranno evidenti, quando la concentrazione di palladio supererà il 20%»

«Sintomi?» 
Le sopracciglia di Tony si aggrottarono ulteriormente mentre seguiva le venature di palladio con l'impressione di riconoscervi forme e figure geometriche.
«Signore, le sconsiglio vivamente di ricercare i sintomi dell'intossicazione da metalli pesanti,» rispose JARVIS, in uno slancio di premura inatteso.
«Mh. Per fortuna ti ho dotato di più buonsenso di me,» commentò lui, con un sorrisetto spento, decidendosi a lasciar ricadere la maglietta.
Il logo degli AC/DC tornò a celare il reticolo venefico che occupava il suo petto.
Fissò assente il suo riflesso, cercando di collocare quell'ultimo problema nel puzzle già abbastanza complicato e malmesso che era diventata la sua vita. Per ogni tassello che sistemava al posto giusto ne spuntavano fuori altri dalle forme stravaganti che sembravano non avere nulla a che fare con i pezzi che già aveva.
«Signore, posso suggerirle di utilizzare un rilevatore di tossicità?»
Tony sobbalzò, riportato alla realtà dalla voce elettronica del suo maggiordomo virtuale. Uno schermo galleggiava a un palmo dal suo volto e lo allontanò un poco con la mano, focalizzando lo spaccato di un congegno. Nella sua mente era ancora impressa l'immagine della vena squadrata e nociva che risaltava sulla sua pelle. Strinse il pugno metallico più volte, nervoso, poi afferrò titubante gli occhiali da saldatore rimasti abbandonati sulla consolle.
Li soppesò per qualche istante, mentre la vena prendeva a ramificarsi nella sua immaginazione, occupando pian piano tutto il suo petto. Scrollò la testa e a quel gesto la sua spossatezza sembrò evaporare dalle sue membra.
Scivolò rapido al banco di lavoro, iniziando ad assemblare il congegno.



***

4 Aprile, 04:20, Villa Stark

Il salone aveva un aspetto molto più presentabile, adesso, per quanto una stanza con un muro diroccato potesse essere presentabile. La polvere e i calcinacci erano spariti, segno che JARVIS aveva svolto a dovere la pulizia.
Tony era sprofondato nel divano dopo essere brevemente passato per il letto solo per rigirarsi insonne tra le lenzuola, e il suo occhio era ancora spalancato nel buio. Sarebbe dovuto teoricamente collassare per la stanchezza di quella giornata interminabile, ma temeva quel che avrebbe potuto sognare se l'avesse chiuso, così si limitava a fissare il circoletto azzurrino del reattore proiettato sull'immensa vetrata, sperando che potesse ipnotizzarlo e conciliargli il sonno.
Non stava funzionando.
Le protesi gli facevano meno male, adesso, ma ogni movimento era comunque un'agonia. Si massaggiò le tempie e cambiò posizione, con l'emicrania che gli martellava ancora il cervello; chiuse appena l'occhio e quando lo riaprì il suo sguardo fu catturato da un tenue riflesso di fronte alla parete crollata. Riconobbe i vetri sparsi attorno a un oggetto più scuro: la cornice che aveva accuratamente evitato di raccogliere prima.
"Quello è di Pepper," pensò stancamente, recuperando le stampelle e alzandosi senza quasi rendersene conto.
Si inclinò un poco, esaminando i resti del quadro: il vetro era irremediabilmente infranto e la cornice un po' storta, ma la tela era integra: una semplice striscia nera su fondo bianco, dalla bellezza a lui incomprensibile. Pepper teneva immensamente a quel pezzo, il primo che aveva acquistato per la collezione d'arte moderna, e non riusciva a ricordare quante volte l'avesse implorato di trattarlo con cura durante le sue numerose e fantasiose ristrutturazioni della villa.
Sospirò e lo sollevò con qualche difficoltà, rischiando di perdere l'equilibrio.
Ancora dolorante, recuperò un chiodo dai recessi della casa e si avvicinò alla parete che dava direttamente di fronte alle scale, dietro alla cascata a vetro. Al piano superiore dormiva Pepper: non sarà stato un gran modo per chiedere scusa, ma poteva essere un inizio. Si guardò istintivamente intorno in cerca di un martello, poi sbuffò, dandosi dell'idiota e piantando il chiodo con un paio di manate ben assestate della protesi. I tonfi rimbombarono nel salone, più forti di quanto avesse pensato, ma si arrischiò a dare un altro colpetto per fissarlo meglio. In tutta fretta riappese il quadro e fece per scivolare via il più silenziosamente possibile, ma i pochi secondi che perse per imbracciare le stampelle bastarono a Pepper per comparire in cima alle scale.
«Cosa ha rotto adesso?»
lo apostrofò senza giri di parole, con voce ancora assonnata.
"Avrei una lunga lista..." pensò lui.
«Qualcosa a cui tenevi,»
rispose invece, a voce bassa.
Pepper lo fissò spaesata, indecisa se prenderlo sul serio. Notò solo allora il quadro appeso alle spalle di Tony, e rimase davvero senza parole.
«Perché sposta quadri nel cuore della notte?»
chiese, scendendo cautamente le scale, nel chiaro tentativo di mascherare la sua sorpresa.
Era avvolta in una vestaglia chiara, coi capelli ramati sciolti e un po' scomposti dal sonno; i piedi nudi si posavano silenziosi ed eleganti sul marmo dei gradini. A Tony parve di vederla di nuovo fasciata da quel vestito blu elettrico che le aveva "regalato". Non poté evitare che un sorriso malinconico gli incrinasse il volto al ricordo, subito sostituito da un'espressione a metà tra il colpevole e l'imbarazzato non appena Pepper si portò dinanzi a lui. Distolse lo sguardo da quello indagatore di lei e si limitò ad alzare le spalle, trattenendo una smorfia di dolore. Udì distintamente Pepper sospirare, per poi incrociare le braccia. Il suo sguardo spaziò nel salone adesso quasi in ordine, accentuando il suo stupore.
«Si è dato da fare,»
si limitò a dire infine, in tono neutro. «Adesso, la prego: vada a dormire,» aggiunse, non potendo fare a meno di notare che l'iride nocciola di Tony si era improvvisamente illuminata al suo commento.
«Scusa,»
replicò lui, stavolta cercando i suoi occhi.
Pepper ebbe un altro moto di sorpresa, probabilmente chiedendosi quando, in vita sua, avesse sentito Tony Stark che si
scusava.
«Me lo avrebbe dovuto dire prima, forse,»
ribatté, riluttante ad abbandonare le formalità.
«Non cambia nulla, ma scusami. Per tutto.»
insistette lui, e s'incupi, colpito da molti pensieri spiacevoli che non poteva tradurre in parole.
Pepper notò quel turbamento.
«Cos'altro deve dirmi?»
Tony esitò, rimanendo con le labbra socchiuse, senza decidersi a parlare.
«Ho dei pensieri strani,»
mormorò poi, mentre una miriade di sensazioni esplodeva nella sua testa risalendo prepotentemente fino alla bocca, non chiedendo altro che essere espresse, ma le ricacciò indietro con violenza.
«Di che tipo?»
Pepper si accigliò, improvvisamente inquieta e attenta.
Attenta per lui, ancora, nonostante tutto. Sentì una stretta al petto e poteva essere il palladio, così come il senso di colpa o qualche altra emozione a cui esitava a dare un nome.
«Niente d'importante,»
sospirò, un po' brusco. «Torna pure a dormire,» aggiunse con voce più dolce.
«Tony, capisco che adesso non vuoi darmi altre preoccupazioni, ma non vuol dire che tu non debba
mai dirmi nulla,» ribatté lei, seria e rassegnata, e incrociò più strettamente le braccia sotto al seno, rimanendo piantata al suo posto.
Lui, nel vederla ancora così forte e incrollabile, si scoprì ad osservarla con un'intensità che non aveva mai usato e che gli suscitò un vivo pizzicore nello stomaco.
Tacque, con la sensazione ineluttabile di aver perso troppo tempo, e che adesso fosse troppo tardi per recuperarlo.


***


Pepper non si aspettava che le rispondesse, ma rimase comunque amareggiata dal suo silenzio. Fu solo allora che lo osservò meglio e la rassegnazione si tramutò in apprensione.
Una luce esausta brillava nel suo sguardo, che cercò il suo e vi si ancorò per secondi interminabili. Un sorriso stanco e inclinato da una piega amara attraversò il suo volto, così rapido da sembrare un miraggio.
«Sei bellissima,»
disse infine, semplicemente, e Pepper non riuscì a cogliere alcun velo d'ironia o sfacciataggine in quelle parole del tutto fuori luogo e inaspettate.
Riconobbe quello sguardo e
quel timbro, che forse era il più espressivo tra la vasta gamma che Tony era in grado di utilizzare. Era quella voce più grave del solito, fredda e quasi priva d'inflessione; si sarebbe detta provenire da un'altra persona totalmente estranea se non fosse stato per quella luce di serietà e determinazione nello sguardo, che pareva diventare così profondo da potervisi perdere dentro.
Alle orecchie di Pepper acquisiva una sfumatura minacciosa.
Era lo stesso tono che usava quando parlava di suo padre, quelle rare, dolorose volte. Lo stesso con cui le aveva detto che non voleva più produrre armi. Quello con cui le aveva spiegato perché era diventato Iron Man e le aveva confessato quanto solo fosse in realtà; con il quale le aveva chiesto, tremante, di togliergli le bende in un giorno che sembrava una vita fa. Lo stesso che aveva usato quando era crollato, impotente, stroncato da una doccia di caffè e da un peso troppo voluminoso che gravava sulle sue spalle. Temeva quella voce venata di una tristezza irreale e di una grave compostezza che non gli si addiceva, perché era associata a ricordi e confessioni dolorose e colme di rabbia e impotenza.
E quello sguardo apriva un abisso denso nel suo occhio spossato.
Le parole che le aveva rivolto, che sarebbero suonate allegre e forse scherzose in un momento normale, assunsero una sfumatura più cupa, più profonda, tanto che non riuscì a coglierla del tutto, ma non potè fare a meno di sentire un velo freddo che le ostruiva la gola impedendole di ribattere.
«Si è fatto veramente tardi. Sarà meglio che vada a dormire. E anche lei,» commentò infine lui in rapida successione, apparentemente distaccato «Buonanotte,»
aggiunse poi, recuperando quel mezzo sorriso mesto che lei non riuscì a ricambiare.
«Buonanotte,» replicò lei con voce sottile, così piano che dubitava l'avesse sentita.
Lui distolse lo sguardo senza aggiungere altro, allontanandosi a passi stanchi.
Pepper tornò lentamente in camera, sentendo di avere le mani ghiacciate, e forse anche il cuore.




 
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Revisione effettuata il 04/03/2018


Note delle Autrici:

Gesùbbambino... LA FATICA! Manco le ostetriche fanno così tanta fatica a far partorire... ma siamo qui. Ancora. Onnipresenti. Sempre più logorroiche, cattive e odiate da Tony. Sempre più r-o-m-p-i-b-a-l-l-e. *scandiscono*
Questo capitolo è un massacro per Tony, per voi e lo è stato per noi, credeteci! Ci stiamo rendendo conto che tutte le pene che gli facciamo passare alla fine si riversano anche su di noi sotto mentite sembianze di blocco dello scrittore e di scornamenti vari.

Ah, si pregano i gentili lettori di prestare particolare attenzione alla citazione iniziale, quella "spaccata": la parte blu è Tony, quella arancio Pepper. Tipo "dialogo interiore", o qualcosa del genere... E sono lievi spoiler del prossimo capitolo, quindi scervellatevi pure! :D

NOTA BENE:
Possiamo ufficialmente comunicarvi che il prossimo capitolo verrà pubblicato il 18 MARZO, giorno dell'anniversario di questa fan-fic, e sì, è un anno che stiamo qua e nessuno ci ha ancora preso a sprangate :3 Sarebbe anche ora, in effetti. Comunque, tutta questa importanza data al prossimo capitolo e il nostro estremo fomento sono dati da 3 principali motivi:
1. [Edit 04/03/2018: Teoricamente nel capitolo successivo si sarebbe dovuta concludere la prima parte della storia, almeno secondo il piano originario; in pratica ciò è stato slittato al capitolo 28, più sensato in seguito alla revisione e in luce dei nuovi capitoli.]
La FF è stata pensata in tre parti, rappresentati la vita della Fenice: Flames, Ashes e Rebirth, per concludere appunto con Phoenix.  Tutto ciò, soltanto perché è una cosa figa che ci è venuta in mente e volevamo darvi un'idea più precisa della storia: non è campata del tutto in aria come potrebbe sembrare. La sofferenza di Tony avrà un perché.
2. È un capitolo che abbiamo in mente dall'inizio della storia e, dopo che lo avrete letto, vi renderete conto di quanto stiamo male... perché così stiamo. MA, ma, ma... Chi vivrà vedrà e "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate"; (?)
3. Riusciremo a pubblicare quando lo diremo noi, dato che il capitolo è già pronto, concluso e completo *piangono dalla commozione*

Detto ciò, ringraziamo chiunque abbia letto, recensito in passato, presente e futuro, aggiunto la storia tra le seguite/preferite/ricordate e in particolare coloro che hanno recensito l'ultimo capitolo! Rogue92, Alley, Thirrin, 81serena, aston e Sherlock_Watson <3

Moon&Light

P.S.: LA FATICA! Anche la citazione ci ha fatto sanguinare... adesso siate sadiche e godetevi la nostra sofferenza :D Bye!

Edit 04/03/2018: È stata introdotta in maniera più incisiva la problematica del palladio, che diventerà in effetti il filone principale di tutta la seconda parte della storia



 



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