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Autore: didi93    09/03/2013    2 recensioni
Bella si è appena trasferita a Seattle per allontanarsi da un passato che le condiziona la vita quando incontra Edward, l’unico con il quale sente di potersi aprire. Per un attimo crede di aver trovato nell’amore la sua salvezza, ma anche lui nasconde qualcosa…
Dal cap. 4
Tutto intorno a me era buio. Attesi che i miei occhi si abituassero all’oscurità, scostai piano le coperte e scesi dal letto, evitando accuratamente ogni rumore. Faceva freddo e il pavimento era gelato. Riuscivo a capire dove mi trovassi, era la mia vecchia camera, le pareti ancora dipinte di rosa come quando ero bambina, gli oggetti perfettamente in ordine sugli scaffali. Ogni cosa era uguale a se stessa, tutto esattamente al proprio posto…tranne me.
Dal cap. 7
Mi guardò per un po’ senza parlare, poi, tenendomi le mani sui i fianchi, mi si avvicinò. Credetti che stesse per baciarmi. In realtà volevo che lo facesse, ma non accadde, si fermò a pochi centimetri dal mio viso, accostò la guancia alla mia e mi sussurrò all’orecchio. -Ho una voglia terribile di baciarti.-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Accelerai il passo senza voltarmi e quando giunsi a destinazione quasi correvo. Ero in una zona residenziale e, ovunque mi voltassi, scorgevo palazzi alti e imponenti, l’unica illuminazione era generata dai pochi lampioni ai due lati della strada e la zona era deserta, avevo la sensazione di essere l’unica persona ancora sveglia, in una città addormentata. Girai su me stessa una, due, tre volte, poi realizzai. Non sapevo di preciso dove abitasse e di certo non potevo bussare ad ogni porta. Un terribile vuoto nello stomaco. Mi fermai e abbassai lo sguardo al suolo. Non saprei dire quanto tempo fossi rimasta così, con la testa bassa e le ciglia aggrottate. Ad un tratto un calpestio catturò la mia attenzione. Non riuscivo a staccare gli occhi dalle due scarpe da ginnastica e jeans scoloriti sempre più vicini. No, non avrei alzato lo sguardo per ricevere l’ennesima delusione. Chiunque fosse accelerò il passo. Poco dopo una mano mi sollevò il viso, allora lo guardai.
-Che ci fai qui?- chiese a voce bassa. Ma non ebbi il tempo di rispondere. Le sue labbra incontrarono le mie. Fu un bacio lungo, intenso e, per un attimo, mi sembrò che ci conoscessimo da sempre e nient’altro avesse importanza. Quando si staccò da me i suoi occhi, colore del mare, furono fissi nei miei.Un uragano di emozioni contrastanti mi travolse mentre osservavo il suo volto e quasi tremavo.
Sorrise  –Che c’è?-
-Io…non lo so.-
-La domanda è sempre valida, che ci fai da queste parti?-
Abbassai lo sguardo pensando a cosa dire, ma non c’era bisogno di parole.-Cercavi me?- chiese con un tono improvvisamente dolce e del tutto insolito per lui.
-Si.- ammisi arrossendo.
-Beh questo è un bene…è così strano l’effetto che hai su di me e fa piacere sapere che forse anch’io non ti sono del tutto indifferente.-
Cercai di riprendermi, facendo capo a tutta la forza che avevo e sollevai lo sguardo -Perché mi hai lasciata in quel modo l’ultima volta? Sono venuta fin qui per chiederti questo.-
Si morse le labbra e non rispose.
-Io proprio non capisco, è così strano, cambi modo di fare da un giorno all’altro, sei capace di farmi sentire la persona più importante al mondo e poi, l’attimo dopo, di comportarti come se neanche esistessi. Voglio sapere perché.-continuai.
Fece due passi indietro e si allontanò da me, mentre la sua espressione diventava più seria-Hai ragione, il mio umore è un po’ instabile, ma non posso farci niente, mi dispiace.-
-Che cosa ti è successo? Tu l’hai chiesto a me, penso di avere il diritto di chiedertelo anch’io.-
-Non posso dirtelo, e poi neanche tu mi hai detto cos’è che ti fa soffrire.- rispose dopo una pausa.
Scossi la testa rassegnata, dopo tutto sentivo di non poter fare a meno di lui, era così strano, una sensazione così insolita mi rendeva indissolubilmente legata a qualcuno di cui sapevo poco o nulla.
Si guardò attorno, come se si stesse rendendo conto solo in quel momento che eravamo le uniche due persone ferme in mezzo a quella strada, di notte.
-Vuoi entrare?- chiese subito dopo.
-D’accordo.-
Mi prese la mano e mi condusse verso il palazzo alla nostra destra. Entrammo in un atrio piccolo ma elegante e ben illuminato, salimmo solo una rampa di scale ed Edward si fermò per aprire la porta di quello che immaginai fosse il suo appartamento.
-Entra pure.- disse e stese un braccio all’interno per accendere la luce.
La stanza nella quale si accedeva direttamente era quadrata e non molto grande, di fianco alla porta d’ingresso c’era uno scrittoio in legno con davanti una poltroncina bianca, sulla parete opposta si apriva una grande finestra, addossato alla parete alla mia destra c’era un letto ad una piazza e mezzo e, di fianco a questo una libreria in cartongesso stracolma di libri e dvd, alcuni dei quali mai tirati fuori dalle custodie, ancora avvolte dal cellophane, infine, sulla parete di sinistra si trovavano due porte chiuse. Edward si diresse verso una di queste, l’aprì ed entrò in una piccola cucina. Ne uscì poco dopo con due birre in mano e me ne porse una. Ero ferma a fissare tutti quei libri e film disposti in maniera disordinata e poco amorevole sugli scaffali. Chi non amando né la lettura né il cinema si sarebbe dedicato all’acquisto di una quantità tale di quegli oggetti?
-Non credevo ti piacesse leggere…- dissi.
-Mi piaceva.-
-Hai tanti libri mai letti, tanti film mai visti, come mai?-
-Quando ero bambino amavo leggere, soprattutto libri di fantascienza…anzi mi piaceva quasi tutto in realtà…così i miei pensarono di trovare un altro modo per buttare via i soldi che avevano in eccesso…- a queste parole si fermò un attimo e sul suo volto si dipinse un sorriso amaro –e credimi ne avevano parecchi…perciò decisero di allestire una biblioteca e una cineteca per loro figlio di dieci anni.-
-Non vai molto d’accordo con i tuoi genitori vero?-
-Con mio padre direi di no, con mia madre non posso più decidere se andarci d’accordo o meno, è sparita da dodici anni.-
Rimasi interdetta, ma cercai di non darlo a vedere-Capisco, mi dispiace.-
La sua espressione era mutata di nuovo, sembrava intristito, pensieroso e continuavo ad avere la sensazione che ci fosse qualcosa che evitava ad ogni costo di dirmi.
Il suo viso si distese mentre scrutava il mio –Riesci sempre ad ottenere tutte le risposte che vuoi da me.- disse a bassa voce togliendomi la birra di mano e posando entrambe le bottiglie semivuote sul pavimento, poi si avvicinò di un passo e sfiorò con la mano la ciocca di capelli che mi ricadeva sulla guancia.
-Non tutte.- provai a ribattere con un filo di voce.
Il suo volto era sempre più vicino al mio e i suoi occhi fiammeggianti fissi nei miei. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò a lungo. Mi ritrovai con la schiena contro il muro e le sue mani scesero dolcemente lungo il mio collo. Sfiorò la catenina d’argento che portavo sempre ed ebbi un sussulto. Si allontanò di un passo e mi guardò perplesso –Cosa c’è?-
Scossi la testa incapace di rispondere e, inconsapevolmente, presi a stringere il ciondolo in una mano.
-Rappresenta qualcosa per te? Non so…il ricordo di un amore passato magari?- insistette.
-Non ho amori passati.- riuscii a dire con un filo di voce.
-Ah…beh però la indossi sempre…avrà un significato…-
-Nessuno.- risposi ostinatamente mentre una lacrima mi bagnava il viso e abbassai lo sguardo per tentare di nascondere la mia espressione. Temevo che cominciasse a pensare che fossi pazza, ma la consapevolezza di aver dimenticato, anche solo per un attimo, quello che avevo fatto mi torturava più di ogni altra cosa.
Edward mi prese le mani, costringendomi a guardarlo. -Parlamene, dimmi quello che non diresti mai a nessuno, dimmi che cosa stai cercando di dimenticare, liberati e dimenticherai.-
-Forse non devo dimenticare.- risposi tra le lacrime-Devo ricordare e soffrire, è una giusta punizione per quello che ho fatto.-
-Che cosa hai fatto?-
Il nodo che avevo in gola si sciolse definitivamente e le lacrime mi inondarono il viso, tentai di divincolarmi dalla sua stretta ma non ci riuscii, non riuscivo a liberarmi neppure dalla forza del suo sguardo.
-Mia sorella…aveva solo otto anni…- sussurrai tra i singhiozzi.
-Che cosa le è successo?-
Avrei voluto che mi lasciasse, sarei voluta scomparire, ma capii che aveva deciso di essere il mio salvatore, anche solo per una volta.
-E’ morta.- dissi, stupendomi di me stessa, non credevo che avrei mai potuto pronunciare quelle parole, ma, d’un tratto, fu come se non fossi io a parlare, come se tutto avesse trovato una propria strada per venire fuori- E’ successo l’inverno scorso, mia sorella…si chiamava Lucy…era solo una bambina e io l’ho uccisa…-
Il suo viso si fece incerto e nei suoi occhi sorse la compassione-Mi riesce difficile crederlo.-
-E invece è così, è colpa mia, lei era in macchina con me, ero andata a prenderla a scuola, lo facevo sempre, ma quel giorno ero distratta, ero nervosa e mia sorella faceva i capricci; la nostra casa è un po’ isolata, bisogna percorrere una stradina di montagna per raggiungerla, su quella strada la macchina è sbandata, per colpa mia forse, o del ghiaccio, non lo so, ma…quando mi sono accorta che stavamo andando a sbattere contro le rocce della parete, mi sono piegata e ho nascosto il viso tra le mani…Lucy urlava e piangeva e io non ho neanche provato a salvarla, ho salvato solo me stessa. Lei è morta ed io invece me la sono cavata con qualche frattura e un paio di mesi d’ospedale!-
Qualcosa nei suoi occhi cambiò,non vi lessi più pietà, piuttosto…comprensione.
-Non devi incolparti per quello che è successo, non avresti potuto fare nulla in ogni caso…-
-Ma ho pensato a me, capisci? Avrei potuto tentare di proteggere Lucy, invece ho deciso di proteggere me stessa!-
-Te ne sei solo resa conto troppo tardi…cosa sarebbe cambiato? Non hai colpe per esserti salvata.-
-Si cerco di ripetermelo, ma non è così.-
Mi abbracciò e mi sussurrò qualcosa all’orecchio, parole di conforto forse, ma non riuscivo a capirle, l’unica cosa che potevo sentire era il suono dei miei singhiozzi. Mi sembrò di essere rimasta lì un’eternità, ad inondare completamente col mio pianto la felpa di Edward.
-Bella…- provò a dire quando gli sembrò che mi fossi calmata.
Sollevai il viso dalla sua spalla e cercai, con voce incerta, le parole per giustificarmi -Mi dispiace, scusami…-
-Non dispiacerti…va meglio adesso?-
Annuii e mi asciugai le lacrime con le maniche della camicetta. –Credo che dovrei tornare a casa…-
-D’accordo, allora ti accompagno.-
 
Chiuse la porta e scendemmo le scale. Una volta fuori il freddo mi invase. Raggiungemmo la macchina, poco distante, e, dopo meno di un quarto d’ora di viaggio silenzioso, che mi valse a riacquistare il pieno controllo di me stessa, riconobbi la strada di casa. La macchina si fermò davanti casa di Rose.
-Come va?- chiese indagando la mia espressione.
-Adesso meglio e ti ringrazio per questo.-
-Ora non sparirai vero?-
 -Non credi che dovrei fartela io questa domanda?-
-Ti prometto che non sparirò.-
-Allora questo significa che ci rivedremo domani.-
Rise -Ma certo.-
Annuii e mi voltai per scendere dall’auto.
-Aspetta.- disse trattenendomi per un braccio, si avvicinò e mi baciò. –Buonanotte.-
Gli diedi un altro bacio leggero sulle labbra e uscii dalla macchina.
 
  
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