Intervallo
That
evening…
“Tieni, per te.
A
dire la verità le avevo
portate a Yayoi, per farle una sorpresa, ma ho altre copie, gliele
darò la
prossima volta.”
Jun
rientrò in
casa tenendo tra le mani la busta gialla che Sanae gli aveva consegnato
quel
pomeriggio, alla fine dell’Hanami; la donna aveva avuto in
faccia
un’espressione attenta, che studiava ogni minima reazione
dell’uomo, e a quel
punto lui si sentì circondato, già bastava
Matilde con quell’atteggiamento!
Nonostante
le
due donne (che nel frattempo avevano fatto una silenziosa comunella),
il
pomeriggio era passato bellissimo come l’uomo aveva potuto
solo immaginare: suo
figlio che, appena lo aveva riconosciuto, era corso ad abbracciarlo,
entusiasta, i giochi e le chiacchiere fatte con lui aspettando Yayoi.
L’arrivo
della donna, tra quei petali di ciliegio…
E
tornando a
casa in macchina, ad ogni semaforo o Stop segnalato, l’uomo
non perdeva
occasione di cercare, con lo sguardo, le chiome di
quegl’alberi, a volte
facendosi anche richiamare dal clacson di qualche impaziente. Oramai,
lo
sentiva, quell’albero stava diventando il suo preferito: gli
sembrava che, ogni
volta che ne vedeva uno, la donna dalla chioma rossa sarebbe apparsa da
dietro
il fusto, sorridendogli, magari con in braccio suo figlio.
Aveva
anche
avuto un sogno simile, e anche tra i suoi ricordi c’era
qualcosa del genere, ma
ogni volta che si sforzava di dare forma a quel ricordo lo sentiva
sbriciolarsi
nella sua mente. Allora preferì ripensare a quel pomeriggio,
all’emozione
provate mentre si alzava in piedi e faceva accomodare
l’ex-moglie accanto ad
Hikaru, prendendogli cavallerescamente la bottiglia di saké
per distribuirla
alle donne presenti.
Probabilmente,
vista dall’esterno, risultava una scenetta interessante: un
solo uomo, tre
donne ed un bambino.
Sorrise
divertito, immaginando la scenetta da quel punto di vista, facendo
girare la
chiave nella toppa della porta di casa, facendosi accogliere dal
silenzio e dal
buio.
Chiuse
la porta
dietro di sé, restando fermo a sentire l’atmosfera
intorno a lui, prima di
togliersi le scarpe e muoversi felpato. Conosceva
quell’appartamento abbastanza
bene da girarlo a passo sicuro, pertanto doppiò il grande
divano, superò il
tavolino nero e si avvicinò alle finestre, avviando le
persiane con un tasto; queste
si alzarono senza fretta, e una striscia arancione colorò il
mobile dietro di
lui.
Il
divano aveva
i cuscini spiegazzati, e in generale aveva un’aria stravolta,
segno che il suo
proprietario ne faceva un uso proprio ed improprio. Jun gli
lanciò un’occhiata
un po’ colpevole, ammettendo che almeno i copricuscini poteva
metterli a
lavare.
L’uomo
si avvicinò
al mobile, accarezzando la stoffa bianca e notando,
nell’arancio del tramonto,
i piccoli segni dello sporco. Eh si, era davvero messo male …
Guardò
la busta
gialla nella sua mano, ripensando alle parole di Sanae, e
raddrizzò la schiena,
aprendola e infilando delicatamente una mano all’interno,
tastando qualcosa che
sembravano ritagli plastificati.
Fotografie?
Ne
tirò fuori
una, girandola per vedere il soggetto immortalato.
Yayoi,
con il
pancione.
La
vista lo
sorprese tanto che s’immobilizzò in quella
posizione, solo gli occhi si
muovevano, andando un po’ dappertutto lungo
l’immagine, cercando di carpire da
dove provenisse quella foto: il fondale scuro e le luci gli fecero
subito
capire che si trattava di uno studio fotografico. La donna aveva le
spalle e il
seno coperto da uno scialle, ma la pancia era scoperta, bellissima nel
suo
gonfiore di nove mesi.
Di
sicuro Sanae
aveva insistito, una cosa del genere la donna, da sola, non
l’avrebbe mai
fatta.
Jun,
a quel
punto, si svegliò e controllò l’interno
della busta: foto, tante altre foto,
alcune di misure diverse, poteva vederne di sfuggita una che non
sembrava fatta
in uno studio, e le fece sfilare via dalla busta gialla, tornando
però ad
osservare quella di prima.
Aveva
spesso
sentito Sanae e Yoshiko dire a Yayoi che, se avesse voluto, avrebbe
potuto fare
la modella: non solo per quei capelli, ma anche per il viso e il
fisico, tali
da renderla molto fotogenica.
Ed
ora che ci
pensava, anche al liceo la donna aveva fatto un piccolo servizio
fotografico
per il club della scuola, chissà dov’erano finite
quelle foto; se non ricordava
male, di solito la donna ordinava tutte le loro fote in diversi album,
ma alcune
volte le metteva in scatole di latta, in attesa del posto giusto dove
metterle.
Scatole
di latta
…
Jun
si alzò in
piedi, dirigendosi verso la camera da letto. Lì, in un
angolo, c’erano delle
scatole di cartone, dal divorzio non erano ancora state aperte, anche
perché
contenevano oggetti di abbellimento, cosa che l’uomo non
utilizzava: per lui il
mobilio doveva essere solo quello necessario, tutto il resto era di
troppo.
Le
scatole non
erano molto grandi ma erano piene, lo poteva sentire chiaramente mentre
ne
prendeva una, facendo forza sullo scotch e aprendola con
brutalità, rovistando
dentro. Niente.
Provò
con la
seconda, ma anche lì rovistò nelle cianfrusaglie,
senza trovare quello che cercava.
Guardò
la terza
e ultima scatola con aria scettica: e se le avesse tenute lei le foto?
In fondo
ne aveva diritto, erano di entrambi.
Inoltre
lui non
era tipo da album o cose di questo tipo; però, in quel
momento, sentiva
l’incredibile voglia di rivedere quegli scatti, quei momenti
passati, di avere
la certezza nelle mani di aver vissuto davvero qualche momento con lei.
Per
far
diminuire quella distanza fra di loro.
Fece
un profondo
respiro, di solito tre era il numero magico, magari funzionava anche in
quel
caso; prese lentamente la scatola, e l’aprì con
meno cattiveria, infilando una
mano con incertezza. Toccò qualcosa di metallico, e gli
occhi gli si acceserò.
Eccole.
Anzi,
eccola, ce c’era solo una.
Era
la classica
scatola di latta dei cestini da pranzo, e l’uomo
effettivamente riconobbe la
sua azzurra, che aveva usato da piccolo. Sotto di questa
c’era un album di foto,
con la copertina in cuoio nero.
Quando,
da
bambini, Jun e Yayoi avevano scoperto di usare entrambi quel tipo di
cestini si
erano entusiasmati, e da quel giorno era iniziata la loro amicizia.
Mangiavano
sempre insieme, mettendo vicini i cestini, e i loro compagni glieli
invidiavano.
Jun,
come
pranzo, aveva spesso la frittata o la carne, e poco riso
perché non gli piaceva
troppo, a volte lo lasciava pure; Yayoi, invece, tendeva molto verso la
verdura, e se aveva i classici wurstel li passava al bambino, facendosi
dare in
cambio più riso, di cui lei invece era ghiotta.
L’uomo,
lentamente, controllò la sua scatola, constatando che era
ancora in buono
stato, aprendone i ganci e sollevandone il coperchio.
La
prima cosa
che trovò era una foto di lui, da piccolo. Ma quello che lo
fece sorridere era
che, in quella foto, c’era anche lei, piccola e sorridente,
con i capelli rossi
legati in due alte codine.
-…
Yayoi.-
Certo che tempo io
ne avro'
nonostante il mio lavoro
quando mi chiami ci saro'
e mandero' via le tue paure
Lentamente
chiuse
la scatola e si alzò in piedi, tenendo la latta per il
manico, piegandosi solo
per raccogliere anche il vecchio album, grande e pesante, tenendolo
sottobraccio e ritornando in salotto, dove oramai era calata la sera.
Abbassò
nuovamente le persiane e accese una lampada, poggiando tutte le foto
sul
tavolino basso e nero, e stava per mettersi seduto quando
guardò, nuovamente,
quel divano e la stoffa bianca rovinata.
Si
portò i pugni
sui fianchi, e prese un profondo respiro.
-…
ma ti pare
che mi vengano queste voglie a quest’ora. Va beh …-
Liberò
l’intero
divano dalla fodera bianca e sporca e portò questa alla
lavatrice in cucina,
ficcandola in malo modo e cercando di fare il bravo “donnino
di casa”,
misurando il detersivo e scegliendo quello che, forse, era il programma
più
adatto. L’infernale elettrodomestico partì con un
“click”, e l’uomo pregò che
le cose andasserò bene, preparandosi una bevanda calda e
portandosela in
salotto.
Senza
la fodera
il divano aveva un aspetto nudo e imbarazzato, gli sembrava quasi di
vederlo
arrossire e guardarlo in malo modo; lui sorrise divertito,
accomodandosi sul
tappeto morbido e peloso, sorseggiando la sua bevanda calda e iniziando
a
sfogliare, per prime, le foto della scatola di latta, giudicandole a
colpo
d’occhio le più vecchie.
La
foto di loro
due da bambini era durante la giornata dello sport, e i due avevano
fatto
insieme la corsa con una gamba legata; sorridevano con aria
tremendamente
soddisfatta, e tenevano la bandierina con il numero 1.
Fin
da piccolo
Jun aveva avuto problemi di cuore, quindi ricordare quella giornata, e
ricordare soprattutto che lui aveva CORSO gli sembrò
incredibile, ci aveva
davvero dato dentro, con accanto la bimba che, a sua volta, aveva dato
il
massimo. Cavolo, e chi se lo ricordava più?!
Si
vedeva che
erano davvero piccoli, e l’uomo si domandò chi
avesse fatto le foto, tanto che
la girò, sperando che qualcuno avesse annotato qualcosa con
la penna.
“Jun
e Yayoi,
primi alla corsa a tre gambe. 10 Ottobre”
La
calligrafia
non era quella della donna, e guardando bene non era nemmeno dei suoi
genitori.
Che fosse stato il signor Mamoru? In effetti l’uomo era
sempre stato presente a
quel tipo di attività …
Continuò
a sfogliare
le foto, e vide i giorni delle elementari, assieme a Yayoi, passare in
un
momento, e quando riconobbe la sua prima divisa calcistica si
fermò, sorridendo
divertito.
Aveva
almeno tre
foto con quella divisa, una con i suoi genitori, e una con lei, Aoba,
allora
aveva i capelli lunghi fino alle spalle, e sembrava già
così cambiata rispetto
alla foto di prima, quando avevano corso insieme: qui aveva la gonna
lunga, le
mani unite in una posa educata, il sorriso un po’
più timido e una leggera
distanza tra i due, in quella di prima erano quasi appiccicati.
Prese
un altro
sorso, e continuò a sfogliare le foto, la maggior parte era
di tipo calcistico,
lui che giocava, in partita o agli allenamenti.
Ce
n’era perfino
una dove si stava facendo visitare dal medico. Quella se la ricordava
bene, era
quando il medico aveva deciso di fargli qualche esame in
più, scoprendo che i
problemi al cuore si erano acutizzati.
Storse
la bocca
in un’espressione infastidita, e cominciò a
sfogliare quelle foto, cercando uno
scatto dove non era solo lui, o la sua squadra. Mano a mano
accellerò, fino ad
arrestarsi ad una foto di gruppo.
Eccola,
eccola
di nuovo, meno male.
Stavolta
erano
con la classe del loro ultimo anno delle elementari, ed erano davanti
ad un
autobus, segno che stavano andando in gita; avevano tutti un
cappellino, e sia
Jun che Yayoi, nello scatto, si stavano stuzzicando tirandosi
giù il berretto a
vicenda, ridendo divertiti.
L’uomo
sorrise,
divertito a sua volta.
Stavano
andando
in campagna, in una zona non molto lontana da dove aveva abitato la
donna, e la
gita era durata tutta la giornata, con uno scatto particolare durante
il
momento del pranzo; lì i due si erano seduti vicino, con le
loro scatole di
latta in bella mostra.
A
vederli, quei
piccoli momenti di complicità, sembravano così
buffi nella loro semplicità,
così infantili … eppure l’uomo, mentre
continuava a sfogliare gli scatti, si
sentì investire da una serie di ricordi che lui aveva
rimosso per lasciare
spazio a … a cosa? I problemi probabilmente, non sapeva
pensare ad altro.
Dimmi amore
cosa pensi quando mi guardi
cosa sogni
sul mio petto un po' stanco
sei cosi serena
sta sicura mi troverai
saro' con te
se ti sveglierai
I
sorrisi di
Yayoi cambiavano sempre ad ogni foto. Non era sempre e solo timida, o
educata
come capitava in molte foto di circostanza, come l’inizio
delle medie e del
liceo; lì aveva addosso l’uniforme, stavano
davanti al cancello della scuola, e
si vedeva chiaramente che c’era una certa distanza tra i due,
una cosa che
però, a pelle, Jun non aveva mai avvertito.
Invece,
in altre
foto, la ragazza sprizzava un’energia incredibile: ad ogni
festa dello sport, e
anche durante le prove teatrali al liceo. In particolare
c’era una foto dove Jun
aveva in mano un martello, visto che stava sistemando una scena, e
stava
ridendo con gli altri per via di un attore che era scivolato
clamorosamente sul
palco.
Lì
la risata di
Yayoi sembrava far esplodere la fotografia, l’uomo aveva la
sensazione di poterla
ancora sentire mentre alzava la testa per cercare di clamarsi, facendo
così
scivolare indietro i lunghi capelli, oramai superavano di netto le
spalle.
C’era
anche una
foto dopo lo spettacolo, lì la donna aveva il suo vestito da
vecchia, ma il suo
sorriso era fin troppo giovane e fresco.
Ovviamente,
siccome erano foto nella sua scatola di latta, la maggior parte degli
scatti
erano solo per lui, pertanto c’erano tantissimi ritagli della
sua carriera di
giocatore di calcio; quelle le scorreva senza soffermarcisi troppo,
dopo i
primi scatti di lui bimbo non gl’interessava altro, la sua
vita da calciatore
la conosceva fin troppo bene.
Invece
cercava
sempre, in ogni foto, la presenza della donna, e delle volte si
ricordava che
alcune foto era stata lei stessa a farle, poteva dirlo
dall’espressione
facciale che lui, ragazzo, aveva nelle immagini: erano divertite,
imbarazzate,
ma mai serie e statiche.
Si
… Yayoi era
sempre stata capace di tirare fuori da lui ogni possibile emozione.
Solo lei ci
riusciva in modo così naturale.
L’uomo
alzò lo
sguardo verso l’alto, sentendo all’improvviso un
vuoto tremendo che partiva dal
petto e arrivava al centro del corpo, come una voragine; prese fiato, e
prese
un altro sorso della bevanda, ma il vuoto era ancora percepibile. Si
alzò in
piedi, decidendo di fermarsi un attimo, portando così la
tazza vuota in cucina
e controllando la lavatrice, che ne avrebbe avuto ancora per un
po’.
Tornò
alle foto
solo quando si sentì più tranquillo, e richiuse
la scatola di latta, oramai
aveva visto tutte le immagini al suo interno, e afferrò il
grosso album nero,
aprendolo e trovandosi subito la sua squadra dei mondiali juniores.
Sorrise
nostalgico,
si soffermò a lungo ad osservare tutti quei volti, a
ricordarsi tutti i momenti
trascorsi insieme, e sfogliando l’album ne riconobbe alcuni e
ritrovato altri:
era stato fatto tutto con ordine, giorno per giorno, e l’uomo
era sicuro che
questa era opera di Yayoi.
Sembrava
particolarmente legata a quel tipo di attività, e sentirne
la presenza solo
perché aveva ordinato quell’album fece sorridere
Jun, il quale si soffermava a
lungo su ogni immagine, sforzandosi di ricordarsi ogni momento.
A
volte sbucava
anche quella capigliatura rossa, tendenzialmente nella tifoseria o
assieme alle
sue amiche Sanae e Yoshiko, c’era anche una foto con Kumi,
Yukari e la moglie
di Kojiro, Maki. Ed erano tutte quante sorridenti.
Voltò
l’ennesima
pagina, e per un momento gli mancò il fiato: la chioma del
ciliegio, e sotto di
questa la chioma rossa della ragazza, che sorrideva felice appoggiata
al
tronco, addosso un vestito pastello.
Eccola,
eccola
davvero, allora non era stato solo un sogno, non era un ricordo
sbiadito;
timidamente, l’uomo liberò la foto
dall’album, e la girò, sperando di trovare
qualche appunto scritto dietro. “Casa Misugi.
Hanami.”
A
momenti il
cuore di Jun esplodeva dall’emozione, e l’uomo si
passò una mano in bocca, e
poi sugl’occhi, tenendo stretta quella foto.
Penso se fossi
dentro te
capire come soffri o sei felice
se dentro canti come me
se dormi al suono dolce
della radio
La
tenne lontana
dall’album, appoggiandola sul tavolino, e passò
oltre.
Il
diploma, e
poi l’università.
Adesso
vedeva
chiaramente che Yayoi era felice, entusiasta della vita mentre gli
scatti con i
loro compagni di studio si susseguivano uno dietro l’altro,
in ogni possibile
attività, dal semplice studio all’uscita serale o,
addirittura, ad una strana
grigliata fatta a casa di Misugi, prima che i suoi si trasferissero.
E
poi Jun li
trovò, un po’ nascosti, alcuni scatti mescolati
fra loro, in fondo alle ultime
pagine dell’album: la danza di gruppo durante la festa della
cultura del liceo,
quando i due si erano cimentati nel ballo attorno al fuoco, lui sicuro
anche se
un po’ rigido e lei con le guance arrossate, l’aria
emozionata.
Oppure
la vittoria
di una partita del campionato regionale, dove lui le stava sorridendo
entusiasta e lei era felice, persino sorpresa di
quell’attenzione. E poi i
momenti di studio all’università, dove erano
seduti vicino, lui le teneva la
mano senza farci attenzione, ma lei aveva un sorriso leggero sulle
labbra.
E
poi sguardi
che lui non aveva notato, attenzioni che solo la donna aveva nei suoi
confronti, e ogni volta che veniva beccata dalla macchina fotografica
arrossiva
e distoglieva lo sguardo, impacciata. Momenti che lui non aveva mai
notato.
Ma
adesso li
aveva davanti, chiari come il sole, e si portò una mano
sulle labbra, arrivando
a coprire la bocca: era arrossito, anche in modo vistoso, distogliendo
lo
sguardo.
Tienimi dentro te
Tienimi dentro te
vorrei vedere il mondo
con i tuoi occhi per un po'
Amero' come te
piangero' come te
gridero' come te
se non mi stanno ad ascoltare...
Era
un viziato,
e adesso se n’era reso conto fin troppo chiaramente. Ma ora
cosa poteva fare,
in cambio? Adesso non poteva fare altro … che …
che amarla. Era l’unico modo di
ricambiare tutto quello che aveva fatto nei suoi confronti.
Maledizione,
si
sentiva imbarazzato come se fosse stato nudo di fronte a lei, in debito
nei
confronti della donna e al tempo stesso incapace di ripagarla, come se
fosse
stato al verde. Ed era felice, incredibilmente e stupidamente tanto
felice. Girò
l’ultima pagina dell’album, e quella foto
smorzò, per qualche momento,
l’emozione.
Era
la foto del
loro matrimonio, l’unica che lui aveva, tutte le altre forse
ce le aveva ancora
Yayoi, e non si sarebbe stupito se, in caso, la donna le avesse buttate
via.
Accarezzò
l’immagine con le dita, la donna in abito bianco era
stupenda: aveva due grandi
fermagli a fiore ai lati della testa, da dove partiva il velo che
scendeva giù,
bianchissimo, i capelli rossi sciolti sulle spalle, il vestito con il
busto a
cuore e la gonna vaporosa semplice, non c’era bisogno di
ricami o decori
sfarzosi. In mando un mazzo di rose bianche, i guanti lunghi fino al
gomito. Un
sorriso rilassato, ma traboccante di felicità.
Lui,
invece, era
decisamente più serio, con il suo abito nero e la camicia
bianca, il farfallino
nero che gli dava un’aria formale. Un sorriso quasi tirato su
quel volto, gli
occhi induriti.
L’uomo
ricordò
quel giorno, e ripensò ai suoi sentimenti, a come si era
sentito.
Tutto
ciò che
ricordava … era l’ansia che tutta
l’organizzazione andasse bene, in quanto
avevano preparato il tutto in poco tempo, e c’era sempre il
rischio di qualche
problema. Invece era stato tutto perfetto.
Ripensandoci
adesso, forse qualche problema sarebbe stato meglio fosse avvenuto:
probabilmente, così, si sarebbe scaricato della tensione, e
avrebbe goduto
molto di più di quel giorno, come aveva fatto Yayoi. Magari
avrebbe riso della
situazione, si sarebbero divertiti, sarebbe stato un momento
così felice che la
donna avrebbe pianto commossa, e lui l’avrebbe abbracciata a
sé,
promettendogli…
Jun
fermò i
pensieri, e con un’espressione amara chiuse
l’album: indietro non si torna, era
una cosa che era solito ripetersi, e anche in quel caso dovette dirselo
per non
lasciarsi trascinare dalla tristezza.
Erano
rimaste
solo le ultime foto, e prese un profondo respiro, raccogliendo tutto il
suo coraggio
per prenderle ed a sfogliarle, cercando la prima della serie,
fortunatamente
Sanae aveva segnato tutte le date.
“Quarto
mese”. Un
mese dopo il divorzio.
La
girò, la
pancia aveva cominciato a gonfiarsi leggermente, ma Yayoi sembrava solo
ingrassata mentre sorrideva con la donna davanti ad un grande piatto di
Paella,
attorno a loro i figli di Sanae che sorrideva divertiti, probabilmente
Tsubasa
aveva fatto la foto.
Aoba
sembrava
pallida, e Jun si domandò se era per la gravidanza
… o forse, molto più
probabilmente, per il divorzio.
Eppure,
in ogni
scatto successivo, l’uomo non vide mai quel volto cedere alla
sofferenza, ma
sorridere sempre con convinzione: Yayoi non sorrideva mai per finta,
non
simulava mai la felicità, ma sembrava sempre cercarla dentro
di sé, per
mostrarla poi all’obbiettivo.
E
così in giro
per Barcellona, davanti alla Sagrada Familia, abbracciata ai figli di
Sanae, in
cucina con l’amica o al mare, a mostrare le sue
rotondità di donna gravida, la
donna sorrideva sicura, senza il minimo cedimento mentre entrava nel
quinto
mese, e la pancia diventava grande a vista d’occhio.
Sono lontano e stai
con me
amore sei buffa sul leggio
tu che dicevi nella tasca
ti ho messo una mia fotografia
Jun
provò quasi
invidia nel vedere il lungo viaggio della donna mentre lasciava
scorrere tra le
dita i giorni e la vedeva mutare d’aspetto: i capelli che, ad
un certo punto,
si accorciavano perché troppo lunghi, i vestiti che si
facevano più larghi, i
suoi atteggiamenti che si facevano … più calmi e
composti.
Stava
cambiando
davanti ai suoi occhi, in quelle foto, eppure c’erano anche
momenti in cui
tornava ad essere la Aoba che aveva sempre conosciuto. Proprio come in
quel
momento.
Era
seduta sul
cornicione della finestra, il vestito lungo estivo che nascondeva e
rivelava la
sua pancia, il libro aperto tra le mani e lo sguardo perso fuori dalla
stanza,
i capelli legati in una treccia che scivolava morbida sulla spalla.
Chiunque,
guardandola, poteva pensare ad una foto fatta apposta, ad un quadro.
E
chiunque, Jun
era certo, si sarebbe potuto innamorare di quel volto, di quella
figura, del
silenzioso tormento e dell’apparente quiete che emanava. Per
questo strinse un
po’ più forte quella foto, ringraziando Sanae di
aver dato quegli scatti
soltanto a lui, e a nessun altro. Non avrebbe potuto sopportarlo.
Aveva
avuto
ragione, allora, la donna a dire che era stato un idiota.
Poggiò
quella nuova
foto accanto a quella con il ciliegio e riprese a sfogliarle,
trovandone alcune
mentre Yayoi traslocava, con il pancione che continuava a crescere.
E
poi un’altra,
dall’impatto emotivo così forte che Jun quasi
trattenne il fiato, il suo
profilo scuro alla luce della lampada.
Era
all’ospedale, nel letto, il volto arrossato e sudato, i
capelli spettinati
nonostante fossero legati in una treccia; gli occhi brillanti, una
lacrima che
scivolava sulla guancia, il sorriso che si stava formando sulle labbra
stanche.
Bellissima.
E
lì, accanto a
lei, un bimbo così piccolo che non sembrava nemmeno vero,
arrossato quanto la
madre, con gli occhi chiusi e una delle manine che aveva preso un dito
della
donna; avvolto nell’asciugamano bianco era incredibilmente
delicato, fragile. E
bellissimo.
Jun
si fermò,
guardando quella foto muto: non era stato là a sostenerla,
non era stato là ad
accoglierlo al mondo. Lui non c’era in quella foto, non
c’era nessun altro che
lei e il bimbo, e il letto, la stanza, sembravano giganteschi in
confronto a
quelle due figure.
La
solitudine
della donna, di colpo, gli arrivò addosso come uno schiaffo,
graffiandogli il
petto; eppure, nonostante quella sensazione, la vedeva felice,
commossa, con
quel sorriso che stava nascendo e, di sicuro, era radioso.
Jun,
lentamente,
abbassò il volto, e si passò la mano tra i
capelli, stringendo leggermente i
denti per non singhiozzare, ma le lacrime scapparono comunque dai suoi
occhi,
colme di diverse emozioni.
Rabbia,
perché
lei gli aveva nascosto la gravidanza e i suoi problemi, e anche
perché nessuno
dei due si era sforzato di spingere l’altro a guardare in
faccia i problemi, a
trovare insieme una soluzione; dalla rabbia, poi, alla frustrazione di
non
averle potuto dare una mano, e il dolore nel vedere quella solitudine.
Ma
anche commozione,
e felicità: perché lui quella donna
l’aveva conosciuta fin da piccola, perché
sapeva com’era fatta, era ancora in grado di riconoscerla in
quelle foto, di
ricordare i momenti passati assieme. Perché
l’aveva sposata, e perché quel
figlio era suo.
E
poi perché
lui, quella donna, l’amava ancora. Forse più di
prima.
E mi guardi
gli occhi grandi un po' severi
io t'aspetto
abbi cura di te
e poi non mi tradire
ho fiducia in cio' che farai
saro' con te
se ti sveglierai
Guardò
le foto
di Yayoi e Hikaru come un affamato, osservando e memorizzando ogni
dettaglio di
madre e figlio mentre lei lo teneva in braccio, lo nutriva dal suo seno
in un
gesto naturale che spiazzava, lasciava muti ad osservare quel piccolo
miracolo,
quel profondo legame, quello scambio di sguardi immortalati nello
scatto.
Lo
vestiva, lo
faceva addormentare, lo faceva ridere o lo consolava. Sembrava che
Sanae avesse
scattato ogni possibile foto proprio per quel momento, per quella sera.
Per
Jun.
E
Hikaru
cresceva, a vista d’occhio, sorridendo mentre alzava le
braccia, oppure giocando
tranquillo, gattonando fino ad imparare a stare in piedi, con Yayoi in
ginocchio
che lo sosteneva sorridendo entusiasta. Mangiava facendo le boccacce e
ridendo
con la madre, correva scoordinato e si rialzava in piedi senza lacrime.
Aveva
occhi
grandi che, alla macchina fotografica, teneva sempre spalancati,
sorridendo
come solo un bambino piccolo può fare.
Un
anno, due anni,
tre, quattro, scorrevano via in mille e più istanti, la
busta sembrava
contenere pochi scatti che invece, nelle mani di Jun, sembravano
moltiplicarsi
fino a sparpagliarsi per terra sul tappetto in un patchwork
d’istanti che l’uomo
avrebbe conservato per sempre.
E
l’alba lo
colse addormentato sul tappetto, attorno a lui le foto di
quegl’anni lontano da
Yayoi, ma vicino a se le sue tre preferite, quelle che non avrebbe mai
lasciato
a nessuno: Yayoi ragazza, sotto al ciliegio, sorridente. Yayoi donna
incinta,
alla finestra, che guarda lontano.
Infine
Yayoi e
Hikaru stretti nell’abbraccio, il bimbo sorridente nei suoi
cinque anni mentre
la donna teneva entranbi avvolti in un grande scialle dalle sfumature
arancio, rosse
e dorate, i capelli di lei che quasi si confondevano nella capigliatura
di lui,
gli occhi di entrambi grandi e brillanti.
E
i sorrisi
identici, rivolti alla macchina fotografica, come se stessero
sorridendo
all’uomo addormentato lì accanto.
Tienimi dentro te
Tienimi dentro te
vorrei vedere il mondo
con i tuoi occhi per un po'
Amero' come te
piangero' come te
gridero' come te
se non mi stanno ad ascoltare
La
canzone usata è “Tienimi dentro te”, di
Fabio
Concato.
Io
non sono madre, ma una mia amica è diventata madre,
e mi è capitato di lavorare con i bimbi; ho cercato di
trasmettere le mie
sensazioni all’interno della storia attraverso Jun,
perché mi sento molto
vicina a lui in questo capitolo. Ci vediamo al prossimo aggiornamento!!