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Autore: WYWH    10/03/2013    2 recensioni
[STORIA RIVEDUTA E MODIFICATA] Solo per un momento, Yayoi ebbe remora di firmare quella carta, e questo non passò certo inosservato a Jun o all’avvocato; ma non era perché aveva cambiato idea su qualcosa, oramai la donna aveva accettato tutto, anche per sfinimento. È solo … solo che, in una remota parte di sé, la donna ancora si ostinava a pensare che le cose si sarebbero risolte; le succedeva sempre, quando non sembrava esserci soluzione al problema: all’improvviso, nella sua testa, cominciava a sentire una musica ritmata, allegra, che la faceva sorridere.
Era una musica tratta da “L’Elisir D’amore”, forse la sua opera lirica preferita.
"Una tenera occhiatina, un sorriso, una carezza, vincer può chi più si ostina, ammollir chi più ci sprezza. Ne ho veduti tanti e tanti, presi cotti, spasimanti, che nemmanco Nemorino non potrà da me fuggir. La ricetta è il mio visino, in quest'occhi è l'elisir..."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Anche un uomo'
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Intervallo

 

That evening…

 

 “Tieni, per te.

A dire la verità le avevo portate a Yayoi, per farle una sorpresa, ma ho altre copie, gliele darò la prossima volta.”

Jun rientrò in casa tenendo tra le mani la busta gialla che Sanae gli aveva consegnato quel pomeriggio, alla fine dell’Hanami; la donna aveva avuto in faccia un’espressione attenta, che studiava ogni minima reazione dell’uomo, e a quel punto lui si sentì circondato, già bastava Matilde con quell’atteggiamento!

Nonostante le due donne (che nel frattempo avevano fatto una silenziosa comunella), il pomeriggio era passato bellissimo come l’uomo aveva potuto solo immaginare: suo figlio che, appena lo aveva riconosciuto, era corso ad abbracciarlo, entusiasta, i giochi e le chiacchiere fatte con lui aspettando Yayoi. L’arrivo della donna, tra quei petali di ciliegio…

E tornando a casa in macchina, ad ogni semaforo o Stop segnalato, l’uomo non perdeva occasione di cercare, con lo sguardo, le chiome di quegl’alberi, a volte facendosi anche richiamare dal clacson di qualche impaziente. Oramai, lo sentiva, quell’albero stava diventando il suo preferito: gli sembrava che, ogni volta che ne vedeva uno, la donna dalla chioma rossa sarebbe apparsa da dietro il fusto, sorridendogli, magari con in braccio suo figlio.

Aveva anche avuto un sogno simile, e anche tra i suoi ricordi c’era qualcosa del genere, ma ogni volta che si sforzava di dare forma a quel ricordo lo sentiva sbriciolarsi nella sua mente. Allora preferì ripensare a quel pomeriggio, all’emozione provate mentre si alzava in piedi e faceva accomodare l’ex-moglie accanto ad Hikaru, prendendogli cavallerescamente la bottiglia di saké per distribuirla alle donne presenti.

Probabilmente, vista dall’esterno, risultava una scenetta interessante: un solo uomo, tre donne ed un bambino.

Sorrise divertito, immaginando la scenetta da quel punto di vista, facendo girare la chiave nella toppa della porta di casa, facendosi accogliere dal silenzio e dal buio.

Chiuse la porta dietro di sé, restando fermo a sentire l’atmosfera intorno a lui, prima di togliersi le scarpe e muoversi felpato. Conosceva quell’appartamento abbastanza bene da girarlo a passo sicuro, pertanto doppiò il grande divano, superò il tavolino nero e si avvicinò alle finestre, avviando le persiane con un tasto; queste si alzarono senza fretta, e una striscia arancione colorò il mobile dietro di lui.

Il divano aveva i cuscini spiegazzati, e in generale aveva un’aria stravolta, segno che il suo proprietario ne faceva un uso proprio ed improprio. Jun gli lanciò un’occhiata un po’ colpevole, ammettendo che almeno i copricuscini poteva metterli a lavare.

L’uomo si avvicinò al mobile, accarezzando la stoffa bianca e notando, nell’arancio del tramonto, i piccoli segni dello sporco. Eh si, era davvero messo male …

Guardò la busta gialla nella sua mano, ripensando alle parole di Sanae, e raddrizzò la schiena, aprendola e infilando delicatamente una mano all’interno, tastando qualcosa che sembravano ritagli plastificati.

Fotografie?

Ne tirò fuori una, girandola per vedere il soggetto immortalato.

Yayoi, con il pancione.

La vista lo sorprese tanto che s’immobilizzò in quella posizione, solo gli occhi si muovevano, andando un po’ dappertutto lungo l’immagine, cercando di carpire da dove provenisse quella foto: il fondale scuro e le luci gli fecero subito capire che si trattava di uno studio fotografico. La donna aveva le spalle e il seno coperto da uno scialle, ma la pancia era scoperta, bellissima nel suo gonfiore di nove mesi.

Di sicuro Sanae aveva insistito, una cosa del genere la donna, da sola, non l’avrebbe mai fatta.

Jun, a quel punto, si svegliò e controllò l’interno della busta: foto, tante altre foto, alcune di misure diverse, poteva vederne di sfuggita una che non sembrava fatta in uno studio, e le fece sfilare via dalla busta gialla, tornando però ad osservare quella di prima.

Aveva spesso sentito Sanae e Yoshiko dire a Yayoi che, se avesse voluto, avrebbe potuto fare la modella: non solo per quei capelli, ma anche per il viso e il fisico, tali da renderla molto fotogenica.

Ed ora che ci pensava, anche al liceo la donna aveva fatto un piccolo servizio fotografico per il club della scuola, chissà dov’erano finite quelle foto; se non ricordava male, di solito la donna ordinava tutte le loro fote in diversi album, ma alcune volte le metteva in scatole di latta, in attesa del posto giusto dove metterle.

Scatole di latta …

Jun si alzò in piedi, dirigendosi verso la camera da letto. Lì, in un angolo, c’erano delle scatole di cartone, dal divorzio non erano ancora state aperte, anche perché contenevano oggetti di abbellimento, cosa che l’uomo non utilizzava: per lui il mobilio doveva essere solo quello necessario, tutto il resto era di troppo.

Le scatole non erano molto grandi ma erano piene, lo poteva sentire chiaramente mentre ne prendeva una, facendo forza sullo scotch e aprendola con brutalità, rovistando dentro. Niente.

Provò con la seconda, ma anche lì rovistò nelle cianfrusaglie, senza trovare quello che cercava.

Guardò la terza e ultima scatola con aria scettica: e se le avesse tenute lei le foto? In fondo ne aveva diritto, erano di entrambi.

Inoltre lui non era tipo da album o cose di questo tipo; però, in quel momento, sentiva l’incredibile voglia di rivedere quegli scatti, quei momenti passati, di avere la certezza nelle mani di aver vissuto davvero qualche momento con lei.

Per far diminuire quella distanza fra di loro.

Fece un profondo respiro, di solito tre era il numero magico, magari funzionava anche in quel caso; prese lentamente la scatola, e l’aprì con meno cattiveria, infilando una mano con incertezza. Toccò qualcosa di metallico, e gli occhi gli si acceserò.

Eccole. Anzi, eccola, ce c’era solo una.

Era la classica scatola di latta dei cestini da pranzo, e l’uomo effettivamente riconobbe la sua azzurra, che aveva usato da piccolo. Sotto di questa c’era un album di foto, con la copertina in cuoio nero.

Quando, da bambini, Jun e Yayoi avevano scoperto di usare entrambi quel tipo di cestini si erano entusiasmati, e da quel giorno era iniziata la loro amicizia. Mangiavano sempre insieme, mettendo vicini i cestini, e i loro compagni glieli invidiavano.

Jun, come pranzo, aveva spesso la frittata o la carne, e poco riso perché non gli piaceva troppo, a volte lo lasciava pure; Yayoi, invece, tendeva molto verso la verdura, e se aveva i classici wurstel li passava al bambino, facendosi dare in cambio più riso, di cui lei invece era ghiotta.

L’uomo, lentamente, controllò la sua scatola, constatando che era ancora in buono stato, aprendone i ganci e sollevandone il coperchio.

La prima cosa che trovò era una foto di lui, da piccolo. Ma quello che lo fece sorridere era che, in quella foto, c’era anche lei, piccola e sorridente, con i capelli rossi legati in due alte codine.

-… Yayoi.-

Certo che tempo io ne avro'
nonostante il mio lavoro
quando mi chiami ci saro'
e mandero' via le tue paure

Lentamente chiuse la scatola e si alzò in piedi, tenendo la latta per il manico, piegandosi solo per raccogliere anche il vecchio album, grande e pesante, tenendolo sottobraccio e ritornando in salotto, dove oramai era calata la sera.

Abbassò nuovamente le persiane e accese una lampada, poggiando tutte le foto sul tavolino basso e nero, e stava per mettersi seduto quando guardò, nuovamente, quel divano e la stoffa bianca rovinata.

Si portò i pugni sui fianchi, e prese un profondo respiro.

-… ma ti pare che mi vengano queste voglie a quest’ora. Va beh …-

Liberò l’intero divano dalla fodera bianca e sporca e portò questa alla lavatrice in cucina, ficcandola in malo modo e cercando di fare il bravo “donnino di casa”, misurando il detersivo e scegliendo quello che, forse, era il programma più adatto. L’infernale elettrodomestico partì con un “click”, e l’uomo pregò che le cose andasserò bene, preparandosi una bevanda calda e portandosela in salotto.

Senza la fodera il divano aveva un aspetto nudo e imbarazzato, gli sembrava quasi di vederlo arrossire e guardarlo in malo modo; lui sorrise divertito, accomodandosi sul tappeto morbido e peloso, sorseggiando la sua bevanda calda e iniziando a sfogliare, per prime, le foto della scatola di latta, giudicandole a colpo d’occhio le più vecchie.

La foto di loro due da bambini era durante la giornata dello sport, e i due avevano fatto insieme la corsa con una gamba legata; sorridevano con aria tremendamente soddisfatta, e tenevano la bandierina con il numero 1.

Fin da piccolo Jun aveva avuto problemi di cuore, quindi ricordare quella giornata, e ricordare soprattutto che lui aveva CORSO gli sembrò incredibile, ci aveva davvero dato dentro, con accanto la bimba che, a sua volta, aveva dato il massimo. Cavolo, e chi se lo ricordava più?!

Si vedeva che erano davvero piccoli, e l’uomo si domandò chi avesse fatto le foto, tanto che la girò, sperando che qualcuno avesse annotato qualcosa con la penna.

“Jun e Yayoi, primi alla corsa a tre gambe. 10 Ottobre”

La calligrafia non era quella della donna, e guardando bene non era nemmeno dei suoi genitori. Che fosse stato il signor Mamoru? In effetti l’uomo era sempre stato presente a quel tipo di attività …

Continuò a sfogliare le foto, e vide i giorni delle elementari, assieme a Yayoi, passare in un momento, e quando riconobbe la sua prima divisa calcistica si fermò, sorridendo divertito.

Aveva almeno tre foto con quella divisa, una con i suoi genitori, e una con lei, Aoba, allora aveva i capelli lunghi fino alle spalle, e sembrava già così cambiata rispetto alla foto di prima, quando avevano corso insieme: qui aveva la gonna lunga, le mani unite in una posa educata, il sorriso un po’ più timido e una leggera distanza tra i due, in quella di prima erano quasi appiccicati.

Prese un altro sorso, e continuò a sfogliare le foto, la maggior parte era di tipo calcistico, lui che giocava, in partita o agli allenamenti.

Ce n’era perfino una dove si stava facendo visitare dal medico. Quella se la ricordava bene, era quando il medico aveva deciso di fargli qualche esame in più, scoprendo che i problemi al cuore si erano acutizzati.

Storse la bocca in un’espressione infastidita, e cominciò a sfogliare quelle foto, cercando uno scatto dove non era solo lui, o la sua squadra. Mano a mano accellerò, fino ad arrestarsi ad una foto di gruppo.

Eccola, eccola di nuovo, meno male.

Stavolta erano con la classe del loro ultimo anno delle elementari, ed erano davanti ad un autobus, segno che stavano andando in gita; avevano tutti un cappellino, e sia Jun che Yayoi, nello scatto, si stavano stuzzicando tirandosi giù il berretto a vicenda, ridendo divertiti.

L’uomo sorrise, divertito a sua volta.

Stavano andando in campagna, in una zona non molto lontana da dove aveva abitato la donna, e la gita era durata tutta la giornata, con uno scatto particolare durante il momento del pranzo; lì i due si erano seduti vicino, con le loro scatole di latta in bella mostra.

A vederli, quei piccoli momenti di complicità, sembravano così buffi nella loro semplicità, così infantili … eppure l’uomo, mentre continuava a sfogliare gli scatti, si sentì investire da una serie di ricordi che lui aveva rimosso per lasciare spazio a … a cosa? I problemi probabilmente, non sapeva pensare ad altro.

Dimmi amore
cosa pensi quando mi guardi
cosa sogni
sul mio petto un po' stanco
sei cosi serena
sta sicura mi troverai
saro' con te
se ti sveglierai

I sorrisi di Yayoi cambiavano sempre ad ogni foto. Non era sempre e solo timida, o educata come capitava in molte foto di circostanza, come l’inizio delle medie e del liceo; lì aveva addosso l’uniforme, stavano davanti al cancello della scuola, e si vedeva chiaramente che c’era una certa distanza tra i due, una cosa che però, a pelle, Jun non aveva mai avvertito.

Invece, in altre foto, la ragazza sprizzava un’energia incredibile: ad ogni festa dello sport, e anche durante le prove teatrali al liceo. In particolare c’era una foto dove Jun aveva in mano un martello, visto che stava sistemando una scena, e stava ridendo con gli altri per via di un attore che era scivolato clamorosamente sul palco.

Lì la risata di Yayoi sembrava far esplodere la fotografia, l’uomo aveva la sensazione di poterla ancora sentire mentre alzava la testa per cercare di clamarsi, facendo così scivolare indietro i lunghi capelli, oramai superavano di netto le spalle.

C’era anche una foto dopo lo spettacolo, lì la donna aveva il suo vestito da vecchia, ma il suo sorriso era fin troppo giovane e fresco.

Ovviamente, siccome erano foto nella sua scatola di latta, la maggior parte degli scatti erano solo per lui, pertanto c’erano tantissimi ritagli della sua carriera di giocatore di calcio; quelle le scorreva senza soffermarcisi troppo, dopo i primi scatti di lui bimbo non gl’interessava altro, la sua vita da calciatore la conosceva fin troppo bene.

Invece cercava sempre, in ogni foto, la presenza della donna, e delle volte si ricordava che alcune foto era stata lei stessa a farle, poteva dirlo dall’espressione facciale che lui, ragazzo, aveva nelle immagini: erano divertite, imbarazzate, ma mai serie e statiche.

Si … Yayoi era sempre stata capace di tirare fuori da lui ogni possibile emozione. Solo lei ci riusciva in modo così naturale.

L’uomo alzò lo sguardo verso l’alto, sentendo all’improvviso un vuoto tremendo che partiva dal petto e arrivava al centro del corpo, come una voragine; prese fiato, e prese un altro sorso della bevanda, ma il vuoto era ancora percepibile. Si alzò in piedi, decidendo di fermarsi un attimo, portando così la tazza vuota in cucina e controllando la lavatrice, che ne avrebbe avuto ancora per un po’.

Tornò alle foto solo quando si sentì più tranquillo, e richiuse la scatola di latta, oramai aveva visto tutte le immagini al suo interno, e afferrò il grosso album nero, aprendolo e trovandosi subito la sua squadra dei mondiali juniores.

Sorrise nostalgico, si soffermò a lungo ad osservare tutti quei volti, a ricordarsi tutti i momenti trascorsi insieme, e sfogliando l’album ne riconobbe alcuni e ritrovato altri: era stato fatto tutto con ordine, giorno per giorno, e l’uomo era sicuro che questa era opera di Yayoi.

Sembrava particolarmente legata a quel tipo di attività, e sentirne la presenza solo perché aveva ordinato quell’album fece sorridere Jun, il quale si soffermava a lungo su ogni immagine, sforzandosi di ricordarsi ogni momento.

A volte sbucava anche quella capigliatura rossa, tendenzialmente nella tifoseria o assieme alle sue amiche Sanae e Yoshiko, c’era anche una foto con Kumi, Yukari e la moglie di Kojiro, Maki. Ed erano tutte quante sorridenti.

Voltò l’ennesima pagina, e per un momento gli mancò il fiato: la chioma del ciliegio, e sotto di questa la chioma rossa della ragazza, che sorrideva felice appoggiata al tronco, addosso un vestito pastello.

Eccola, eccola davvero, allora non era stato solo un sogno, non era un ricordo sbiadito; timidamente, l’uomo liberò la foto dall’album, e la girò, sperando di trovare qualche appunto scritto dietro. “Casa Misugi. Hanami.”

A momenti il cuore di Jun esplodeva dall’emozione, e l’uomo si passò una mano in bocca, e poi sugl’occhi, tenendo stretta quella foto.

Penso se fossi dentro te
capire come soffri o sei felice
se dentro canti come me
se dormi al suono dolce
della radio

La tenne lontana dall’album, appoggiandola sul tavolino, e passò oltre.

Il diploma, e poi l’università.

Adesso vedeva chiaramente che Yayoi era felice, entusiasta della vita mentre gli scatti con i loro compagni di studio si susseguivano uno dietro l’altro, in ogni possibile attività, dal semplice studio all’uscita serale o, addirittura, ad una strana grigliata fatta a casa di Misugi, prima che i suoi si trasferissero.

E poi Jun li trovò, un po’ nascosti, alcuni scatti mescolati fra loro, in fondo alle ultime pagine dell’album: la danza di gruppo durante la festa della cultura del liceo, quando i due si erano cimentati nel ballo attorno al fuoco, lui sicuro anche se un po’ rigido e lei con le guance arrossate, l’aria emozionata.

Oppure la vittoria di una partita del campionato regionale, dove lui le stava sorridendo entusiasta e lei era felice, persino sorpresa di quell’attenzione. E poi i momenti di studio all’università, dove erano seduti vicino, lui le teneva la mano senza farci attenzione, ma lei aveva un sorriso leggero sulle labbra.

E poi sguardi che lui non aveva notato, attenzioni che solo la donna aveva nei suoi confronti, e ogni volta che veniva beccata dalla macchina fotografica arrossiva e distoglieva lo sguardo, impacciata. Momenti che lui non aveva mai notato.

Ma adesso li aveva davanti, chiari come il sole, e si portò una mano sulle labbra, arrivando a coprire la bocca: era arrossito, anche in modo vistoso, distogliendo lo sguardo.

Tienimi dentro te
Tienimi dentro te
vorrei vedere il mondo
con i tuoi occhi per un po'
Amero' come te
piangero' come te
gridero' come te
se non mi stanno ad ascoltare...

Era un viziato, e adesso se n’era reso conto fin troppo chiaramente. Ma ora cosa poteva fare, in cambio? Adesso non poteva fare altro … che … che amarla. Era l’unico modo di ricambiare tutto quello che aveva fatto nei suoi confronti.

Maledizione, si sentiva imbarazzato come se fosse stato nudo di fronte a lei, in debito nei confronti della donna e al tempo stesso incapace di ripagarla, come se fosse stato al verde. Ed era felice, incredibilmente e stupidamente tanto felice. Girò l’ultima pagina dell’album, e quella foto smorzò, per qualche momento, l’emozione.

Era la foto del loro matrimonio, l’unica che lui aveva, tutte le altre forse ce le aveva ancora Yayoi, e non si sarebbe stupito se, in caso, la donna le avesse buttate via.

Accarezzò l’immagine con le dita, la donna in abito bianco era stupenda: aveva due grandi fermagli a fiore ai lati della testa, da dove partiva il velo che scendeva giù, bianchissimo, i capelli rossi sciolti sulle spalle, il vestito con il busto a cuore e la gonna vaporosa semplice, non c’era bisogno di ricami o decori sfarzosi. In mando un mazzo di rose bianche, i guanti lunghi fino al gomito. Un sorriso rilassato, ma traboccante di felicità.

Lui, invece, era decisamente più serio, con il suo abito nero e la camicia bianca, il farfallino nero che gli dava un’aria formale. Un sorriso quasi tirato su quel volto, gli occhi induriti.

L’uomo ricordò quel giorno, e ripensò ai suoi sentimenti, a come si era sentito.

Tutto ciò che ricordava … era l’ansia che tutta l’organizzazione andasse bene, in quanto avevano preparato il tutto in poco tempo, e c’era sempre il rischio di qualche problema. Invece era stato tutto perfetto.

Ripensandoci adesso, forse qualche problema sarebbe stato meglio fosse avvenuto: probabilmente, così, si sarebbe scaricato della tensione, e avrebbe goduto molto di più di quel giorno, come aveva fatto Yayoi. Magari avrebbe riso della situazione, si sarebbero divertiti, sarebbe stato un momento così felice che la donna avrebbe pianto commossa, e lui l’avrebbe abbracciata a sé, promettendogli…

Jun fermò i pensieri, e con un’espressione amara chiuse l’album: indietro non si torna, era una cosa che era solito ripetersi, e anche in quel caso dovette dirselo per non lasciarsi trascinare dalla tristezza.

Erano rimaste solo le ultime foto, e prese un profondo respiro, raccogliendo tutto il suo coraggio per prenderle ed a sfogliarle, cercando la prima della serie, fortunatamente Sanae aveva segnato tutte le date.

“Quarto mese”. Un mese dopo il divorzio.

La girò, la pancia aveva cominciato a gonfiarsi leggermente, ma Yayoi sembrava solo ingrassata mentre sorrideva con la donna davanti ad un grande piatto di Paella, attorno a loro i figli di Sanae che sorrideva divertiti, probabilmente Tsubasa aveva fatto la foto.

Aoba sembrava pallida, e Jun si domandò se era per la gravidanza … o forse, molto più probabilmente, per il divorzio.

Eppure, in ogni scatto successivo, l’uomo non vide mai quel volto cedere alla sofferenza, ma sorridere sempre con convinzione: Yayoi non sorrideva mai per finta, non simulava mai la felicità, ma sembrava sempre cercarla dentro di sé, per mostrarla poi all’obbiettivo.

E così in giro per Barcellona, davanti alla Sagrada Familia, abbracciata ai figli di Sanae, in cucina con l’amica o al mare, a mostrare le sue rotondità di donna gravida, la donna sorrideva sicura, senza il minimo cedimento mentre entrava nel quinto mese, e la pancia diventava grande a vista d’occhio.

Sono lontano e stai con me
amore sei buffa sul leggio
tu che dicevi nella tasca
ti ho messo una mia fotografia

Jun provò quasi invidia nel vedere il lungo viaggio della donna mentre lasciava scorrere tra le dita i giorni e la vedeva mutare d’aspetto: i capelli che, ad un certo punto, si accorciavano perché troppo lunghi, i vestiti che si facevano più larghi, i suoi atteggiamenti che si facevano … più calmi e composti.

Stava cambiando davanti ai suoi occhi, in quelle foto, eppure c’erano anche momenti in cui tornava ad essere la Aoba che aveva sempre conosciuto. Proprio come in quel momento.

Era seduta sul cornicione della finestra, il vestito lungo estivo che nascondeva e rivelava la sua pancia, il libro aperto tra le mani e lo sguardo perso fuori dalla stanza, i capelli legati in una treccia che scivolava morbida sulla spalla.

Chiunque, guardandola, poteva pensare ad una foto fatta apposta, ad un quadro.

E chiunque, Jun era certo, si sarebbe potuto innamorare di quel volto, di quella figura, del silenzioso tormento e dell’apparente quiete che emanava. Per questo strinse un po’ più forte quella foto, ringraziando Sanae di aver dato quegli scatti soltanto a lui, e a nessun altro. Non avrebbe potuto sopportarlo.

Aveva avuto ragione, allora, la donna a dire che era stato un idiota.

Poggiò quella nuova foto accanto a quella con il ciliegio e riprese a sfogliarle, trovandone alcune mentre Yayoi traslocava, con il pancione che continuava a crescere.

E poi un’altra, dall’impatto emotivo così forte che Jun quasi trattenne il fiato, il suo profilo scuro alla luce della lampada.

Era all’ospedale, nel letto, il volto arrossato e sudato, i capelli spettinati nonostante fossero legati in una treccia; gli occhi brillanti, una lacrima che scivolava sulla guancia, il sorriso che si stava formando sulle labbra stanche. Bellissima.

E lì, accanto a lei, un bimbo così piccolo che non sembrava nemmeno vero, arrossato quanto la madre, con gli occhi chiusi e una delle manine che aveva preso un dito della donna; avvolto nell’asciugamano bianco era incredibilmente delicato, fragile. E bellissimo.

Jun si fermò, guardando quella foto muto: non era stato là a sostenerla, non era stato là ad accoglierlo al mondo. Lui non c’era in quella foto, non c’era nessun altro che lei e il bimbo, e il letto, la stanza, sembravano giganteschi in confronto a quelle due figure.

La solitudine della donna, di colpo, gli arrivò addosso come uno schiaffo, graffiandogli il petto; eppure, nonostante quella sensazione, la vedeva felice, commossa, con quel sorriso che stava nascendo e, di sicuro, era radioso.

Jun, lentamente, abbassò il volto, e si passò la mano tra i capelli, stringendo leggermente i denti per non singhiozzare, ma le lacrime scapparono comunque dai suoi occhi, colme di diverse emozioni.

Rabbia, perché lei gli aveva nascosto la gravidanza e i suoi problemi, e anche perché nessuno dei due si era sforzato di spingere l’altro a guardare in faccia i problemi, a trovare insieme una soluzione; dalla rabbia, poi, alla frustrazione di non averle potuto dare una mano, e il dolore nel vedere quella solitudine.

Ma anche commozione, e felicità: perché lui quella donna l’aveva conosciuta fin da piccola, perché sapeva com’era fatta, era ancora in grado di riconoscerla in quelle foto, di ricordare i momenti passati assieme. Perché l’aveva sposata, e perché quel figlio era suo.

E poi perché lui, quella donna, l’amava ancora. Forse più di prima.

E mi guardi
gli occhi grandi un po' severi
io t'aspetto
abbi cura di te
e poi non mi tradire
ho fiducia in cio' che farai
saro' con te
se ti sveglierai

Guardò le foto di Yayoi e Hikaru come un affamato, osservando e memorizzando ogni dettaglio di madre e figlio mentre lei lo teneva in braccio, lo nutriva dal suo seno in un gesto naturale che spiazzava, lasciava muti ad osservare quel piccolo miracolo, quel profondo legame, quello scambio di sguardi immortalati nello scatto.

Lo vestiva, lo faceva addormentare, lo faceva ridere o lo consolava. Sembrava che Sanae avesse scattato ogni possibile foto proprio per quel momento, per quella sera. Per Jun.

E Hikaru cresceva, a vista d’occhio, sorridendo mentre alzava le braccia, oppure giocando tranquillo, gattonando fino ad imparare a stare in piedi, con Yayoi in ginocchio che lo sosteneva sorridendo entusiasta. Mangiava facendo le boccacce e ridendo con la madre, correva scoordinato e si rialzava in piedi senza lacrime.

Aveva occhi grandi che, alla macchina fotografica, teneva sempre spalancati, sorridendo come solo un bambino piccolo può fare.

Un anno, due anni, tre, quattro, scorrevano via in mille e più istanti, la busta sembrava contenere pochi scatti che invece, nelle mani di Jun, sembravano moltiplicarsi fino a sparpagliarsi per terra sul tappetto in un patchwork d’istanti che l’uomo avrebbe conservato per sempre.

E l’alba lo colse addormentato sul tappetto, attorno a lui le foto di quegl’anni lontano da Yayoi, ma vicino a se le sue tre preferite, quelle che non avrebbe mai lasciato a nessuno: Yayoi ragazza, sotto al ciliegio, sorridente. Yayoi donna incinta, alla finestra, che guarda lontano.

Infine Yayoi e Hikaru stretti nell’abbraccio, il bimbo sorridente nei suoi cinque anni mentre la donna teneva entranbi avvolti in un grande scialle dalle sfumature arancio, rosse e dorate, i capelli di lei che quasi si confondevano nella capigliatura di lui, gli occhi di entrambi grandi e brillanti.

E i sorrisi identici, rivolti alla macchina fotografica, come se stessero sorridendo all’uomo addormentato lì accanto.

Tienimi dentro te
Tienimi dentro te
vorrei vedere il mondo
con i tuoi occhi per un po'
Amero' come te
piangero' come te
gridero' come te
se non mi stanno ad ascoltare

La canzone usata è “Tienimi dentro te”, di Fabio Concato.

Io non sono madre, ma una mia amica è diventata madre, e mi è capitato di lavorare con i bimbi; ho cercato di trasmettere le mie sensazioni all’interno della storia attraverso Jun, perché mi sento molto vicina a lui in questo capitolo. Ci vediamo al prossimo aggiornamento!!

   
 
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