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Autore: Anacarnil    10/03/2013    1 recensioni
"Vi era qualcosa di estremamente ostinato, che si abbarbicava silenzioso tra i meandri della sua mente. Qualcosa che, ne era certo, avrebbe cambiato il destino di quella guerra."
Fanfic che prende corpo dalle avventure della gilda italiana Medui Estel nel videogioco MMORPG "The Lord Of The Rings Online".
Vi siete mai chiesto cosa sia potuto accadere nel resto della Terra di Mezzo ai tempi della famigerata Guerra dell'Anello? Scopritelo seguendo le avventure di elfi, uomini, hobbit e nani riuniti sotto un unico vessillo per combattere la minaccia che si espande da est.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Codreth abbassò lo sguardo, gli occhi che sondavano il folto sottobosco, il bastone saldo in un mano ed il cesto nell'altra. Si mosse, lasciando che la tunica finemente lavorata si agitasse appena nel refolo di zefiro, poi tornò a chinarsi. Abbandonò per un attimo il cesto su un piccolo spiazzo di terreno, scostando un cespuglio di more senza frutti e illuminandosi per un breve frangente. La pianticella di athelas era lì, impettita ed elegante nel suo abito di piccole foglie. Il giovane elfo mormorò una parola di ringraziamento, adocchiandola per qualche istante, poi staccò con garbo alcune delle foglie più grandi e le ripose nel cesto, lì dove le altre foglie di athelas giacevano, e ben lontano dalla belladonna e dal convolvolo, che come diceva il maestro erborista Falarin su a Duillond, "ampie e belle esse brillano per te, offrile in sposa a tutti tranne che al re", per via della loro azione nullificante sull'athelas, chiamata anche foglia di re, se lasciate nei paraggi.

Sorrise, tornando a seguire il corso del fogliame degli alberi e del loro orientamento per cercare tracce di altra athelas, o di luparia, o di muscaria. Raccolse ancora altre piante, vagando per la foresta che costeggiava Duillond con passo risoluto e mente gravida.

L'incontro con lo stregone era ormai alle porte, ed egli non conosceva ancora il motivo di quella richiesta urgente. Aveva inviato una risposta, informando Gandalf del lavoro che aveva svolto nelle sale e di alcune informazioni preliminari che avrebbero potuto far comodo in anticipo su ciò che aveva scoperto, ficcando il naso qui e lì tra gli scritti antichi.

Quando giunse in prossimità del ruscello, decise di prendersi una piccola pausa. Abbanonò bastone e cesto e si rassettò con calma le vesti, prima di abbandonarsi a giacere per un secondo spalle ad un salice dalla folta chioma, ed approfittandone per estrarre dall'ampia tasca della tunica da studente il tomo che aveva deciso di leggere in quei giorni. Sorrise tra sé e sé quando lesse delle imprese di Huor, l'astuto cane dei Valar, e del suo coraggio nel caricare i Warg del Beleriand a fianco di Beren. Era una giornata tranquilla, un vento asciutto scuoteva piano le chiome di querce, salici e frassini, mormorando tra le foglie ed i rami, sussurrando alle orecchie di chi sapeva ascoltarlo, ed un sole tiepido si insinuava timido a riscaldare il terreno invaso da cespugli ed erbe. 

Rimase a leggere per due ore abbondanti, dimentico del tempo, conscio di aver già portato a termine il suo lavoro nelle ore precedenti e assai desideroso di poter riflettere sugli ultimi accadimenti dei giorni passati. Da giovane ed inesperto elfo qual era, viveva ogni novità degna di essere chiamata tale con quel misto di trepidazione ed ansia tipica delle menti libere dal fardello oneroso dell'esperienza, forza tanto intensa da scardinare a tratti anche il suo animo ligio e severo.

Fu proprio tra una riflessione e l'altra che si accorse che qualcosa era cambiato nella vegetazione attorno a sé. Il gorgogliare del ruscello si era fatto più quieto, e lo stormire delle fronde più cauto. Sollevò lo sguardo dal tomo, aggrottando la fronte e guardandosi attorno, la vista acuta che si posava su ogni particolare di quello scorcio che aveva dinanzi. Le foglie avevano cessato quasi completamente di muoversi, e così il vento, ridotto ad un refolo distratto nell'aere immoto. Tornò ad ergersi, vigile, ma era una sensazione intestina a metterlo sul chi vive, aldilà delle percezioni esterne che stava assorbendo, e questa si faceva spazio sinuosa tra le pieghe del suo animo, mettendolo in guardia non già da un pericolo, ma dal rischio di poter perdere quell'euforia galoppante che aveva provato fino a poco tempo addietro. 

Decise di inoltrarsi nella foresta, lento, confuso, risalendo il ruscello e prendendo atto del terreno che si faceva man mano più ripido sul declivio montano che si apriva avanti alla sua figura.

Bastò solo qualche passo perché una nota attirasse la sua attenzione. E in quello stesso istante una tristezza profonda lo pervase, oscura ed ignota. Proseguì, e a quella singola nota seguirono altre, ed altre ancora, a formara una nenia dolce e malinconica, che vibrava nell'aria. Più andava avanti e meno le foglie stomrivano e meno il ruscello gorgogliava, come se anche questi si quietavano per ascoltare quella composizione di note pulsanti, oltre questo o quell'albero. Quando l'aria fu completamente immota, partì il canto.

 

Oh Orofarnë, Lassemista, Carnimírië!

Oh dolce sorbo, come splendeva bianco sul tuo capo il fiore!

 

Una lacrima sgorgò solitaria a solcare il suo viso pallido. Si fermò, abbassando il capo, limitandosi ad ascoltare quel canto straziante, intessuto nella melodia e nel sussurrò del vento, che pareva essere stato imbrigliato per seguire quelle note o, più probabilmente, aveva deciso spontaneamente di abbracciare quel canto ed inebriarlo.

 

Oh sorbo mio, in un giorno d'estate io scorsi il tuo bagliore!

Corteccia lucente, voce limpida e dolce, fogliame fresco e leggero;

 

Tornò a sollevarsi, scorgendo due figure immobili a diversi metri di distanza. Erano elfi, uno vestiva i colori smeraldini della selva, ed i capelli biondi tenuti sulle spalle rilucevano nel sole, l'atro vestiva le tonalità più spente del cielo d'inverno, il volto era oscurato da una nutrita chioma castana. L'ultimo pareva tenere tra le mani un liuto snello, e le mani abili pizzicavano le corde con maestria. Su di loro, la foresta pareva stringersi e raccogliersi ad ascoltare placida.

 

Era rosso-oro la grande corona che in capo portavi altero!

Oh sorbo mio addio! La tua chioma morta grigia e secca è ormai;

 

Si accorse di conoscere le parole. Si rifiutò di farsi domande a riguardo, si limitò a prendere parte al canto assieme ai due riuniti davanti al fuoco di campo, raggiungendoli e sostando al margine della radura, osservandoli ed osservando poi l'albero di sorbo a cui erano rivolti, dandogli la trequarti. Ai piedi dell'albero, un unico, bianco giglio sostava su una fresca zolla di terra. Gli elfi avevano chiuso gli occhi, e lacrime cristalline scendevano lente sui loro volti tesi nel cordoglio.

 

La corona è caduta, la tua voce è perduta e per noi più non canterai.

Oh Orofarnë, Lassemista, Carnimírië!

 

Il canto si spense in una nota bassa, vibrata, e così fecero le melodie del liuto, sostando tenui su un'ultimo arpeggio carico di malinconia. I tre radunati ai piedi del sorbo si chiusero in un silenzio istintivo, immersi nelle loro elucubrazioni. 

La foresta tornò a distendersi, l'afflato delle piante che si spandeva nuovamente nell'aria, mentre il menestrello schiudeva gli occhi verdi ad osservare la natura, perso nelle sfaccettature e nei colori.

Codreth posò la cesta ed il bastone dell'apprendista, fece un passo avanti.

- Erano parole di addio. - 

- Lo erano. - rispose il silvano biondo.

- Avaro fu il tempo tiranno, ahimé. Ahimé! - proseguì il menestrello.

Codreth fu incapace di continuare. Chinò il capo, andò a sedersi accanto ai due, in silenzio.

- Grazie. -

Lo studente scosse il capo.

- Chi riposa ora sotto il sorbo ed il giglio? -

- Maenlin Baenlion detto Il Sorbo fu il suo nome, indomito condottiero tra gli elfi di Lòrien la Bella. - esordì in un soffio malinconico il menestrello.

- Perché cadde... signori? -

- Sanjick Biancavolpe erano soliti chiamarmi. Da oggi sarò Sanjick Grigiavolpe. Ed egli è il mio compagno Uragol delle Candide Sponde. -

- Ed io sono Codreth del Lindon - si affrettò a rispondere l'elfo dai lunghi capelli neri, attendendo la loro risposta.

- Maenlin fu preda della guerra. Lo abbiamo trascinato dalle colline di Evendim fino qui, braccati da orchi e Warg di Dunland, nella speranza di vederlo di nuovo alto e fiero a mulinare la sua bianca spada. E la nostra speranza è ora sepolta al suo fianco. -

Codreth parve inorridire a quella notizia.

- Ma perché così tanta strada? Evendim, lì potevano... -

I due elfi volsero lo sguardo carico di tristezza sullo studente, all'unisono.

Codreth scosse il capo, sentì le parole morire prima ancora di aver fiato per pronunciarle.

   
 
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