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Autore: Avah    10/03/2013    1 recensioni
Los Angeles, 2000. Una tranquilla famiglia che vive nella grande metropoli americana viene improvvisamente distrutta dal dolore quando un'esplosione porta via con sé una persona fin troppo cara. Le speranze si dissolvono con il passare degli anni, le illusioni sono sempre più frequenti, i miraggi sempre più lontani. Ma sarà veramente così, o c'è sotto qualcosa di più?
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un vuoto incolmabile

Ho visto tante persone morire, anche molte persone vicino a me, ma nessuna ha mai lasciato il vuoto che hai lasciato tu. Eri davvero così stanca di questa vita, ora che avevi trovato il tuo equilibrio? Davvero stavi così male da sparire per sempre? Mi sento in colpa, sai. Forse non ero una così buona amica come credevo, forse avrei dovuto fare di più per te. Ma cosa, se hai deciso di andartene all’improvviso?

La ragazza non voleva tornare a casa. Non aveva voglia di subirsi una ramanzina prima da suo fratello e, quando sarebbe tornato, da suo padre. Non voleva vedere nessuno che la giudicasse così, che non riusciva a capirla; per quel motivo decise di rifugiarsi da sua “zia”. In realtà non era effettivamente sua zia, tra di loro non c’era nessun legame di parentela; semplicemente, la chiamava così perché era praticamente cresciuta con lei, dopo che sua madre era morta. Era la sua migliore amica e la sua confidente, perciò non poteva far altro che rivolgersi a lei.
Parecchie volte suo padre le aveva detto che assomigliava moltissimo a sua madre, e ogni volta che succedeva lei dava in escandescenze; non voleva che la paragonassero a qualcuno che non aveva mai conosciuto, che se n’era andata abbandonandola quando aveva solo quattro anni. Forse però un fondo di verità c’era: lei riusciva a capire sua madre e l’aiutava sempre, perciò probabilmente anche lei le chiedeva aiuto perché non era poi così diversa come voleva - e sperava - di essere.
Arrivò sotto casa sua e vide l’auto parcheggiata lì fuori, sull’altro lato della strada. Perfetto, era in casa. Senza suonare il campanello, oltrepassò il cancello e con la chiave che le aveva dato lei, entrò nel palazzo. Salì i gradini due a due, quasi ansiosa di arrivare da lei e potersi sfogare; arrivata sul pianerottolo, si avvicinò piano alla porta e con timidezza bussò, come se tutt’a un tratto avesse perso tutta la sua sfrontatezza.
-Hayley, chi ci fai qui?- le chiese, non appena aprì la porta e se la ritrovò davanti.
-Ciao zia Madison- rispose la ragazza, abbassando d’improvviso lo sguardo -Posso parlarti?-.
-Certo. Vieni dentro- si scostò e le fece cenno di entrare.
Si diressero in soggiorno e si sedettero sul divano, una di fronte all’altra.
-Allora, cosa mi volevi dire?- iniziò la donna.
La ragazza rimase in silenzio per un attimo, riflettendo; poi, come presa da un irrefrenabile desiderio di sfogarsi, iniziò a piangere, impedendole persino di parlare.

Il ragazzo, invece di tornare a casa come al solito, si diresse con passo lento verso il luogo di lavoro del padre. Era una passeggiata un po’ lunga, ma a lui non importava; anzi, sarebbe stato meglio, così avrebbe avuto tutto il tempo per decidere cosa dire a suo padre una volta che sarebbe arrivato.
Forse non doveva andare da lui, avrebbe dovuto lasciare che fosse lei a vedersela con lui, ma proprio non resisteva a quegli impulsi. Forse era anche dovuto al fatto che lo aveva promesso, quel giorno, dieci anni prima: davanti a quella pietra grigia aveva promesso che si sarebbe presa cura di lei in futuro, che avrebbe fatto di tutto purché non le succedesse niente.
Senza nemmeno rendersene conto, in pochissimo era arrivato. Gli agenti in uniforme che andavano e venivano non facevano mai caso a lui, ormai erano abituati a vederlo lì in giro; sapevano che era il figlio di un collega, e qualche voce diceva anche che prima o poi, seguendo le orme dei genitori, lui stesso sarebbe entrato in polizia. Lui non sapeva cosa ne sarebbe stato della sua vita, cosa avrebbe fatto una volta finiti gli studi; per il momento, era concentrato su quei libri che non vedeva l’ora di rinchiudere in soffitta dentro qualche scatolone.
Entrò nella sede; si fermò per qualche secondo a scambiare due parole con due colleghi di suo padre, poi si avvicinò alla scrivania che si trovava appena fuori dal’ufficio con le pareti di vetro.
-C’è mio padre?- chiese alla donna dietro il computer.
-Sì, è di là in ufficio- indicò la stanza alle proprie spalle.
-Grazie- si limitò a dire, poi, dopo aver bussato una volta, entrò nell’ufficio.
Quanto tempo aveva passato lì dentro, tra quelle mura! Ricordava ancora quando sua sorella era appena nata, e lui molte volte stava lì con suo padre perché sua madre doveva occuparsi della piccola.
-Ciao papà- disse, lasciando cadere lo zaino a terra.
-Ehi Matt- fece l’uomo, voltandosi verso di lui -Tutto bene a scuola?-.
-Il solito- sospirò, prendendo una sedia libera e lasciandocisi cadere sopra -E’ Hayley che mi preoccupa-.
-Che ha combinato stavolta?-.
-Non so se dovrei dirtelo- il ragazzo abbassò lo sguardo -Penso che sia successo qualcosa oggi a scuola, ma lei non mi ha voluto dire niente. Penso che non sia neppure andata a casa-.
L’uomo sospirò -Sarà sicuramente andata da Madison- disse -Oggi ha il giorno libero-.
In quel momento la porta si aprì e fece il suo ingresso nella stanza un altro uomo, piuttosto giovane, con i capelli castani arruffati e gli occhi leggermente più scuri.
-David, ha chiamato Mark dalla Scientifica dicendo che ha una pista per quei spaciatori- disse.
-Arrivo subito- rispose, alzandosi -Senti Matt, ne riparliamo a casa con lei, ok?- aggiunse, rivolgendosi al ragazzo.
-D’accordo-.
-Ci vediamo più tardi- concluse, uscendo dalla stanza.
Il ragazzo rimase lì, a guardarsi intorno, mentre i ricordi gli tornavano alla mente. Ricordava perfettamente quelle giornate che aveva passato lì, quando era piccolo, mentre i suoi genitori erano fuori; passava delle ore steso per terra, sulla moquette, a disegnare e pastrocchiare con i pennarelli. Gli era sempre piaciuto, non ne riusciva a fare a meno. All’inizio non faceva altro che ritrarre arcobaleni e infiniti mari, poi crescendo aveva affinato le proprie capacità, fino a fare del disegno il suo chiodo fisso. Le figure infantili erano scomparse, rimpiazzate dai personaggi che inventava lui stesso, eroi ed eroine che ritraeva ispirandosi a ciò che i suoi genitori gli raccontavano.
“Chissà, forse da qualche parte ci sono ancora i miei disegni di quando ero più piccolo” pensò, tirando fuori dallo zaino un blocco di fogli e una matita. “Alla mamma piacevano tanto, li conservava tutti. A volte li portava persino con sé, ovunque andasse. Forse ne aveva uno anche quando è morta”.

-Tesoro non piangere, avanti!- la donna si allungò verso la ragazza, cercando di calmarla -Va tutto bene-.
-No, niente va bene!- fece lei, scossando la testa -Non è mai andato bene niente! Mai!-.
-Non dire così. Sono sicura che sia qualcosa che si può aggiustare-.
La ragazza non rispose; teneva la testa china per non mostrare le lacrime che le correvano follemente sulle guance, rigandogliele con una scia salina. Era orgogliosa, e non poteva farci niente; era soltanto una delle tante caratteristiche che la rendevano simile a quella donna che era sparita dalla sua vita da dieci anni.
-Cerca di calmarti, poi mi racconti cos’è successo e troviamo insieme una soluzione, ok?- disse la donna, alzando lo sguardo dell’altra con la mano.
La ragazza deglutì un paio di volte, cercando di fermare il pianto, poi si drizzò sul divano e, con voce ancora scossa dai singhiozzi, iniziò a parlare.
-E’ tutta colpa di quella stupida- esordì -Quella donna è incapace di fare il suo mestiere e di farsi gli affari suoi-.
-La tua prof di francese?-.
La ragazza annuì; ormai tutti sapevano che nutriva un odio smisurato verso la sua insegnante, e non faceva niente per mascherarlo. A lei non importava niente di non farsi scoprire, perciò la donna sembrava divertirsi a prendersela personalmente con lei e, se non funzionava, attaccava con ostinazione suo fratello.
-Che ha fatto questa volta?- chiese.
-E’ insulsa, non sa insegnare, e ce l’ha a morte con me! Non esita a trovare la prima occasione per rovinarmi la vita, come se non fosse già abbastanza difficile-.
-Ok, questo lo so. Ma precisamente, cosa ti ha fatto di male?-.
-Non sa farsi gli affari suoi. Mi chiede delle cose personali solo per prendermi in giro davanti al resto della classe, come fa con Ian. Ce l’ha con noi-.
-Cose personali… Del tipo?-.
-Mi voleva fare un’interrogazione di quasi un’ora sulla mia famiglia- precisò -E se l’è presa con me perché mi sono rifiutata di rispondere alle sue domande-.
-Hayley- disse la donna, dopo un attimo di silenzio -Lei stava facendo solo il suo lavoro, sono sicura che a lei non interessa minimamente la tua vita a casa. E se se l’è presa con te è perché non hai voluto rispondere-.
-Ma zia Madison- fece la ragazza, non sapendo più da che parte stesse la donna -Perché avrei dovuto risponderle? Perché avrei dovuto dirle tutta la mia vita? Perché avrei dovuto parlare di quello che ho passato?- le lacrime presero di nuovo il sopravvento, impedendole di continuare.
La donna l’abbracciò, cercando di confortarla e di farla calmare almeno un po’ -Hayley, non devi fare così. Lo sai che tua madre non vorrebbe mai vederti così. Lei vorrebbe solo che tu sia felice, anche se a volte devi ripercorrere quei brutti momenti-.
La ragazza non rispose; stava con il viso affondato nella spalla della donna, e continuava a piangere.
-Lei vuole che tu sia forte, che dimostri che sai andare avanti a testa alta- le alzò il viso -Non devi deluderla-.
  
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