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Autore: suxsaku    26/09/2007    1 recensioni
Un mago ciarlatano, scorbutico e intrattabile.
Una ladra idealista, sognatrice e suscettibile.
Una profezia centenaria, astrusa e frammentata.
<< Fabrum esse suae quemque fortunae. >>
<< Che significa? >>
<< Che ciascuno è artefice della propria sorte. >>
Storia a cui tengo davvero molto. Sebbene abbia tutta la vicenda stampata in mente, non l'ho messa completamente per scritto, perciò gli aggiornamenti non saranno frequentissimi.
>> EDIT Capitolo 19. Ho fatto una correzione: alla fine del capitolo mancava una frase di Wantz; a causa dell'html si vedevano solo le virgolette. Ringrazio Yuna per la segnalazione.  <<
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ok, per iniziare le solite scuse pietose. Non è stata colpa mia! Sul serio, chi mi conosce sa che ho avuto un’estate al limite del paradossale, un trasloco infinito, un computer fesso, un modem evanescente, una madre che non si merita tale titolo, uno shampoo con lo sciroppo di menta, un’ escoriazione contro un albero, vicini invadenti, un buco per gli orecchini infettato e tante altre gioiose amenità.

 Lore, Saretta, siatemi testimoni supremi.

Insomma, perdonatemi per questa attesa mostruosa (tre mesi?? Rasento davvero l’indecenza…), se vi riesce. Ora sono a posto (col computer, almeno).

Vedo che la pronuncia dei nomi miete nuove vittime. XD E’ più facile di quanto possa sembrare, Selene: la ” w”  è come se fosse una ” u” e la “t”  non si legge. La pronuncia corretta è pertanto “uanz”. Se vuoi unirti al nutrito gruppo di persone che mi odia per i nomi che scelgo e per l’uso del latino, ti capisco perfettamente. Devo ammettere che mi sono dimenticata di dire qual è la traduzione del titolo (Lore docet). Chiedo venia. Rimediamo subito: La profezia centenaria dell’oblio. Evviva la fantasia.

Tra l'altro mi sa che qualcuno ha frainteso: non è questo il capitolo che "muoio dalla voglia di scrivere". Ma ci siamo quasi. Dopo quello, finalmente la storia sarà più chiara. Chi avrà pazienza sarà premiato. Spero che mi darete fiducia e proseguirete la lettura. I commenti sono sempre graditissimi, e anche le sgridate. The show finally go on.

 

 

Capitolo 15: Rinunce

 

 

***

 

Il ragazzo scosse la testa, per nulla convinto, agitando i folti e scarmigliati capelli corvini.

<< Penso che sia una sciocchezza >>, disse, dubbioso.

Sdraiato a terra, le mani intrecciate dietro la nuca, un enorme libro aperto appoggiato sul volto in modo da difenderlo dall'invadenza del sole, la barba bianca che spuntava da sotto le pagine e ricadeva fin oltre le clavicole, un uomo in piena terza età rise della scetticismo del fanciullo.

<< Sei libero di pensarlo, ma se brami di diventare un mago, non puoi sottrarti a questa sciocchezza. >>

<< Ma scusate, si sa che può praticare la magia solo chi possiede in sé tracce dei Sacri Doni, chi discende da maghi o stregoni e ne ha perciò il sangue o chi dimostra abilità innata. E allora, io mi chiedo, perché è necessaria una cosa ridicola come un rito per legittimare l'uso della magia? >>

<< Perché soltanto chi è pronto a fare sacrifici, a mettere da parte il proprio bene personale e a usare la magia in modo disinteressato merita la concessione dei Sacri Poteri. >>

<< Sì, certo >>, ironizzò. << Poi tanto fanno tutti quello che vogliono... >>

<< Questo succede ora, perché sono tutti talmente travolti dalla profezia e da questa situazione anomala da non curarsi dei precetti che regolano il retto utilizzo di incantesimi e affini. >>

Il ragazzo sbuffò. << Bella roba. Un'altra cosa che non capisco, è perché il Rito consista nel rinunciare a qualcosa. >>

<< Non l' ho deciso io: maghi di gran lunga superiori a me hanno posto i fondamenti per regolare la comunità magica. Il Rito è sempre stato uno scoglio di difficile superamento; un modo sicuro per allontanare gli indegni dalla pratica magica. E' necessario sacrificare qualcosa di prezioso, come la famiglia, l'amicizia, metà degli anni ancora da vivere, l'udito, la voce, la vista... Ogni mago sceglie qualcosa che ritiene importante ma, in genere, di cui pensa di poter fare a meno. Ed è qui la fregatura. >>

Il ragazzo non capì. << A cosa vi riferite? >>

<< Succede sempre così: si rinuncia a qualcosa che sul momento sembra privo di valore o interesse ma che, col tempo, diventerà oggetto di desiderio o di vera e propria ossessione. Difatti, chi rinuncia a qualcosa a cui tiene veramente o verso cui prova un forte interesse, ottiene poteri e capacità superiori a chi operata una scelta mirata alla minima perdita. >>

<< Maestro, è successo anche a voi? >>

<< E' strano >>, constatò placidamente, << Avrei scommesso che mi avresti chiesto direttamente a cosa ho rinunciato. >>

Il ragazzo si mostrò indignato. << Come potete anche solo pensarlo. E' stata una scelta personale, e me lo direte solo se vorrete, e solo quando potrò capirlo. >>

<< Quindi, ritieni che, attualmente, non saresti in grado di capire? >>

<< No >>, rispose prontamente. << Per il semplice fatto che non capisco l'utilità di una patrica simile. >>

Il vecchio rise, compiaciuto. << Ottimo ragionamento. >>

Rimasero in silenzio, l'uno godendosi la brezza sul volto, l'altro continuando a poltrire. Il cielo era limpido, con un'unica nuvola solitaria che sfidava l'azzurra omogeneità regnante.

<< Sono stati pochissimi i maghi e gli stregoni che non si sono pentiti della loro scelta per il Rito >>, riprese l'uomo. << E questi pochi sono tutti passati alla storia per i loro poteri. Penso, e spero, che ci sarà qualcuno del genere al momento dello scontro con l'Oscuro. >>

<< Non mi avete ancora risposto. >>

Il vecchio sospirò. Si tolse il libro dalla faccia e si sedette, rivelando la sua inaspettata chioma argentata, in netto contrasto con la barba canuta. Si voltò a guardare il suo giovane discepolo e gli sorrise dolcemente.

<< Per certi versi >>, disse, con quella sua parlata lenta che ricordava lo scorrere quieto e pigro di un fiume di montagna, << si è rivelata la cosa migliore. Ma in generale, come per quasi tutti, si è rivelato l'errore più grande della mia vita. >>

 

***

 

 

Wantz aprì gli occhi e si drizzò a sedere di scatto. Non gli capitava spesso di sognare avvenimenti del passato, e quando succedeva non si trattava mai di episodi piacevoli. Del resto, sarebbe stato strano il contrario.

Alla sua destra Jillian dormiva appoggiata ad un albero. Stava in una posizione decisamente scomoda, ma evidentemente si era addormentata di botto per la stanchezza senza avere il tempo di trovare una sistemazione migliore, considerato tutto ciò che aveva dovuto fare durante il giorno. O meglio, considerato tutto ciò che lui l'aveva costretta a fare. Ripensò alla ragazza che raccoglieva pezzi di orco in giro per la foresta e li bruciava con meticoloso godimento, vincendo il ribrezzo per quei resti sanguinolenti. Mentre la ragazza si dilettava in quella lugubre vendetta, lui dormicchiava ed eseguiva un lento lavoro di rigeneramento per curare le ferite: finì relativamente presto, ma la fretta con cui aveva eseguito quelle complicate magie curative lo aveva spossato oltre il limite, costringendolo all'immobilità per tutta la giornata. Nei momenti in cui era lucido vedeva Jillian o che alimentava il falò, o che si concedeva una rara quanto meritata pausa; una volta gli parve di scorgerla mentre stava intagliando un pezzo di legno, ma non ne era sicuro, e un'altra che lavava dei panni in un catino spuntato fuori da chissà dove.

Adesso lei era caduta nel sonno del giusto, e lui, come ogni notte, non sarebbe riuscito a riaddormentarsi facilmente. Gli anni gli avevano abbreviato il sonno. Inoltre, lui preferiva coricarsi tardi, restando fino a sera tarda in cammino o impegnato nelle attività del caso per poi riposare di giorno; cosa che ora non era possibile, a causa della presenza della ragazza, e i suoi orari già sballati ne uscirono ancora più assurdamente privi di logica.

Infine, la notte gli incontri col maestro erano più probabili; e non era suo desiderio sprecare delle buone occasione per parlargli.

Sapeva che quella notte il maestro non sarebbe uscito: "sentiva" che anche lui era rimasto provato dallo scontro. Infilò una mano dentro la maglia e tirò fuori lo zaffiro legato come pendente al laccio nero che portava intorno al collo. Guardò la pietra risplendere della luce lunare che filtrava tra gli alberi.

La rinuncia è una forma di virtù? Un qualcosa che indica grande forza d'animo? Oppure è segno di debolezza, nel senso che gli uomini veramente abili riescono ad evitare di dover fare rinunce? Ma è possibile una vita senza alcuna privazione? La si può usare come metro di giudizio? Se le rinunce sono conseguenze inevitabili dell'esistenza umana e portano sovente a sofferenza, perché imporne volutamente? Quando tempo aveva speso a porsi domande simili. Qualche risposta se l'era data. E rinunce sì, ne aveva fatte, eccome. Tuttavia, certi dubbi restavano; e anche l'amarezza.

Strinse lo zaffiro nel pugno: era tiepido. Rimpianse per un attimo di non essere come gli altri. Non poter contare su certezze assolute, benché sbagliate o prive di fondamento... Ecco, era una cosa che a volte invidiava alla gente comune. Essere privo di punti d'appoggio, di basi su cui fare affidamento, di un qualsiasi cosa che lo facesse smettere per un attimo di mettere in discussione tutto ciò che lo circondava. Una certezza, anche una sola...

Che non fosse, possibilmente, la presa di coscienza sulla sua miserevole condizione di dannato.

 

 

E' bello avere delle certezze, nella vita. Cose che sai che difficilmente cambieranno. Una di queste era sicuramente l'umidità di quel dannatissimo castello. Un'altra era la bastardaggine di quel damerino di Lot. E poi c'era la straordinaria abilità del maghetto nel guastare i piani altrui, specialmente i suoi. Il vero pilastro della sua esistenza, però, colonna portante di ogni sua giornata, era la capacità di Caradoc di scrutare nel suo animo fino a scovare ogni sua debolezza, ogni desiderio, pensiero o timore; era certo che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto schiacciarlo psicologicamente in qualsiasi momento.

Cercando di ignorare l'interminabile gocciolio d'acqua che gli stava facendo saltare i nervi, Urien tentava con scarsi risultati di sparire dalla vista del suo compagno che, piantato immobile innanzi a lui, lo fissava con tacito rimprovero. Quello scrutamento reciproco durava da parecchio, e Caradoc non sembrava per nulla intenzionato a mettervi fine. Ma Urien era incapace di regge ulteriormente quel silenzio carico di biasimo: preferiva di gran lunga una ramanzina con urla e magari qualche botta. Cosa che il suo compagno sapeva benissimo.

<< Non mi sono pentito abbastanza? >>, chiese infine, al limite della sopportazione.

Caradoc inarcò un sopracciglio. << A me sembra che tu non ti sia pentito proprio. >>

<< Fandonie! >>, strepitò. << Sai perfettamente che non riesco a sopportare la mia incapacità di dominarmi. Tutte le volte che finisce così non posso che biasimarmi! >>

<< Io penso che, più che altro, tu non sopporta l'inferiorità rispetto a Lot in cui ti ha relegato la tua indole. >>

Urien digrignò i denti. << Il paragone col maledetto è l'ultimo dei miei problemi. >>

<< Ah, certo >>, annuì. << E scommetto che anche il mago non ti sfiora minimamente, vero? Il tutto si riduce al senso di inadeguatezza che nasce dal non adempiere alle aspettative del nostro signore. >>

Urien strinse i pugni, tremante di rabbia, e volse lo sguardo altrove. << Ti detesto quando fai così >>, ringhiò. << Che bisogno hai di infierire ulteriormente? >>

Caradoc mantenne ostentatamente quell'espressione di biasimo che mal si addiceva alla sua natura mite. << Sono offeso. >>

L'altro si voltò, gli occhi sgranati e un'aria interrogativa al posto del grugno irato. << Cosa? >>

Annuì. << Ignori sempre le mie raccomandazioni e i miei consigli su come trattenerti. Poi torni da me con le pive nel sacco, ascolti i soliti rimproveri, per poi sbagliare nuovamente nello stesso identico modo. >>

<< Oggi lui... Hai sentito anche tu cosa diceva quel dannato mago >>, cercò di discolparsi. << Io... Io non... >>

<< Ti si era detto che non dovevi ucciderlo, ma era ovvio che non avresti nemmeno dovuto ridurlo in quello stato pietoso. Non sarebbe morto comunque, ma il tuo eccesso è la riprova della tua mancanza del benché minimo buonsenso. >>

<< La prossima volta... >>, iniziò.

<< Potrebbe non esserci una prossima volta >>, lo interruppe. << Arriverà, prima o poi, la volta che Lui non sarà più disposto a sopportare. E io non voglio che succeda. >>

Silenzio. Solo il gocciolio d'acqua spezzava quella completa assenza di suoni. Urien stava in atteggiamento umile, le spalle incurvate e il capo chino, più alto di Caradoc, oppresso tuttavia dalla sola presenza dell'altro.

<< Farò di tutto per non deluderti più >>, mormorò.

Caradoc gettò la sua maschera di disappunto per riacquistare il suo solito sorriso rilassato e distaccato, condito dall'aria placita e serafica che bilanciava la mancanza di equilibro del suo compare.

<< Ne sono certo. >>

 

 

Jillian si svegliò di soprassalto, realizzando subito con orrore che, invece di restare sveglia a vegliare sul sonno di Wantz, aveva ceduto al tiepido e avvolgente abbraccio di Morfeo. Si voltò di scatto, ancora mezza inebetita, per controllare che il ragazzo non fosse peggiorato durante la notte: si sentì morire quando vide che non c'era più.

Prima che avesse tempo di lasciarsi andare ad ipotesi assurde e di cedere alla frustrazione, però, sentì dei movimenti alle sue spalle. Si voltò e vide il mago che fissava corrucciato le condizioni pietose in cui si trovava la sua sella.

Il sollievo provato nel vedere che il ragazzo stava bene e che non era stato rapito si tramutò a velocità impressionante in rabbia.

<< Wantz >>, lo chiamò, visibilmente indispettita, << Che cosa fai in piedi? Avevamo concordato che per due giorni non ti saresti mosso: è il minimo indispensabile perché ti possa riprendere. Non partiremo prima di domani mattina. >>

<< E così sarà >>, confermò il ragazzo, senza staccare gli occhi dalla sella. << Sei stata tu a fare questo disastro? >>

<< Si era parlato di completa immobilità. >>

<< Forse era meglio se ti lasciavo sfogare sugli orchi >>, bofonchiò lui, praticando un incantesimo che aggiustò le cinghie tagliate dalla ragazza per liberarsi da quella rudimentale imbracatura.

Jillian si morse un labbro per il nervoso. << Possibile che tu non riesca a rispettare la parola data? >>

Wantz sistemò la sella, nuovamente integra. << Possibile che tu non riesca a fare ciò che ti si dice? >>

<< Lo dico nel tuo interesse. >>

<< Anche io lo dico nel mio interesse. >> Zoppicando, segno che il taglio infettato sulla gamba sinistra gli dava ancora problemi, tornò accanto alla ragazza e si sdraiò sulla coperta dove aveva dormito fino a poco prima. Intrecciò le mani dietro alla nuca e chiuse gli occhi, senza degnare la ragazza di uno sguardo.

Jillian sospirò, scotendo lentamente il capo. Era stata una sofferenza convincerlo a concedersi un po' di tregua. Fosse stato per il ragazzo, si sarebbero rimessi in marcia non appena sanate le ferite; cosa che si era verificata con una velocità assurda, lasciando però Wantz completamente privo di energie. Da ciò la sua insistenza a prendersi un giorno di convalescenza.

Non avrebbe mai pensato di dover costringere qualcuno a riposarsi; ma l'inerzia sembrava del tutto estranea all'indole di Wantz. Era il tipo che, anche nell'ozio fisico, trovava qualcosa da fare a livello mentale. Anche in quel momento, era sicuramente perso in chissà quali pensieri.

<< Sei peggio di un bambino; totalmente incapace di stare fermo e privo di giudizio. >>, lo rimbrottò.

<< Uhm... >>, mugugnò il ragazzo con aria divertita. << Allora siamo due bambini. >>

Jillian si appoggiò all'albero, sconsolata. << Non dovresti tenere in così poco conto la tua salute. >>

<< Guarda che ci tengo eccome. E poi... >> Si girò verso la ragazza, fissandola con scherno. << Ti sembro così malandato? >>

Era ancora pallido, ma non c'era più alcuna traccia visibile delle ferite; persino il taglio sulla fronte, che a rigor di logica avrebbe dovuto dar luogo a una cicatrice, era sparito. Nei suoi occhi c'erano però tracce di spossatezza o stanchezza; non sembrava fresco e riposato come una rosa bagnata dalla rugiada mattutina, ma si sarebbe sicuramente ripreso.

<< Va bene, va bene >>, sospirò, rinunciando a discutere ulteriormente. << Basta che tu non faccia altre sciocchezze. >>

Tacquero. Jillian fissò senza sentimenti particolari i resti del macabro falò del giorno prima. Si sentiva a pezzi per la fatica fatta, e pregustò un lungo e profondo sonno. Cercò di sistemarsi in modo da non svegliarsi con il mal di schiena, ma si bloccò quando si accorse che Wantz stava ridacchiando sotto i baffi.

<< Si può sapere che hai da sghignazzare? >>, gli chiese con sospetto.

<< Sono colpito dal fatto che tu tenga tanto alla mia presenza >>, rispose lui, riferendosi al terrore che aveva invaso la ragazza al pensiero che lui fosse sparito. Lo disse con un tono che presentava l'affermazione come normalissima, ma che, al contrario, lasciò la ragazza di sasso.

<< Ma è naturale >>, balbettò imbarazzata. << Siccome siamo compagni di viaggio, dobbiamo aiutarci reciprocamente e collaborare per il raggiungimento del nostro scopo. Anche se noi siamo ben lontani dal riuscirci, bisogna che tra compagni si agisca per il bene di entrambi proprio perchè si è tali, al di là di qualsiasi legame affettivo. Temere per l'incolumità dell'altro e preoccuparsi per lui... E' normale, no? >>

"Non per uno come me" obbiettò mentalmente.

 

 

<< Ora che ci penso >>, grufolò Urien addentando un pezzo di carne ancora mezzo crudo << Oggi il maledetto Lot non doveva andare a castagnare un po' quegli squinternati? >>

Caradoc girò lo spiedo sul fuoco, osservando con leggero schifo un rivolo di sangue colare dalle labbra del suo vorace compagno. << Sì, infatti. A quest'ora ne avrà trovato uno e, come da ordini, gli farà un servizio completo. >>

Urien si pulì la bocca col dorso della mano. << Il suo metodo preferito. Conciarne uno per le feste come avvertimento per gli altri. >>

<< Per il nostro signore è una faccenda spinosa. >>

<< Neanche più di tanto >>, rifletté, scostandosi i riccioli neri dalla fronte. << Una combriccola scalcinata formata da una ventina di maghi che vuole trovare l'Oscuro e ucciderlo... Cosa vuoi che possano fare? >>

Caradoc tagliò un pezzo del ventre del vitello e lo posò sulla lastra di legno che gli fungeva da piatto. << Ora come ora nulla, perché sono completamente disorganizzati. Ma tra loro ci sono alcuni elementi validi, e poi stanno cercando altri alleati. Del resto.. >>, aggiunse, passando una seconda porzione di carne a Urien. << Se Lui ha mandato Lot e non un sottoposto qualunque, significa che preferisce non correre rischi. >>

L'altro rise. Una risata rauca e raschiante, simile al latrare di un cane. << Allora ha fatto bene ad andare sul sicuro. >> Mostrò i denti macchiati di sangue, rantolando con sadico piacere. << Con Lot c'è garanzia "trucidati o dannati". >>

 

 

Il giovane incespicò correndo, in un vano tentativo di fuga, e cadde a terra. Si voltò, scorgendo, attraverso i capelli rossi che ricadevano scompigliati sugli occhi, il suo inseguitore, un uomo vestito completamente di nero e avvolto in un lungo mantello dello stesso colore, venire con lentezza esasperante verso di lui; sul suo volto non c'era la minima di traccia di alcun sentimento, e sembrava completamente indifferente a ciò che lo circondava. Anche quella missione, la stava compiendo come se fosse estraneo ai fatti. "Passivamente" decretò il ragazzo, rialzandosi goffamente e cercando di strappare alla paura un qualunque incantesimo. La sua mente però si rifiutava di tirar fuori quello che aveva faticosamente imparato in anni di estenuante addestramento.

<< Che cosa vuoi? >>, chiese invece, constatando con orrore che non riusciva a muovere le gambe, paralizzate da qualche sortilegio.

L'uomo si fermò a qualche metro di distanza, guardandolo come se in realtà non lo vedesse affatto. << Fare di te un avviso vivente per i tuoi compari. >>

Cercò inutilmente di sollevare i piedi, che erano come cementati al terreno.

<< L'Oscuro Signore ha paura delle azioni di un gruppo di maghi che si rifiutano di piegarsi alle sue smanie di distruzione? >>

<< Desolato di deluderti, >>, negò, con una parlata lenta come la sua camminata, << ma per noi siete delle semplici pulci fastidiose. >>

Frugò nella sua testa alla ricerca di una formula che potesse liberarlo, ma ormai gli sembrava tutto inutile. << Intanto, però, >>, disse, simulando un'inutile baldanza, << mi ucciderai come avvertimento per i miei compagni, no? Giusto per essere sicuri di non averci tra i piedi, mostrerai cosa si deve aspettare chi ostacola l'Oscuro: la morte. >>

L'altro gli rivolse uno sguardo vuoto, sollevando un sopracciglio. << Chi ha parlato di uccidere? >>

Il sangue si gelò nelle vene del ragazzo. << Tu... Non vorrai... >>

<< Ci sono tante visioni diverse della morte >>, disse, scagliando un incantesimo sul giovane, facendolo urlare di dolore e gettandolo nuovamente a terra << Alcuni la considerano una liberazione dalle sofferenze di quest'opprimente vita terrena. >> Guardò il ragazzo contorcersi convulsamente nel tentativo di riprendere il controllo del proprio corpo << Pensi che Lui si limiterebbe a una cosa così semplice, con il rischio di fare un favore ai suoi oppositori? >>

<< Tu... >>, ansimò << Non vorrai... >>

Si avvicinò ancora. << La morte non è una pena sufficiente per chi si oppone al Suo volere. >>

<< Sei... senza pietà >>, biascicò con voce strozzata. << Voi siete proprio... incapaci di qualsiasi sentimento... umano... Non avete né pietà... né rimorsi... >>

<< Vero >>, confermò. << Ormai non commisero nemmeno più me stesso. Prima, invece, era la mia attività principale. >>

Deciso a non dargli la soddisfazione di mostrarsi disperato, il giovane mago rise amaramente. << Perché, tu... eri in grado di provare... pietà? >>

<< Oh, sì... >> sussurrò, perdendosi nei suoi pensieri. Rimasero così per un po', lui a meditare in silenzio, l'altro impegnato nella lotta all'incantesimo che lo paralizzava.

<< Te lo stai chiedendo, vero? >> chiese all'improvviso.

Accasciato a terra, pronto a ricevere il colpo di grazia, il ragazzo alzò uno sguardo terrorizzato e insieme interrogativo al trentenne che avrebbe deciso della sua sorte.

<< Ti stai chiedendo a cosa mai possa aver rinunciato nel Rito per ottenere un potere così devastante. >>

Lo fissò avvicinarsi lentamente, cercando disperatamente un modo per salvarsi.

<< Il Rito fu una sofferenza anche per me >>, proseguì, dando corda a quell'insolito desiderio di parlare. << A causa di esso, una volta non avevo che biasimo verso me stesso. Ci crederesti? >>

Lot raggiunse la tremante figura e lo fissò con occhi vacui.

<< Ora invece ho capito. Le rinunce servono a fortificarci. E sono inevitabili.>>

Tese il braccio e alzò due dita: il ragazzo si sollevò in aria contro la sua volontà, restando sospeso nel vuoto inerme, davanti all'uomo vestito di nero.

<< Sai a cosa sono stato capace di rinunciare? >>, gli sussurrò con falsa affabilità e un'altrettanto falsa aria complice.

Il ragazzo cercava invano di liberarsi da quella morsa invisibile. A un tratto, con profondo raccapriccio, sentì qualcosa strisciare dentro di sé. Scorreva nelle vene rapidamente, come un fluido venefico, ma aveva una sua solidità. Sembrava... Sì, sembrava che il suo corpo fosse attraversato da dei serpenti. La vista gli si offuscò, il campo visivo fu riempito da una macchia rossa che si allargava velocemente, e non si trattava dei suoi capelli vermigli.

Sgranò gli occhi, capendo finalmente cosa stava accadendo.

Il suo urlo di terrore si disperse nell'aria, portando via con sé l'anima, sgusciata fuori fusa insieme a quell'ultimo grido disperato, cacciata via dalla sua legittima dimora, estirpata per essere sostituita da qualcos'altro.

<< Al mio migliore amico >>, concluse, lapidario.

 

 

***

 

Il ragazzino si alzò in piedi, furente, camminando nervosamente avanti e indietro.

<< Ma io non lo capisco! Non capisco perché è necessario, e soprattutto non capisco perché nessuno si ribella. Non capisco come ci possa essere gente che accetta di uccidere il proprio migliore amico, la famiglia o la persona amata solo per poter praticare la magia! >>

<< Calmati, Wantz. E' un precetto antico come la magia stessa. Non si può sottrarvisi. E non tutte le rinunce sono uguali. >>

<< Ah, certo >>, sbuffò. << In base a quanto effetto si prova per la persona sacrificata, si ottengono poteri maggiori o minori. Meglio uccidere qualcuno a cui si tiene veramente, sì sì... >>

Il vecchio lo afferrò per un braccio, obbligandolo a sedersi sull'erba. << O ti dai una calmata, o il discorso finisce qui >>, minacciò.

<< Mi calmo, mi calmo... Solo perché voglio capirci di più, visto che toccherà farlo anche a me >>,  precisò. Tacque, improvvisamente turbato. << Io non... Non voglio uccidere nessuno. >>

L'uomo sospirò, accarezzandogli la nuca. << Non tutti scelgono di immolare una persona. Alcuni rinunciano agli ideali, ai sogni... Alcuni anche a determinati sentimenti. >>

Il ragazzino lo guardò, sbalordito. << Come si può evitare di provare un sentimento? >>

<< Non è che si perde la capacità di provarlo. Solo, è proibito provarlo. Se succede, i poteri vengono meno, temporaneamente. Ma, nel caso di sentimenti troppo forti, come può essere l'amore, capisci che è pressoché impossibile trattenerli. E se non si riesce a dominarli, si perde la vena magica. Tuttavia, >>, proseguì con gravità, << c'è comunque qualcuno che riesce a vivere in condizioni simili. >>

Al ragazzino parve di percepire del risentimento in quelle parole, ma pensò di essersi sbagliato. << E' una scocciatura. >>

<< Prego? >>

<< Maestro, sapete bene che sono un vigliacco; non avrei mai il fegato di uccidere, soprattutto se si tratta di qualcuno a cui tengo. E non ho uno straccio di idea alternativa per questo cavolo di Rito. Quindi c'è una sola soluzione. >>

<< Sarebbe? >>, chiese l'uomo, preparandosi all'ennesima assurdità.

<< Diventerò un eremita. >>

Il vecchio rise. << Sarebbe questa la soluzione? >>

<< Niente affetti, niente pericolo di perderli >>, spiegò il ragazzo con serio puntiglio.

<< Nessuno può vivere da solo, Wantz, nessuno >>, obbiettò con fare paterno. << Inoltre, non c'è nessuna fretta. Hai tutto il tempo per decidere se e cosa sacrificare. >>

<< Allora rinuncerò alla magia >> concluse, ma la frase suonò molto più come una domanda piuttosto che come un'affermazione.

<< Non credo che ci riuscirai. >>

Era vero. Il ragazzo sapeva di aver bisogno della magia per raggiungere i suoi scopi. E dunque? A cosa mai avrebbe potuto rinunciare?

<< Sappi comunque >>, aggiunse il vecchio, alzatosi per raccogliere una mela da un albero lì vicino, << che finché vivrò, la tua scelta dovrà avere il mio consenso. >>

L'altro storse il naso. << Ma scusate, non dovrebbe essere una scelta personale e libera? Perché volete pilotarmi? >>

<< Perché sei uno sciocco impulsivo, e io ho sentito, e visto, stupidi rinunciare a tutto e di più. >>

<< Per esempio? >>

<< Una cosa che devi giurarmi sin da ora che non cederai mai, per nulla la mondo. >> Si voltò verso di lui, fissandolo con severità. << L'anima. >>

 

***

 

 

Non riusciva a dormire. Un indefinibile senso di oppressione l'obbligava ad un sonno ad intermittenza: riposava poco e male, svegliandosi in continuazione e faticando a riaddormentarsi. Col sole alto nel cielo non era riuscita a dormire, nonostante la stanchezza, e neanche adesso, con l'oscurità notturna, riusciva a lasciarsi andare a quella piacevole perdita di coscienza, nella totale assenza di pensieri e preoccupazioni. Invidiò Wantz, che riusciva a dormire facilmente ovunque e in qualsiasi condizione si trovasse. Anche se, pensandoci bene, forse nemmeno il suo era un sonno sereno.

Sentì il ragazzo gemere. Si chinò su di lui e gli posò una mano sulla fronte.

<< Stai male? >>, gli domandò. << Qualche taglio si è riaperto? >>

<< No >>, rispose, a bassissima voce. << La sera ho sempre un mal di testa... Sarà colpa dei troppi pensieri? >>, ipotizzò, ragionando tra sé.

<< No. Corrughi troppo la fronte. >>

La risposta decisa della ragazza lo stupì.

<< Prego? >>, chiese, aprendo gli occhi. Il cielo era sereno, e si vedevano benissimo le stelle risplendere sopra di loro.

Jillian si sollevò, piegando il capo di lato. << Hai sempre la fronte aggrottata. E gli occhi a mezz'asta. Se ti rilassassi un po' di più, penso che ti gioverebbe. Invece mantieni sempre un'espressione corrucciata come un vecchio bisbetico, così >>, disse, esibendosi in un'imitazione poco convincente.

Wantz rise di gusto, come non gli capitava da un pezzo. << Fosse quello il problema! >>, riuscì a proferire in mezzo alle risa, riprendendo con difficoltà il controllo di sé.

Quell'idea era talmente assurda che rinunciò anche solo a fingersi contrariato per l'invadenza della ragazza.

Jillian era arrossita, un po' seccata dal fatto che il mago avesse trovato la cosa così ridicola. << Secondo me incide; magari lievemente, ma sono sicura che contribuisce. Io non riuscirei a tenere i muscoli del volto perennemente contratti. Dev'essere faticoso. >>

Lui la guardò con sufficienza. << E quale sarebbe la cura? >>

<< Perché non provi a sorridere, ogni tanto? Aiuta a distendere. Oppure... Non sei capace? >>, disse, nel tentativo di pungerlo sul vivo, tattica dall'efficacia già assodata.

Wantz però non parve subire l'attacco. << Come dici? >>

<< No, perché... Non ti ho visto sorridere se non un paio di volte, perciò pensavo che fosse una delle cose che non sai fare. Come chiedere scusa, ad esempio >>, concluse, accusatoria.

Il ragazzo invece di offendersi parve molto divertito. << Ma se mi sono appena rotolato dalle risate a tue spese. >>

Jillian si piegò fino a sfiorargli il volto. << La tua maschera ti stressa. Lo so. Lo vedo. Forse sei indifferente a quello che succede nel mondo esterno, ma dentro di te, ogni singolo istante, rimescoli qualcosa. E anche quando ridi... >>, fissò le sue iridi in quelle del ragazzo. << I tuoi occhi non ridono affatto. >>

Wantz non rispose. Non sembrava particolarmente colpito dalle affermazioni della ragazza, perché aveva assunto la sua solita inespressività, ma Jillian era convinta di aver sortito qualche effetto. Si rialzò e sedette addossata all'albero, senza proferir parola. Il silenzio durò a lungo. Wantz stava quasi per riappisolarsi, cullato dallo stridere lontano di una civetta, quando la ladruncola, all'improvviso, proferì una domanda che lo svegliò di nuovo del tutto.

<< Chi sei, Wantz? >>

 

 

"Mi sento a disagio quando fai così.

Peggio; mi sento messo a nudo.

Tu mi fai volgere gli occhi nel più profondo della mia anima, e vedo macchie così nere e indelebili che non perderanno mai il loro colore.

Neppure se volessi, potrei dirti la verità.

Sarebbe troppo crudele.

Non potrei mai condannarti a dividere questo peso con me."

 

 

Il ragazzo la guardò stupito, preso alla sprovvista e colpito dalla singolarità della domanda.

<< Al contrario della tipologia classica dei maghi, sei misantropo e trai godimento dal beffare e truffare le persone. Non ti interessa aiutare chi si trova in difficoltà, sei pigro e svogliato. Usi la magia per delle sciocchezze, per il tuo tornaconto personale o per ripicca verso chi ti fa innervosire. >> L'elenco proseguì con la potenza di un fiume in piena. << Vivi apparentemente senza uno scopo, e per quanto tu dica di prodigarti per il completamento della profezia, agisci senza il minimo criterio, senza un itinerario preciso e in apparente disinteresse per le sorti del mondo. Non si capisce mai cosa pensi, cambi umore come una donna incinta vittima dei capricci lunari e qualsiasi cosa uno faccia per capirti è resa inutile dalla tua incostanza e dal tuo rifiuto ad intrattenere rapporti umani. Non so da dove vieni, non so perché vuoi completare la profezia, a volte mi domando se non sei un sicario dell'Oscuro, altre penso che tu voglia vendere i frammenti al miglior acquirente; ma soprattutto, ogni giorno, mi chiedo per quale assurdo motivo tu riesca a trattenerti dal gettarmi in un burrone. >>

Col fiato corto, si fermò per respirare un attimo tranquillamente.

<< Io non ti capisco. Perciò te lo chiedo. >> Jillian fece una pausa, quasi vergognandosi del suo bisogno di sapere, molto diverso dalla semplice curiosità: era una necessità impellente. Inspirò a fondo << Chi sei, Wantz? Sul serio. >>

Passato rapidamente lo stupore, il ragazzo esibì quello che era il suo sorriso classico: ironico e beffardo, ma con quella caratteristica, inconfondibile e indecifrabile scia di tristezza.

 

 

"Davvero vuoi saperlo?"

<< Sei il più dannato degli esseri. >>

"Non penso. Troppo onore per uno come me."

<< Sei un ciarlatano, meschino e infido. >>

"E' davvero una colpa, visti i tempi che corrono?"

<< Sei un essere inutile e superficiale. Predichi bene, ma in fondo illudi e dissimuli quanto se non più di me. >>

<< No! Io non sono come te! >>

"La prima vittima delle mie illusioni ero io stesso."

<< Non potrai gestire due anime. Anche se, ormai, la tua... >>

<< Lo so! Lo so, maledizione! >>

"Una delle mie certezze. Già."

<< Sono un essere umano ma non dovrei esserlo! >>

 

 

<< Me stesso e niente di più >>, rispose semplicemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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