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Autore: _vally_    26/09/2007    3 recensioni
Questa fanfiction è il seguito di "Fumi", il seguito della folle notte in cui l'alcool ha fatto accadere cose, ha permesso momenti... Storia Huddy, ma spazio a tutto e a tutti: un caso medico, del lavoro da svolgere, delle conseguenze da affrontare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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12 – LA MIA FINE CHE NON C’E’

 

21 ottobre 2006, h 5.50 pm

Princenton Plaisboro Teaching Hospital – Ufficio di House

 

Cameron trasalì quando House, Cuddy, Wilson e Chase entrarono con passo spedito nell’ufficio, come un piccolo esercito pronto ad attaccare.

House sbatté le cartelle che teneva in mano a pochi centimetri dal suo braccio ferito, che lei ritrasse rapidamente, portandoselo al petto e guardando il suo capo con aria interrogativa.

“Voglio il mio neurologo, dov’è?” le chiese.

“Sta facendo delle ricerche…” rispose lei esitante.

“Chiamalo.” le ordinò House.

Cameron raggiunse la scrivania del suo capo, e alzò la cornetta per contattare il collega; il suo sguardo si incrociò con quello di Chase, e capì che c’erano novità importanti.

 

Nell’arco di pochi minuti, furono tutti riuniti davanti alla solita lavagna, a cui era stata aggiunta doppiamente la dicitura “cancro”, con la scrittura inclinata di Wilson.

“Ho trovato qualcosa” disse Foreman, aprendo al centro del tavolo un libro che dalle dimensioni poteva racchiudere l’intera storia dell’umanità. “Chrystopea carnya.”

L’intero gruppo di medici si raccolse intorno a quel libro, osservando perplessi la foto, ingrandita centinaia di volte, di quello che sembrava un innocuo verme.

Alzarono lo sguardo insieme, e si ritrovarono a fissarsi l’un l’altro.

House incrociò gli occhi di Cuddy, e riabbassò subito lo sguardo, come se guardarla in pubblico avesse potuto rivelare a tutti quello che provava per lei.

“Vuol dire che c’è un parassita che può provocare tutti questi sintomi in un così largo lasso di tempo?” chiese Wilson al neurologo, dubbioso.

“No.” si intromise House. “Questo parassita spiega gli infarti, l’ictus, il cancro. Se poi colpisce due psicotici, possono aggiungersi sintomi che non c’entrano nulla…che non sono neanche sintomi.”

“Il fatto che i due fratelli non parlino non è un sintomo?” Cameron sembrava confusa.

“Se non potessero parlare, si potrebbe considerarlo un sintomo. Ma loro possono, semplicemente non parlano.” chiuse il libro, provocando un sordo tonfo che ruppe il silenzio che si era creato. “Simon è pazzo; da quando è bambino. Un bambino psicotico che è cresciuto coltivando la sua malattia nel silenzio più completo, cosa che l’ha fatto classificare come bambino strano, problematico, ma che non ha permesso di capire la sua reale condizione mentale. Alcune patologie psichiatriche hanno una componente genetica, e si possono scatenare in seguito ad un trauma…un cancro ad esempio, con ospedalizzazioni, terapie, distacco dai genitori.”

House camminava ora avanti e indietro, appoggiandosi al suo bastone con una mano e gesticolando con l’altra. Di tanto in tanto si fermava, guardava qualcuno di loro.

Chase, Cameron e Foreman, ma anche Wilson e Cuddy, seguivano ogni suo movimento con lo sguardo, cercando di non perdersi nessuna parola, nessuna pausa. Quello era il suo momento, quella era la parte del gioco in cui dava il meglio di sé.

“A Mark è andata meglio…fino ad un certo punto almeno. Conosce il fratello, decide di dividere un segreto enorme con lui. Una persona normale avrebbe fatto fatica a reggere. Per uno che, come lui, ha iscritte nei geni le tracce della pazzia, è la partita che ti porta alla perdita dell’intero campionato. Regge finché non si ammala di cancro…o meglio, finché non guarisce dal cancro. A quel punto le teorie del suo fratellino segreto, quelle che abbiamo trovato nella lettere, lo assalgono, e perde la ragione. Smette di parlare, perché -tu impazzirai come sono impazzito io-!” accompagnò la citazione con un ampio gesto, e con un sorriso sinistro. “E con questo vi ho spiegato la parte della loro malattia dovuta all’idiozia della psiche umana; ora Foreman vi spiega quella medica…io ho bisogno di un sorso di whisky.”

Camminò fino alla libreria e, spostati un paio di libri, tirò fuori una bottiglia quasi vuota. Bevve a canna, assaporando il familiare sapore, e nel frattempo la sensazione di poter fare qualcosa di proibito davanti al suo capo…senza che lei prendesse provvedimenti. Perché era sicuro che dopo gli ultimi giorni, un po’ di potere su di lei l’avesse ottenuto. Probabilmente a discapito di ogni sua difesa emotiva, ma era comunque una consolazione.

Foreman si schiarì la voce, attirando l’attenzione dei medici. “Il Chrystopea carnya è un parassita che vive in molte regioni dell’Africa, ma che difficilmente attacca l’uomo. Quando lo fa, si riproduce in fretta e colpisce il sistema cardiocircolatorio: da qui ictus e infarti. Per quanto riguarda i tumori, questo parassita provoca, dopo qualche mese, mutazioni cellulari, a livello del tessuto molle, causando la formazione di piccoli tumori maligni, di solito asportabili senza conseguenze, se presi in tempo.”

“Come i tumori che ho trovato poco fa nei due fratelli…” chiarì Wilson. “Ma cosa mi dici a proposito del cancro che ha colpito Simon da bambino e Mark un anno fa…e delle loro guarigioni?”

Foreman scosse la testa.

“Io avevo detto che spiegava infarti, ictus e cancro, senza specificare quale cancro!” disse House in sua discolpa.

“A questo punto però la causa delle guarigioni non devono interessarci più di tanto. Abbiamo una diagnosi che spiega tutto quello che non va adesso nei pazienti, e possiamo curarli.” affermò pragmatica Cuddy.

“Si, i tumori vanno rimossi, e bisognerà fare un intervento esplorativo per eliminare le uova del parassita, che di solito si accumulano nel fegato. Infine, con una plasmaferesi ripuliamo il sangue ed eliminiamo il rischio di altri infarti o ictus.”

La donna annuì e, vedendo che House aveva lo sguardo perso nel vuoto e sembrava non voler dare nessuna indicazione ai suoi assistenti, ordinò loro di procedere con le operazioni e la terapia.

Cameron, Chase e Foreman lasciarono la stanza, dopo essersi divisi rapidamente i compiti.

 

“Due psicosi che provocano il mutismo, e due tumori guariti miracolosamente? Ti accontenti di una diagnosi che lasci fuori questi elementi?” lo provocò Wilson, appena furono rimasti solo loro due e Cuddy.

House lo guardò appena. “Perché, credi che stiamo sbagliando?”

“No! Io credo che la diagnosi sia corretta. Quello che mi stupisce è che sia tu a crederlo…insomma, quei due tumori possono essere una coincidenza, ma non per te!”

Lisa seguiva la discussione a qualche passo di distanza, sorpresa anche lei dalla facilità con cui House aveva accettato una diagnosi che sicuramente non lo convinceva.

Lo conosceva bene, e vedeva che c’era qualcosa che non andava.

I loro sguardi si incontrarono.

“Lisa…” si rivolse a lei chiamandola per nome, con una spontaneità che spiazzò entrambi.

Anche Wilson ne fu molto sorpreso, anche se sapeva della quasi-relazione tra i due, non si aspettava certo un cambiamento così brusco in House.

“Vi lascio soli.” disse “Vado a dare una mano a Chase per organizzare quelle operazioni.”

House annuì distrattamente, senza distogliere lo sguardo da quello di Cuddy.

Le si avvicinò di qualche passo. “Ceni da me stasera? Poi possiamo vederci un film…”

Lei non dovette dire una parola, perché il sorriso che le salì alle labbra, illuminandole il volto, era meglio di qualunque “si”.

 

 

21 ottobre 2006, h 7.20 pm

Abitazione di Gregory House

 

House ci aveva provato, ci aveva provato davvero.

Aveva boicottato il vecchio minimarket sotto casa per il supermarket in periferia di Princeton, quello di cui facevano anche la pubblicità in tv.

Solo per il fatto di essere entrato in un supermarket, Wilson sarebbe stato orgoglioso di lui.

Aveva preso un carrello e aveva incominciato a spingerlo per le corsie di…di quell’inferno.

Risultato?

Dopo quasi un’ora era riuscito finalmente a trovare l’uscita senza acquisti; la speranza di comprare qualcosa si era dissolta nel momento in cui si era trovato bloccato in un ingorgo di carrelli carichi di cose inutili e bambini, nella corsia di bagnoschiumi.

Un’intera corsia di bagnoschiumi…

Aveva preso il suo primo Vicodin della giornata, mollato il carrello, e facendosi largo col bastone era riuscito a liberarsi da quel covo di serpi.

La probabilità di trovare quello che cercava là dentro era praticamente nulla.

Aveva ripreso la moto ed era tornato verso casa, e verso l’amato minimarket, con il vecchio commesso italiano che lo conosceva bene, e glielo dimostrava ogni giorno non rivolgendogli mai la parola: proprio il genere di accortezza che lui amava.

Quando si era trovato davanti alla serranda chiusa, gli era improvvisamente tornato in mente che il suo minimarket di fiducia chiudeva alle sei e mezza…e per questo a casa sua non c’era mai niente da mangiare.

Colpì diverse volte la saracinesca col bastone, sperando che il suo amico italiano vivesse là dentro, e che potesse dargli qualcosa, qualunque cosa di commestibile da cucinare.

Non accadde nulla.

Per qualche secondo pensò addirittura di chiamare Wilson implorandolo di cucinare qualcosa per loro; ma non avrebbe mai ammesso con l’amico di non riuscire a gestirsi da solo neanche un appuntamento.

Non era un appuntamento, era una cena col suo capo.

Non importava cosa quella cena rappresentasse, era comunque una cena e quindi bisognava mangiare.

Tornò a casa dieci minuti prima delle 7 e mezza, dieci minuti prima dell’ora dell’appuntamento.

Non aveva avuto tempo di cambiarsi, né di lavarsi, né di mettere in ordine la casa.

Aprì il frigo: un hamburger, una cassa di birra e uno yogurt.

Nel freezer trovò una pizza surgelata.

Da quanto tempo non invitava qualcuno a cena?

 

21 ottobre 2006, h 7.37 pm

Abitazione di Gregory House

 

Il campanello suonò, con sette minuti di ritardo.

Aveva almeno una decina di battute con cui tormentarla solo per quel piccolo dettaglio, ma quando aprì la porta e se la trovò davanti, le parole che voleva dirle si confusero tutte nella testa, e gli uscì solo un automatico “ciao”.

“Ciao House.”

Sembrò non notare che aveva ancora addosso la camicia di quando la era andata a svegliare nel pieno della notte, la barba di due giorni prima, e che sul suo divano c’era ancora la coperta di quella notte…la notte in cui lei era stata lì.

Si tolse il soprabito, e lui pensò che forse doveva fare qualcosa come prenderlo e andarlo a posare da qualche parte, ma lei fece da sola, lasciandolo cadere su una sedia.

Le aspettative di Cuddy nei suoi confronti in quanto ad appuntamenti galanti erano scarse, e questo lo fece sentire più tranquillo.

Il modo in cui vestiva era semplicemente perfetto: ancora in rosso, come in quella splendida notte. Il vestito era però più sobrio, senza peccare di professionalità: quella era ancora Cuddy, il suo capo, e non Lisa, la donna con cui era stato a letto qualche giorno prima.

Probabilmente la paura di lasciarsi andare non era solo una prerogativa del diagnosta.

“Hai fame?” le chiese, con un tono di voce un po’ troppo alto, che tradì il suo imbarazzo.

“Si, un po’” rispose lei, guardandosi attorno.

“Avrei preferito tu mi dicessi di no.” mugugnò House tra sé e sé, mentre si dirigeva verso la cucina. “Guarda pure un po’ di tv, io vado a cucinare, e a fare un po’ di cose…ho passato due ore al supermercato, non ho avuto neanche tempo di cambiarmi!” le disse, quando ormai le aveva voltato le spalle.

Lisa si sedette sul divano, e prese il telecomando, accendendo meccanicamente la tv, mentre i suoi pensieri erano decisamente altrove.

Era rimasta davvero sorpresa da quell’invito a cena: era strano da parte di House…non era da House! Solo pensarlo in un supermercato le era praticamente impossibile, e l’idea che cucinasse per lei…

Era tutto troppo normale, e lei era terribilmente spaventata.

 

Passò circa mezz’ora, prima che House si facesse rivedere, comparendo improvvisamente alle spalle di Lisa, ancora persa nei suoi pensieri.

“E’ pronto” le disse, posandole una mano sulla spalla.

Lei si voltò, e non poté fare a meno di sorridere quando vide che si era fatto la barba e che indossava una camicia azzurra, quella che lei preferiva per come faceva risaltare i suoi occhi.

Sfiorò con le dita la mano di House sulla sua spalla, prima di alzarsi e seguirlo in cucina.

Lo scenario che si trovò davanti non fu quello che ci si poteva spettare da una cena per il primo appuntamento: i due piatti, uno davanti all’altro, contenevano mezza pizza e mezzo hamburger a testa, e oltre ai due bicchieri e alle posate, c’erano solo cinque lattine di birra ghiacciata.

Lisa avrebbe dovuto forse essere un po’ offesa per quella strana accoglienza, ma in realtà si sentiva rincuorata: quello era l’House che conosceva lei, era ancora se stesso.

“Fuori dal supermercato hai incontrato dei bambini affamati e il tuo buon cuore ti ha costretto a donar loro tutto il cibo comprato?” gli chiese, prendendo posto, e iniziando quel gioco ironico tra loro che li rassicurava entrambi.

“Ho detto di essere andato al supermercato ma non ho mai detto di aver comprato qualcosa.” rispose House, cercando confusamente qualcosa in un cassetto.

Sembrò poi aver trovato ciò che cercava, e lo portò trionfante al tavolo.

Era un vecchio mozzicone di candela, che mise in fondo ad un bicchiere, e accese.

“Così è tutta un’altra cosa vero?”

Cuddy, di risposta, gli fece uno di quei sorrisi che gli facevano girare la testa.

“Buon appetito.” House aspettò che lei sollevasse le posate e incominciò a mangiare.

Mangiarono in silenzio, incrociando spesso gli sguardi e scambiandosi fugaci sorrisi. Non che non avessero nulla da dirsi, ma l’esperienza di mangiare insieme, in un contesto così intimo, era qualcosa di così nuovo e speciale che meritava un religioso silenzio.

Lisa finì la sua mezza pizza, riconoscendo che con il forno a microonde House doveva essere un maestro.

“L’hamburger non lo mangi?! L’ho fatto con il braccino di un bimbo di quattro anni…gliel’hanno amputato, non gliel’ho tagliato io! Giuro!”

House vide una finta espressione disgustata affacciarsi sul suo viso, e si rese conto che provocarla era una delle cose più divertenti che avesse mai fatto. Con lei si divertiva sempre, forse anche quando litigavano e lo faceva arrabbiare negandogli qualche permesso.

“Quasi quasi mi hai convinta.” rispose lei, prendendo la forchetta e avvicinandola alla carne. Poi la posò ancora al suo posto, e lo guardò. “House, non mangio carne e…” gli versò un po’ di birra nel bicchiere. “…io non bevo birra.”

House alzò gli occhi al soffitto “Ma non puoi consegnare un libretto di istruzioni quando ti chiedono di uscire?! Io come faccio a farti ubriacare se non bevi birra?”

Lisa non poté fare a meno di ridere davanti alla sua finta esasperazione. “Non ti preoccupare, avevo avuto uno strano presentimento e avevo mangiato un’insalata prima di venire qui, quindi la pizza mi è bastata. In quanto al bere…grazie alla mossa della candela verrò probabilmente a letto con te anche da sobria!”

“Guarda che scherzavo.” rispose House, fattosi improvvisamente serio.

“Anch’io.” ribatté la donna, con la sua stessa espressione.

Dopo qualche istante in cui si fissarono indecisi sul da farsi, scoppiarono entrambi a ridere.

House mandò giù l’ultimo boccone di carne e una lunga sorsata di birra, poi si alzò e portò in tavola una bottiglia d’acqua.

La osservò mentre si versava un po’ del limpido liquido nel bicchiere, e beveva lentamente, come per prendere tempo.

Quando posò il bicchiere, e si trovarono a fissarsi dai due lati del piccolo tavolo, quel fastidioso imbarazzo li colse ancora.

Probabilmente sarebbe bastato che uno dei due si alzasse e si avvicinasse all’altro per rompere quel leggero velo d’ansia, ma non lo fecero.

Quello era il loro primo appuntamento, e doveva procedere come un vero appuntamento.

Era una sorta di test per capire se potevano funzionare al di là di come colleghi o compagni di letto.

“Allora, a che film hai pensato?” chiese Lisa, inclinando leggermente la testa, come per studiarlo.

Merda, il film!

House si era organizzato per prendere un film al noleggio vicino al supermarket, ma con il fallimento della “missione spesa”, quel dettaglio gli era passato di mente.

“Ehm…o qualcosa in casa, decidi pure tu.”

“Va bene!” rispose lei, alzandosi rapidamente dalla sedia, e precedendolo in salotto.

House buttò un occhio al mezzo hamburger rimasto illeso, lo prese con la mano e fece un grosso morso; poi lo abbandonò dove l’ave trovato e seguì la donna nell’altra stanza.

La trovò seduta per terra, davanti alla sua piccola bacheca dei VHS, con un’espressione parecchio perplessa in volto, e una videocassetta familiare tra le mani.

“No, aspetta!” si diresse rapidamente verso di lei, e gliela strappò di mano “In questo film ci sono un sacco di donne che fanno strane cose con altre donne…non vorrei che ti venissero strane idee e mi andasse in bianco la serata.”

Lisa lo guardò con gli occhi spalancati. “House, ma sono tutti film porno!”

“No.” precisò lui, porgendole la mano.

Lei, dopo un attimo di esitazione, la afferrò e lui l’aiutò ad alzarsi.

Non mise di stringere la sua mano quando furono in piedi uno di fronte all’altra, né quando incominciò a camminare verso la camera da letto.

“Non dovevamo vedere un film?” chiese Lisa titubante, mentre lo seguiva con un misto di timore e curiosità.

“Si, ma visto che sembri non apprezzare la mia selezione, ti faccio decidere tra quelli di seconda scelta.”

Lasciò la sua mano solo quando fu davanti al suo armadio, lo aprì, tirò fuori una vecchia scatola di scarpe e gliela aprì davanti.

“Rambo…Rambo 2, Rambo 3…” lesse ad alta voce Lisa, “Vada per Rambo.” disse infine sconsolata, accorgendosi che la seconda scelta si esauriva con quei tre film.

“Fantastico, adoro Rambo! Abbiamo gli stessi gusti in fatto di film, incoraggiante vero?” senza aspettare una sua risposta, il diagnosta tornò nell’altra stanza.

Cuddy lo seguì, lanciando sguardi attenti a tutto ciò che c’era intorno a lei: disordine ed eccentricità, che invece di irritarla le davano una piacevole sensazione di familiarità .

House fece partire il film e si sedette sul divano accanto a lei, passandole un braccio intorno alle spalle ed attirandola a sé in modo teatrale.

Lisa si lasciò cadere contro il suo corpo, e qui rimase, godendosi la sensazione di piacere che provava nello stare a stretto contatto con lui, e dimenticandosi totalmente del film.

Lo stesso probabilmente aveva fatto House, perché il volume era bassissimo, e i dialoghi praticamente incomprensibili.

Nessuno dei due sembrava preoccuparsene.

“Cuddy?” chiese lui dopo diversi minuti, quando ad entrambi stava venendo il dubbio che l’altro si fosse addormentato.

“Si?”

“Credi che la diagnosi dei gemelli sia corretta?”

Il tono che House aveva usato non piacque a Lisa, che si liberò del suo abbraccio e si voltò per guardarlo in viso. “Perché mi fai questa domanda?”

Lui scosse la testa, soprappensiero.”Ho la sensazione che mi stia sfuggendo qualcosa…” disse a mezza voce.

In quel momento Lisa sentì una grossa confusione: aveva anche lei la percezione che ci fosse qualcosa di mancante…dopo tutto il movimento che c’era stato intorno a quei ragazzi, quello che avevano ottenuto le sembrava troppo poco. Ma sapeva anche che era tutto quello a cui sarebbero arrivati, e se avrebbe fatto stare bene i gemelli, tutto si sarebbe risolto per il meglio.

House non era abituato a lasciare scoperti alcuni sintomi, e la sua tensione derivava probabilmente da questo.

Si rese conto che qualunque risposta da lei data in quel momento avrebbe fatto iniziare un discorso a sfondo medico che non aveva nessuna voglia di affrontare.

Così si sporse verso di lui e lo baciò.

Un bacio leggero, sfiorandogli appena le labbra.

Poi si scostò quel poco che bastava a guardarlo negli occhi e vide che la fissava incerto sul da farsi.

Si ricordò la prima volta che si erano trovati su quel divano insieme, e le tornò in mente l’indecisione che a turno aveva colto entrambi e la confusione che aveva impacciato inizialmente i loro gesti.

Lo baciò ancora, questa volta in modo più deciso, e sentì che lui rispondeva al suo bacio e si avvicinava lentamente a lei.

Sentì le sue mani che incominciavano a percorrerle il corpo, soffermandosi proprio dove lei preferiva, come se la conoscesse da sempre.

Dopo pochi minuti, si trovò sotto di lui; indossavano ancora tutti gli abiti, ed House stava incominciando a farle scorrere le dita sotto il vestito quando si bloccò di colpo.

Cuddy ne rimase sorpresa, e aspetto col fiato sospeso che accadesse qualcosa.

Allora il diagnosta allontanò le labbra dalle sue, solo quei pochi millimetri che gli permettevano di poter parlare. “Lisa devo andare.” disse, come se fosse per lui qualcosa di inevitabile e doloroso.

“Che succede?” chiese lei preoccupata, mentre si sistemava il vestito e scostava distrattamente una ciocca di capelli dal viso.

“La diagnosi…manca qualcosa. Devo tornare in ospedale.”

Lei si limitò a guardarlo con un’espressione stupita mentre indossava la giacca e recuperava il bastone.

Poi si piegò su di lei. “Tu resta qui, ti prego.” la baciò sulle labbra. “Faccio il prima possibile.”

Non aggiunse altro e non si voltò prima di chiudersi la porta alle spalle.

Lisa fece un respiro profondo, mentre lo sconcerto per il modo improvviso in cui se n’era andato si mischiava alla piacevole sensazione di stordimento che le sue ultime parole le avevano dato.

Guardò il televisore che continuava a trasmettere Rambo.

Lo avrebbe aspettato.

Avrebbe sopportato la sua ossessione per il lavoro perché era anche per quello che lo amava.

Ma stare seduta su un divano davanti alla tv mentre House si girava indisturbato per il suo ospedale non era da lei.

Indossò il soprabito, si sistemo i capelli e, recuperata la sua macchina, prese la strada per il Princeton Plaisboro Teaching Hospital.

 

 

 

 

Questo è il penultimo capitolo!

L'ultimo è in produzione, e non credo di pubblicarlo tra molto!

Scusate il ritardo, ma riprendere la vita universitaria/lavorativa è stato un po' traumatico...

A presto con l'ultimo capitolo e grazie ancora alle genitilissime anime che recensiscono!

Baci

Vally

  
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