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Autore: Cassandra Morgana    27/09/2007    1 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
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Capitolo 8

Incoerenza

 

 

Una pioggia sottile ferì il volto cereo di Auguste per tutta la durata del suo penoso tragitto verso casa. Mai il percorso gli era parso tanto lungo e snervante, il corpo gravato dalla cappa d’insostenibile dolore che corrompeva il suo animo. Un’angoscia senza fine, inesorabile, gli dilaniava il cuore a piccoli morsi e, dopo aver prosciugato ogni sua energia morale e reso vano e patetico ogni suo sforzo di reagire, si era impossessata delle sue membra, risucchiando ogni goccia d’energia fisica, accorciando i suoi passi ed irradiando il cupo malessere ad ogni fibra del suo corpo.

Stremato, quasi incosciente, Auguste fissò la volta color piombo che incombeva sulla sua disgraziata città e, accecata dalla disperazione, la sua mente fu sfiorata dall’inconsulto desiderio che il cielo si richiudesse su di lui ed inghiottisse il suo dolore. L’avrebbe liberato da quel male lacerante, annegandolo e disperdendolo fra torbidi ricordi dal sapore di veleno e dissolvendolo in essi.

Il nulla.

Il nulla. Era la sola risposta e l’unica soluzione al suo dolore: lasciarsi passivamente sommergere dalle sue stesse incancellabili colpe e dal desiderio insano di smarrirsi nell’oblio, come se non fosse mai nato.

Dal cielo corrucciato, il suo sguardo si spostò gradualmente sulla città circostante, nido di spergiuri ed assassini, ammasso di mura gelide stillanti sangue.

Auguste arretrò di un passo. Lo stesso colore del cielo gli pareva innaturale. Non era azzurro né grigio a causa delle nubi né dorato per l’avanzare dell’aurora: era livido. Ad oriente, un pallido sole, ancora seminascosto dagli edifici circostanti, tentava di squarciare le tenebre con il suo chiarore malato.

Lucien era morto come un animale scannato, ed i flebili raggi solari solleticavano insolenti i suoi occhi stanchi, gonfi di lacrime non piante.

Aveva smesso di piovere. Le sue lacrime, confuse con il pianto del cielo, morirono insieme alle ultime stille di pioggia, cessando momentaneamente di rigargli il volto contro la sua volontà. La vita scorreva nelle sue vene, straziandolo, ed il sole aveva il coraggio di sorgere e di rivelare impietoso la sua desolazione.

Ormai a pochi passi dal portone brunito della sua austera dimora, Auguste sentì le ginocchia cedergli e ricadde pesantemente sui gomiti. Non tentò di rialzarsi.

Ignorò gelidamente i sassolini aguzzi che gli si erano conficcati nei palmi delle mani, ferendoli impietosamente.

Riuscì soltanto a sollevare fieramente verso il cielo lo sguardo allucinato, il viso coperto da un velo di lacrime brucianti.

 

Che cosa faccio ancora qui? Ruggì. Il sole si mostra nuovamente ai miei occhi e mi sputa in faccia che sono ancora vivo nonostante tutto; mi dona la vita, dopo che il mio Lucien ne è stato barbaramente privato.

Annientami, piuttosto che costringermi a vivere come una larva, impotente di fronte al mio destino! Cosa aspetti?

 

Quasi in una tacita risposta, il pallido disco solare spuntò definitivamente oltre le costruzioni e lo spesso strato di nebbia, trafiggendo imperioso gli occhi di Auguste con i suoi raggi.

 

Al diavolo tutto, maledizione!

 

Auguste rivolse nuovamente un’occhiata sdegnosa e tracotante verso il vuoto, verso l’astro che, illuminandolo, osava rivolgere uno sguardo pietoso a quella vita che non aveva più senso. Serrò la mascella in un moto d’odio e disincantata fierezza, prima che il suo atteggiamento sprezzante si sciogliesse in una nuova, violenta crisi di pianto. Accasciato lì, in mezzo alla via, come un sacco di stracci fradici.

 

- Auguste… Auguste, sei forse impazzito?

Una voce nota riecheggiò nella sua testa, ma non fu sufficiente a riscuoterlo del tutto. Esitante, Auguste rivolse lo sguardo verso la figura altera che sostava compunta dinnanzi al portone aperto.

- E ora, cosa ti è successo? – soggiunse la donna.

Quel tono, un poco più carezzevole di quello adoperato pochi istanti prima, era percorso da una fremente agitazione.

Lo raggiunse in mezzo alla strada bagnata di pioggia. Auguste fissò distrattamente le eleganti scendiletto ormai impregnate d’acqua piovana.

La donna gli sfiorò timidamente la giacca con la mano delicata; poi, inavvertitamente, Auguste si sentì prendere il braccio e trascinare dentro con un’energia che gli parve innaturale attribuire ad Emilie. Privo di volontà, il volto quasi assente, si lasciò condurre fino al salone.

- Auguste, che ci facevi fuori a quest’ora? – domandò la donna, inasprendo involontariamente la propria espressione.

Quel fare indiscreto e vagamente inquisitore lo infastidì profondamente, benché egli non fosse abbastanza lucido da recepirne l’intrinseca ed umana apprensione.

 

Smettila, Emilie. Taci, e sarà meglio per tutti. Non sei mia moglie e neppure mia madre per sindacare sulla mia vita. Non rendere tutto ancora più complicato.

 

- Auguste… Auguste, hai deciso di farmi preoccupare sul serio? – la voce della donna perse la sua determinazione fino ad infrangersi in un singulto disperato – Parlami, Auguste, te ne supplico. Sei sconvolto e non dici nulla. Parlamene, amore mio.

Riscaldato da quell’abbraccio impacciato e materno, Auguste avvertì quanto la stretta di Emilie non fosse confortante come avrebbe desiderato. Si abbandonò distrattamente sul seno morbido della sua compagna, sfiorando con il volto il tessuto sottile e profumato della veste da camera. Cullato da quel dolce tepore che gli impregnava la mente, Auguste cercò la forza di enunciare a qualcuno che non fosse se stesso il resoconto di quella notte terribile.

- Emilie, Lucien è… – si fermò di colpo e fissò il vuoto oltre il volto della donna, trapassandolo quasi fosse trasparente.

- Gli è accaduto qualcosa, Auguste? So che ti recavi da lui – la sua espressione s’indurì – Per… quella faccenda.

Auguste le rivolse un cenno con la mano, ottenendo perentorio il suo silenzio. Sapeva che Emilie alludeva chiaramente alle sue imprudenti, sediziose attività clandestine.

 

Non dire altro, Emilie.

 

- Lucien è morto – sentenziò infine.

La vide impallidire e strofinarsi nervosamente le dita candide le une sulle altre.

- Un incidente?

Auguste scosse mestamente il capo e scandì bene le sue ultime parole.

- È stato ucciso. Scannato come le bestie al macello.

Tacque, non riuscendo a proferire nient’altro: Emilie l’aveva messo alle strette. Strizzò dolorosamente le palpebre: non voleva vedere altre lacrime né sentire le urla ed il pianto. Non era in grado di sostenere sulle sue spalle la propria pena: quanto avrebbe potuto reggere le lacrime altrui?

Le labbra di Emilie si piegarono in una smorfia d’orrore, mentre, sconvolta, si portava le mani alla bocca nel soffocare un grido. La sua espressione smarrita sottintendeva l’amarezza e la costernazione che aveva occultato di fronte a lui. Auguste la vide singhiozzare sommessamente fino ad inghiottire le lacrime e far cessare ogni singulto. Si rese conto di aver sottovalutato il suo temperamento.

- Mi… dispiace – sussurrò la donna, frastornata.

Auguste lesse l’imbarazzo negli occhi scuri e scintillanti che risaltavano sulla pelle d'avorio come baratri senza fine. Tuttavia, non si mosse e non disse nulla. Incrociò le braccia sul petto, immobile: qualsiasi atteggiamento consolatorio sarebbe stato superfluo ed inutile e non avrebbe costituito un valido sostegno per nessuno dei due.

Le carezze di Emilie gli facevano male come se gli ricordassero con costanza di essere un misero relitto in mezzo al mare in tempesta, sballottato dalla furia degli eventi e privato della sua forza vitale.

- Sei fradicio. Ti porto qualcosa d’asciutto – asserì la donna, la voce arrochita dal pianto represso.

 

Non comprendi, Emilie. Annaspi nel vuoto, non sapendo come prendermi. Cosa credi m’importerebbe se il mio corpo, in questo preciso istante, si tramutasse in ghiaccio per poi sciogliersi e disperdersi in milioni di frammenti?

 

Auguste sentì la collera montare inarrestabile dentro di sé.

 

Non per causa sua. Non era sua la colpa. Perdonami, Emilie. Perdonami.

 

- Sono davvero importanti, in questo momento, gli abitucci caldi? – proruppe con crudele sarcasmo – Vuoi la verità, Emilie? A me non importa di nulla, tanto meno di me. Di nulla. E tutto mi si ritorce inesorabilmente contro. Sarei disposto a sprofondare all’inferno, se questo fosse veramente necessario ad annullare il dolore e cancellare le ultime cinque ore della mia vita. Invece, non ne sono capace o non ne ho la forza, e ogni mio respiro per me è una boccata di veleno. Non c’è nulla che io possa fare, e neanche tu. Niente!

- Vuoi che un malanno ti mandi all’altro mondo? – lo contraddisse la donna con petulanza.

- Non m’importa – ripeté Auguste nel suo agghiacciante ritornello – Non m’importa.

- Credi forse che startene bagnato e al freddo ti riporterà indietro Lucien? – lo provocò Emilie.

- Non lo nominare! Non nominarlo neppure! – ruggì Auguste.

I suoi pugni si strinsero fino a far sbiancare le nocche e a conficcare le unghie nel palmo.

Per un attimo, i due si studiarono come due belve pronte ad azzannarsi, irritate dalla reciproca presenza.

Poi, distolsero entrambi lo sguardo, inquieti.

- Fa’ come vuoi. A me importa di te, Auguste, con tutto quel che ne consegue. Sappi soltanto che… ti sarò vicina – mormorò Emilie con freddezza e distacco, uscendo dalla stanza.

Auguste era rimasto solo: la consapevolezza gli strinse il cuore.

La sua rabbia si era disciolta come neve al sole dopo lo scatto iniziale e dopo essersi confrontato con lo sguardo fermo di Emilie. Non poteva biasimarla se, nonostante tutto, si sforzasse di stargli accanto perché le faceva pena. Già: quando aveva letto negli occhi della sua compagna la più scarna commiserazione, la sua collera si era tramutata in tristezza e vergogna. Ora fissava immobile e meditabondo la scacchiera disegnata sul pavimento dalle piccole mattonelle. Un ronzio incessante gli riempiva la testa.

In silenzio, Auguste si sciacquò le mani in un catino d’acqua e si bagnò la faccia. Se Emilie, dopo la sua reazione esasperata, avesse iniziato a coltivare il sospetto di qualcosa di poco chiaro fra lui e Lucien, qualcosa che, secondo le sterili regole della decenza, andava oltre il limite, avrebbe avuto i suoi buoni motivi.

Strattonò con forza il morbido panno intorno alle punte gocciolanti dei suoi capelli, asciugandole di fretta.

Questo no! Proruppe in un anelito d’orgoglio disperato. Nessuno infangherà la memoria del mio amico, per nulla al mondo. A costo di portarmi il mio segreto nella tomba. Il nostro… amore, chiamatelo come più vi piace, ha diritto al rispetto che solo chi l’ha provato è in grado di garantire.

 

Non aveva senso rigirarsi nel letto e tirarsi le lenzuola sulle spalle. Aveva freddo, eppure il suo sangue bruciava come acido. Spazientito, mandò giù l’ultima goccia di liquore e ripose di malagrazia il piccolo bicchiere vuoto sul comodino.

Nel momento in cui Auguste soffiò sulla candela, dei passi leggeri annunciarono l’ingresso di Emilie nella stanza.

- Stai meglio?

Auguste la osservò: era chiaro come il sole quanto vederlo in quello stato l’avesse ferita ed amareggiata.

Malgrado la penombra che le luci dell’alba riuscivano solo parzialmente a penetrare, Auguste riuscì a distinguere i riflessi di rame sui capelli scuri che ricadevano in folti boccoli sul seno e lungo la schiena. Gli occhi, impenetrabili, spiccavano come due tizzoni ardenti sul chiarore di crema del suo volto.

Gli si accostò. Senza aggiungere altro, gli prese il volto tra le mani e lo baciò.

- Non avere paura, Auguste. Non devi temere.

 

Io non ho paura. Non ho mai avuto coscientemente paura: è sempre stato il mio peggior difetto, non aver mai interiorizzato la mia paura. Vedi, non ho paura di alzar la spalla e lasciarmi andare dinnanzi a tutto, persino di fronte alla morte delle persone care.

 

Auguste si sollevò a sedere e strinse il corpo minuto di Emilie contro il proprio, in un incosciente bisogno di calore.

Come tacita risposta, la donna slacciò con enfasi i nastri che le allacciavano la camicia da notte sul busto e si scoprì il petto.

Il contrasto fra le spalle esili ed i seni pesanti e floridi faceva pensare ad una giovane e fertile giovenca. Svelta, la donna quasi strappò lo jabot sulla camicia del compagno ed accostò il proprio corpo al suo, premendo il proprio petto contro il torace solido di Auguste.

L’uomo reclinò la testa all’indietro in un lieve sospiro, imprimendo nei propri sensi e, in seguito, nella mente, il profumo celestiale che suggellava il momento.

Emilie salì sullo spoglio talamo, accostandosi più agevolmente a lui. Sedette cavalcioni sul suo grembo e ondeggiò mollemente il bacino sfiorando la carnale rigidità del suo amante.

Auguste ansimò quasi senza accorgersene. Aveva perso il controllo non solo della propria mente, che ormai viaggiava per proprio conto, ma anche del suo corpo. Non era stato difficile perdere la ragione e tuffarsi a capofitto in una circostanza dettata unicamente dal suo istinto malato, dopo essersi stordito con l’alcool e dopo che la sua angoscia, simile ad una ragnatela appiccicata alle pareti intorno a lui, si era tramutata in tensione erotica.

- Ci sono io, Auguste. Ci sono io.

 

È ciò di cui ho veramente bisogno? È opportuno annegare un giusto dolore nell’appagamento sensuale?

 

Auguste era stordito ed innegabilmente eccitato. Se la sua mente non era in grado di percepire sensazioni di considerevole intensità, il corpo era difficilmente governabile. Il fatto che i calzoni stretti soffocassero in una morsa d’insopportabile tensione la sua turgida, fremente virilità, costituiva il segno indiscutibile di come impulso e ragione schizzassero in direzioni opposte. Soltanto che, stavolta, l’istinto stava riguadagnando terreno.

Emilie prese a tormentare tra le labbra la fragile cute del suo collo, mentre, di tanto in tanto, gli affondava voluttuosamente con i denti nella pelle.

Auguste soffocò un gemito di desiderio spasmodico, quando un ennesimo morso di Emilie attaccò la solida carne della spalla.

 

Basta, Emilie. Basta! Non sono un animale.

 

Quali sensazioni era convinta di evocare in lui, mentre avviluppava fra le proprie ginocchia i fianchi compatti di un uomo distrutto che stava per fare l’amore con lei e che, contemporaneamente, si abbeverava nel calice della falsità?

Emilie si sfilò con un gesto fluido la camicia da notte che ormai le era d’intralcio. Il serico indumento andò a confondersi nel groviglio delle lenzuola. Alla stessa fine furono destinati gli indumenti che separavano il corpo di Auguste dalla nudità.

Privo di veli, Auguste si sentiva ancora più vulnerabile. Dov’erano il suo orgoglio, la sua dignità e tutto ciò che lo rendeva un uomo degno di questo nome? Si era dissolto, insieme ai suoi indumenti ed alla sua coscienza martoriata.

 

Chi sei fuori, Auguste? Quale costume, quale maschera ricopre meglio la tua nudità morale? Chi è il vero Auguste?

 

Era un uomo, fisicamente eccitato e privato della propria dignità, che si accingeva a strofinare il proprio ventre nudo contro quello di una donna che, in quel momento, percepiva quasi sconosciuta.

Un fremito di sorda eccitazione lo scosse come una corda rimasta tesa troppo a lungo. In un impeto puramente istintivo, Auguste congiunse le mani intorno alle anche vellutate di Emilie e la trasse completamente su di sé, immettendosi prepotentemente nel suo umido grembo.

Emilie si piegò su di lui e lo baciò sulle labbra, mentre Auguste ricadeva supino in preda a spasmi di piacere.

 

Cosa succede? Perché il mio essere uomo si esplicita unicamente in ciò che mi rende affine alle bestie?

 

* * *

 

Auguste si sistemò un lembo del lenzuolo sulle spalle nude e infreddolite. La brezza che filtrava attraverso gli spifferi, a contatto con la pelle sudata, lo fece rabbrividire.

 

Come stai, Auguste? Sei più sereno, ora che i tuoi lombi sono sazi?

 

Osservò i lineamenti di Emilie, distesi nel sonno del giusto. La linea morbida dell’ovale, gli zigomi pronunciati ed il rosso vivo delle labbra conferivano al suo volto un tratto peccaminoso.

 

Davvero per te è soltanto un pretesto, Auguste? Guardati allo specchio e di’ a te stesso cosa provi per questa persona.

 

La amava? La amo, ammise.

 

È la mia seconda condanna: io amo. Non posso fare a meno di ricambiare, anche se in un modo del tutto distorto, i sentimenti di chi mi è vicino, anche se, talvolta, avveleno il mio cuore con sentimenti al di là dell’ossessione. Confesso: sono condannato ad amare senza essere ricambiato, a ripagare l’amore con il tradimento e la menzogna, a mentire a me stesso ed a trascinare tutti con me nell’abisso. Soffrire e far soffrire: io ho imparato bene questa lezione!

Voglio bene ad Emilie, ammise ancora una volta, ma quel che ho fatto non era nulla di ciò di cui entrambi avevamo bisogno. È stato un palliativo, uno sfogo furioso ed irragionevole.

Un miserabile folle e vizioso: ecco in cosa mi sto trasformando.

Io non faccio l’amore per diletto: lo giuro; e, se anche è successo, vorrei soltanto che Emilie non mi serbasse rancore. Non posso negare, anche se inconsciamente, di riservare una parte del mio cuore ad ognuna delle persone amiche che ho incrociato nella mia vita.

Ora vorrei riuscire a ripiegarmi su me stesso e a capire quale strascico ha lasciato nel mio cuore uno sfogo sessuale – e non certo il primo di una lunga e triste serie – scaturito dalla disperazione e dall’istinto irrazionale.

 

Cos’hai provato, cosa provi, ora?

 

Vuoi proprio che lo dica? Nulla. Nulla capace di scaldarmi il petto e riaccendermi il cuore.

 

Sospirò: ogni singolo momento da lui percorso in quegli stralci di vita gli pareva una recita infame costellata di punti oscuri, incertezze e decisioni incoerenti dettate da motivazioni incomprensibili che sfuggivano al suo raziocinio. Era come se una serie di sovrastrutture mentali a lui sconosciute lo portassero in determinati momenti a compiere un determinato tipo di scelta piuttosto che un altro: decisioni che, a ben vedere, poco avevano a che vedere con la sua vita, le sue aspirazioni e gli intrinseci desideri.

Raggomitolato sul letto sfatto, le lenzuola stropicciate avvinte al corpo nudo per proteggersi dal freddo e dai suoi fantasmi, raccolto su se stesso, Auguste volgeva le spalle ad Emilie. Non era stata una buona idea quella di fare sesso: il calore della passione aveva sì sopito, in parte, il suo dolore, gelandone gli slanci più autodistruttivi, ma, come prezzo da pagare, gli aveva lasciato addosso una sensazione di freddo e di vuoto dell’anima.

La donna che, assopita al suo fianco, condivideva il suo letto, era ormai una statua di marmo: assolto quel che fino a quel momento era stato in suo potere, aveva perso la sua capacità d’infondergli un fugace calore.

La sua gioia e la sua coerenza non erano più di questo mondo: senza Lucien non sarebbe stata mai più la stessa cosa, sebbene con tutte le contraddizioni che la sua situazione aveva presentato sin da principio.

Un ennesimo sospiro gli fornì una nuova, fresca boccata d’ossigeno, e, mentre scivolava lentamente in una sorta di dormiveglia, sentiva che i bei ricordi, richiamati con delicatezza dal suo istinto, non gli bruciavano più come un rogo nel cuore. Era forse presto per dirlo, ma, in quel momento, erano piuttosto un dolce balsamo che scorreva sulle sue ferite.

Non era la stessa cosa, si rendeva conto con cruda consapevolezza: nulla gli avrebbe ridato quell’irrefrenabile languore che aveva riempito le notti in cui Lucien era giaciuto con lui. Quelle ore intense di stillante passione erano andate perdute, scivolate tra le sue dita prima che egli se ne fosse avveduto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mio cantuccio:

 

Buonasera, lettori carissimi! Come vedete, anche se con un “lievissimo” ritardo di ben un mese e tre giorni, ho mantenuto la promessa e sono riuscita a postare l’ottavo capitolo. Non è un capitolo molto lungo né particolarmente significativo ai fini della trama; spero mi perdonerete e, soprattutto, spero di non aver deluso le aspettative.

Ringrazio tutti coloro che, sopportando stoicamente i miei terrificanti ritardi nell’aggiornare, seguono il mio lavoro: prima fra tutti, Monella, che puntuale recensisce ogni mio capitolo. Senza ripetermi ulteriormente riguardo al piacere che mi fanno i tuoi commenti, sempre molto gentili, ti rassicuro per quanto riguarda la parte “d’azione”, che arriverà, così come la tematica propriamente “vampiresca”. Purtroppo ho il pallino per indugiare molto nelle presentazioni, nella descrizione dei personaggi e nella loro introspezione. Insomma, ogni tanto finisco per “incartarmi” un po’ nei loro pensieri e nei loro mutevoli stati d’animo. Inoltre, tendo molto a cercare di dare un quadro quanto più compiuto della situazione, onde evitare incoerenze o scarsa comprensione da parte del lettore.

Il racconto non è già scritto per intero, lo sto stendendo pian piano capitolo per capitolo, dunque, anticipo da ora che si potrebbe andare incontro a “dilungamenti” o, al contrario, passare subito all’azione concreta con dei colpi di scena. La trama l’ho già ben in mente, ma, ogni volta che mi metto di buona lena alla tastiera, per me è un’avventura a sé, e… insomma, non si può mai sapere per certo in quale modo potrebbe volgere questo o quel capitolo!

Al prossimo aggiornamento!^^

 

 

 

 

   
 
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