Non poteva fare altro se non spronare il cavallo ad un galoppo sfrenato, andando a costeggiare ampi affioramenti rocciosi per cercare di rallentare i suoi inseguitori pressandoli contro le pareti, ma ad ogni scambio di colpi Anacarnil doveva rallentare e dalla schiera di cavalcature Warg ne emergeva sempre una in più pronta a scattare e pronta ad incalzarlo.
Seguitando a viaggiare nella vallata, giunsero ad una spiana polverosa, dove il paesaggio si faceva più arido e la vegetazione diradava fino a presentare sparuti ciuffi di erba che facevano capolino dalla terra a stento, orgogliosamente eretti contro le intemperie. Si stava sollevando un vento sferzante, che scuoteva le vesti ed infastidiva la sua cavalcatura, ormai con la lingua a penzoloni e schiuma di sudore lungo il basso ventre scuro. Dwaeldor agitò il crine, nitrendo sfinito, e ad ogni falcata la velocità e l'ampiezza del passo si riducevano, risucchiando così cavallo e cavaleire in quel gorgo di lame e fauci affilate e schiamazzi feroci.
L'elfo si preparò ad assorbire un nuovo assalto, sul volto una determinazione che era furia, mentre sollevava le lame, rallentava usando le ginocchia e rispondeva ignaro della stanchezza ai colpi inferti dai goblin che gli si erano avvicinati. Due caddero, le loro cavalcature uggiolarono per un solo lungo istante prima di rotolare nella polvere. Altri due goblin vennero disarcionati, ma altri due si avvicinarono, questa volta all'unisono, in ampi balzi, emergendo dal turbine di lame dietro il Grigio, le grezze spade ritte, pronte a colpire all'unisono, le bocche spalancata e sbavanti, gli occhi iniettati di rabbia e frustrazione per non aver ancora tolto la vita all'ostinato elfo.
Anacarnil si chinò sul garrese, guardando avanti. Non sarebbe mai riuscito a contenerli entrambi, pensò in una frazione di secondo. Lontano, sulla sua sinistra, le torri abbandonate della caduta Fornost svettarono nel cielo plumbeo. Provò ad accelerare, sentì il cavallo mancare un passo, quasi cedere alla stanchezza. Non lo fece, ma non riuscì nemmeno ad avanzare di un solo infinitesimo più rapidamente. Sentiva già le urla di gioia bestiale degli orchi che gli stavano alle calcagna, digrginò quindi i denti, si raccolse sul suo destriero e si preparò ad un'ultima strenuta resistenza.
Le lame calarono in un tripudio di esclamazioni irate, mirando al suo corpo stretto nel manto dei boschi.
Sollevò le due spade gemelle.
Chiuse gli occhi.
Ancora urla concitate, questa volta di pura rabbia e sgomento.
I due orchi ai fianchi erano spariti, inglobati da quella massa di feroci lottatori. Altri due morirono prima ancora di avere la possibilità di avvicinarsi. Il gruppo, dall'iniziale coesione, si disgregò. E fu in quel momento che oltre il polverone che si stava sollevando nella piana, scorse due sagome, ritte sui loro cavalli, gli archi in pugno. Avanzarono oltre la cortina insieme, esattamente alla stessa velocità, incoccando e scagliando frecce praticamente all'unisono, eliminando orchi con precisione letale. Si portarono dietro Anacarnil, mietendo vittime nel vento che infuriava, i cappucci scuri ancora calati sui volti. Uno dei due ripose veloce l'arco, impugnò una lama corta, attese che il Warg si avvicinasse, lo eliminò in un paio di scambi sulle selle. In pochi istanti, molti dei nemici erano caduti, morti sotto il peso delle loro cavalcature ribaltate senza vita, trapassati oppure in fuga precipitosa.
Ma non tutti erano ovviamente ancora paghi di quella dura lezione impartita allo squadrone di ricognitori. Stavano infatti passando tra due piccoli rialzamenti del terreno, quando sulle creste di quelle minuscole collinette apparvero altri due cavalieri dei Mannari.
I due salvatori si gettarono ai lati di Anacarnil in un galoppo fresco, le due cavalcature non ebbero problemi a superare Dwaeldor, ormai prossimo al cedimento. Alla sinistra dell'elfo avanzava chi, dei due, aveva precedentemente impugnato la spada, sull'altro lato invece cavalcava il fantino con l'arco ancora in pugno. Un'occhiata tra loro, prima che il cavaliere al centro sbarrasse gli occhi.
- Aylantas! - esclamò nel vento osservando la figlia oltre le pieghe del cappuccio, sulla sua sinistra.
- Glòredhel! - fece ancora, incredulo, al tizio sulla sua destra.
I due non risposero, accelerarono un secondo, annuirono nel vento, si lanciarono le armi che impugnavano fino a qualche secondo addietro, poi l'elfa di nome Aylantas fu lesta ad incoccare e a trafiggere l'orco distante sullo stesso lato, ed il suo compagno si sbarazzò dell'altro che si era avvicinato troppo in due stoccate eleganti ed efficaci.
- Aaye, padre - esordirono insieme, adeguandosi alla velocità del destriero del Signore degli Elfi. Su entrambi i volti scintillavano sorrisi divertiti, di sfida ed entusiasmo.
- Non avrai davvero creduto che ti lasciassimo tutto il divertimento, vero? - continuò l'elfo dai biondi capelli mossi, lunghi alla nuca, cominciando a ridere.
- Largo ai giovani! - e l'elfa dai lunghissimi capelli castani, ondulati, si unì alla risata del fratello.
- Non posso crederci... - Anacarnil scosse il capo, guardando avanti a sé. L'avevano trovato comunque, nonostante tutto.