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Autore: KayaBKJR_    12/03/2013    0 recensioni
"Mi chiamo Atsui, e il mio nome significa “caldo”, ma non ha nulla a che vedere con me.
Io amo il freddo e la solitudine."
~
Incontrò il mio sguardo e sembrò cogliere appieno i miei pensieri. Abbandonò al volo la maschera impertinente per rigettarsi nello sconforto totale. Lo avevo detto io, che era lunatica. Ero sempre più sicuro di averci preso in pieno.
- non sono più nulla, ragazzo. – disse, piano.
- mi chiamo Atsui –
- non sono più una delle mie, e non sono nemmeno un umana. Dove vado? – mi ignorò. Sospirai.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO III - Non sono più nulla

 
Quando mi svegliai capii di essere in un luogo chiuso, al riparo dal freddo.
Mi girai sul lato e rimasi ancora un poco accucciato, immobile sotto le coperte.
Poi d’improvviso spalancai gli occhi e balzai seduto, guardandomi intorno, mentre il silenzio della stanza si diffondeva.
Mi portai le mani alle spalle, al petto, al collo e ancora alla bocca, come per controllare che fossi ancora integro. Un incubo?
Mi alzai e camminai lentamente verso la finestra. Un manto candido ricopriva a vista d’occhio tutto ciò che aveva una superficie ma c’era il sole, in cielo, che sembrava voglioso di augurare a tutti una buona giornata.
Un brivido di freddo mi percosse la schiena, e mi diressi verso l’armadio in cerca di qualcosa di pesante. Osservai i maglioni in cerca di quello più adatto.
Troppo verosimile per essermi sognato tutto... sentivo ancora il freddo sin dentro al midollo, di quello che decide di possederti e non ti molla più. Inspirai lentamente, cercando di fare mente locale, ma mi sembrò solo di risentire un dolce profumo, inebriante.
Chiusi gli occhi, ma davanti a me comparirono due macchie rosse, rosso sangue.
Rosse come gli occhi di quella donna. Rabbrividii, ricordando immediatamente il suo alito gelido.
Paura, smarrimento.
Poteva davvero essere stato un incubo?
Se chiudevo gli occhi potevo ancora sentirla respirare come se fosse a qualche centimetro da me.
Un incubo ti lascia tutte queste sensazioni addosso? Dall’ultima volta che avevo avuto un incubo erano passati davvero anni, quindi non sapevo rispondermi.
Mi infilai il maglione e mi sedetti sul letto, continuando a strofinarmi le braccia per procurarmi un po’ di calore in più. Poi improvvisamente immaginai un tocco delicato su quelle stesse braccia che stavo strofinando con la grazia di un rinoceronte.
 
Un tocco gentile... freddo ma confortevole.
 
Spalancai gli occhi, raggomitolandomi ancora di più su me stesso e guardandomi febbrilmente intorno, per controllare che fosse tutto okay.
Era tutto al suo posto.
 
Non poteva essere stato un sogno. Quel tocco, quel profumo, li sentivo ancora su di me.
E allora come facevo a trovarmi in camera mia?
... troppi dubbi mi attanagliavano la mente.
Mi alzai e uscii dalla stanza, cominciando a scendere le scale.
 
- mamma? – chiamai.
Entrai nel salone deserto. Feci scorrere la porta della cucina, ma il risultato non fu migliore.
- mamma! – riprovai, stavolta un poco più forte. Sembrava effettivamente non esserci nessuno.
Mi gettai sul divano in attesa di qualcosa. Cosa di preciso non lo sapevo nemmeno io.
Quanto era bello il fare nulla. Il cervello si libera, la mente vaga, pensando a cose inutili e affatto preoccupanti.
Mi vennero in mente gli alberi nella primavera, i fiori rosa e bianchi che dai rami si staccano e volteggiano mille volte prima di poter trovare riposo al suolo, sospinti dal vento che avvisa tiepido che il clima sta cambiando.
E poi il dolce profumo dei fiori, esilarante.
Immediatamente, prima che potessi fermarla, la mia mente lo collegò a quello delle creature.
E ai loro occhi rossi.
Spalancai gli occhi di colpo e trovai il volto di mia madre a pochi centimetri dal mio.
- Atsui! – disse lei allegra. Io urlai per lo spavento.
- ma che diav—MAMMA! – la rimproverai.
- come sei carino mentre dormi – disse lei posando le buste della spesa sul tavolo,
- non sono carino mamma! È imbarazzante! – dissi, arrossendo – e poi non dormivo! – aggiunsi.
Lei annuì, assecondandomi
- mi aspettavi da parecchio? Perdonami, sono dovuta uscire... –
- tranquilla – risposi semplicemente alzandomi per andare ad aiutarla. Cominciai a sistemare i barattoli nella credenza, tutti in fila, come un piccolo e simpatico esercito di fagioli, pomodorini e condimenti vari.
- non mi hai neanche salutata ieri quando sei rientrato... sei filato subito a dormire. Dovevi essere sfinito, non ti ho nemmeno sentito rientrare. –
Ed ecco raggiunto il punto fatale. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare nulla di come fossi tornato a casa.
Era stata forse la “ragazza” che mi aveva portato via? Ma come mi aveva riportato in camera?
Mi aveva ricoperto lei? Il solo pensiero mi avvampò le guance.
Cercai di distogliere i miei pensieri guardando mia madre. Era giovane, e bella.
Glielo dicevo sempre, ma lei mi rispondeva dicendo di tacere, scherzosa. Ma mia madre era davvero bella, e non solo fuori. Era socievole, sorridente, premurosa e affidabile.
Mio padre non so che fine avesse fatto.
- vai in camera, tranquillo. Ti chiamo per il pranzo – disse lei, chinandosi a sistemare il riso. Annuii e mi diressi verso le scale.
 
Dopo qualche passo mi bloccai, gli occhi spalancati.
 
Cosa diavolo ci facevano loro lì? L’odore che era arrivato al mio olfatto era inconfondibile.
Erano venute per me? Mi avevano seguito?
Lanciai un occhiata a mia madre in cucina, ancora intenta a sistemare. Deglutii.
Era meglio chiarire subito la faccenda.
Uscii fuori, chiudendomi piano la porta dietro. Non volevo immischiare assolutamente mia madre in questa faccenda.
Ingoiai ancora saliva amara come la paura.
- chi c’è? – chiesi. Ora che ero fuori non avevo più il minimo dubbio. Non era stato un incubo, e il fatto che ora fossero qui lo provava.
- c’è qualcuno? – riprovai. – cosa volete da me? –
Ma attorno vedevo solo neve a non finire.
Poi il mio sguardo si posò sull’albero di casa, e dei sottili capelli bianchi che si scorgevano da dietro, sospinti dal vento. Una consapevolezza mi avvolse. Mi avvicinai furtivamente girando contemporaneamente intorno all’albero.
Piano piano mi comparsero alla vista il kimono delicato e la figura sottile nascosta dietro, cosciente di essere stata scoperta.
La ragazza aveva le mani poggiate sol tronco dell’albero e cercava di nasconderci inutilmente il viso dentro.
Non erano loro, era lei.
- ehi... – sussurrai, vedendola quasi spaventata alla mia vista. Il suo sguardo emetteva decisione. Sì, era decisamente arrabbiata.
- non ti avvicinare, umano – sputò fuori lei, acida.
Rimasi sorpreso dal suo atteggiamento. Non avevo dubbi che fosse la ragazza che ieri sera mi aveva salvato, portandomi via da quella donna. Le osservai i piccoli polsi, che spuntavano fuori dalle lunghe maniche del kimono.
Sembrava fragile, ma non avrei voluto sfidarla. Se davvero lei mi aveva riportato indietro, lo aveva fatto prendendomi in braccio, e dunque doveva essere più forte di quello che sembrasse esternamente.
La guardai.
Eppure sembrava davvero piccola e indifesa, mentre mi lanciava quegli sguardi accusatori. “che tenera.” Pensai, sarcastico.
- ho fatto qualcosa? – chiesi automaticamente, cominciando a sentirmi un po’ in colpa.
- è tutta colpa tua! – si lamentò lei. I suoi occhi si riempirono di lacrime, che ricacciò indietro con orgoglio. A quella visione mi sciolsi totalmente. – sono stata cacciata dal mio clan! – oh...
- posso fare qualcosa...? – chiesi
- si. Sparisci! – disse lei.
- ... tecnicamente sei nel mio giardino. – replicai. Lei si guardò intorno.
- bhe, non ho un posto dove andare. – disse, sull’orlo della depressione. La guardai. Sembrava uscita da un manga. Qualcosa mi diede a pensare che fosse anche un pochino lunatica.
- è così grave essere cacciati dal proprio clan? – azzardai.
Lei mi guardò come se avessi, in ordine: sei corna, cinque braccia e quattro occhi.
- è gravissimo! – esclamò, lasciando il suo nascondiglio e dirigendosi verso di me – non posso più considerarmi una della mia razza! Non sono più nulla! –
- non sei umana... – dissi, facendola sembrare come un affermazione.
Lei mi fissò di nuovo. Ecco, ora avevo anche una decina di gambe e due bocche.
- mi pareva ovvio. – disse, ironica.
- non era una domanda la mia – dissi, a mia difesa. Ora che la avevo vicino riuscii ad osservarla bene.
Era più bassa di me e mi osservava con uno sguardo capace di ghiacciare ogni cosa, le mani sui fianchi.
- cosa intendi fare? – disse lei. La guardai confuso – hai intenzione di aiutarmi? – aggiunse sfacciata.
- c-cosa...? –
- io ti ho salvato, ora tu aiuti me! – disse.
La guardai bene. Era come una bambina. In realtà aveva paura.
Incontrò il mio sguardo e sembrò cogliere appieno i miei pensieri. Abbandonò al volo la maschera impertinente per rigettarsi nello sconforto totale. Lo avevo detto io, che era lunatica. Ero sempre più sicuro di averci preso in pieno.
- non sono più nulla, ragazzo. – disse, piano.
- mi chiamo Atsui –
- non sono più una delle mie, e non sono nemmeno un umana. Dove vado? – mi ignorò. Sospirai.
 
* * *
 
- per ora puoi sistemarti qui, perlomeno fino a quando non chiarirai le cose con il tuo clan – dissi, indicandole l’armadio. – lì dentro troverai il necessario per dormire, sempre che tu dorma. –
- non dormo. – rispose lei.
- ...appunto. – sospirai. – bhe, un problema di meno. – l’avevo portata dentro casa, stando attento a mia madre. Sarei riuscito a nasconderla facilmente, non essendo umana non aveva tutti i bisogni che i comuni mortali hanno.
- perlomeno non quanto voi, ogni tanto devo riposarmi anche io... – aggiunse.
- mangi? Bevi?– chiesi.
- sangue umano. – rispose lei. Mi girai a guardarla, spalancando gli occhi.
Lei sostenne sfrontata il mio sguardo, come se fosse tutto normale. Poi scoppiò a ridere, fino a lacrimare.
 
- idiota. – disse solo, asciugandosi le lacrime dagli occhi.
Mi girai shockato, continuando a sistemare i miei vestiti per la camera. Dopo un po’ tornai a guardarla
- scherzavi prima? –
- quando? –
- per il fatto del sangue. –
- forse. – sorrise.
- come ti chiami? –
- non ho un nome. –
- cosa sei? – silenzio. Lei si girò e mi guardò fissa.
- non sono più nulla. – ripeté per la terza volta, da quando avevamo cominciato a dialogare.
La osservai mentre si dirigeva verso la scrivania e cominciava ad osservare tutto ciò che c’era sopra. Prese tra le mani vari fogli, girandoli e rigirandoli.
- sai leggere? – chiesi.
- una volta si, credo. Ora non ne ho bisogno. – annuii. Mi sentivo a disagio. Sapevo che se lei fosse rimasta sempre nella mia camera e non si sarebbe mossa mia madre non avrebbe mai scoperto nulla. Inoltre i miei orari non combaciavano con i suoi.
Mia madre la vedevo praticamente solo il sabato e la domenica, per via della scuola.
Ma quella ragazza doveva sbrigarsi a risolvere i suoi problemi. Non avrei potuto ospitarla per sempre.
- non puoi girare vestita in quel modo, o desterai non pochi sospetti. –
- perchè dove dovrei andare, scusa? Devo solo aspettare che si calmino le acque al clan. Poi mi ripresenterò chiedendo di poter rientrare. –
- e intendi rimanere tutto il tempo in camera mia? – chiesi, scettico. Lei mi guardò, aggrottando le sopracciglia. Le passai dei vestiti che ero andato a cercare in camera di mia madre, selezionati apposta perchè non si accorgesse che mancavano. Lei mi guardò male.
Poi li accettò riluttante, e tornò ad ispezionare la scrivania.

Con un caratteraccio come il suo, sarebbe stata più difficile di quanto si potesse pensare.
  
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