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Autore: itslarryscomingout    12/03/2013    1 recensioni
La ragazza lo guardò con stupore. Si passò una mano sul volto, strofinandosi poi gli occhi. Si avvicinò cautamente, incerta. E se fosse stata solo una casualità? Chi diceva che era proprio quello?
Continuò a camminare, fino ad arrivare ad una distanza di pochi metri. Ed alzò la testa, guardandola. La ragazza era ferma, immobile, lo guardava ad occhi sbarrati.
"Non è possibile."
Disse solo, in un sussurro, scuotendo la testa. Ed la guardò inarcando un sopracciglio. E se... riguardò la rosa bianca che aveva nelle mani, sorridendo poi lievemente, aggiustandosi la visiera del cappellino senza staccare gli occhi della ragazza difronte a lui.
Lei si avvicinò, a quel punto, sentendo le gambe molli.
"Edward?" pronunciò incerta. Ed sorrise, guardandola di nuovo.
"Ed-Edward sei tu?", pronunciò lei, sentendo la gola secca e gli occhi umidi. Avrebbe voluto piangere. Lui si avvicinò lievemente, porgendole la rosa. Lei l'afferrò incerta attenta a non sfiorarlo. Si concentrò sul fiore abbassando la testa. Era puro, bello, bianco, profumato.
"Perché non mi hai detto che eri tu?", sussurrò allora lei, lasciando che una lacrima le rigasse il volto. Si sentiva presa in giro. E Ed a quella visione sentì piccolo piccolo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Edward, che guarda le tette della ragazza nella mia 
icon di twitter e che mi ha chiamata 'babbana'.






 

“Lasciami in pace! Vai via!”urlò la ragazza a gran voce sbattendo la porta in faccia alla madre. Cominciò a respirare affannosamente e chiuse gli occhi quando li sentì riempirsi di una patina trasparente. Poggiò le mani ai lati della porta, chinando in avanti il capo, lasciando che i capelli nocciola le cadessero ai lati del volto. Era stanca, di tutto. Si girò, poggiando la schiena sul legno bianco e scivolando su di esso fino al pavimento. Si odiava. Odiava quella casa ricca di ricordi. Odiava la sua stanza ormai priva di vita. Odiava sua madre che continuava a bere. Odiava il vento, la pioggia, il sole, le nuvole e Londra in generale. Non sopportava più tutto quello. Il suo corpo venne scosso da violenti singhiozzi e in pochi e brevi istanti si ritrovò il viso completamente bagnato. Si passò una mano tra i capelli stringendoli un po’e tirandosi anche qualche ciocca che le rimase orribilmente impigliata alle dita. Già, ultimamente lo stress le faceva perdere troppi capelli; o forse erano semplicemente le sue mani che ormai tiravano troppo forte il cuoio capelluto. Si alzò da terra, poggiandosi poi sul letto stancamente. Erano solo le dieci del mattino, ma lei non aveva fame da giorni. Spesso mangiava solo perché le veniva imposto, ma più di quel tanto non faceva perché poi le si chiudeva lo stomaco e era costretta a correre in bagno per vomitare tutto. Fece una smorfia e si pulì le lacrime sulla federa del cuscino. Da quanto non cambiava quelle lenzuola? Ormai la sua stanza era un disastro. Il letto non veniva cambiato e rifatto da giorni, i libri e i vari quaderni ridotti a brandelli dalle sue stesse mani erano in un angolo della stanza sul pavimento, le mensole erano ormai ricoperte da un sottile strato di polvere e la luce e l’aria pulita non entravano lì da qualche giorno. Sentì sua madre urlare dalla cucina, dirle qualcosa, minacciarla forse, ma non se ne importò neanche. Suo papà … già, se ci fosse stato suo papà sarebbe stato tutto diverso. Soffocò un singhiozzo sul pugno chiuso della mano e strinse gli occhi che ormai le facevano pure male. Si morse il labbro a sangue fino a sentirne il sapore metallico sulla punta della lingua. Si alzò dal letto, mentre la testa le cominciava a dolere, e inciampò su una scarpa lì per terra. Soffocò un grido di frustrazione nella gola stringendo forte i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani e poi si rialzò lentamente, guardando attentamente se sul pavimento ci fosse qualcos’altro che l’avrebbe potuta far ricadere facendole rischiare l’osso del collo. Si asciugò le lacrime e accese la piccola lampada sulla scrivania illuminando la stanza piccolina e il computer portatile spento ma con lo schermo aperto. Pigiò il pulsante, facendolo diventare blu, mentre man mano lo schermo cominciò a prendere colore. Era esausta. Non faceva più nulla, ma era sempre e costantemente stanca. Odiava tutto, tutti e soprattutto se stessa. Era colpa sua per tutto, o almeno così pensava. Sua madre non faceva che ordinarle cosa fare, e poi beveva, beveva tanto e troppo. Hannah represse un conato di vomito e per distrarsi guardò il computer che finalmente si era acceso. Lo schermo raffigurava una sua foto, una delle ultime fatte insieme al suo papà. Sentì il cuore appesantirsi di botto, il respiro mozzarsi di nuovo e le lacrime scendergli sulle guance come se niente fossero. Abbassò la testa, piangendo di nuovo. Poi, sempre con le lacrime agli occhi, si alzò e si diresse in cucina, dove c’era sua mamma seduta su una sedia a guardare il vuoto. Le finestre e le porte erano aperte, mostrando un lieve sole, ma quello non servì a farla stare meglio. Aprì il frigo, prendendo una bottiglia d’acqua e un bicchiere di vetro dal mobile.
“Perché mi hai sbattuto la porta in faccia, eh?”
Urlò improvvisamente la madre della ragazza, girandola e spingendola con una spalla contro il mobile dietro di lei. La giovane fece una smorfia, ma non rispose. Lo aveva fatto di nuovo. Era solo mattina ma lo aveva fatto di nuovo: aveva bevuto. Riusciva a sentire la puzza di vodka provenire dalla madre e represse un altro conato.
“Sto parlando con te, Hannah! Non osare neanche a non portarmi rispetto!”
Continuò la donna, dandole poi uno schiaffo. Il bicchiere che la ragazza stringeva tra le mani piccole cadde sul suolo, schiantandosi e rompendosi in mille pezzettini pericolosi. Poggiò lo sguardo su sua madre e nera di rabbia la spinse.
“Smettila! Smettila di dirmi cosa devo o non devo fare! Sei mia madre, ma ti ricordo che ho diciotto fottuti anni! Mi fai solo pena!” urlò, dandole un altro spintone facendola scontrare contro il tavolo. Avrebbe voluto abbracciarla, non spingerla, ma proprio non ce la faceva. Le mancava la sua vecchia mamma, quel mostro non era lei.
“Ti ho detto di lasciarmi in pace, porca puttana! E guardati lì”-disse indicandola con un cenno lieve del capo- “sei ubriaca marcia e pretendi anche che ti ascolti. Smettila!”
Concluse in un altro urlo, mentre nuove lacrime scesero sulle sue guance. Senza più soffermarsi a guardare la madre andò via, sentendo anche qualche pezzetto di vetro scheggiarle i piedi nudi, ma non se ne importò. Fece cadere anche la bottiglia d’acqua sul pavimento e tornò nella sua camera. Si sedette sulla sedia in pelle nera della sua scrivania e risvegliò il computer andato in stand bye. Aprì una nuova pagina internet, senza soffermarsi a guardare lo sfondo e singhiozzando entrò su Facebook. Aveva eliminato tutti i suoi amici e non aveva permesso a nessuno di loro di rintracciarla, ma a lei stava bene così.
‘Sono stufa di tutto.’
Scrisse in uno stato che pubblicò senza pensarci minimamente.
Ormai Facebook era diventato un diario segreto, sia perché in tutti i suoi amici non c’erano più, sia perché lì sapeva di potersi sfogare. Non amava mettersi in mostra, anzi era una persona parecchio taciturna alle volte e odiava dare spettacolo. Si morse la lingua e si alzò allontanando sgarbatamente dalla sedia, uscì dalla stanza, sentendo sua madre piangere e senza pensarci due volte si diresse in cucina e l’abbracciò da dietro. Sentì il corpo della donna irrigidirsi e la sua mano toccarle le dita lievemente, ma poi senza dire altro andò via e si diresse in bagno. Chiuse la porta a chiave e si poggiò al lavandino.
“Basta.”
Soffiò lievemente, aprendo l’acqua fredda. Si guardò allo specchio e vide due occhiaie incorniciarle il volto stanco. Le lentiggini sembravano aver preso colore o forse semplicemente la sua pelle era troppo bianca e le faceva risaltare. Gli occhi gonfi, rossi e spenti erano irriconoscibili. I capelli lunghi erano una massa informe. Spostò gli occhi sul mobile vicino a lei e aprendolo vi estrasse un codino rosa. Arricciò lievemente il naso, pensando che quel colore fosse orribile e si legò i capelli in una crocchia da cui scendevano alcuni ciuffetti troppo corti per stare nella molla. Prese un lungo respiro e concentrandosi sul rumore dell’acqua che scorreva forte nel lavandino, si chinò fino a lavarsi la faccia e il collo. Socchiuse gli occhi sentendosi già meglio. Si osservò per bene e facendo una smorfia chiuse l’acqua. Si asciugò le mani e la faccia e poi, mordendosi il labbro afferrò la lametta poggiata sul mobiletto, vicino al sapone. Scoprì la lama che alla luce sembrò ancor più lucida e tagliente e senza pensarci la poggiò sul polso chiudendo gli occhi. Stava per segnare il primo taglio, quando una vibrazione la distrasse e la fece impaurire procurandole invece un taglietto sul palmo. Guardò il sangue fuoriuscire e spalancando gli occhi si rese conto di quello che stava per fare, così lanciò la lametta sul vetro di fronte a lei, da dove poi rimbalzò fino a cadere nel lavandino umido.
“Mio Dio, che sto facendo?”
Si disse ad alta voce, arretrando di qualche passo scuotendo la testa guardando il vetro lievemente graffiato. Si guardò le dita, che si stavano sporcando leggermente e si sentì un mostro. Stava … stava per farsi del male. Quel pensiero la fece correre verso il water per vomitare cibo che in realtà aveva ingerito solo nei suoi sogni. 



‘Cause maybe you’re loveable
Maybe you’re my snowflake
And your eyes turn from green to gray

 

Il rosso si passò una mano tra i capelli e sorrise un po’. In tutto quel tempo l’unica cosa che era riuscita a scrivere era quella, ma ‘meglio di niente’ si disse.
Posò la penna sul tavolo, aggiustandosi con la punta delle dita la montatura nera degli occhiali e si alzò, stiracchiando le ossa che schioccarono subito facendolo sentire meglio. Scostò un po’ la tenda e appurò che piovigginava. Sbuffò, ritornando a sedersi. Con una mano si allungò fino a prendere la chitarra da terra e afferrò il plettro con l’altra. Guardò le corde e poi con movimenti delicati cominciò a suonare, facendone uscire una melodia. Riosservò le tre righe e poi, socchiudendo le labbra, cercò una melodia adatta. Provò e provò più volte la prima, la seconda e la terza frase, e soffermandosi su di questa sorrise un po’pensando a … pensando ad Hannah. Sembrava stupido ma quella frase gli ricordava quella ragazzina conosciuta sul web. Da un lato si vergognava a dire che aveva praticamente guardato e riguardato le sue foto, ma alla fine pensò che non c’era niente di male. O si? Fece spallucce e afferrò il cellulare, accedendo a Facebook. Guardò i vari post sulla bacheca ridendo a qualche link e talvolta cliccando qualche ‘mi piace’ a qualche foto particolarmente bella dei paesaggi e poi si morse l’interno guancia leggendo lo stato della ragazzina. Gli piaceva chiamarla così, lo trovava carino, anche se poi da come era riuscito a capire non avevano poi chissà quanti anni di differenza. Lo lesse aggrottando la fronte e poi aprì la chat.

Edward ore 10:34 a.m. : “ H (: ”

Scrisse, inviando subito, posando poi il cellulare tornando a suonare. Osservò ogni tanto lo schermo, aspettando una risposta che non arrivò.

La ragazza si tolse velocemente i vestiti, cliccando play sulla playlist del cellulare e aprendo l’acqua per farla diventare tiepida. Mentre aspettava guardò la notifica che si ritrovò in chat e la aprì. Era Edward. Fece un piccolo sorriso.

Hannah ore 10:47 a.m. : “Solo una cosa: Grazie.”
Edward ore 10:49 a.m. : “Per cosa?”
Hannah ore 10:49 a.m. : “Un giorno te lo spiegherò forse, ma non ora.”

Poi posò il cellulare e entrò in doccia sentendo i muscoli rilassarsi e sorrise ancora un po’ perché da quando quel misterioso ragazzo era entrato nella sua vita alcune cose avevano assunto un colore diverso. Poi chiuse gli occhi, certa che un giorno gli avrebbe spiegato che era solo grazie al suo messaggio se non aveva fatto una sciocchezza.
Dall’altra parte, Sheeran sorrise soltanto, riportando la sua attenzione sul foglio finalmente scritto con qualcosa che non fossero delle ‘R’ e con la consapevolezza che qualcuno lo ringraziava col cuore. 





  
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