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Autore: FairLady    13/03/2013    5 recensioni
Roxie e la sua vita. Tanto soddisfacente nel lato professionale, quanto incasinata e sconnessa in quello privato. Chissà se certi muri, eretti con tanta volontà e determinazione, riusciranno un giorno ad essere abbattuti?!
Revisione in corso.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ian pov.
 
“E tu hai intenzione di ritirarti, semplicemente, e lasciare che si allontani definitivamente da te?”
Eravamo sull’aereo che ci avrebbe riportati ad Atlanta. Maledetto il momento in cui l’addetta del check-in aveva assegnato a me e Candice posti attigui!
Non mi bastava l’inferno interiore che stavo vivendo e con cui, presto o tardi, avrei dovuto fare i conti. No! Ci voleva anche lei con i suoi continui rimbrotti su quanto un amore vero dovesse essere combattuto e sudato.
“Di solito si combatte in due, Can! Se è solo uno a remare difficilmente la barca si sposta! Continua a girare su stessa all’infinito finché l’idiota che rema muore o, finalmente capisce che forse è il momento di mollare il remo e arrendersi!”
“Ma voi due insieme siete meravigliosi! Lei ha solo bisogno di qualche spinta in più. Di rassicurazioni…lo sai cosa ha passato!”
Lo sapevo, eccome se lo sapevo. Non era stato facile conquistarla ma non ci si poteva nascondere all’infinito dietro al passato e alle cicatrici che esso ha lasciato. Bisognava andare avanti ed avere fiducia. Fiducia: quello che a lei, evidentemente, mancava.
“Me ne rendo conto, Candice. Non sono uno stupido. Ma il suo problema non è soltanto questo. Le sue insicurezze la stanno seppellendo e ci ho provato, credimi, ci ho provato – sentivo la resa dei conti sempre più vicina e gli occhi pungolavano pericolosamente – ma non posso cambiare le persone. Non posso obbligarla a tenermi con lei. Non voglio più impormi rendendomi ridicolo e odioso. Non…”
Non sopporterei un altro rifiuto.
“Ok, ho capito. Ho capito. Basta…”
Mi lasciai andare ad un sospiro di profondo sollievo. Ancora pochi istanti e sarei scoppiato ma non avevo certo intenzione di dare spettacolo su un aereo. Avevo bisogno di stare per conto mio ed era quello che volevo fare una volta arrivato a destinazione.
Mi prese la mano e la strinse forte nella sua, sorridendomi comprensiva.
“L’aggiusteremo.” Il sollievo divenne rassegnazione.
“Accola…” sbuffai, buttando mollemente la testa all’indietro sul sedile.
“Shh…lo so. Mi ringrazierai poi…Non ti preoccupare!”
Ce l’avrebbe mai fatta quella ragazza, ad arrendersi davanti a qualcosa?
 
Roxie pov.
 
“Ma cosa diavolo ti dice quella testa?”
“Cosa c’è di sbagliato in te?”
“Posso capire che ciò che hai dovuto subire ti abbia segnata ma è proprio da idioti lasciarsi sfuggire un futuro con uno come Ian per colpa di cose accadute nell’anteguerra!”
Da mezz’ora il telefono che avevo in mano ribolliva convulsamente sotto gli attacchi furenti di Anne che, direttamente dall’Inghilterra, dove era dovuta andare all’improvviso per lavoro, stava inventando nuovi insulti solo per il gusto di poterli usare contro di me.
Non mi aiutava di certo; io stessa sapevo di aver commesso un errore madornale. Ma come potevo lasciarmi andare totalmente ad Ian sapendo che prima o dopo i miei fantasmi e le mie insicurezze avrebbero preso il sopravvento?
Continuavo a ripetermi che il dolore che provavo per averlo respinto ancora e, probabilmente, perso per sempre, sarebbe passato presto. Ero fermamente convinta di aver fatto del bene ad Ian, allontanandolo in quel momento piuttosto che portare avanti qualcosa destinato comunque a finire e sicuramente a fare danni più ingenti di quelli che stava facendo.
Eppure non c’era attimo che passasse senza farmi pesare addosso la sua assenza. Anche casa mia tiranneggiava contro di me. Ogni angolo, ogni anfratto, ogni singolo luogo di quell’appartamento mi riportava a lui e ad attimi vissuti insieme in cui, contro qualunque aspettativa, mi ero sentita davvero felice.
Il respiro mi si smorzò in gola. Sentivo che se non avessi chiuso la chiamata in quel momento avrei finito per scoppiare al telefono e sapevo cosa voleva dire farsi vedere deboli da Anne, soprattutto in una situazione come quella in cui tutti tentavano di sistemare la relazione tra me e Ian.
“Ora devo andare Anne. La mia pausa è terminata!”
“Non potrai nasconderti dietro quei bambini per sempre, Roxanne. Prima o poi tutto questo ti si ritorcerà contro e io non potrò far altro che dirti te l’avevo detto.”
“Ciao… Anne.”
Senza preamboli spensi il cellulare. Per quel che mi riguardava avrei potuto benissimo scioglierlo nell’acido o farlo schiacciare da un tir. Lo avrei preferito. Odiavo quell’aggeggio. Odiavo tutto ciò che mi potesse collegare in qualche modo al mondo fuori da lì. Ad Ian e, paradossalmente, alla mia vita senza lui.
La porta dello spogliatoio si aprì in quel momento e Jill, come una furia, entrò.
“Ah, finalmente ti ho trovato! Dove hai ficcato il cerca persone!!!”
Guardai nel taschino del camice.
“Oddio!!! E’ spento!! Si sarà scaricato! Che succede?” le chiesi, spaventata. “Che c’è?”
“Devi correre al pronto soccorso. Sta arrivando un codice rosso. Un incidente stradale, tre persone. Da quel che ho capito moglie, marito e figlio.”
Sgranai gli occhi, in ansia. Codice rosso. Un brivido involontario, il solito attimo di panico, mi pervase poi mi alzai e presi Jill dal braccio.
“Forza andiamo!”
 
“Maschio. Nove anni. Ritmo cardiaco cinquantasei in discesa, probabile compromissione della milza…”
Il paramedico con il quale stavo spingendo la lettiga che trasportava il bambino, snocciolava parametri che registravo senza difficoltà. La mia mente era sgombra da qualsiasi problema privato. In quel momento ciò che vedevo era un piccolo ricoperto di sangue, con la maschera per l’ossigeno calcata in viso, gonfio e pieno di tumefazioni.
Dietro di noi altri paramedici sopraggiunsero, di corsa, in costante lotta contro la morte.
La donna sul loro lettino si lamentava e cercava di parlare ma il tubo della respirazione le impediva di scandire ciò che voleva dire.
Tendeva una mano in avanti nella speranza di toccare qualcuno. Il figlio. Il marito. Entrambi.
 
“Jill, le forbici!” indossai al volo la mascherina e presi l’attrezzo che l’infermiera mi porgeva. Tagliai la maglietta del ragazzino mentre il mio collega faceva lo stesso coi pantaloni.
Aveva dei vetri conficcati nel torace ma apparentemente nessuno in zone vitali.
“Bunton, occupati di questi, – dissi, sicura. – Jill! Bisturi!....”
Poco dopo averlo aperto, fui certa. “Devo eseguire una splenectomia. La milza è compromessa.”
 
Ore dopo mi ritrovai abbandonata su una branda negli spogliatoi.
Ero ancora tutta sporca di sangue. C’erano state delle complicazioni con Brad - così si chiamava il bambino - ma alla fine lo avevamo salvato. Ce l’avevamo fatta ancora. Momenti come quelli mi facevano sentire invincibile. Come se niente e nessuno potesse abbattermi. Come se non ci fosse nulla al mondo capace di annientarmi.
Riaprii gli occhi proprio mentre l’immagine di Ian sorridente mi comparve davanti.
Mi sarebbe piaciuto correre da lui, dopo una giornata come quella, e raccontargli di come avevo risolto i problemi di Brad. Avrei avuto bisogno delle sue braccia strette intorno a me mentre sfogavo la rabbia perché, si, lo avevo salvato ma suo papà non ce l’aveva fatta. Era morto qualche minuto dopo essere giunto in ospedale. E sua mamma? Lei era in terapia intensiva e ancora i neurologi che avevano arginato l’emorragia cerebrale non sapevano se si sarebbe mai risvegliata.
Quella donna, nel peggiore dei casi, sarebbe morta lasciando solo suo figlio, così piccolo e indifeso; nel migliore sarebbe sopravvissuta ma avrebbe dovuto proseguire senza suo marito, quello che con molte probabilità era stato l’amore della sua vita.
Com’è effimera la nostra esistenza.
Pensi di aver tempo per ridere. Per piangere.
Tempo per innamorarti. Per soffrire. Per guarire.
Tempo per ricordare alle persone che hai accanto quanto siano importanti per te. Tempo per fidarti e tempo per restare ferma in un angolo ad aspettare che qualcosa cambi e ti trasformi nella persona che vorresti essere.
Credi di aver tempo per vivere.
E invece in un attimo tutto può cambiare. Irrimediabilmente.
 
Erano passati secondi. O forse minuti. Ore. Non sapevo quantificarlo.
L’unica cosa di cui mi rendevo conto era il cambio di rotta dei miei pensieri.
Mi alzai di scatto dalla branda e corsi nell’ufficio di Richardson.
“Capo – entrai senza bussare – vado a casa. Domani non vengo…”
Lui non si scompose. Stava lavorando al computer e non alzò nemmeno la testa.
“Tranquilla. – mi rispose, solamente. – chiamami, però.” Mi ordinò, placidamente.
“Ok… buonanotte.”
Restai qualche istante perplessa dal suo comportamento.
La porta si riaprì dietro di me.
“Ah, Roxie…”
“Si, capo?”
“Salutami Ian.”


Note 

Buonasera a tutti! :)
Eccomi qui con il nuovo capitolo. Come al solito li faccio troppo lunghi per cui mi tocca dividerli. Sgrunt! Spero che la fine di questa prima parte non scateni il vostro odio; sicuramente l'ho troncato nel momento peggiore! ahahaha ma se avessi continuato non avrebbe avuto senso troncarlo, per cui...
Ok, scusate i deliri. Non so nemmeno cosa sto scrivendo. Non sono per niente in forma e questa è la causa anche del mio ritardo. Ma non prendetevela per favore! Faccio il possibile! ;)
Nelle note del prossimo capitolo, che cercherò di postare prima di mercoledì , vi spiegherò anche alcune cosine che ora, per evitare spoiler, non vi posso dire. 
Ok. Ho scritto le note più orride di sempre ma pazienza. E' tardi e sto con la febbre da tre giorni. Capitemi! <3
Ringrazio come sempre chi legge/segue/preferisce e le anime pie che recensiscono! 
See ya next time!
Baciotti!!!!!






 
   
 
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