Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Segui la storia  |       
Autore: Elpis    14/03/2013    7 recensioni
I personaggi di Kodocha sono cresciuti.
Sana è felicemente sposata con Akito, Naozumi convive con Fuka, Tsu ed Aya sono addirittura diventati genitori. Quanto a Rei, continua ad essere il manager affettuoso della sua pupilla e a coltivare il suo idillio con Asako.
Quattro coppie, ognuna con un passato diverso alle spalle.
Quattro coppie i cui destini si intrecciano in un gioco di linee dai contorni non ben definiti.
E se bastasse un test di gravidanza a ingarbugliare tutto e a rompere quei delicati equilibri?
Estratto 15° capitolo:
"Kami, vi prego, fate che almeno il bambino si salvi".
Una parte di lei avrebbe solo voluto abbandonarsi al vuoto dell'incoscienza, l'altra lottava per mantenere a fuoco ciò che la circondava e rimanere presente. Avvertiva un gran vuoto all'altezza del petto, un vuoto da cui nemmeno il dolore delle contrazioni riusciva a distrarre.
"Posso essere egoista, almeno per un momento?"
C'era un nome che martellava nella sua mente, più forte della voce dei medici, più insistente del rumore dei macchinari elettrici, più penetrante della paura.
"Akito-kun.
Ho bisogno di te, Akito-kun."
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Endless Love'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 


All’ombra del gazebo
 
 





 

Aveva fatto il giro di tutte le stanze più volte.
Niente. Sana-chan non c’era.
Deve essere sgattaiolata via di nuovo. Quando capirà che se mi preoccupo è per il suo bene?
Si gettò sul divano con un sospiro stanco. Pulì le lenti scure, mentre un pigro raggio di sole filtrava dalla finestra e andava ad infrangersi sul tavolo di vetro. L’irritazione per il modo in cui la sua pupilla gli sfuggiva di continuo gli faceva voglia di prendere a pugni qualcosa.
Come quel bifolco di Hayama. In che condizioni mi sono ridotto…
Il pensiero di Akito gli provocò uno spiacevole nodo in gola. Dall’ultima volta che si erano fronteggiati in ospedale non aveva più avuto l’occasione di trovarsi a tu per tu con lui.
Balle. Avrei potuto recarmi in ospedale ogni giorno.
Eppure non lo aveva fatto. Il motivo era lampante e gli provocava piccole fitte di colpa all’altezza dello sterno.
Affrontarlo renderebbe tutto troppo reale.
Si massaggiò la sella del naso con un gesto stanco. Era quasi un mese che una domanda, sempre la stessa, martellava contro le pareti della sua testa.
Devo dirlo a Sana-chan?
Una parte di lui urlava che la risposta era ovviamente sì. Kurata aveva il diritto di sapere che razza di persona era suo marito. Aveva diritto di sapere che Aya non era l’amica dolce ed affettuosa che credeva e che gli occhi freddi di Hayama non nascondevano che lo sguardo di un traditore.
Dall’altra…
Dall’altra come faccio a dirle una cosa del genere? È bastato che lui si allontanasse di casa per ridurla a pezzi e già si affatica troppo con il lavoro. Il dottore ha detto di evitare ogni forma di stress.
Da lontano udì lo scalpicciare dei passi di Shimura e un tonfo sordo lo avvertì che la Sensei probabilmente era andata a sbattere contro qualcosa, come una parete. Per un attimo fu sfiorato dal pensiero di confidarsi con lei e chiederle un parere su cosa fosse giusto fare.
Lo allontanò con il gesto con cui si allontana una mosca fastidiosa.
Se non glielo dico è come se fossi complice di quel bastardo.
Se glielo dico, ciò potrebbe porre ancora più a rischio la sua gravidanza.
Si prese la testa fra le mani, in un gesto di stizza. Se questi erano i grattacapi che doveva affrontare un semplice manager, allora non sarebbe mai voluto diventare padre.
 
 
***
 
 
« Akito-kun? »
Sollevò la testa di scatto, percorso da una scarica elettrica. Per un istante pensò che si trattasse della sua immaginazione.
Kurata.
Era lei, senza alcun dubbio. Con un vestitino leggero e i capelli arruffati dal vento. E quei grandi occhi di cioccolata che parevano assorbire tutta la luce di quella giornata uggiosa.
Si ritrovò a boccheggiare come un pesce preso all’amo. Avrebbe voluto dire qualcosa di intelligente, ma gli sembrava che tutti i suoi neuroni fossero impiegati nello sforzo di ricordare come si faceva a respirare.
« Ah, be’… è un po’ che non ci vediamo, vero? » proseguì lei.
Cincischiava con la gonna e parlava mangiandosi le parole. Era sempre un po’ ridicola quando si trovava in imbarazzo.
« H-hi » rispose balbettando.
A quanto pare però io riesco a sembrare ancora più idiota.
Lo fissò come si può guardare uno che ha appena preso una botta forte in testa.
Non che la sensazione sia tanto diversa.
« Tutto a posto? » domandò arrotolandosi una ciocca mogano intorno alle dita.
« Certo » rispose automaticamente. « Che cosa.. che cosa ci fai da queste parti? »
Kurata arrossì, due punta di rosa sul viso bianco. Hayama si sforzò disperatamente di non guardare più in basso, come se non ci fosse niente da vedere dal collo in giù.
« Io… ah… Ero uscita per fare una passeggiata » mormorò alla fine. « Posso andare da un’altra parte, però ».
Gli ci volle un attimo per recepire quelle parole.
« No! » esclamò prima di nascondere gli occhi sotto la frangia. Erano settimane che non la vedeva così da vicino. « Puoi.. puoi rimanere se vuoi ».
Un sorriso incerto affiorò alle sue labbra. Si sedette sulla panca a qualche metro di distanza. Il vento giocò con i suoi capelli, accarezzandole la faccia.
Gelsomino. Era l’odore del suo shampoo e ne sentiva le narici invase.
« È una bella giornata, vero? » proseguì lei nel tentativo di risultare amichevole.
Tempo. Dopo settimane aveva l’occasione di parlarle e… stavano discutendo del tempo.
« Non devi fingere che vada tutto bene, Kurata ».
Lei lo fissò, inclinando appena la testa di lato.
« Di che parli, A-chan? »
Scrutò il cemento grigio ai suoi piedi, provando a dominare le emozioni che gli imperversavano dentro.
« Della gravidanza. Tsuyoshi mi ha detto tutto ».
Lei non rispose e il silenzio scivolò piano fra di loro fino a diventare qualcosa di intollerabile. Si fece forza e alzò la testa, abbracciando la sua intera figura, anche il ventre prominente che di notte popolava i suoi incubi.
Sana era pallida e lo guardava con un lampo di terrore negli occhi scuri.
« Non… non volevo che… Kami, penso che lo ucciderò… » balbettò alla fine.
Sorrise, ma si vedeva che era un sorriso finto, di quello che avrebbe potuto dedicare alle telecamere e che forse avrebbe fatto sospirare qualche fan.
Ma non certo me. Ti devi impegnare di più per fregarmi.
« Be’, come dice il detto, mai piangere sul latte versato » proseguì parlando a macchinetta. « Certo, non avrei voluto che tu lo sapessi così, ma in fondo non c’è di che preoccuparsi. Non mi sono più sentita male da quel giorno sul set, io sono forte, il bambino è forte… Ecco, non te l’ho detto perché in fondo non c’è niente da sapere, andrà tutto a meraviglia! »
La interruppe, prima che la sua parlantina lo stordisse ancora di più. Il suo braccio scattò a circondarle le spalle, annullando la distanza fra loro. La sentì sussultare e irrigidirsi per un attimo. Un angolo confuso della sua mente gli suggerì che forse stava sbagliando, di nuovo, poi i piccoli pugni di Kurata si strinsero intorno alla sua T-shirt mentre quella nascondeva il viso nell’incavo della sua spalla. E il fatto di sentirla così vicina, viva e pulsante, gli annebbiò completamente la mente.
« Sei arrabbiato? » mormorò a voce così bassa che faticò a distinguerla.
« No » rispose. « All’inizio » si corresse dopo un secondo di esitazione.
« L’ho fatto per non farti preoccupare » bisbigliò ancora con una voce così esitante da non parere nemmeno la sua.
Kurata sembra quasi…dolce. Lei che di solito si comporta da maschiaccio e non fa che urlare e riempirmi di pizzicotti.
Decisamente gli ormoni della gravidanza le stanno scombussolando il cervello.
Il che non spiegava perché lui avesse così difficoltà ad articolare un pensiero coerente.
« Non devi proteggermi » rispose più duro di quello che avrebbe voluto. « Dovrei essere io a farlo… »
Si interruppe, il rombo sordo del suo cuore che gli pulsava nelle orecchie.
Sana alzò il mento, fissandolo negli occhi.
Vicina.
Era così tremendamente, spaventosamente vicina. Tanto da elettrizzarlo, da fargli vibrare ogni centimetro di carne che la sfiorava. Affogò nelle sue iridi scure, faticando a trattenere l’impulso di sfiorarle la guancia.
« … Ehm, mi stai ascoltando Akito? »
No, per la verità no. Sono troppo concentrato a trattenere l’impulso di chiuderti al bocca con un bacio.
« Sì » mentì invece con voce indifferente.
Kurata gli lanciò un’occhiata perplessa, sbuffando.
« No, che non lo stai facendo. Pensi che non me ne accorga? » lo rimproverò imbronciandosi. « Dovresti imparare a prestare attenzione quando le persone ti parlano! »
Nascose gli occhi sotto la frangia, fissando un punto imprecisato alle sue spalle.
« Dovrei fare tante cose, ma pare che non ne sia all’altezza » mormorò cupo.
La sensazione di soffocamento non accennava a diminuire. Si sentiva spaccato in due, come se delle funi si aggrovigliassero intorno al petto, tirando in direzioni opposte.
Da un lato Kurata e la famiglia che avevano faticosamente costruito insieme.
Dall’altro le ombre del suo passato, gli incubi che lo tormentavano tutte le notti.
Chiuse gli occhi per un istante, desideroso di annullare tutto quello che lo circondava, a partire dalla confusione che gli bruciava dentro. A riscuoterlo fu la mano di Kurata che, esitante come se non fosse sicura nemmeno lei di quel gesto, si posava sulla sua.
« Guardami, A-chan ».
Per un attimo pensò che non ci sarebbe riuscito.
Vigliacco.
Alzò il viso con lentezza, fissando lo sguardo deciso di lei. Ogni traccia di ilarità sembrava avere abbandonato  i suoi tratti.
« Non mi aspetto niente. So… so quanto è difficile per te starmi accanto ». La mano di Sana aveva iniziato a tremare. « Va bene così, Akito-kun, non stare a tormentarti ».
Un sorriso appena accennato agli angoli della bocca.
Gli occhi fiduciosi, aperti, da cui filtrava quel velo di tristezza che cercava di nascondere con le parole.
La bocca morbida che pronunciava quelle poche frasi che avrebbero dovuto farlo stare meglio e invece lo facevano sentire il viscido verme che era in realtà.
Ti amo, Kurata.
Lo pensò, ma non lo disse ad alta voce. Riuscì a trattenere quelle due parole fra le labbra, ma non a soffocare completamente quel sentimento. Come mossa da una volontà automatica, la sua bocca calò su quella di Sana, aggredendola febbrilmente. Fu un bacio lungo, disperato. Mentre la sentiva sussultare e poi abbandonarsi fra le sue braccia, mentre affondava le mani nella coltre profumata dei suoi capelli, ad Hayama sembrò di  emergere da una lunga apnea. Stringere Kurata era come riprendere di nuovo il fiato e l’ossigeno troppo a lungo sottratto gli bruciava nei polmoni.
Non avrebbe saputo dire dopo quanto la brama iniziale cedette il posto a un bacio più lento e delicato, che aveva il sapore agrodolce dell’ennesimo addio.
« Questo… questo non cambia niente » mormorò a corto di fiato.
Kurata lo fissò con gli occhi che brillavano.
« Ti sbagli. Sapere che credi ancora in noi cambia tutto ».
 
 
***
 
 
Fissò a lungo il portone, leggendo la targhetta accanto alla fessura per le lettere che ancora riportava i loro nomi.
Matsui Fuka.
Kamura Naozumi.
Trasse un respiro profondo, poi suonò prima che la sua insicurezza cronica finisse per farlo tornare sui suoi passi.
Quando se la trovò davanti, la sua mente registrò distrattamente alcuni dettagli della fisionomia di Fuka. Era pallida, magra – forse anche di più di come ricordava -, con delle brutte occhiaie sotto gli occhi. Lei lo fissò di rimando, la bocca aperta per la sorpresa.
« Voglio sapere perché » esordì senza nemmeno darle il tempo di riaversi dallo shock.
Però. Se non fosse che mi tremano le gambe, potrei anche sembrare deciso.
« N-Nao » bisbigliò Fuka passandosi le mano nervosamente fra i capelli. « Che cosa… come… Non mi aspettavo una tua visita » replicò nervosamente.
« Ti avrei chiamato ma non hai mai risposto alle mie telefonate » le fece notare caustico.
Con un certo compiacimento notò che era arrossita e strusciava i piedi per terra per l’imbarazzo.
« Uh, ecco… Non so bene che dire. Non sono molto in vena di conversazioni ultimamente » balbettò a disagio.
Naozumi inarcò un sopracciglio.
«  Allora? »
« Allora cosa? » gli rispose lei con lo sguardo vacuo di chi ancora non si rende bene conto della situazione.
« Mi fai entrare? »
« Oh » mormorò lei, gettando un’occhiata nervosa alle spalle. « Non credo che sia il momento migliore, sai. Ho un sacco di cose da fare… Magari potresti passare un’altra volta? »
Non lo guardava in faccia e si mordeva il labbro.
Avrebbe voluto prenderla per le spalle e scuoterla fino a farle urlare di smetterla. Farla arrabbiare o almeno innervosire. Tutto perché fosse di nuovo la donna energica che conosceva e non l’ombra di se stessa. Non le rispose, varcando la soglia con la forza e costringendola a farsi da parte.
« Ehi! » protestò indignata.
Per un fuggevole istante provò il piacevole tepore di essere di nuovo a casa. Poi ricordò il motivo per cui si trovava lì e quella sensazione benefica scomparve, mentre i suoi occhi si soffermavano su alcuni dettagli stonati della stanza.
I libri di diritto ammucchiati in ordine sparso sul tavolo della cucina, invece di essere riposti con ordine quasi maniacale nella libreria in noce poco distante. O il cartone di pizza appoggiato sul divano, in un precario equilibrio.
Aggrottò le sopracciglia, fissando Fuka con aria di scherno.
« Credevo che fossi contraria all’idea di mangiare schifezze ».
Se possibile, divenne ancora più rossa.
« Be’, come dici sempre tu, uno strappo alla regola una volta ogni tanto non ha mai ucciso nessuno » rispose cercando di darsi un tono. « Piuttosto sai che entrare in casa di altri senza il loro permesso contempla una violazione di domicilio? »
Arricciò appena le labbra, dedicandole uno sguardo intenso.
« Fino a poco fa questa era casa mia ».
Fuka incassò la testa nelle spalle. Nel vederla così, fragile in quel maglione grigio che le cadeva largo sui fianchi, Naozumi provò una fitta di colpa.
Ma dovevo dirlo, Matsui. Non puoi fuggirmi per sempre.
 « Fuka-chan.. » mormorò facendo un passo in avanti.
« Fermo » lo interruppe lei, incrociando le braccia sul petto. « Resta dove sei. Anzi meglio, vattene direttamente, non abbiamo niente da dirci…»
« Dobbiamo parlare, invece. Ho il diritto di sapere perché non vuoi più avere a che fare con me » replicò duro.
La compassione era scomparsa rapidamente come era sorta. Non capiva che cosa stava succedendo, né perché dal giorno alla notte la donna che amava si fosse trasformata in un’estranea.
Che cosa ho fatto di così terribile da farti allontanare così? E senza nemmeno accorgermene, per giunta.
« Ti ho detto che non ho spiegazioni da dare. Non voglio più stare con te, è un concetto così difficile da capire? » chiese con voce stridula.
Non lo guardava negli occhi, il suo viso era appuntato su un punto imprecisato nella parete spoglia alle sue spalle. Non avrebbe saputo dire se fosse il fatto che non lo fissava in faccia o le oscenità che sentiva uscire dalla sua bocca a dargli più fastidio.
« Si può sapere che accidenti ti prende? » sbottò trattenendo a fatica l’impulso di mettersi le mani fra i capelli.
Avanzò di un altro passo e i loro sguardi si incrociarono prima che Fuka arretrasse come terrorizzata.
« Fuka-chan! » esclamò riducendo la distanza fino a costringerla spalle a muro. « Guardami ».
Era come tentare di avvicinare un animale selvatico. Nonostante la distanza si fosse ridotta la sentiva sempre più lontana.
Matsui continuava ad evitare il suo sguardo. Le sollevò il mento delicatamente. Si accorse che tremava sotto il suo tocco.
« Puoi dirmi quale è il problema? Ho provato a rifletterci ma ti giuro che non capisco…»
Fuka socchiuse gli occhi e per un istante credette che lo avrebbe scacciato di nuovo.
« Io » rispose in un soffio prima di scoppiare in singhiozzi. « Sono io, il problema ».
Gli si gettò contro con un impeto che Naozumi temette che sarebbero finiti per terra. Il pensiero passò in secondo piano nel momento in cui realizzò di averla di nuovo fra le braccia.
Finalmente.
 « Shhh » mormorò accarezzandole la schiena. « Non devi nemmeno pensarle, certe cose ».
« Invece sì » rispose con la voce rotta dai singhiozzi. « Non posso darti quello che vuoi… »
« Shhh » ripeté socchiudendo gli occhi.
Non sapeva quale labbra fossero state a cercare le altre, né gli importava. Si ritrovò a sollevare il suo corpo esile fra le braccia e percorrere la stanza con una strana impazienza. La adagiò sul divano e il cartone della pizza si accartocciò sotto di loro. Fuka gli aveva allacciato le braccia intorno al collo e lo stringeva come se non volesse più farlo andare via.
Fa’ che sia così, ti prego. Fa’ che non mi mandi più via.
Pochi istanti dopo i vestiti caddero a terra e Naozumi, semplicemente, smise di pensare.
 
 
***
 
Se ne era andata.
Credeva che sarebbe stato lui a farlo, invece questa volta Kurata lo aveva anticipato.
Hayama rimase a lungo sotto il gazebo.
 Il sole era tramontato da un pezzo quando si riscosse da quel suo torpore. Eppure nell’aria aleggiava ancora l’odore dei gelsomini.

                                                                                                                                     
***
 

Fuka fissava il torace di Naozumi alzarsi e abbassarsi ritmicamente al ritmo del suo respiro.
Si era addormentato sul divano, come un bambino.
Che cosa ho fatto?
Si vestì alla rinfusa, attenta a non fare il minimo rumore.
Sto scappando. Di nuovo.
Il senso di colpa era simile a una spina nel fianco. Fissò un ultimo istante il viso rilassato di Kamura, i capelli scomposti che gli ricadevano sugli occhi, un braccio alzato come per ripararsi dalla luce della lampada.
Lui era bellissimo e lei tremendamente inadeguata.
Aveva la nausea e le pareva che le pareti le si stringessero attorno. Afferrò il cappotto e aprì il portone senza nemmeno infilarlo.
Mentre si inoltrava a caso per le stradine di Tokyo si chiese quanto ancora sarebbe riuscita a resistere prima di crollare miseramente al suolo.
 
 
 


Ciao a tutti!
Sono secoli che non aggiorno ma non mi sono dimenticata di questa ff. Capitolo un po’ strano, che parte in modo da far quasi sperare in un lieto fine e invece riporta al punto di partenza. Sorry per le false speranze, per farmi perdonare vi anticipo qualcosa del prossimo capitolo: ospedale. E non aggiungo altro u.u
Un grazie speciale a chi sopporta i miei ritardi e in modo particolare a: Pam17, ryanforever, jeess, ilapietro91, stupida_un_po, _Do not stop Believin, Dramee, brenda the best, sabry92 e Jecchan92 che hanno commentato lo scorso capitolo.
Un grosso bacio e alla prossima
Ely

 
 
 
 
 

 

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: Elpis