Recitativo
e Aria:
Lascia
ch’io pianga
Yayoi
prese il
termometro dalle labbra di Hikaru, e controllò la
temperatura: trentotto e
mezzo. Sospirò, guardando il bimbo muoversi leggermente, con
espressione
contrita.
-Beh,
almeno
adesso posso confermare che non sta bene.-
Sanae
rimase
sull’uscio della camera, tenendo Kumo tra le braccia.
La
madre
accarezzò la guancia del figlio, sentendola bollente;
sospirò, bisbigliando al
bambino, nonostante sapesse che lui non le avrebbe risposto.
-Sei
un testone.
Proprio come papà.-
Si
alzò
lentamente dal letto, dirigendosi fuori dalla camera, Sanae la
seguì in
silenzio con il micio in braccio, che dormiva tranquillo.
Si
spostarono al
bagno, dove Yayoi aprì l’armadietto dietro lo
specchio, controllando i
medicinali che aveva con sé; frugò per qualche
minuto, e poi prese delle
pastiglie, richiudendo il piccolo mobile con un secondo sospiro,
attirando
l’attenzione dell’amica.
-Tutto
bene?-
-Non
ho
antiinfiammatori adatti a lui, solo un antistaminico che
però non ha molto
effetto; potrei passare in clinica a prendere qualcosa …-
-Ci
penso io a
lui. Oppure puoi mandare me e tu resti con Hikaru.-
-Te
la
sentiresti davvero?-
Sanae
sorrise
divertita, continuando a tenere Kumo in braccio.
-Mamma,
ti
ricordo che ho la tua stessa età, posso cavarmela benissimo.-
A
quel punto
Yayoi si lasciò andare ad un sorriso sollevato, uscendo
fuori dal bagno per
dirigersi nel piccolo salotto, prendendo carta e penna e iniziando a
scribacchiare sul Kotatsu vicino al divano.
-Parla
con il
desk e digli che ti mando io, e che devi farti dare dei medicinali dal
dottor
Guffred; probabilmente dovrai aspettare un pochino, ma appena ti riceve
dagli
questo foglietto e la mia tessera sanitaria. Al resto ci
penserà lui.-
-Aspetta,
mi è
venuta in mente un’idea ancora più geniale.-
La
donna si
fermò dallo scrivere, guardando incuriosita
l’amica. Questa aveva
un’espressione furba sul volto.
-Perché
non
chiedi a Jun?-
Fino
a quel
momento la donna non aveva proprio pensato a quella
possibilità: fino ad ora,
infatti, aveva sempre curato da sola Hikaru.
Sanae
proseguì.
-In
fondo adesso
sa che ha un figlio, non pensi sia ora di fargli fare qualcosa a
riguardo,
oltre a passare il tempo a giocare con Hikaru?-
-Non
parlare in
questo modo.-
Usò
un tono duro
per richiamare l’amica, e questa rimase sorpresa: era raro
che Yayoi
rimbrottasse qualcuno, con Hikaru non ne aveva mai avuto effettivo
bisogno.
La
vide distogliere
lo sguardo e controllare quello che aveva scritto sul foglietto, prima
di
alzarsi dal Kotatsu per dirigersi al telefono
dell’appartamento.
A
quel punto
l’amica cercò di aggiustare il tiro di poco prima.
-Comunque
è la
soluzione migliore: tu ed io rimaniamo a casa per badare ad Hikaru, e
lui ci
raggiunge con le medicine.-
-Però
non so se
lavora tutto il giorno o no, potrebbe non farcela.-
-In
caso passo
io in clinica a prendere le medicine.-
Yayoi
era
davanti all’apparecchio telefonico, bigliettino in mano, ma
ancora non aveva
preso la cornetta e digitato il numero; Sanae, dietro di lei, avvertiva
la sua
tensione, tanto che le sue successive parole furono dette in un misto
di ansia
e fastidio.
-Dai
Ya-chan,
non mi sembra il momento di farsi venire delle paturnie a riguardo: qui
si
tratta di Hikaru con la febbre!-
L’immagine
di
suo figlio a letto risvegliò la donna, la quale si
voltò verso l’amica ed
annuì, prendendo dal cassetto del piccolo comò
l’agenda con tutti i numeri
telefonici.
-Spero
che Jun
usi ancora il suo vecchio numero.-
Afferrò
la
cornetta e l’appoggiò all’orecchio
digitando veloce il numero, non aveva avuto
nemmeno bisogno di frugare nel piccolo libricino. Lo ricordava ancora a
memoria.
Attese
qualche
momento, e poi sentì la linea libera, e già
questo la irrigidì leggermente; uno
squillo, poi il secondo, e alla fine il terzo. Solitamente
l’uomo rispondeva a
questo punto, ma appena sentì il quarto la donna ebbe il
dubbio che il numero
fosse sbagliato.
>Pronto?
La
voce
dell’uomo le irrigidì la schiena, le
mancò il fiato nel rispondergli.
-Pronto,
Jun?-
>…Yayoi?
Sorrise
leggermente, le faceva piacere sentire che l’aveva
riconosciuta. Tuttavia il
foglietto in mano la riportò alla realtà.
-Scusami
se ti
chiamo, stai lavorando?-
>In
questo
momento no, come mai? Che succede?
Provò
conforto
nel sentire che l’uomo s’interessava, e la
preoccupazione nei confronti di
Hikaru non l’attanagliò più come prima,
sentiva di poterla gestire.
-Hikaru
ha un
po’ di febbre, e io a casa non antiinfiammatori adatti alla
sua età. Potresti
prenderne dalla clinica al reparto di pediatria? Se non puoi venire
Sanae può
passare a prenderli.-
>No,
vengo
io.
Una
risposta
secca, con chiaro tono preoccupato. La donna poteva perfino vedere le
sopracciglia di Jun corrucciarsi leggermente in
un’espressione turbata.
>Cosa
devo
prendergli?
Yayoi
alzò il
foglietto con la piccola lista.
-Mi
servono dei
farmaci con ketoprofene o paracetamolo, e anche acido acetilsalicilico.-
>Ha
la
febbre? Quanto è alta?
Non
poteva
mentirgli, perché si sarebbe arrabbiato, ma aveva la
sensazione che se glielo
avesse detto lo avrebbe messo in ansia. Vale a dire che si sarebbe
dovuta
prendere cura non solo di suo figlio, ma anche di un altro bambino;
prese un
respiro.
-Trentotto
e
mezzo, probabilmente ha l’influenza.-
>Dici
che è a
causa di ieri?
-Anche,
ma
questi sono stati giorni molto emozionanti, probabilmente si
è molto stancato e
un suo compagno d’asilo lo ha contagiato, capita ai bambini
di quell’età.-
>Si
certo,
capisco.
Non
era per
niente tranquillo, lo si capiva chiaramente. Yayoi si voltò
a guardare Sanae, e
questa le parlò con il labbiale.
“Fallo
venire
qui.”
La
rossa
spalancò gli occhi e scosse leggermente la testa, ma
l’altra insistette.
Kumo,
intanto,
si era svegliato tra le braccia della bruna, e muoveva la piccola coda
guardando la scena incuriosito.
“Digli
di
venire.”
“Sta
lavorando!”
“È
suo figlio,
fallo venire!”
Entrambe
sbuffarono quasi simultaneamente, per poi sorridere divertite mentre
Jun,
dall’altra parte del telefono, chiamava nuovamente la
ex-moglie.
>Yayoi?
Ci
sei?
-Si,
si Jun,
dimmi pure.-
>Passerò
con
le medicine tra un quarto d’ora.
-Ma
scusa, non
sei a lavoro?-
>Non
ti
preoccupare. Ci vediamo fra poco.
-No,
aspetta
Jun!-
Ma
l’uomo chiuse
la telefonata, e la donna si ritrovò a parlare con il suono
della chiamata
interrotta; sospirò, rimettendo a posto la cornetta mentre
Sanae lasciava
andare Kumo, sorridendo soddisfatta.
-E
allora?-
-…viene
qui
lui.-
-Bene!
Visto? Non
era così difficile.-
L’occhiata
che
la rossa lanciò all’amica era più che
eloquente, scuotendo leggermente il capo
e riponendo la piccola agenda nel comò del telefono.
Sanae
buttò
l’occhio dentro il cassetto, e notò qualcosa,
parlando all’amica.
-Ce
le hai
ancora tu?-
L’altra
non si
girò a guardarla, sapeva bene a cosa si riferiva:
lentamente, prese dal
cassetto la piccola scatolina di legno laccato, oramai al posto del
vaso aveva
spostato il telefono, per comodità, ma
quell’oggetto era rimasto al suo posto.
Lo aprì, guardandone il contenuto.
Dentro
la
scatola era foderata di nero, e al suo interno riposavano le fedi
nuziali.
-Ho
preferito
tenermele io, sono sicura che lui le avrebbe buttate.-
-O
magari le
avrebbe conservate come te.-
-Nah,
non credo:
lui non è tipo da guardare al passato.-
Sanae
avrebbe
voluto dirle “Ne sei sicura? Se così fosse non si
sarebbe interessato a te o ad
Hikaru.”, ma questo tipo di aggressione alla donna
l’avrebbe solo fatta
chiudere in sé, pertanto si passò una mano sulla
labbra, trattenendosi mentre
vedeva l’amica richiudere la piccola scatola e rimetterla
dentro il comò,
dirigendosi alla cucina per preparare la bacinella con
l’acqua fredda.
Almirena:
Armida
dispietata!
Colla
forza d’abbisso rapirmi
Al
caro ciel de’ miei contenti!
E
quì con duolo eterno
Viva
mi tieni in tormentoso inferno!
Argante:
Non
funestar, oh bella,
di
due luci divine il dolce raggio,
che
per pietà mi sento il cor frangere.
Yayoi
sentì il
campanello dell’ingresso suonare mezz’ora dopo, e
si alzò di scatto. Era seduta
accanto al letto di Hikaru, monitorando il suo stato di salute; Sanae,
invece,
sbucò dal salotto, era intenta a leggere un libro, con Kumo
lì accanto a lei.
-Vuoi
che vada
ad aprire io?-
La
donna si
liscò la gonna che stava indossando, ma non si
avvicinò all’ingresso, annuendo
all’amica; questa prese un respiro, appoggiando il libro in
modo da non perdere
il segno, sistemandosi i jeans e andando ad aprire la porta
d’ingresso,
parlando a bassa voce.
-Ciao
Jun.-
-Sanae,
ciao.
Come sta Hikaru?-
-Tutto
tranquillo, Yayoi è con lui nella sua cameretta. Prego,
entra.-
-Ah,
grazie.-
Istintivamente
Aoba sbirciò dalla porta della camera, notando
l’uomo entrare in casa e
poggiare a terra un sacchetto bianco, sicuramente conteneva i
medicinali per il
bambino; si tolse le scarpe e il giaccone, salendo sullo scalino
dell’ingresso
e abbandonando la borsa sul pavimento, recuperando il sacchetto mentre
Sanae
gl’indicava la stanza di Hikaru.
Yayoi
si nascose,
e poi si diede mentalmente della stupida; prese un respiro profondo e
tornò dal
bambino, bagnandogli la pezza con acqua fresca.
Il
piccolo
ancora non aveva sudato, e di sicuro la temperatura si stava alzando;
gli
accarezzò una guancia con il dorso delle dita, spostandogli
una ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
Sentì
Jun
affacciarsi all’uscio, e il suo bisbiglio, per un momento, le
contorse lo
stomaco, obbligandola a restare ferma per prendere fiato, spingendolo a
chiamarla una seconda volta.
-Yayoi.-
Si
voltò, e la
prima cosa che notò fu che l’uomo aveva corso, o
quanto meno si era affannato:
aveva i capelli scompigliati e l’aria affaticata mentre
restava sull’uscio
della camera, come incapace di entrare.
-Ciao.-
-Ciao.-
-Scusa
il
ritardo.-
-Figurati.-
-Come
sta?-
La
donna si alzò
lentamente, facendo cenno all’uomo di sedersi al suo posto
mentre gli parlava a
bassa voce; questo non sembrava aspettare altro, entrando e sedendosi
sul
picccolo sgabello, lasciando a terra il sacchetto con i medicinali.
-Stavo
per
controllargli di nuovo la febbre. Per il momento dorme, ma non riesce
ancora a
sudare.-
-Non
gli hai
fatto prendere niente?-
-Per
ora gli ho
dato una piccola dose di antiinfiammatorio che avevo io, ma temo sia
troppo
forte per lui. Hai preso quello che ti ho chiesto?-
-Ah
si.-
L’uomo
si sporse
sul sacchetto, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla donna mentre
controllava
per l’ennesima volta che avesse preso tutto il necessario.
-Ho
trovato il
ketoprofene solo in supposte, mentre il paracetamolo e
l’acetisalicilico sono
in bustine solubili.-
-Va
benissimo,
ti ringrazio.-
-Ah,
senti …-
La
donna si
voltò a guardarlo mentre prendeva il sacchetto, per portarlo
in bagno. L’uomo
era visibilmente imbarazzato.
-Ti
… ti
dispiace se rimango? Sono preoccupato per Hikaru.-
-E
per il
lavoro?-
-Mi
sono fatto
dare il resto della giornata. Ti da fastidio?-
Erano
quelle
piccole e sincere richieste, quei gesti un po’ pazzi che
riempivano il cuore di
Yayoi, e la donna sorrise intenerita, scuotendo leggermente il capo.
-No,
anzi. Ti
ringrazio molto.-
Si
allontanò
dalla camera rasserenata, andando in bagno e mettendo in ordine i
medicinali
dentro il mobile mentre Sanae si sporgeva sull’uscio,
parlandole con il
labbiale.
“Visto?”
L’altra
la
guardò di sbieco, per poi spostarsi in cucina per preparare
qualcosa da
mangiare per tutti e tre, e anche per il gatto, al quale non fu
permesso di
entrare nella stanza di Hikaru.
Questo,
sul
letto, apparentemente sembrava dormire tranquillo, ma ad ogni suo
movimento,
anche il più leggero, Jun scattava come una molla,
visibilmente preoccupato. Ma
era comprensibile: non gli era mai capitato di doversi occupare di
qualcun
altro in quel modo, e in questo caso si trattava niente meno che di suo
figlio.
Di colpo tutta la sua conoscenza medica scomparve dalla sua mente, si
era fatta
tabula rasa mentre la donna, la contrario, sapeva sempre esattamente
cosa fare,
istruendo l’uomo a dovere.
-Cambia
l’acqua
in cucina, metticene di fresca.-
-Si,
va bene.-
-Direi
che
possiamo provargli a dargli un po’ di paracetamolo. Solo
mezza bustina però.-
-Faccio
subito.-
-Ha
un po’ di
sete, occhio a non farlo sbrodolare.-
-Si,
certo.-
-Non
ti
preoccupare, si agita molto quando dorme.-
-Ah,
ok.-
Sanae,
ogni
tanto, sbirciava dall’uscio della stanza, e senza farsi
vedere dall’uomo
scambiava occhiate divertite con l’amica, che
all’inizio la rimproverava con lo
sguardo, per poi cominciare a sorridere; anche se la situazione era
delicata,
allo stesso tempo c’era un equilibrio tale da permettere
momenti di sorriso.
E
poi, ad un
tratto, la donna dai capelli corti si fece avanti.
-Senti
Yayoi,
visto che ci siete voi due io ne approfitto per andare a fare spese, ti
da
fastidio?-
-No,
figurati
Sanae. Se puoi prendi qualcosa per stasera.-
-Lascia
fare a
me, ci vediamo dopo.-
-A
dopo.-
-Ciao
Jun.-
-…
ah ciao
Sanae.-
Ma
questa si era
già chiusa la porta alle spalle, e i due ex coniugi si
ritrovarono da soli a
badare a loro figlio.
La
donna guardò
di sfuggita l’uomo e sorrise, attirando
l’attenzione dell’altro, il quale si
rese conto della situazione e ricambiò
l’espressione.
-E
così, ora,
sei sola a badare a due bimbi invece di uno solo, eh?-
-Già,
ma è molto
divertente.-
Ridacchiarono,
e
poi si zittirono di nuovo, tornando a concentrarsi sul bambino, che
sembrava
riposare con più tranquillità, a giudicare dal
respiro dormiva profondamente.
Istintivamente
Yayoi gli prese una piccola mano, accarezzandogli il dorso con il
pollice, per
poi rivolgersi a Jun.
-Fallo
anche tu,
lo rilassa.-
L’uomo
rimase
sorpreso dalla richiesta ma alla fine, timidamente, allungò
una mano, prendendo
quella di Hikaru e iniziando, molto timidamente, ad accarezzare il
dorso della
mano; la donna guardò in silenzio la scena, osservando
attenta la differenza
fra la grande mano del padre e quella piccola del figlio, sorridendo
intenerita.
-Hai
davvero le
mani enormi.-
Jun
lanciò un’occhiata
alla donna, per poi osservare anche lui la differenza di dimensione. E
sorrise.
-Ricordo
che,
quando ero piccolo e stavo male, mia madre mi prendeva sempre per mano.-
-Un
bambino
guarisce più facilmente se ha accanto la presenza del
genitore: lo fa sentire
protetto.-
-Questo
te lo ha
detto Matilde?-
Yayoi
ridacchiò
leggermente alla battuta mentre Jun guardava prima lei e poi la sua
mano su
quella di Hikaru.
-Si
è ammalato
spesso?-
La
donna
continuò a sorridere tranquilla.
-Si,
ma è
normale per i bambini, anzi io sono convinta che sia meglio per loro
ammallarsi, per permettere agl’anticorpi di svilupparsi.
È il corso naturale
della vita.-
-Mi
fai venire in
mente quella volta all’università, in biblioteca,
che abbiamo avuto quella
discussione a proposito della medicina omeopatica, ricordi?-
Yayoi
spalancò
gli occhi sorpresa, per poi portarsi una mano alla bocca.
-Ah
si, è vero!-
-Io
ricordo che
abbiamo discusso talmente tanto che il bibliotecario ci ha cacciato
fuori.-
-Eravamo
completamente opposti di idee, e quasi non ci parlavamo più.-
Allora
la
situazione fu così spinosa che minacciò
effettivamente la relazione dei due, ma
adesso nel ricordarlo entrambi ridacchiarono cercando di non fare
rumore,
continuando a tenere le mani del bambino addormentato.
-Alla
fine,
però, abbiamo fatto pace.-
-Si,
è vero: ci
siamo guardati negl’occhi e ci siamo detti che non valeva la
pena litigare per
quello.-
-Già.-
Non
si dissero
altro, anche perché dopo aver fatto pace avevano fatto
… altro.
Jun
cercò di
riportare il discorso sull’argomento di prima, osservando la
mano di Yayoi
stretta su quella di Hikaru.
-Invece,
ora che
guardo, le tue mani e quelle di Hikaru si assomigliano, avete lo stesso
colore
di pelle.-
-Beh,
però ha il
tuo volto, sembra te da piccolo.-
-A
proposito,
ieri sera ho trovato una foto di noi due da bambini, quando abbiamo
vinto la
corsa a tre gambe.-
-Davvero?!
Che
bello, temevo di aver perso quella foto!-
Il
sorriso
entusiasta di Yayoi spinse Jun a parlarle anche delle altre foto che
aveva
ritrovato, quelle riguardanti i loro anni delle elementari, medie e
liceo,
compreso gli anni delle Nazionali e successivi, inerenti
all’università. (Ovviamente
Jun non accennò alle foto che Sanae gli aveva dato)
-Ti
devo
ringraziare: in fondo è merito tuo se ho ritrovato quelle
foto.-
-Ma
figurati, mi
sembrava giusto restituirtele, riguardano la tua vita.-
All’uomo
sarebbe
piaciuto sapere e ricordare anche la vita della donna, quegli scatti
dove lui
non era presente.
-E
tu? Hai
qualche foto di te con le altre ragazze?-
-Ah
si, ne ho
qualcuna.-
-Dopo,
semmai,
mi piacerebbe vederle.-
-…
volentieri.-
Si
scambiarono
una lunga occhiata.
Jun
era là,
davanti a Yayoi.
Alla
donna sarebbe
piaciuto tanto … non sapeva nemmeno lei: dal parlargli per
tutto il tempo al
semplicemente abbracciarlo e dirgli … che le era mancato
tremendamente; invece
prese un profono respiro e distolse lo sguardo, cambiando argomento.
-E
da tua madre?
Com’è andata, come sta?-
Almirena:
Signor,
deh!
Per
pietà, lasciami piangere!
Argante:
Oscura
questo pianto il bel fuoco d’amor,
ch’in
me s’accese per te, mia cara.
Almirena:
In
questi lacci avolta,
non
è il mio cuor soggetto d’un amoroso affetto
L’uomo
ripensò
alle ultime parole scambiate con la madre, e si rese conto
dell’effettivo
rapporto tra la signora Misugi e Yayoi davanti a lui.
-…
sta bene, ma
sono certo di avergli fatto venire un infarto quando gli ho detto che
ero
padre.-
La
giovane
donna, alla confessione, annuì gravemente, voltandosi verso
il volto del
figlio, usando la mano libera per accarezzargli il volto; era ancora
caldo, ma
almeno non scottava come quella mattina.
-…
la mia scelta
di non dire niente immagino non deve’esserle piaciuta.-
-Non
ti saprei
dire, quando gliel’ho detto ero di fretta perché
volevo raggiungerti.-
Le
sue parole
provocarono un certo imbarazzo e piacere nella donna, ma
l’uomo non ci fece
caso, dato che era entrato nella parte più importante del
suo monologo.
-Anche
perché,
dopo il modo in cui ha parlato di te, preferisco che davvero gli pigli
un
infarto.-
-Ma
che dici!
Povera signora Misugi.-
-Povera
un
corno, perché non mi hai detto che avevi dei problemi con
lei?-
-Perché
non ne avevo,
semplicemente avevamo pensieri diversi.-
-Ma
sentitela, “pensieri
diversi”!-
-Non
alzare la
voce.-
L’uomo
dovette
stare zitto, l’ultima frase gli ricordò che era
lì perché suo figlio stava
male. Però continuò la sua arringa, bisbigliando.
-E
sentiamo, di
quali “pensieri” parli?-
La
donna non
rispose subito, rivolgendo lo sguardo al figlio.
-…
tua madre era
convinta che io ti spingessi a rischiare la tua salute dopo
l’operazione, ma io
le ho sempre spiegato che, dal punto di vista medico, tu eri guarito.-
-Tzé,
sempre la
solita.-
-Dai,
non
sgridarla, lei era sinceramente preoccupata per te.-
-Questo
però non
significa che tu sei un mostro con tre teste che vuole uccidermi!-
-Jun!-
-Scusami.-
Hikaru
si mosse
leggermente, e la donna lanciò un’occhiata
all’uomo, che si scusò con un cenno
del capo; Yayoi si alzò velocemente, sistemando le coperte
al figlio, il quale
lasciò la presa del padre, sistemandosi meglio e
ricominciando a dormire
profondamente. Poi prese la bacinella e fece cenno a Jun di seguirla,
dirigendosi in cucina.
Lui
cercò di
giustificarsi con la frase di prima.
-Voglio
dire, tu
mi conosci bene, sapevi qual’era il mio stato di salute,
poteva fidarsi di te.-
-Una
madre è
sempre una madre, anche se qualcuno gli dice che va tutto bene
sarà sempre
preoccupata per suo figlio. Per me è lo stesso con Hikaru.-
-Si,
ma tu non
vuoi tenerlo segregato in casa!-
-Tua
madre non
ha mai inteso questo.-
-Dici?-
-Insomma
Jun,
lei è tua madre, e ti ama molto, per questo fa
così.-
-Anche
tu mi
amavi molto, no?-
-Certo!-
E
poi, di colpo,
entrambi si bloccarono.
Yayoi
arrossì
per prima, e si tappò la mano con la bocca, arrossendo
così tanto da diventare
dello stesso colore dei capelli; anche Jun arrossì, e
distolse lo sguardo
passandosi una mano in faccia. Entrambi si chiesero “ma come
mi è venuto in
mente?!”, e poi si guardarono intimiditi.
Il
primo a
mettersi a ridere fu Jun, e la donna si sentì ancora
più in imbarazzo.
-Che
c’è?-
-Sei
… sei
paonazza, hai lo stesso colore dei tuoi capelli.-
Lei
ci pensò su,
e cominciò a ridere a sua volta. E risero di gusto.
-Per
noi due
litigare è sempre stato strano.-
-Già,
non
sapevamo mai cosa sarebbe uscito fuori, come ora.-
Pian
piano si
calmarono, e Yayoi versò dell’acqua in due
bicchieri, offrendone uno a Jun per
aiutarlo a calmarsi. Aspettarono qualche momento in silenzio, e poi la
donna
tornò seria.
-Comunque
Jun,
sul serio: lei ti vuole davvero bene, non trattarla così.-
-Però
non posso
sopportare il suo modo di fare, né che lei ti abbia offeso
in qualche maniera.-
-Ti
assicuro che
non mi ha mai offeso in nessun modo.-
-Spero
bene.-
Lui
restituì il
bicchiere, e lei lo poggiò nel lavabo, pronta a tornare dal
figlio, quando Jun
prese la palla al balzo.
-Ah,
a
proposito.-
-Si?-
Lo
vide incerto
per qualche momento, e s’incuriosì; da parte sua,
l’uomo non sapeva proprio
come iniziare il discorso, ma sapeva che quella era una buona occasione
per
saperne di più. Rischiava di non aver più
un’occasione simile.
-Ascolta
… a
proposito di madri …-
Un
brivido scese
lungo la schiena di Yayoi, ma la donna sentì che non provava
panico o disagio.
-Vuoi
sapere
della mia?-
-…
Matilde mi ha
accennato che hai avuto problemi, ma più di questo non mi ha
detto.-
Non
era
arrabbiata con la pisocologa, anzi forse doveva ringraziarla: se non
avesse
messo la pulce nell’orecchio a Jun, probabilmente non avrebbe
mai avuto modo di
parlarne.
Gli
fece cenno
di seguirla, e si spostarono nel corridoio, lì dove
c’era il comò con il
telefono; la donna aprì il cassetto, tirando fuori la
scatola laccata e
frugando mentre l’uomo rimase incuriosito da
quell’oggetto, gli sembrava
familiare.
Non
fece in
tempo a ricordare: Yayoi trovò quello che cercava e rimise
la scatolina al suo
posto, passando una foto a Jun. Era quella che aveva mostrato a Matilde.
L’uomo
all’inizio
rimase affascinato da quella bimba, il suo aspetto ricordava una
bambolina di
porcellana; poi rivolse l’attenzione alla signora Aoba, e si
rese conto che
tutta la bellezza di Yayoi era stata ereditata da quella donna. Alla
fine,
però, si rese conto dell’effettiva differenza
fisica: per quanto fosse simile
alla madre, infatti, non aveva gli stessi colori di occhi e capelli. E
sicuramente la piccola non assomigliava al padre.
Non
se n’era mai
accorto prima, forse perché aveva sempre trovato nel signor
Aoba lo stesso
atteggiamento gentile della donna; questa, intanto, si era allontanata,
tornando in camera del figlio, accarezzandogli il volto e sentendolo
ancora
caldo.
Sentì
l’uomo
avvicinarsi alla camera, restando però sull’uscio,
la foto ancora tra le mani.
-...
hanno
divorziato come noi?-
Yayoi
sorrise
amara, sarebbe stato davvero incredibile se, proprio come loro, anche i
suoi
genitori fossero divorziati, sarebbe stata una ripetizione di eventi
clamorosa;
ma lei scosse il capo, parlando a bassa voce.
-Quando
si
scoprì che mia madre era incinta Mamoru la sposò
ugualmente: l’amava, ed era
promesso a lei.-
-…
e tuo padre?-
-Se
ne andò alla
stessa velocità con cui era apparso.-
Lo
disse secca,
infastidita solo al sentirlo nominare.
Jun
si fece
avanti, avvicinandosi alla donna e guardandola negl’occhi,
lei aveva ancora
quell’espressione amara e infastidita, gl’angoli
della bocca che curvavano in
basso e gli occhi leggermente stretti, la pupilla nera era enorme su
quelle
iridi castane.
Argante:
Tu,
del mio cor Reina con dispotico impero,
puoi
dar legge a quest’alma.
Almirena:
Ah!
Non è vero.
Argante:
Vuoi
che questo ferro t’apra il varco a quel seno,
ove
il mio cor trapassi?
Almirena:
Ah!
Nò, tanto non chiedo;
eh!
Ma se m’amassi!
-E
poi? Che
accadde?-
S’inginocchiò
lì
di fronte e le posò, senza pensarci, una mano sopra le sue,
ma lei non distolse
lo sguardo, sciogliendo il fastidio e restando con
l’amarezza, quegl’occhi così
scuri e profondi brillavano, ora, di tristezza.
Prese
un respiro
profondo, il suo petto si alzò leggermente, per poi parlare
con un filo di
voce, rauca.
-Mia
madre …
cadde in depressione post parto, ma nessuno voleva aiutarla,
considerandola una
… una donna non fedele.-
Fedifraga.
Ricordava
ancora
bene quel giorno, quando sua madre litigò con i suoi parenti
e quelli di Mamoru,
subito dopo aver fatto la foto che Jun teneva tra le mani.
Con
una
scusa,Yayoi era stata portata in un’altra stanza, ma le urla
l’avevano
incuriosita, e si era avvicinata alla sala, facendo un piccolo buco
nella
parete di carta di riso e sbirciando da lì; vide sua madre
alzarsi in piedi, i
capelli scomposti dall’acconciatura, e gridava con tutta la
sua forza contro
gli altri. Tuttavia le sue urla non sembrarono fare differenza,
perché un dito
di donna fu puntato contro di lei, e la parola risuonò
violenta.
“-Tu
sei solo una fedifraga,
e sia tu che quella bastarda dovete andarvene!-”
La
violenza di
quelle parole fu tale che ancora adesso, nel ricordarle, Yayoi scosse
leggermente le spalle, e chiuse gli occhi, passandoci sopra la mano
mentre
cercava di riprendersi; quella volta, nel sentire questo, non aveva
avuto
nemmeno la forza di piangere, anche perché sua madre aveva
risposto con
altrettanti insulti, affermando che era pronta ad andarsene.
Quando
aprì la
porta e si vide la bambina davanti, per un istante Yayoi era stata
certa che la
madre avesse cercato di ucciderla con lo sguardo, per poi calmarsi e
prenderla
in braccio, portandosela in camera in assoluto silenzio.
-Yayoi.-
Jun
strinse
leggermente la sua presa sulla mano libera della donna, e questa gli
mostrò di
nuovo gli occhi, senza però riuscire a sorridere, sulle sue
spalle sentiva non
solo il peso del suo passato, ma anche delle conseguenze di quel
segreto,
celato all’uomo davanti a lei.
E
dire che aveva
sempre detto di amarlo, come aveva potuto non dirgli niente? Possibile
che non
si fosse mai fidata di lui?
-Alla
fine, a
causa delle mancate cure, si è tolta la vita.-
Cercava
di
parlarne in modo serio, composto, addirittura professionale. Doveva
dirglielo,
ma non aveva bisogno di mostrare chissà quale debolezza,
dopotutto erano
passati anni, oramai non ne soffriva più o almeno questo si
diceva.
Ma
Jun strinse
più forte la mano, e guardò quasi con cattiveria
la donna seduta lì di fronte,
arrivando ad alzarsi in piedi e ad avvicinare il suo volto a quello di
lei, per
meglio far penetrare il suo sguardo.
-Non
provare a
fare la furba, Yayoi. Non volevi essere sempre sincera con me?-
-Infatti
lo
sono.-
-No,
non lo sei.
Non mi stai dicendo le cose come stanno.-
-Mia
madre è
morta, è un dato di fatto. Ed è un dato di fatto
che è dovuto dalla
depressione.-
-Non
m’interessa
il parere di un’infermiera, voglio sentire Yayoi.-
-E
che cosa
dovrei dirti? Di come mia madre, ogni giorno, mi raccontava di un uomo
che per me
non esiste?-
Parlavano
entrambi a bassa voce, sussurrando, ma la rabbia crescente della donna
era
evidente, e pian piano le sue parole cominciarono a correre nella sua
bocca
mentre si alzava in piedi, affrontando senza remora l’uomo
che aveva di fronte.
-Di
come lei mi
raccontava fino alla nausea il giorno in cui si erano conosciuti? Il
fatto che
mi ha sempre detto che Mamoru non era mio padre, o il fatto che lei non
voleva
farmi uscire di casa, fino a farmi saltare l’asilo? O come
lei mi considerava
prima un effetto collaterale, per poi diventare possessiva nei miei
confronti?-
C’erano
giorni
in cui sua madre la ignorava completamente, fino a quasi spingerla via
se si
avvicinava troppo, o facendola morire di fame quando era più
piccola, perché
non l’allattava, almeno così l’era stato
detto da suo padre e il parentado;
poi, quando era diventata più grande, la donna aveva
cominciato a considerarla
come un’arma, contro Mamoru e i loro parenti, o come il
prezioso ricordo di
quel suo grande amore.
Qualsiasi
cosa,
tranne pensarla come sua figlia.
-Vuoi
che ti
dica di come, quel giorno, ha deciso d’impiccarsi sul
ciliegio di casa? Di
come, per una volta, mi ha trattato come figlia per poi abbandonarmi?!
Vuoi che
ti parli di questo?!-
Per
non urlare
aveva ricacciato tutta la voce in gola fino a diventare davvero rauca,
anche
perché il nodo che, per anni, aveva tenuto in gola, stava
pericolosamente
uscendo fuori, e un semplice pianto non sarebbe bastato a scioglierlo;
Jun lo
intuiva, e per questo si stava preparando, aprendo leggermente le
braccia per
meglio accogliere quello che sarebbe arrivato.
-Si.
Voglio che
tu mi dica tutto questo.-
Per
qualche
secondo Yayoi rimase sconvolta: una risposta del genere non se
l’aspettava
dall’uomo di fronte a lei, era quasi sicura che, con quella
sparata, lo avrebbe
spinto alla ritirata; invece era là che le aveva risposto in
quel modo, e nella
sua visione vagamente distorta gli sembrava che Jun, sul suo volto,
stesse
formando un sorriso di scherno.
No,
questo non
poteva sopportarlo!
-Brutto
stronzo!-
Lo
disse
convinta, andandogli addosso con i pugni, e Jun gli afferrò
i polsi senza
problemi, sentendola però dibattersi e spingerlo, cercando
di fargli perdere
l’equilibrio.
Poiché
erano
troppo vicini ad Hikaru, con il rischio di coinvolgerlo o svegliarlo,
l’uomo si
spostò, mollando subito dopo i polsi di Yayoi, la quale
quasi s’inginocchiò a
terra, tornando però all’assalto dell’ex
marito. Questo si era spinto verso la
parte più lontana della camera di Hikaru, lì dove
c’era l’armadio.
Litigavano,
eppure il rumore che emettevano era tale che Hikaru non pareva
disturbato,
limitandosi a dare loro la schiena e a dormire profondamente.
-Sei
solo un
bastardo, ti prendi gioco di me solo perché mi credi una
stupida debole!
Non
sai niente,
niente di me!-
Jun,
a quel
punto, si arrabbiò con Yayoi: era ovvio che non sapesse
niente di lei, non gli
aveva detto niente! Una cosa così importante non
gliel’aveva mai rivelata, un
po’ come la storia di Hikaru; era una brutta abitudine della
donna, e l’uomo
gliela voleva far passare una volta per tutte, con le buone o con le
cattive.
-Se
non so
niente è perché tu non mi hai mai voluto dire
niente! Mi hai sempre tenuto
nascosto tutto di te!-
-Ma
tu ti sei
mai interessato di me?! No!-
Stavolta
il
pugno sul petto Jun lo sentì fin troppo bene, e rabbioso le
afferrò nuovamente
i polsi; lei, però, era più combattiva di quanto
lui si aspettasse.
-Tu
non mi hai fatto
domande, non ti sei mai interessato, ti bastava che ti facessi
l’infermierina
per stare bene, ti bastava che qualcuno continuasse a pulirti il culo
come
quando avevi tre anni e stavi a posto, no?!-
La
volgarità era
dovuta alla rabbia, ma Jun non ci fece caso, quasi ringhiando rabbioso.
-Tu
però non ti
sei mai lamentata, in fondo ti piaceva non è vero?!-
-Stronzo!-
-Senti
chi
parla!-
La
fece indietreggiare,
girare e poggiare, malamente, spalle e schiena contro il muro accanto
all’armadio, uno spazio piccolo tra il mobile e
l’altra parete.
La
guardò
furioso, dritto negl’occhi.
-Potevi
dirmi
tutto, ogni cosa che ti dava fastidio, che non ti piaceva, che ti
faceva
arrabbiare.-
-Credi
che non
l’abbia mai fatto?!!-
C’era
mancato
molto poco che urlasse, e si morse le labbra guardando verso il cielo,
per poi
abbassare di nuovo il volume.
-Io
ti ho sempre
detto tutto, ma guarda caso tu non te lo ricordi, sempre appresso ai
tuoi
problemi personali e a quel cazzo di pallone da calcio.-
A
questa l’uomo
non riuscì a rispondere, e Yayoi parlò velenosa,
senza distogliere lo sguardo,
smettendola di combattere per la libertà, tenendo
però i pugni serrati.
-Jun
Misugi, tu
sei un viziato, egocentrico egoista, e io l’ho sempre saputo.
Eppure mai,
nemmeno per un momento di tutto il tempo passato insieme, ho pensato di
lasciarti.
È
vero, avrei
dovuto sgridarti, ma non sarei stata migliore di tua madre o del tuo
medico nel
dirti cosa fare o non fare; se poi l’avessi fatto, mi avresti
davvero
ascoltata? Tu ascolti solo chi vuoi tu.
Pertanto
ti ho
lasciato fare, e ho cercato in altri modi di mostrarti che un problema
al cuore
non ti avrebbe impedito di avere una vita sociale.
Tuttavia
non
puoi aspettarti da me la totale sincerità se tu non la
desideri per te stesso,
ti pare?-
Argante:
Della
mia fedeltate qual fia un pegno sicur?
Almirena:
La
libertate.
Argante:
Malagevol
commando!
Almirena:
Amor
mentito!
L’uomo
era
bloccato: da una parte sentiva l’urlo del suo orgoglio
spingerlo a reagire, a
rinfacciarle tutto quello che gli passava in testa. Ma
dall’altra sentiva una
voce nuova, che già da un po’ di tempo aveva
cominciato a parlare dentro di lui;
e quella voce gli stava dicendo che quella donna aveva ragione.
Yayoi
si mosse
per prima, appoggiando lentamente il suo capo al petto
dell’uomo, i pugni
avevano perso forza, e adesso le mani cadevano come morte sui polsi
stretti da
Jun; questo vide quella chioma rossa spargersi su di lui e
sentì, inoltre, il
respiro della donna farsi spezzettato.
La
donna parlò
tra i singhiozzi.
-Dio
… scusami,
scusami Jun … perché …
perché è tutto finito così? Noi
… noi non eravamo
felici? Non ero … non ero quella giusta per te? Io
… io volevo tanto …-
Pian
piano la
ragione ricominciò a farsi strada nel cervello spento di
lei, e si staccò dal
petto dell’uomo, distogliendo lo sguardo e cercando di
sciogliere, dolcemente,
la presa di lui sui suoi polsi; si vergognava profondamente, mostrargli
tutta
quella rabbia e debolezza, scaricargli tutto quello sporco quando lei,
per
prima, gli aveva sempre nascosto la verità.
Rivolse
l’attenzione
al figlio, nascosto da una spalla di Jun.
Hikaru,
adesso
doveva esserci solo Hikaru. Basta con quelle sciocchezze, quelle
speranze; suo
figlio doveva venire prima di tutto.
Tuttavia
l’uomo
non aveva sciolto la presa, e la donna si accorse, sorpresa, che lui
non si era
ancora allontanato.
Alzò
lo sguardo,
e rimase senza parole: tanto quanto lei l’uomo stava
piangendo, delle lacrime
stavano scorrendo dalle sue guance, e tutta la rabbia di prima si era
trasformata in un dolore palpabile, che avvertiva lei stessa.
-Anch’io
…
anch’io lo volevo Yayoi … ma … avevo
paura … ho sempre avuto paura.-
Come
lei. Proprio
come lei.
-Mi
dispiace …
mi dispiace così tanto … non sono …
non puoi perdonarmi …-
Alla
fine mollò
i polsi di Yayoi, e si vedeva chiaramente il segno del suo passaggio:
la pelle
si era arrossata vistosamente. Lui guardò quei segni con
tristezza, e abbassò
il capo sofferente, le lacrime continuavano ad uscirgli
dagl’occhi.
-…
ti perdono.-
Guardò
la donna,
anche lei non smetteva di piangere, le spalle scosse dai singhiozzi.
-Ti
perdono di
tutto. Troppe bugie, troppi errori, troppi problemi non risolti.
Semplicemente
…
non andava bene in quel modo. Ed è finita in quel modo.
È
colpa tua, ed
è colpa mia.-
Si
avvicinò di
un passo, e gli accarezzò il volto, guardandolo
negl’occhi e prendendo un
respiro profondo, riuscendo a sorridere; a quella piega delle labbra
Jun si
sentì confortato.
-Però,
Jun …
sono felice. Sono tanto felice che siamo riusciti a ritrovarci.-
Jun
portò le sue
braccia dietro la schiena di Yayoi e la spinse contro il suo petto,
poggiando
la sua guancia tra quei capelli rossi.
-Anch’io,
anch’io sono felice.-
La
donna,
rasserenata, portò le sue mani dietro la schiena
dell’uomo, e si appoggiò a lui.
Quanto,
quanto
tempo che non abbracciavano qualcuno in quel modo. Sembrava essere
passata
l’eternità in soli cinque anni.
-Mamma
…-
Yayoi
si sporse
dall’abbraccio dell’uomo, e vide Hikaru muoversi e
strofinarsi lentamente gli
occhi, facendole sciogliere la presa e avvicinamdosi, sorridendo, al
letto del
bambino, accarezzandogli la fronte.
-Ehi,
ciao amore.
Come ti senti?-
-Ho
caldo.-
-Bene,
se sudi
la febbre ti scenderà più in fretta. Altro?-
-Ho
sete.-
-Vuoi
l’acqua? O
un succo di frutta?-
-…
succo.-
-Te
lo prendo
subito. Ah, indovina chi c’è a prendersi cura di
te?-
La
donna si
voltò verso Jun, e il bimbo seguì il suo
movimento, sorridendo poi contento,
agitandosi leggermente sul letto.
-Papà!-
Richiamato,
l’uomo si avvicinò subito al figlio, e Yayoi gli
fece posto, dirigendosi in
cucina per prendere la bevanda.
-Ehi,
campione,
ben svegliato. Come ti senti?-
-Bene.-
-Ah
si? E questa
fronte calda?-
Il
bimbo nascose
leggermente il viso sotto le lenzuola, e il padre sorrise intenerito,
arruffandogli dolcemente i capelli, sgridandolo in modo molto bonario.
-Non
si dicono
le bugie, lo sai vero?-
-La
mamma lo
dice sempre.-
-La
mamma ha
ragione. Ma tu sei bravo, vero? Tu non dici le bugie.-
-No,
non le
dice. È un bravo bambino.-
Argante:
E
se ad Armida, oh cara,
nel
procurar al tuo bel pié lo scampo,
note
fien quel fiamme, che per te,
mio
tesor, struggono il core?
Scopo
saremo entrambi d’amor geloso e d’infernal furore;
e
pur mi sento il cor frangere.
Almirena
Dunque,
lasciami piangere.
La
donna si
avvicinò al letto mettendosi accanto a Jun, e
l’uomo subito aiutò il bambino a
mettersi seduto mentre Yayoi gli porgeva il bicchiere con il succo
d’arancia,
facendoglielo bere a piccoli sorsi.
-Piano,
va
bene?-
Il
bimbo bevve
assetato, finendo tutto il bicchiere.
Jun
stava per
rimetterlo sdraiato quando il piccolo cercò la protezione
del suo petto, bloccandolo;
l’uomo non seppe cosa fare e cercò aiuto nello
sguardo di Yayoi.
-Prendilo
in
braccio.-
L’uomo
ci mise
tutta la delicatezza che aveva, sollevandolo dal letto e tenendolo
appoggiato a
sé mentre la donna, velocemente, prendeva la coperta sopra
il copriletto,
mettendola sul bambino in modo da non fargli prendere freddo.
-Ecco,
così
siete a posto. Ne approfittiamo per prendere la medicina amore?-
Il
bimbo annuì,
e la donna guidò i due al bagno, dove c’erano le
supposte di ketoprofene;
all’idea, giustamente, Hikaru fece storie, ma subito suo
padre cercò di
consolarlo e di fargli forza.
-Io
resto qui, e
se ti fa male stringi forte la mia mano, va bene?-
Un
altro si con
la testa, e la piccola mano del bimbo prese quella gigante del padre,
il quale
lo fece sistemare sulle sue gambe mentre Yayoi preparava la medicina,
provando
a scaldare la supposta nelle sue mani.
Furono
i cinque
minuti più difficili dell’intera vita di Jun
Misugi: mai, e ripeto mai si era
immaginato di fare una cosa del genere; guardò Yayoi, e si
sentì sollevato nel
vedere che la donna, al contrario, non aveva problemi, anzi rivelava la
sua
esperienza. Hikaru strinse le dita del padre solo una volta, tenendo
gli occhi
e la bocca serrati.
-Ecco,
ho fatto.
Ora torniamo a letto.-
Stavolta
fu la
donna a prendere in braccio il bambino, e Jun copiò i suoi
movimenti nel
sistemare la coperta addosso al figlio, seguendo subito dopo i due
nella
cameretta.
In
quel
silenzio, l’uomo sentì chiaramente la donna
mormorare una ninna nanna, guidando
il piccolo di nuovo tra le braccia di Morfeo, aiutata anche dal
medicinale; Yayoi
sistemò il bambino e le coperte, e si accorse che, in tutto
quel tempo, la foto
di lei e della sua famiglia era finita a terra, probabilmente era
caduta
durante il litigio.
La
prese in
mano, e la guardò con tristezza; Jun la osservò
lì vicino.
-Jun,
mi spiace per
la scenata di prima. E mi dispiace di non averti detto niente a
riguardo per
tutto questo tempo.-
-…
avevi il
diritto di non dirmelo. In fondo io non te l’ho mai chiesto.-
Lei
annuì ma non
era convinta, uscendo dalla stanza del bambino e facendosi seguire
dall’uomo,
chiudendo la porta per far riposare in pace il piccolo, fino a quel
momento non
avevano fatto altro che disturbarlo, poverino!
Yayoi
tornò al
comò, e di nuovo tirò fuori la scatola laccata
per sistemare la foto in fondo
al cassetto; Jun, questa volta, si avvicinò alla scatola, e
la esaminò mentre
la donna, a quel movimento, s’irrigidì
leggermente, osservando quella mano accarezzare
i decori. Da un lato ebbe l’impulso di nascondere
l’oggetto, dall’altro provò
la curiosità di vedere la reazione di Jun quando
l’avrebbe aperta.
-Che
cos’è?-
-…
aprila.-
Lo
disse con un
filo di voce, ma l’uomo non ci fece caso, aprendo il
coperchio: due anelli
d’oro, di misure diverse. L’uomo ci mise qualche
momento a riconoscere la sua
fede nuziale.
Le
aveva
conservate.
-…
le hai
tenute.-
Lei
annuì,
incapace di dirgli il motivo, era già abbastanza
imbarazzante il fatto che lui
le avesse viste, se gli avesse spiegato che le aveva tenute per
… perché
sperava di …
Chiuse
il
coperchio della scatolina e ripose quest’ultima nel cassetto,
chiudendolo
decisa mentre parlava per riprendere il controllo.
-Lo
so, è
sciocco, ma mi dispiaceva … buttarle.-
Si
era voltata,
e aveva trovato il volto di Jun a pochi centimetri dal suo che la
studiava
attento.
-È
la verità
Yayoi?-
Il
fiato di lei
cominciò a farsi affannoso, quella vicinanza era diversa
rispetto a quella di
prima, in camera del bambino: qui non c’era la rabbia a
guidare i loro
movimenti, e il silenzio che si stava alzando generava, in Yayoi,
impulsi
fisici che controllava a stento, facendo tremare i polsi.
Gli
occhi ancora
arrossati di Jun le facevano venire voglia di togliergli le ultime
lacrime
dalle palpebre, i capelli arruffati la spingevano ad accarezzarglieli e
sistemarglieli, l’aria stanca a toccarlo per controllare
… che stesse bene … e
se scendeva alla bocca i suoi pensieri la portavano ad arrossire, tanto
che
distolse lo sguardo, cercando di rispondergli.
-Io
… io …-
Lo
sentì
prenderle il mento con due dita, e il suo cuore cominciò a
battere così forte
che temeva l’uomo lo sentisse; la obbligò a
portare di nuovo gli occhi verso di
lui.
-Jun
…-
Yayoi
aveva gli
occhi lucidi, in uno sguardo… no, non era spaventato. Era
molto, molto
emozionato
Jun
pensò alla
discussione avuta prima, alla foto, alla tristezza della donna, la sua
rabbia,
il suo dolore; tutte cose nuove di lei, che lui non conosceva. Di
quella donna
non conosceva niente, nonostante gli anni passati insieme, solo la
superficie. Quale
immenso mondo celava dentro di sé?
Voleva
essere l’unico
a scoprirlo e a conoscerlo, perché era un viziato,
egocentrico egoista.
Le
mani di Yayoi
fremevano, sentiva l’istinto di toccarlo; lo fece piano,
temeva che lo avrebbe
allontanato, ma alla fine sentì, con i polpastrelli, la
camicia. Ora le sarebbe
bastato solo alzarsi in punta di piedi. Ma lui come avrebbe reagito?
Jun
sentì quel
tocco, e l’altra mano si mosse sul braccio di lei,
prendendoglielo senza far
male e spingendola verso di lui, adesso gli bastava solo chinarsi un
pochino, e
avrebbe azzerato la distanza.
-…
Yayoi …-
Lei
ingoiò,
senza riuscire a chiudere gli occhi. Lui si avvicinò.
Ma
entrambi si
bloccarono a pochi millimetri dalla faccia: Kumo, sotto di loro, aveva
iniziato
a strofinarsi sulle loro gambe, mordicchiando e usando le unghie con il
piede
di Jun, prendendosela anche con la ciabatta di Yayoi.
Lo
guardarono
entrambi, all’unisono, e ridacchiarono divertiti, sentendo
poi qualcuno bussare
alla porta d’ingresso.
-Ah,
è Sanae.-
-Vai
pure.-
La
lasciò
andare, e prese un profondo respiro.
Almirena:
Lascia
ch’io pianga
mia
cruda sorte,
e
che sospiri la libertà!
Il
duolo infranga
queste
ritorte
dei
miei martiri
sol
per pietà.
Lascia
ch’io pianga
mia
cruda sorte,
e
che sospiri la libertà!
**