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Autore: WYWH    14/03/2013    2 recensioni
[STORIA RIVEDUTA E MODIFICATA] Solo per un momento, Yayoi ebbe remora di firmare quella carta, e questo non passò certo inosservato a Jun o all’avvocato; ma non era perché aveva cambiato idea su qualcosa, oramai la donna aveva accettato tutto, anche per sfinimento. È solo … solo che, in una remota parte di sé, la donna ancora si ostinava a pensare che le cose si sarebbero risolte; le succedeva sempre, quando non sembrava esserci soluzione al problema: all’improvviso, nella sua testa, cominciava a sentire una musica ritmata, allegra, che la faceva sorridere.
Era una musica tratta da “L’Elisir D’amore”, forse la sua opera lirica preferita.
"Una tenera occhiatina, un sorriso, una carezza, vincer può chi più si ostina, ammollir chi più ci sprezza. Ne ho veduti tanti e tanti, presi cotti, spasimanti, che nemmanco Nemorino non potrà da me fuggir. La ricetta è il mio visino, in quest'occhi è l'elisir..."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Anche un uomo'
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Recitativo e Aria:

Lascia ch’io pianga

 

Yayoi prese il termometro dalle labbra di Hikaru, e controllò la temperatura: trentotto e mezzo. Sospirò, guardando il bimbo muoversi leggermente, con espressione contrita.

-Beh, almeno adesso posso confermare che non sta bene.-

Sanae rimase sull’uscio della camera, tenendo Kumo tra le braccia.

La madre accarezzò la guancia del figlio, sentendola bollente; sospirò, bisbigliando al bambino, nonostante sapesse che lui non le avrebbe risposto.

-Sei un testone. Proprio come papà.-

Si alzò lentamente dal letto, dirigendosi fuori dalla camera, Sanae la seguì in silenzio con il micio in braccio, che dormiva tranquillo.

Si spostarono al bagno, dove Yayoi aprì l’armadietto dietro lo specchio, controllando i medicinali che aveva con sé; frugò per qualche minuto, e poi prese delle pastiglie, richiudendo il piccolo mobile con un secondo sospiro, attirando l’attenzione dell’amica.

-Tutto bene?-

-Non ho antiinfiammatori adatti a lui, solo un antistaminico che però non ha molto effetto; potrei passare in clinica a prendere qualcosa …-

-Ci penso io a lui. Oppure puoi mandare me e tu resti con Hikaru.-

-Te la sentiresti davvero?-

Sanae sorrise divertita, continuando a tenere Kumo in braccio.

-Mamma, ti ricordo che ho la tua stessa età, posso cavarmela benissimo.-

A quel punto Yayoi si lasciò andare ad un sorriso sollevato, uscendo fuori dal bagno per dirigersi nel piccolo salotto, prendendo carta e penna e iniziando a scribacchiare sul Kotatsu vicino al divano.

-Parla con il desk e digli che ti mando io, e che devi farti dare dei medicinali dal dottor Guffred; probabilmente dovrai aspettare un pochino, ma appena ti riceve dagli questo foglietto e la mia tessera sanitaria. Al resto ci penserà lui.-

-Aspetta, mi è venuta in mente un’idea ancora più geniale.-

La donna si fermò dallo scrivere, guardando incuriosita l’amica. Questa aveva un’espressione furba sul volto.

-Perché non chiedi a Jun?-

Fino a quel momento la donna non aveva proprio pensato a quella possibilità: fino ad ora, infatti, aveva sempre curato da sola Hikaru.

Sanae proseguì.

-In fondo adesso sa che ha un figlio, non pensi sia ora di fargli fare qualcosa a riguardo, oltre a passare il tempo a giocare con Hikaru?-

-Non parlare in questo modo.-

Usò un tono duro per richiamare l’amica, e questa rimase sorpresa: era raro che Yayoi rimbrottasse qualcuno, con Hikaru non ne aveva mai avuto effettivo bisogno.

La vide distogliere lo sguardo e controllare quello che aveva scritto sul foglietto, prima di alzarsi dal Kotatsu per dirigersi al telefono dell’appartamento.

A quel punto l’amica cercò di aggiustare il tiro di poco prima.

-Comunque è la soluzione migliore: tu ed io rimaniamo a casa per badare ad Hikaru, e lui ci raggiunge con le medicine.-

-Però non so se lavora tutto il giorno o no, potrebbe non farcela.-

-In caso passo io in clinica a prendere le medicine.-

Yayoi era davanti all’apparecchio telefonico, bigliettino in mano, ma ancora non aveva preso la cornetta e digitato il numero; Sanae, dietro di lei, avvertiva la sua tensione, tanto che le sue successive parole furono dette in un misto di ansia e fastidio.

-Dai Ya-chan, non mi sembra il momento di farsi venire delle paturnie a riguardo: qui si tratta di Hikaru con la febbre!-

L’immagine di suo figlio a letto risvegliò la donna, la quale si voltò verso l’amica ed annuì, prendendo dal cassetto del piccolo comò l’agenda con tutti i numeri telefonici.

-Spero che Jun usi ancora il suo vecchio numero.-

Afferrò la cornetta e l’appoggiò all’orecchio digitando veloce il numero, non aveva avuto nemmeno bisogno di frugare nel piccolo libricino. Lo ricordava ancora a memoria.

Attese qualche momento, e poi sentì la linea libera, e già questo la irrigidì leggermente; uno squillo, poi il secondo, e alla fine il terzo. Solitamente l’uomo rispondeva a questo punto, ma appena sentì il quarto la donna ebbe il dubbio che il numero fosse sbagliato.

>Pronto?

La voce dell’uomo le irrigidì la schiena, le mancò il fiato nel rispondergli.

-Pronto, Jun?-

>…Yayoi?

Sorrise leggermente, le faceva piacere sentire che l’aveva riconosciuta. Tuttavia il foglietto in mano la riportò alla realtà.

-Scusami se ti chiamo, stai lavorando?-

>In questo momento no, come mai? Che succede?

Provò conforto nel sentire che l’uomo s’interessava, e la preoccupazione nei confronti di Hikaru non l’attanagliò più come prima, sentiva di poterla gestire.

-Hikaru ha un po’ di febbre, e io a casa non antiinfiammatori adatti alla sua età. Potresti prenderne dalla clinica al reparto di pediatria? Se non puoi venire Sanae può passare a prenderli.-

>No, vengo io.

Una risposta secca, con chiaro tono preoccupato. La donna poteva perfino vedere le sopracciglia di Jun corrucciarsi leggermente in un’espressione turbata.

>Cosa devo prendergli?

Yayoi alzò il foglietto con la piccola lista.

-Mi servono dei farmaci con ketoprofene o paracetamolo, e anche acido acetilsalicilico.-

>Ha la febbre? Quanto è alta?

Non poteva mentirgli, perché si sarebbe arrabbiato, ma aveva la sensazione che se glielo avesse detto lo avrebbe messo in ansia. Vale a dire che si sarebbe dovuta prendere cura non solo di suo figlio, ma anche di un altro bambino; prese un respiro.

-Trentotto e mezzo, probabilmente ha l’influenza.-

>Dici che è a causa di ieri?

-Anche, ma questi sono stati giorni molto emozionanti, probabilmente si è molto stancato e un suo compagno d’asilo lo ha contagiato, capita ai bambini di quell’età.-

>Si certo, capisco.

Non era per niente tranquillo, lo si capiva chiaramente. Yayoi si voltò a guardare Sanae, e questa le parlò con il labbiale.

“Fallo venire qui.”

La rossa spalancò gli occhi e scosse leggermente la testa, ma l’altra insistette.

Kumo, intanto, si era svegliato tra le braccia della bruna, e muoveva la piccola coda guardando la scena incuriosito.

“Digli di venire.”

“Sta lavorando!”

“È suo figlio, fallo venire!”

Entrambe sbuffarono quasi simultaneamente, per poi sorridere divertite mentre Jun, dall’altra parte del telefono, chiamava nuovamente la ex-moglie.

>Yayoi? Ci sei?

-Si, si Jun, dimmi pure.-

>Passerò con le medicine tra un quarto d’ora.

-Ma scusa, non sei a lavoro?-

>Non ti preoccupare. Ci vediamo fra poco.

-No, aspetta Jun!-

Ma l’uomo chiuse la telefonata, e la donna si ritrovò a parlare con il suono della chiamata interrotta; sospirò, rimettendo a posto la cornetta mentre Sanae lasciava andare Kumo, sorridendo soddisfatta.

-E allora?-

-…viene qui lui.-

-Bene! Visto? Non era così difficile.-

L’occhiata che la rossa lanciò all’amica era più che eloquente, scuotendo leggermente il capo e riponendo la piccola agenda nel comò del telefono.

Sanae buttò l’occhio dentro il cassetto, e notò qualcosa, parlando all’amica.

-Ce le hai ancora tu?-

L’altra non si girò a guardarla, sapeva bene a cosa si riferiva: lentamente, prese dal cassetto la piccola scatolina di legno laccato, oramai al posto del vaso aveva spostato il telefono, per comodità, ma quell’oggetto era rimasto al suo posto. Lo aprì, guardandone il contenuto.

Dentro la scatola era foderata di nero, e al suo interno riposavano le fedi nuziali.

-Ho preferito tenermele io, sono sicura che lui le avrebbe buttate.-

-O magari le avrebbe conservate come te.-

-Nah, non credo: lui non è tipo da guardare al passato.-

Sanae avrebbe voluto dirle “Ne sei sicura? Se così fosse non si sarebbe interessato a te o ad Hikaru.”, ma questo tipo di aggressione alla donna l’avrebbe solo fatta chiudere in sé, pertanto si passò una mano sulla labbra, trattenendosi mentre vedeva l’amica richiudere la piccola scatola e rimetterla dentro il comò, dirigendosi alla cucina per preparare la bacinella con l’acqua fredda.

Almirena:

Armida dispietata!

Colla forza d’abbisso rapirmi

Al caro ciel de’ miei contenti!

E quì con duolo eterno

Viva mi tieni in tormentoso inferno!

 

Argante:

Non funestar, oh bella,

di due luci divine il dolce raggio,

che per pietà mi sento il cor frangere.

Yayoi sentì il campanello dell’ingresso suonare mezz’ora dopo, e si alzò di scatto. Era seduta accanto al letto di Hikaru, monitorando il suo stato di salute; Sanae, invece, sbucò dal salotto, era intenta a leggere un libro, con Kumo lì accanto a lei.

-Vuoi che vada ad aprire io?-

La donna si liscò la gonna che stava indossando, ma non si avvicinò all’ingresso, annuendo all’amica; questa prese un respiro, appoggiando il libro in modo da non perdere il segno, sistemandosi i jeans e andando ad aprire la porta d’ingresso, parlando a bassa voce.

-Ciao Jun.-

-Sanae, ciao. Come sta Hikaru?-

-Tutto tranquillo, Yayoi è con lui nella sua cameretta. Prego, entra.-

-Ah, grazie.-

Istintivamente Aoba sbirciò dalla porta della camera, notando l’uomo entrare in casa e poggiare a terra un sacchetto bianco, sicuramente conteneva i medicinali per il bambino; si tolse le scarpe e il giaccone, salendo sullo scalino dell’ingresso e abbandonando la borsa sul pavimento, recuperando il sacchetto mentre Sanae gl’indicava la stanza di Hikaru.

Yayoi si nascose, e poi si diede mentalmente della stupida; prese un respiro profondo e tornò dal bambino, bagnandogli la pezza con acqua fresca.

Il piccolo ancora non aveva sudato, e di sicuro la temperatura si stava alzando; gli accarezzò una guancia con il dorso delle dita, spostandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Sentì Jun affacciarsi all’uscio, e il suo bisbiglio, per un momento, le contorse lo stomaco, obbligandola a restare ferma per prendere fiato, spingendolo a chiamarla una seconda volta.

-Yayoi.-

Si voltò, e la prima cosa che notò fu che l’uomo aveva corso, o quanto meno si era affannato: aveva i capelli scompigliati e l’aria affaticata mentre restava sull’uscio della camera, come incapace di entrare.

-Ciao.-

-Ciao.-

-Scusa il ritardo.-

-Figurati.-

-Come sta?-

La donna si alzò lentamente, facendo cenno all’uomo di sedersi al suo posto mentre gli parlava a bassa voce; questo non sembrava aspettare altro, entrando e sedendosi sul picccolo sgabello, lasciando a terra il sacchetto con i medicinali.

-Stavo per controllargli di nuovo la febbre. Per il momento dorme, ma non riesce ancora a sudare.-

-Non gli hai fatto prendere niente?-

-Per ora gli ho dato una piccola dose di antiinfiammatorio che avevo io, ma temo sia troppo forte per lui. Hai preso quello che ti ho chiesto?-

-Ah si.-

L’uomo si sporse sul sacchetto, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla donna mentre controllava per l’ennesima volta che avesse preso tutto il necessario.

-Ho trovato il ketoprofene solo in supposte, mentre il paracetamolo e l’acetisalicilico sono in bustine solubili.-

-Va benissimo, ti ringrazio.-

-Ah, senti …-

La donna si voltò a guardarlo mentre prendeva il sacchetto, per portarlo in bagno. L’uomo era visibilmente imbarazzato.

-Ti … ti dispiace se rimango? Sono preoccupato per Hikaru.-

-E per il lavoro?-

-Mi sono fatto dare il resto della giornata. Ti da fastidio?-

Erano quelle piccole e sincere richieste, quei gesti un po’ pazzi che riempivano il cuore di Yayoi, e la donna sorrise intenerita, scuotendo leggermente il capo.

-No, anzi. Ti ringrazio molto.-

Si allontanò dalla camera rasserenata, andando in bagno e mettendo in ordine i medicinali dentro il mobile mentre Sanae si sporgeva sull’uscio, parlandole con il labbiale.

“Visto?”

L’altra la guardò di sbieco, per poi spostarsi in cucina per preparare qualcosa da mangiare per tutti e tre, e anche per il gatto, al quale non fu permesso di entrare nella stanza di Hikaru.

Questo, sul letto, apparentemente sembrava dormire tranquillo, ma ad ogni suo movimento, anche il più leggero, Jun scattava come una molla, visibilmente preoccupato. Ma era comprensibile: non gli era mai capitato di doversi occupare di qualcun altro in quel modo, e in questo caso si trattava niente meno che di suo figlio. Di colpo tutta la sua conoscenza medica scomparve dalla sua mente, si era fatta tabula rasa mentre la donna, la contrario, sapeva sempre esattamente cosa fare, istruendo l’uomo a dovere.

-Cambia l’acqua in cucina, metticene di fresca.-

-Si, va bene.-

-Direi che possiamo provargli a dargli un po’ di paracetamolo. Solo mezza bustina però.-

-Faccio subito.-

-Ha un po’ di sete, occhio a non farlo sbrodolare.-

-Si, certo.-

-Non ti preoccupare, si agita molto quando dorme.-

-Ah, ok.-

Sanae, ogni tanto, sbirciava dall’uscio della stanza, e senza farsi vedere dall’uomo scambiava occhiate divertite con l’amica, che all’inizio la rimproverava con lo sguardo, per poi cominciare a sorridere; anche se la situazione era delicata, allo stesso tempo c’era un equilibrio tale da permettere momenti di sorriso.

E poi, ad un tratto, la donna dai capelli corti si fece avanti.

-Senti Yayoi, visto che ci siete voi due io ne approfitto per andare a fare spese, ti da fastidio?-

-No, figurati Sanae. Se puoi prendi qualcosa per stasera.-

-Lascia fare a me, ci vediamo dopo.-

-A dopo.-

-Ciao Jun.-

-… ah ciao Sanae.-

Ma questa si era già chiusa la porta alle spalle, e i due ex coniugi si ritrovarono da soli a badare a loro figlio.

La donna guardò di sfuggita l’uomo e sorrise, attirando l’attenzione dell’altro, il quale si rese conto della situazione e ricambiò l’espressione.

-E così, ora, sei sola a badare a due bimbi invece di uno solo, eh?-

-Già, ma è molto divertente.-

Ridacchiarono, e poi si zittirono di nuovo, tornando a concentrarsi sul bambino, che sembrava riposare con più tranquillità, a giudicare dal respiro dormiva profondamente.

Istintivamente Yayoi gli prese una piccola mano, accarezzandogli il dorso con il pollice, per poi rivolgersi a Jun.

-Fallo anche tu, lo rilassa.-

L’uomo rimase sorpreso dalla richiesta ma alla fine, timidamente, allungò una mano, prendendo quella di Hikaru e iniziando, molto timidamente, ad accarezzare il dorso della mano; la donna guardò in silenzio la scena, osservando attenta la differenza fra la grande mano del padre e quella piccola del figlio, sorridendo intenerita.

-Hai davvero le mani enormi.-

Jun lanciò un’occhiata alla donna, per poi osservare anche lui la differenza di dimensione. E sorrise.

-Ricordo che, quando ero piccolo e stavo male, mia madre mi prendeva sempre per mano.-

-Un bambino guarisce più facilmente se ha accanto la presenza del genitore: lo fa sentire protetto.-

-Questo te lo ha detto Matilde?-

Yayoi ridacchiò leggermente alla battuta mentre Jun guardava prima lei e poi la sua mano su quella di Hikaru.

-Si è ammalato spesso?-

La donna continuò a sorridere tranquilla.

-Si, ma è normale per i bambini, anzi io sono convinta che sia meglio per loro ammallarsi, per permettere agl’anticorpi di svilupparsi. È il corso naturale della vita.-

-Mi fai venire in mente quella volta all’università, in biblioteca, che abbiamo avuto quella discussione a proposito della medicina omeopatica, ricordi?-

Yayoi spalancò gli occhi sorpresa, per poi portarsi una mano alla bocca.

-Ah si, è vero!-

-Io ricordo che abbiamo discusso talmente tanto che il bibliotecario ci ha cacciato fuori.-

-Eravamo completamente opposti di idee, e quasi non ci parlavamo più.-

Allora la situazione fu così spinosa che minacciò effettivamente la relazione dei due, ma adesso nel ricordarlo entrambi ridacchiarono cercando di non fare rumore, continuando a tenere le mani del bambino addormentato.

-Alla fine, però, abbiamo fatto pace.-

-Si, è vero: ci siamo guardati negl’occhi e ci siamo detti che non valeva la pena litigare per quello.-

-Già.-

Non si dissero altro, anche perché dopo aver fatto pace avevano fatto … altro.

Jun cercò di riportare il discorso sull’argomento di prima, osservando la mano di Yayoi stretta su quella di Hikaru.

-Invece, ora che guardo, le tue mani e quelle di Hikaru si assomigliano, avete lo stesso colore di pelle.-

-Beh, però ha il tuo volto, sembra te da piccolo.-

-A proposito, ieri sera ho trovato una foto di noi due da bambini, quando abbiamo vinto la corsa a tre gambe.-

-Davvero?! Che bello, temevo di aver perso quella foto!-

Il sorriso entusiasta di Yayoi spinse Jun a parlarle anche delle altre foto che aveva ritrovato, quelle riguardanti i loro anni delle elementari, medie e liceo, compreso gli anni delle Nazionali e successivi, inerenti all’università. (Ovviamente Jun non accennò alle foto che Sanae gli aveva dato)

-Ti devo ringraziare: in fondo è merito tuo se ho ritrovato quelle foto.-

-Ma figurati, mi sembrava giusto restituirtele, riguardano la tua vita.-

All’uomo sarebbe piaciuto sapere e ricordare anche la vita della donna, quegli scatti dove lui non era presente.

-E tu? Hai qualche foto di te con le altre ragazze?-

-Ah si, ne ho qualcuna.-

-Dopo, semmai, mi piacerebbe vederle.-

-… volentieri.-

Si scambiarono una lunga occhiata.

Jun era là, davanti a Yayoi.

Alla donna sarebbe piaciuto tanto … non sapeva nemmeno lei: dal parlargli per tutto il tempo al semplicemente abbracciarlo e dirgli … che le era mancato tremendamente; invece prese un profono respiro e distolse lo sguardo, cambiando argomento.

-E da tua madre? Com’è andata, come sta?-

Almirena:

Signor, deh!

Per pietà, lasciami piangere!

 

Argante:

Oscura questo pianto il bel fuoco d’amor,

ch’in me s’accese per te, mia cara.

 

Almirena:

In questi lacci avolta,

non è il mio cuor soggetto d’un amoroso affetto

L’uomo ripensò alle ultime parole scambiate con la madre, e si rese conto dell’effettivo rapporto tra la signora Misugi e Yayoi davanti a lui.

-… sta bene, ma sono certo di avergli fatto venire un infarto quando gli ho detto che ero padre.-

La giovane donna, alla confessione, annuì gravemente, voltandosi verso il volto del figlio, usando la mano libera per accarezzargli il volto; era ancora caldo, ma almeno non scottava come quella mattina.

-… la mia scelta di non dire niente immagino non deve’esserle piaciuta.-

-Non ti saprei dire, quando gliel’ho detto ero di fretta perché volevo raggiungerti.-

Le sue parole provocarono un certo imbarazzo e piacere nella donna, ma l’uomo non ci fece caso, dato che era entrato nella parte più importante del suo monologo.

-Anche perché, dopo il modo in cui ha parlato di te, preferisco che davvero gli pigli un infarto.-

-Ma che dici! Povera signora Misugi.-

-Povera un corno, perché non mi hai detto che avevi dei problemi con lei?-

-Perché non ne avevo, semplicemente avevamo pensieri diversi.-

-Ma sentitela, “pensieri diversi”!-

-Non alzare la voce.-

L’uomo dovette stare zitto, l’ultima frase gli ricordò che era lì perché suo figlio stava male. Però continuò la sua arringa, bisbigliando.

-E sentiamo, di quali “pensieri” parli?-

La donna non rispose subito, rivolgendo lo sguardo al figlio.

-… tua madre era convinta che io ti spingessi a rischiare la tua salute dopo l’operazione, ma io le ho sempre spiegato che, dal punto di vista medico, tu eri guarito.-

-Tzé, sempre la solita.-

-Dai, non sgridarla, lei era sinceramente preoccupata per te.-

-Questo però non significa che tu sei un mostro con tre teste che vuole uccidermi!-

-Jun!-

-Scusami.-

Hikaru si mosse leggermente, e la donna lanciò un’occhiata all’uomo, che si scusò con un cenno del capo; Yayoi si alzò velocemente, sistemando le coperte al figlio, il quale lasciò la presa del padre, sistemandosi meglio e ricominciando a dormire profondamente. Poi prese la bacinella e fece cenno a Jun di seguirla, dirigendosi in cucina.

Lui cercò di giustificarsi con la frase di prima.

-Voglio dire, tu mi conosci bene, sapevi qual’era il mio stato di salute, poteva fidarsi di te.-

-Una madre è sempre una madre, anche se qualcuno gli dice che va tutto bene sarà sempre preoccupata per suo figlio. Per me è lo stesso con Hikaru.-

-Si, ma tu non vuoi tenerlo segregato in casa!-

-Tua madre non ha mai inteso questo.-

-Dici?-

-Insomma Jun, lei è tua madre, e ti ama molto, per questo fa così.-

-Anche tu mi amavi molto, no?-

-Certo!-

E poi, di colpo, entrambi si bloccarono.

Yayoi arrossì per prima, e si tappò la mano con la bocca, arrossendo così tanto da diventare dello stesso colore dei capelli; anche Jun arrossì, e distolse lo sguardo passandosi una mano in faccia. Entrambi si chiesero “ma come mi è venuto in mente?!”, e poi si guardarono intimiditi.

Il primo a mettersi a ridere fu Jun, e la donna si sentì ancora più in imbarazzo.

-Che c’è?-

-Sei … sei paonazza, hai lo stesso colore dei tuoi capelli.-

Lei ci pensò su, e cominciò a ridere a sua volta. E risero di gusto.

-Per noi due litigare è sempre stato strano.-

-Già, non sapevamo mai cosa sarebbe uscito fuori, come ora.-

Pian piano si calmarono, e Yayoi versò dell’acqua in due bicchieri, offrendone uno a Jun per aiutarlo a calmarsi. Aspettarono qualche momento in silenzio, e poi la donna tornò seria.

-Comunque Jun, sul serio: lei ti vuole davvero bene, non trattarla così.-

-Però non posso sopportare il suo modo di fare, né che lei ti abbia offeso in qualche maniera.-

-Ti assicuro che non mi ha mai offeso in nessun modo.-

-Spero bene.-

Lui restituì il bicchiere, e lei lo poggiò nel lavabo, pronta a tornare dal figlio, quando Jun prese la palla al balzo.

-Ah, a proposito.-

-Si?-

Lo vide incerto per qualche momento, e s’incuriosì; da parte sua, l’uomo non sapeva proprio come iniziare il discorso, ma sapeva che quella era una buona occasione per saperne di più. Rischiava di non aver più un’occasione simile.

-Ascolta … a proposito di madri …-

Un brivido scese lungo la schiena di Yayoi, ma la donna sentì che non provava panico o disagio.

-Vuoi sapere della mia?-

-… Matilde mi ha accennato che hai avuto problemi, ma più di questo non mi ha detto.-

Non era arrabbiata con la pisocologa, anzi forse doveva ringraziarla: se non avesse messo la pulce nell’orecchio a Jun, probabilmente non avrebbe mai avuto modo di parlarne.

Gli fece cenno di seguirla, e si spostarono nel corridoio, lì dove c’era il comò con il telefono; la donna aprì il cassetto, tirando fuori la scatola laccata e frugando mentre l’uomo rimase incuriosito da quell’oggetto, gli sembrava familiare.

Non fece in tempo a ricordare: Yayoi trovò quello che cercava e rimise la scatolina al suo posto, passando una foto a Jun. Era quella che aveva mostrato a Matilde.

L’uomo all’inizio rimase affascinato da quella bimba, il suo aspetto ricordava una bambolina di porcellana; poi rivolse l’attenzione alla signora Aoba, e si rese conto che tutta la bellezza di Yayoi era stata ereditata da quella donna. Alla fine, però, si rese conto dell’effettiva differenza fisica: per quanto fosse simile alla madre, infatti, non aveva gli stessi colori di occhi e capelli. E sicuramente la piccola non assomigliava al padre.

Non se n’era mai accorto prima, forse perché aveva sempre trovato nel signor Aoba lo stesso atteggiamento gentile della donna; questa, intanto, si era allontanata, tornando in camera del figlio, accarezzandogli il volto e sentendolo ancora caldo.

Sentì l’uomo avvicinarsi alla camera, restando però sull’uscio, la foto ancora tra le mani.

-... hanno divorziato come noi?-

Yayoi sorrise amara, sarebbe stato davvero incredibile se, proprio come loro, anche i suoi genitori fossero divorziati, sarebbe stata una ripetizione di eventi clamorosa; ma lei scosse il capo, parlando a bassa voce.

-Quando si scoprì che mia madre era incinta Mamoru la sposò ugualmente: l’amava, ed era promesso a lei.-

-… e tuo padre?-

-Se ne andò alla stessa velocità con cui era apparso.-

Lo disse secca, infastidita solo al sentirlo nominare.

Jun si fece avanti, avvicinandosi alla donna e guardandola negl’occhi, lei aveva ancora quell’espressione amara e infastidita, gl’angoli della bocca che curvavano in basso e gli occhi leggermente stretti, la pupilla nera era enorme su quelle iridi castane.

Argante:

Tu, del mio cor Reina con dispotico impero,

puoi dar legge a quest’alma.

 

Almirena:

Ah! Non è vero.

 

Argante:

Vuoi che questo ferro t’apra il varco a quel seno,

ove il mio cor trapassi?

 

Almirena:

Ah! Nò, tanto non chiedo;

eh! Ma se m’amassi!

-E poi? Che accadde?-

S’inginocchiò lì di fronte e le posò, senza pensarci, una mano sopra le sue, ma lei non distolse lo sguardo, sciogliendo il fastidio e restando con l’amarezza, quegl’occhi così scuri e profondi brillavano, ora, di tristezza.

Prese un respiro profondo, il suo petto si alzò leggermente, per poi parlare con un filo di voce, rauca.

-Mia madre … cadde in depressione post parto, ma nessuno voleva aiutarla, considerandola una … una donna non fedele.-

Fedifraga.

Ricordava ancora bene quel giorno, quando sua madre litigò con i suoi parenti e quelli di Mamoru, subito dopo aver fatto la foto che Jun teneva tra le mani.

Con una scusa,Yayoi era stata portata in un’altra stanza, ma le urla l’avevano incuriosita, e si era avvicinata alla sala, facendo un piccolo buco nella parete di carta di riso e sbirciando da lì; vide sua madre alzarsi in piedi, i capelli scomposti dall’acconciatura, e gridava con tutta la sua forza contro gli altri. Tuttavia le sue urla non sembrarono fare differenza, perché un dito di donna fu puntato contro di lei, e la parola risuonò violenta.

“-Tu sei solo una fedifraga, e sia tu che quella bastarda dovete andarvene!-”

La violenza di quelle parole fu tale che ancora adesso, nel ricordarle, Yayoi scosse leggermente le spalle, e chiuse gli occhi, passandoci sopra la mano mentre cercava di riprendersi; quella volta, nel sentire questo, non aveva avuto nemmeno la forza di piangere, anche perché sua madre aveva risposto con altrettanti insulti, affermando che era pronta ad andarsene.

Quando aprì la porta e si vide la bambina davanti, per un istante Yayoi era stata certa che la madre avesse cercato di ucciderla con lo sguardo, per poi calmarsi e prenderla in braccio, portandosela in camera in assoluto silenzio.

-Yayoi.-

Jun strinse leggermente la sua presa sulla mano libera della donna, e questa gli mostrò di nuovo gli occhi, senza però riuscire a sorridere, sulle sue spalle sentiva non solo il peso del suo passato, ma anche delle conseguenze di quel segreto, celato all’uomo davanti a lei.

E dire che aveva sempre detto di amarlo, come aveva potuto non dirgli niente? Possibile che non si fosse mai fidata di lui?

-Alla fine, a causa delle mancate cure, si è tolta la vita.-

Cercava di parlarne in modo serio, composto, addirittura professionale. Doveva dirglielo, ma non aveva bisogno di mostrare chissà quale debolezza, dopotutto erano passati anni, oramai non ne soffriva più o almeno questo si diceva.

Ma Jun strinse più forte la mano, e guardò quasi con cattiveria la donna seduta lì di fronte, arrivando ad alzarsi in piedi e ad avvicinare il suo volto a quello di lei, per meglio far penetrare il suo sguardo.

-Non provare a fare la furba, Yayoi. Non volevi essere sempre sincera con me?-

-Infatti lo sono.-

-No, non lo sei. Non mi stai dicendo le cose come stanno.-

-Mia madre è morta, è un dato di fatto. Ed è un dato di fatto che è dovuto dalla depressione.-

-Non m’interessa il parere di un’infermiera, voglio sentire Yayoi.-

-E che cosa dovrei dirti? Di come mia madre, ogni giorno, mi raccontava di un uomo che per me non esiste?-

Parlavano entrambi a bassa voce, sussurrando, ma la rabbia crescente della donna era evidente, e pian piano le sue parole cominciarono a correre nella sua bocca mentre si alzava in piedi, affrontando senza remora l’uomo che aveva di fronte.

-Di come lei mi raccontava fino alla nausea il giorno in cui si erano conosciuti? Il fatto che mi ha sempre detto che Mamoru non era mio padre, o il fatto che lei non voleva farmi uscire di casa, fino a farmi saltare l’asilo? O come lei mi considerava prima un effetto collaterale, per poi diventare possessiva nei miei confronti?-

C’erano giorni in cui sua madre la ignorava completamente, fino a quasi spingerla via se si avvicinava troppo, o facendola morire di fame quando era più piccola, perché non l’allattava, almeno così l’era stato detto da suo padre e il parentado; poi, quando era diventata più grande, la donna aveva cominciato a considerarla come un’arma, contro Mamoru e i loro parenti, o come il prezioso ricordo di quel suo grande amore.

Qualsiasi cosa, tranne pensarla come sua figlia.

-Vuoi che ti dica di come, quel giorno, ha deciso d’impiccarsi sul ciliegio di casa? Di come, per una volta, mi ha trattato come figlia per poi abbandonarmi?! Vuoi che ti parli di questo?!-

Per non urlare aveva ricacciato tutta la voce in gola fino a diventare davvero rauca, anche perché il nodo che, per anni, aveva tenuto in gola, stava pericolosamente uscendo fuori, e un semplice pianto non sarebbe bastato a scioglierlo; Jun lo intuiva, e per questo si stava preparando, aprendo leggermente le braccia per meglio accogliere quello che sarebbe arrivato.

-Si. Voglio che tu mi dica tutto questo.-

Per qualche secondo Yayoi rimase sconvolta: una risposta del genere non se l’aspettava dall’uomo di fronte a lei, era quasi sicura che, con quella sparata, lo avrebbe spinto alla ritirata; invece era là che le aveva risposto in quel modo, e nella sua visione vagamente distorta gli sembrava che Jun, sul suo volto, stesse formando un sorriso di scherno.

No, questo non poteva sopportarlo!

-Brutto stronzo!-

Lo disse convinta, andandogli addosso con i pugni, e Jun gli afferrò i polsi senza problemi, sentendola però dibattersi e spingerlo, cercando di fargli perdere l’equilibrio.

Poiché erano troppo vicini ad Hikaru, con il rischio di coinvolgerlo o svegliarlo, l’uomo si spostò, mollando subito dopo i polsi di Yayoi, la quale quasi s’inginocchiò a terra, tornando però all’assalto dell’ex marito. Questo si era spinto verso la parte più lontana della camera di Hikaru, lì dove c’era l’armadio.

Litigavano, eppure il rumore che emettevano era tale che Hikaru non pareva disturbato, limitandosi a dare loro la schiena e a dormire profondamente.

-Sei solo un bastardo, ti prendi gioco di me solo perché mi credi una stupida debole!

Non sai niente, niente di me!-

Jun, a quel punto, si arrabbiò con Yayoi: era ovvio che non sapesse niente di lei, non gli aveva detto niente! Una cosa così importante non gliel’aveva mai rivelata, un po’ come la storia di Hikaru; era una brutta abitudine della donna, e l’uomo gliela voleva far passare una volta per tutte, con le buone o con le cattive.

-Se non so niente è perché tu non mi hai mai voluto dire niente! Mi hai sempre tenuto nascosto tutto di te!-

-Ma tu ti sei mai interessato di me?! No!-

Stavolta il pugno sul petto Jun lo sentì fin troppo bene, e rabbioso le afferrò nuovamente i polsi; lei, però, era più combattiva di quanto lui si aspettasse.

-Tu non mi hai fatto domande, non ti sei mai interessato, ti bastava che ti facessi l’infermierina per stare bene, ti bastava che qualcuno continuasse a pulirti il culo come quando avevi tre anni e stavi a posto, no?!-

La volgarità era dovuta alla rabbia, ma Jun non ci fece caso, quasi ringhiando rabbioso.

-Tu però non ti sei mai lamentata, in fondo ti piaceva non è vero?!-

-Stronzo!-

-Senti chi parla!-

La fece indietreggiare, girare e poggiare, malamente, spalle e schiena contro il muro accanto all’armadio, uno spazio piccolo tra il mobile e l’altra parete.

La guardò furioso, dritto negl’occhi.

-Potevi dirmi tutto, ogni cosa che ti dava fastidio, che non ti piaceva, che ti faceva arrabbiare.-

-Credi che non l’abbia mai fatto?!!-

C’era mancato molto poco che urlasse, e si morse le labbra guardando verso il cielo, per poi abbassare di nuovo il volume.

-Io ti ho sempre detto tutto, ma guarda caso tu non te lo ricordi, sempre appresso ai tuoi problemi personali e a quel cazzo di pallone da calcio.-

A questa l’uomo non riuscì a rispondere, e Yayoi parlò velenosa, senza distogliere lo sguardo, smettendola di combattere per la libertà, tenendo però i pugni serrati.

-Jun Misugi, tu sei un viziato, egocentrico egoista, e io l’ho sempre saputo. Eppure mai, nemmeno per un momento di tutto il tempo passato insieme, ho pensato di lasciarti.

È vero, avrei dovuto sgridarti, ma non sarei stata migliore di tua madre o del tuo medico nel dirti cosa fare o non fare; se poi l’avessi fatto, mi avresti davvero ascoltata? Tu ascolti solo chi vuoi tu.

Pertanto ti ho lasciato fare, e ho cercato in altri modi di mostrarti che un problema al cuore non ti avrebbe impedito di avere una vita sociale.

Tuttavia non puoi aspettarti da me la totale sincerità se tu non la desideri per te stesso, ti pare?-

Argante:

Della mia fedeltate qual fia un pegno sicur?

 

Almirena:

La libertate.

 

Argante:

Malagevol commando!

 

Almirena:

Amor mentito!

L’uomo era bloccato: da una parte sentiva l’urlo del suo orgoglio spingerlo a reagire, a rinfacciarle tutto quello che gli passava in testa. Ma dall’altra sentiva una voce nuova, che già da un po’ di tempo aveva cominciato a parlare dentro di lui; e quella voce gli stava dicendo che quella donna aveva ragione.

Yayoi si mosse per prima, appoggiando lentamente il suo capo al petto dell’uomo, i pugni avevano perso forza, e adesso le mani cadevano come morte sui polsi stretti da Jun; questo vide quella chioma rossa spargersi su di lui e sentì, inoltre, il respiro della donna farsi spezzettato.

La donna parlò tra i singhiozzi.

-Dio … scusami, scusami Jun … perché … perché è tutto finito così? Noi … noi non eravamo felici? Non ero … non ero quella giusta per te? Io … io volevo tanto …-

Pian piano la ragione ricominciò a farsi strada nel cervello spento di lei, e si staccò dal petto dell’uomo, distogliendo lo sguardo e cercando di sciogliere, dolcemente, la presa di lui sui suoi polsi; si vergognava profondamente, mostrargli tutta quella rabbia e debolezza, scaricargli tutto quello sporco quando lei, per prima, gli aveva sempre nascosto la verità.

Rivolse l’attenzione al figlio, nascosto da una spalla di Jun.

Hikaru, adesso doveva esserci solo Hikaru. Basta con quelle sciocchezze, quelle speranze; suo figlio doveva venire prima di tutto.

Tuttavia l’uomo non aveva sciolto la presa, e la donna si accorse, sorpresa, che lui non si era ancora allontanato.

Alzò lo sguardo, e rimase senza parole: tanto quanto lei l’uomo stava piangendo, delle lacrime stavano scorrendo dalle sue guance, e tutta la rabbia di prima si era trasformata in un dolore palpabile, che avvertiva lei stessa.

-Anch’io … anch’io lo volevo Yayoi … ma … avevo paura … ho sempre avuto paura.-

Come lei. Proprio come lei.

-Mi dispiace … mi dispiace così tanto … non sono … non puoi perdonarmi …-

Alla fine mollò i polsi di Yayoi, e si vedeva chiaramente il segno del suo passaggio: la pelle si era arrossata vistosamente. Lui guardò quei segni con tristezza, e abbassò il capo sofferente, le lacrime continuavano ad uscirgli dagl’occhi.

-… ti perdono.-

Guardò la donna, anche lei non smetteva di piangere, le spalle scosse dai singhiozzi.

-Ti perdono di tutto. Troppe bugie, troppi errori, troppi problemi non risolti.

Semplicemente … non andava bene in quel modo. Ed è finita in quel modo.

È colpa tua, ed è colpa mia.-

Si avvicinò di un passo, e gli accarezzò il volto, guardandolo negl’occhi e prendendo un respiro profondo, riuscendo a sorridere; a quella piega delle labbra Jun si sentì confortato.

-Però, Jun … sono felice. Sono tanto felice che siamo riusciti a ritrovarci.-

Jun portò le sue braccia dietro la schiena di Yayoi e la spinse contro il suo petto, poggiando la sua guancia tra quei capelli rossi.

-Anch’io, anch’io sono felice.-

La donna, rasserenata, portò le sue mani dietro la schiena dell’uomo, e si appoggiò a lui.

Quanto, quanto tempo che non abbracciavano qualcuno in quel modo. Sembrava essere passata l’eternità in soli cinque anni.

-Mamma …-

Yayoi si sporse dall’abbraccio dell’uomo, e vide Hikaru muoversi e strofinarsi lentamente gli occhi, facendole sciogliere la presa e avvicinamdosi, sorridendo, al letto del bambino, accarezzandogli la fronte.

-Ehi, ciao amore. Come ti senti?-

-Ho caldo.-

-Bene, se sudi la febbre ti scenderà più in fretta. Altro?-

-Ho sete.-

-Vuoi l’acqua? O un succo di frutta?-

-… succo.-

-Te lo prendo subito. Ah, indovina chi c’è a prendersi cura di te?-

La donna si voltò verso Jun, e il bimbo seguì il suo movimento, sorridendo poi contento, agitandosi leggermente sul letto.

-Papà!-

Richiamato, l’uomo si avvicinò subito al figlio, e Yayoi gli fece posto, dirigendosi in cucina per prendere la bevanda.

-Ehi, campione, ben svegliato. Come ti senti?-

-Bene.-

-Ah si? E questa fronte calda?-

Il bimbo nascose leggermente il viso sotto le lenzuola, e il padre sorrise intenerito, arruffandogli dolcemente i capelli, sgridandolo in modo molto bonario.

-Non si dicono le bugie, lo sai vero?-

-La mamma lo dice sempre.-

-La mamma ha ragione. Ma tu sei bravo, vero? Tu non dici le bugie.-

-No, non le dice. È un bravo bambino.-

Argante:

E se ad Armida, oh cara,

nel procurar al tuo bel pié lo scampo,

note fien quel fiamme, che per te,

mio tesor, struggono il core?

Scopo saremo entrambi d’amor geloso e d’infernal furore;

e pur mi sento il cor frangere.

 

Almirena

Dunque, lasciami piangere.

La donna si avvicinò al letto mettendosi accanto a Jun, e l’uomo subito aiutò il bambino a mettersi seduto mentre Yayoi gli porgeva il bicchiere con il succo d’arancia, facendoglielo bere a piccoli sorsi.

-Piano, va bene?-

Il bimbo bevve assetato, finendo tutto il bicchiere.

Jun stava per rimetterlo sdraiato quando il piccolo cercò la protezione del suo petto, bloccandolo; l’uomo non seppe cosa fare e cercò aiuto nello sguardo di Yayoi.

-Prendilo in braccio.-

L’uomo ci mise tutta la delicatezza che aveva, sollevandolo dal letto e tenendolo appoggiato a sé mentre la donna, velocemente, prendeva la coperta sopra il copriletto, mettendola sul bambino in modo da non fargli prendere freddo.

-Ecco, così siete a posto. Ne approfittiamo per prendere la medicina amore?-

Il bimbo annuì, e la donna guidò i due al bagno, dove c’erano le supposte di ketoprofene; all’idea, giustamente, Hikaru fece storie, ma subito suo padre cercò di consolarlo e di fargli forza.

-Io resto qui, e se ti fa male stringi forte la mia mano, va bene?-

Un altro si con la testa, e la piccola mano del bimbo prese quella gigante del padre, il quale lo fece sistemare sulle sue gambe mentre Yayoi preparava la medicina, provando a scaldare la supposta nelle sue mani.

Furono i cinque minuti più difficili dell’intera vita di Jun Misugi: mai, e ripeto mai si era immaginato di fare una cosa del genere; guardò Yayoi, e si sentì sollevato nel vedere che la donna, al contrario, non aveva problemi, anzi rivelava la sua esperienza. Hikaru strinse le dita del padre solo una volta, tenendo gli occhi e la bocca serrati.

-Ecco, ho fatto. Ora torniamo a letto.-

Stavolta fu la donna a prendere in braccio il bambino, e Jun copiò i suoi movimenti nel sistemare la coperta addosso al figlio, seguendo subito dopo i due nella cameretta.

In quel silenzio, l’uomo sentì chiaramente la donna mormorare una ninna nanna, guidando il piccolo di nuovo tra le braccia di Morfeo, aiutata anche dal medicinale; Yayoi sistemò il bambino e le coperte, e si accorse che, in tutto quel tempo, la foto di lei e della sua famiglia era finita a terra, probabilmente era caduta durante il litigio.

La prese in mano, e la guardò con tristezza; Jun la osservò lì vicino.

-Jun, mi spiace per la scenata di prima. E mi dispiace di non averti detto niente a riguardo per tutto questo tempo.-

-… avevi il diritto di non dirmelo. In fondo io non te l’ho mai chiesto.-

Lei annuì ma non era convinta, uscendo dalla stanza del bambino e facendosi seguire dall’uomo, chiudendo la porta per far riposare in pace il piccolo, fino a quel momento non avevano fatto altro che disturbarlo, poverino!

Yayoi tornò al comò, e di nuovo tirò fuori la scatola laccata per sistemare la foto in fondo al cassetto; Jun, questa volta, si avvicinò alla scatola, e la esaminò mentre la donna, a quel movimento, s’irrigidì leggermente, osservando quella mano accarezzare i decori. Da un lato ebbe l’impulso di nascondere l’oggetto, dall’altro provò la curiosità di vedere la reazione di Jun quando l’avrebbe aperta.

-Che cos’è?-

-… aprila.-

Lo disse con un filo di voce, ma l’uomo non ci fece caso, aprendo il coperchio: due anelli d’oro, di misure diverse. L’uomo ci mise qualche momento a riconoscere la sua fede nuziale.

Le aveva conservate.

-… le hai tenute.-

Lei annuì, incapace di dirgli il motivo, era già abbastanza imbarazzante il fatto che lui le avesse viste, se gli avesse spiegato che le aveva tenute per … perché sperava di …

Chiuse il coperchio della scatolina e ripose quest’ultima nel cassetto, chiudendolo decisa mentre parlava per riprendere il controllo.

-Lo so, è sciocco, ma mi dispiaceva … buttarle.-

Si era voltata, e aveva trovato il volto di Jun a pochi centimetri dal suo che la studiava attento.

-È la verità Yayoi?-

Il fiato di lei cominciò a farsi affannoso, quella vicinanza era diversa rispetto a quella di prima, in camera del bambino: qui non c’era la rabbia a guidare i loro movimenti, e il silenzio che si stava alzando generava, in Yayoi, impulsi fisici che controllava a stento, facendo tremare i polsi.

Gli occhi ancora arrossati di Jun le facevano venire voglia di togliergli le ultime lacrime dalle palpebre, i capelli arruffati la spingevano ad accarezzarglieli e sistemarglieli, l’aria stanca a toccarlo per controllare … che stesse bene … e se scendeva alla bocca i suoi pensieri la portavano ad arrossire, tanto che distolse lo sguardo, cercando di rispondergli.

-Io … io …-

Lo sentì prenderle il mento con due dita, e il suo cuore cominciò a battere così forte che temeva l’uomo lo sentisse; la obbligò a portare di nuovo gli occhi verso di lui.

-Jun …-

Yayoi aveva gli occhi lucidi, in uno sguardo… no, non era spaventato. Era molto, molto emozionato

Jun pensò alla discussione avuta prima, alla foto, alla tristezza della donna, la sua rabbia, il suo dolore; tutte cose nuove di lei, che lui non conosceva. Di quella donna non conosceva niente, nonostante gli anni passati insieme, solo la superficie. Quale immenso mondo celava dentro di sé?

Voleva essere l’unico a scoprirlo e a conoscerlo, perché era un viziato, egocentrico egoista.

Le mani di Yayoi fremevano, sentiva l’istinto di toccarlo; lo fece piano, temeva che lo avrebbe allontanato, ma alla fine sentì, con i polpastrelli, la camicia. Ora le sarebbe bastato solo alzarsi in punta di piedi. Ma lui come avrebbe reagito?

Jun sentì quel tocco, e l’altra mano si mosse sul braccio di lei, prendendoglielo senza far male e spingendola verso di lui, adesso gli bastava solo chinarsi un pochino, e avrebbe azzerato la distanza.

-… Yayoi …-

Lei ingoiò, senza riuscire a chiudere gli occhi. Lui si avvicinò.

Ma entrambi si bloccarono a pochi millimetri dalla faccia: Kumo, sotto di loro, aveva iniziato a strofinarsi sulle loro gambe, mordicchiando e usando le unghie con il piede di Jun, prendendosela anche con la ciabatta di Yayoi.

Lo guardarono entrambi, all’unisono, e ridacchiarono divertiti, sentendo poi qualcuno bussare alla porta d’ingresso.

-Ah, è Sanae.-

-Vai pure.-

La lasciò andare, e prese un profondo respiro.

Almirena:

Lascia ch’io pianga

mia cruda sorte,

e che sospiri la libertà!

Il duolo infranga

queste ritorte

dei miei martiri

sol per pietà.

Lascia ch’io pianga

mia cruda sorte,

e che sospiri la libertà!

**

   
 
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