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Autore: elizabethraccah    14/03/2013    1 recensioni
«Quando la gente mi guarda negli occhi ha paura. Lo so. Lo sento. E forse questo non mi piace. Ma è il mio destino, e, come ogni altro destino che si rispetti, è scritto.
Non è che io abbia degli occhi di un colore strano, tipo un azzurro o un verde intenso o altro, come quelli che descrivono nei libri. Sono solo di un normale castano scuro, né da libro né da film. Non hanno niente di speciale, eppure negli occhi della gente che guardo c'è il terrore. Ma non lo faccio apposta. Forse sono solo io che sono fatta un po' male.»
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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È il terzo giorno che sono qui, e ancora non riesco a crederci. È tutto totalmente assurdo.

Non sono riuscita a capire molto di quello che mi hanno raccontato, e in effetti mi hanno detto tutto in un modo così confuso e strano che forse nemmeno loro capivano ciò che dicevano.

Non appena sono arrivata qui, Josh, entusiasta come un bambino al parco giochi, guardandosi intorno felice, ha cominciato a camminare nell'acqua schizzando dappertutto e a ripetere che mi sarei trovata benissimo, che presto mi avrebbero spiegato tutto. Non ho fatto molte domande, ma ero parecchio confusa.

L'ho seguito fino alla spiaggia, bagnata dalla testa ai piedi, vagamente infreddolita nonostante il sole cocente. Ci siamo incamminati, Josh davanti a me, io stretta nella mia felpa, verso un sentiero nascosto da alcuni alberi, alti e dalle chiome di un verde intenso, a qualche decina di metri dalla riva. Proseguendo, ai lati del sentiero gli alberi diventavano sempre di meno per poi lasciare posto a piccole capanne. Giurerei di aver visto un paio di occhi rossi fissarmi dal buio di una finestra (dopo che li ho scorti ho accelerato il passo).

Le capanne sono diventate poi strutture coniche, costituite da varie canne di una pianta simile al bambù, ma di un verde scurissimo, tenute insieme in cima da un fascio di foglie verde chiaro.

Mentre andavamo avanti ho rinunciato a cercare di capire di cosa fossero fatte le abitazioni: erano di sostanze sempre diverse, tantissime e di colori assurdi per delle case.

Non so per quanto abbiamo camminato, ma non mi sono stancata, anzi, mi sentivo quasi rinvigorita da quella passeggiata. Alla fine Josh mi ha accompagnata in una specie di capanna (mi ha detto che si chiama dertre), le pareti fatte di un materiale — ovviamente non so quale — che sembrava così fragile da dare l'impressione che la strana abitazione potesse crollare da un momento all'altro. Il tetto era praticamente inesistente: era solo una leggera nebbiolina che cambiava forma e colore tutto il tempo. Quando sono entrata nel dertre, la prima cosa che ho fatto è stato guardare il soffitto; visto da dentro è molto diverso. Prima è apparsa l'immagine di un prato soleggiato, punteggiato da fiori di tutti i tipi e colori, poi quella di un boschetto in montagna, le chiome degli alberi di un verde intenso, dopo un deserto ed infine l'oceano. Ero così presa dalla vista di quei paesaggi che quasi non mi ero accorta che Josh mi stava dicendo qualcosa.

«Cos'è?» ho chiesto a Josh, con gli occhi ancora incollati al non-soffitto, ma — mi sono accorta con un misto tra panico e stupore — lui era sparito. Le parole che mi aveva detto poco prima mi sono tornate alla mente, come le avessi registrate e le stessi risentendo: «Io vado, se hai bisogno di qualcosa percorri questo viale e bussa all'ultimo dertre sulla destra.»

Sola. Ero sola, per l'ennesima volta.

 

La prima cosa che ho fatto è stato esplorare la casa. Da dentro è molto più grande di quanto possa sembrare da fuori, è un vero e proprio appartamento, e nemmeno tanto piccolo, solo che non c'è né cucina né porte (tranne quella per entrare nel dertre) né qualsiasi cosa che funzioni con l'elettricità. L'entrata è ampia ma le pareti sono nude, di legno; il pavimento è soffice e marrone scuro, di un materiale indefinibile; dopo l'entrata il salotto, costituito solo da una specie di divanetto beige senza schienale e da un semplice tavolo nero. Dopo il salotto c'è uno spazio vuoto, un bagno, una camera da letto — la quale è solo un materasso, a terra, con una coperta leggera piegata ai piedi — con un altro bagno all'interno. Le pareti dell'intera casa sono di legno e completamente spoglie; gli unici colori sono sempre sui toni del marrone, tranne per il soffitto.

Non sapendo che fare, mi sono sdraiata sul materasso e ho fissato la nebbia colorata, che mutava in immagini con lo stesso ritmo dei miei pensieri. Dopo qualche decina di minuti mi sono accorta che ciò che pensavo diventava il soffitto: pensavo a casa e mi appariva di fronte l'immagine della mia camera, dei miei genitori. Pensavo al primo giorno di scuola e alla ragazza bionda che ho terrorizzato e mi appariva di fronte lei, il suo sguardo spaventato per colpa mia. Poi a quello che è successo con Derek, con Josh. Ricordavo le prime amiche che ho avuto dopo tanto tempo, e vedevo il viso lentigginoso di Tiffany, incorniciato dai capelli ricci e rossi; quello di April, i capelli neri e a caschetto; quello di Faith, i capelli biondo scuro, lisci e lunghi, che quasi contrastano con la pelle chiarissima.

Però poi i miei pensieri sono tornati ai miei genitori, e non ho sopportato di vederli, non così. Mi sono rigirata sul letto, la faccia schiacciata contro il cuscino, e mi sono addormentata.

 

Mi sono svegliata di soprassalto circa due ore dopo, mi sono passata una mano sl viso, e mi sono accorta di avere le guance bagnate.

Qualcuno bussava impazientemente alla porta, doveva essere stato quello a svegliarmi.

Mi sono vista di sfuggita allo specchio appeso in bagno — avevo un aspetto orribile, con quelle occhiaie violacee, gli occhi gonfi e i capelli spettinati — e sono corsa ad aprire, senza nemmeno vedere chi fosse alla porta.

Appena l'ho aperta, ho visto solo una macchia blu venirmi addosso, poi mi sono accorta che qualcuno mi stava abbracciando. Quando mi lasciò respirare, vidi chi era che mi aveva gettato le braccia al collo. All'inizio ho pensato che avesse un'aria familiare nei tratti del viso, ma non ero riuscita a capire chi fosse. Alta e slanciata, la figura aveva un bellissimo viso affilato e delicato, dalla carnagione chiarissima; il piccolo naso era cosparso di poche pallide lentiggini; le sopracciglia dritte; i capelli lisci, lunghi e… blu.

Ci ho messo qualche secondo a capire che era Faith, solo con dei capelli un po'… diversi. Sono rimasta immobile, a fissarla — non negli occhi, ovviamente —, cercando di capire cosa poteva esserle successo.

Dopo pochi istanti lei si è messa a ridere fragorosamente. «Ehi, non mi riconosci?» ha chiesto.

«Sì, certo, ma…» L'ho fissata, sconcertata. «Sei un po'… cambiata.»

«Questo è il mio aspetto naturale» ha spiegato divertita. Ha continuato a ridere. «Questa è casa nostra, appariamo per come siamo veramente.»

«Tu e chi altri?»

Si è messa a fissarmi, e io ho lottato con tutte le mie forze per non ricambiare il suo sguardo. «Ehi» ha detto, «puoi guardarmi, lo sai, vero?»

Non ne ero sicura.

«Ehi» ha ripetuto, divertita e indignata «davvero. Non ti fidi di me?»

Mi fidavo di lei. Solo che non mi fidavo di me.

Alla fine mi sono decisa. Aveva dei bellissimi occhi allungati e leggermente all'insù agli angoli esterni, di una tonalità sconvolgente: un vortice di sfumature di verde chiaro e azzurro, ma il colore predominante era il blu elettrico, con schegge dorate disposte a raggiera intorno alla pupilla. Gli occhi chiari contrastavano con i brillanti capelli blu scuro.

«Visto?» ha detto con uno sguardo furbo. «Qui ci puoi guardare tutti negli occhi, tranne quelli che ce li hanno viola.»

«Ma come faccio a sapere che ce li hanno viola se non li guardo negli occhi prima?» ho chiesto.

Ha fatto spallucce. «Anche questo è vero. Be', tanto li riconosci. Sono strani, penso che lo capirai, quando ce li avrai davanti.» Ha fatto un ampio gesto con la mano. 

«Be', che stiamo facendo qui? Vieni, devo portarti dagli altri.» Mi ha preso per un braccio e tirata fuori dal dertre, chiudendo la porta.

«Ehi!» ho esclamato, «e adesso come faccio a entrare?»

«Non c'è bisogno di chiavi, qui» ha risposto.

«Ma allora può entrare chiunque in casa di chiunque!»

«Tecnicamente sì, ma nessuno lo fa. Mica ci sono ladri, qui.»

Abbiamo cominciato a camminare. «Faith?»

«Mmm?»

«Dove siamo?»

Lei ha fatto un mezzo sorriso. «La chiamano Dimensione di Sotto, o Dimensione Sotterranea.»

«E dov'è, di preciso?»

«Uhm» ha fatto lei con una smorfia, «è difficile da spiegare. È… è come se, diciamo, fosse il "ricalco" della Dimensione di Sopra, ovvero della Terra. Insomma, lo strato di terra che calpestiamo è lo stesso (ci stiamo camminando proprio ora, come gli umani della Dimensione di Sopra), ma è come se la forza di gravità stesse nella crosta terrestre. In pratica, noi ora siamo a testa in giù rispetto agli abitanti della Terra. È strano dirlo, ma è così. Credo. Almeno è quello che si dice qui in giro.»

«Aspetta un attimo» ho detto. «Se ho capito bene, noi saremmo al contrario rispetto agli altri? Alle persone che ora sono sulla Terra?»

«Guarda che anche noi siamo sulla Terra» ha ribattuto. «Solo che loro sono all'esterno, e noi all'interno.»

«Ma quando sono arrivata qui… io ho visto il cielo.» Ho alzato lo sguardo. Tutto ciò che vedevo era sovrastato da un'azzurra cappa senza nuvole. «Quello è il cielo. E lo vedo anche ora.»

«È un'illusione. Magia.»

«Magia?»

«Sì.» Ha scrollato le spalle, come se fosse del tutto normale. «Piace molto a tutti imitare il paesaggio della Terra, quaggiù. Li hai visti anche tu il mare, gli alberi e tutto il resto. Prima non era così.»

«E com'era?»

«Non lo so. Hanno cambiato tutto tantissimo tempo fa, migliaia di anni fa, quando quelli che abitavano qui hanno scoperto l'esistenza della Dimensione Esterna. Gli è piaciuta così tanto che l'hanno imitata in tutto e per tutto, e, essendo così entusiasti della Terra, hanno cercato di insegnare la magia anche agli umani di Sopra, ma non ha funzionato… sono morti quasi tutti.»

«Quasi?»

«Sì, quasi. I figli dei superstiti hanno ereditato la magia, ce l'avevano direttamente nel sangue (evidentemente quando si impara la magia cambia qualcosa nel DNA). Ed eccoci qui.»

«Cosa? Mi stai dicendo che noi abbiamo la magia nel sangue?»

Ha fatto spallucce. «Non lo so. Tutto è possibile.»

Alla fine siamo arrivate davanti a una capanna imponente e grigiastra, la più grande che avevo visto nella Dimensione Sotterranea. Le pareti sembravano di metallo. Faith ha preso a bussare forte, poi mi ha guardato e mi ha fatto segno di venire da lei, ad imitarla.

«Non si arrabbierà?» ho chiesto.

Faith rise. «Certo che no!» ha detto col suo sorriso bianco e adorabile.

Allora mi sono avvicinata e ho cominciato a bussare, ma piano, quasi impercettibilmente, solo per farla contenta. Lei se n'è accorta, mi ha preso la mano, me l'ha stretta a pugno e me l'ha fatta sbattere, più e più volte, sulla porta. All'inizio mi sentivo un po' strana, fuori luogo, senza motivo, mentre lei rideva, divertita.

Dopo un po' ho cominciato a ridere anche io, per la prima volta dopo… molto, molto tempo.

La porta si è aperta, ne è uscita una figura bassa; capelli color inchiostro tagliati cortissimi, occhi di un verde brillante, intenso; sguardo furbo. Solo dopo ho notato che aveva una fascia gialla dipinta sulla pelle olivastra che prendeva tutta la parte di viso compresa dall'angolo dell'occhio sinistro a quello dell'occhio destro, come una maschera sottile.

«April?»

Lei mi ha sorriso, mostrando una chiostra di denti dritti e bianchi. «Catherine.»

«Che hai fatto ai capelli? Li hai tagliati ancora di più?» le ha chiesto Faith, prima che potessi farlo io.

«Vi piacciono?»

Faith ha fatto spallucce. «Sì. Prima sembravi una bambina di fata.»

April alzò gli occhi al cielo. «Grazie» ha risposto con voce esasperata e divertita. I suoi occhi si sono fissati in quelli di Faith. «Mi sei mancata.»

«Anche tu» ha risposto, con aria noncurante.

Io, April e Faith abbiamo continuato ad andare avanti.

«Una bambina di fata» ha sbuffato April. «Spiegami perché.»

«Be', dai, maga… fata… siamo lì, insomma.»

Intercettando il mio sguardo interrogativo, April mi ha spiegato, con fierezza: «Sì, sono una maga», come se fosse una cosa del tutto normale, come annunciare che il proprio cognome derivi da una stirpe reale.

«Una maga… che fa le magie?» ho chiesto, e subito dopo mi sono sentita stupida, così indietro, così ignorante di quel mondo nuovo.

Ma April ha sorriso e mi ha strizzato l'occhio. «Una cosa del genere.»

«Altro che una cosa del genere!» ha esclamato Faith. «Li sa fare tutti, gli incantesimi. Forse persino più di suo padre, che è il mago e il capo della Dimensione Sotterranea.»

«C'è un solo capo? Per tutta la Dimensione Sotterranea?» ho chiesto sbalordita.

«Certo. Calcola che qui è molto più piccolo della Terra di Fuori, e comunque siamo gente pacifica. Non ce ne importa niente del comando, e, a dir la verità, è anche una gran seccatura. Giusto, Ap?»

«Non mi chiamare Ap.» April è diventata rossa dalla rabbia, la striscia gialla sugli occhi invece è diventata blu. Dopo ha sollevato un braccio, ha aperto la mano e da essa è uscito un fumo grigio e denso, che ha avvolto Faith, la quale ha subito cominciato a dibattersi. Stavo temendo il peggio, quando però mi sono resa conto che Faith stava urlando e ridendo: «Ah ah ah, no, ti prego, fallo smettere!»

«Le stai facendo il… solletico?» ho chiesto sconcertata.

April mi ha sorriso, rilassata. La striscia era tornata gialla.

Nel frattempo Faith continuava a ripetere: «Okay, okay… ah ah ah, okay, non ti chiamo più Ap!» Alle sue parole, il fumo grigio si è dissolto, ma Faith ha continuato a ridere. «Ti odio quando lo fai, Ap» ha detto con voce affettuosa, dandole un buffetto sulla spalla.

Alla fine siamo arrivate davanti ad una casetta di tutti i colori dell'arcobaleno. Prima ancora che una di noi potesse bussare, la porta si è aperta e ne è uscita Tiffany… ma, anche lei, non era la solita Tiffany.

I capelli rossi e ricci erano al loro posto, e anche il viso era lo stesso, ma la pelle sembrava molto più chiara e le lentiggini spiccavano molto di più sul viso. I capelli erano intrecciati con perline e fiori e striscioline argentate e dorate. Sulla fronte portava un diadema, che nel centro aveva incastonata una grossa pietra rossa. Portava varie collanine al collo, di tutti i tipi, colori e dimensioni. Era vestita con solo una tunica stretta in vita da una cintura di cuoio arancione, i piedi erano scalzi.

«Avevo previsto che ci avreste messo un po' ad arrivare. Bell'incantesimo, Ap, esilarante

April ha fatto un sorrisetto furbo.

«Faith, spero tu ti senta bene. In effetti dovresti prenderti la prossima influenza solo tra un paio d'anni, sulla Terra. Te l'attaccherà…»

«Va bene, Tiff, basta» ha detto Faith. Poi, rivolgendosi a me: «Che bello avere un'amica indovina, eh?»

«Indovina?» ho esclamato. «Prevedi il futuro?»

Tiffany ha annuito sorridendo. «Già.» Ha fatto una pausa. «Allora, Catherine, so quello che ti hanno detto, ma ci sono delle cose importanti che devi ancora sapere. Innanzitutto: tranquilla, non fare cose stupide (inutile che te lo dico, tanto so che non ne farai), rilassati, qui siamo tutti amici e tutti sanno di te, non sentirti fuori posto, questa è casa tua.»

«Casa mia?»

«Sì. Sappiamo solo che tu discendi dai maghi di cui ti ha parlato Faith, quelli delle migliaia di anni fa. Fai parte di questo mondo, non della Terra di Fuori. Ti troverai bene.»

Ho annuito piano.

«Be', noi abbiamo alcune cose da fare» ha detto April, riferendosi a se stessa e a Tiffany. «Ci vediamo dopo.» Ha strizzato l'occhio a me e a Faith e si è allontanata velocemente, con Tiffany accanto.

«Che confusione, eh?» mi ha detto Faith.

Ho annuito di nuovo. Di sicuro, quando ero a scuola, non mi sarei mai aspettata che quelle tre fossero una maga, un'indovina, e… e?

«Quindi» ho cercato di ricapitolare, «April è una maga, Tiffany è un'indovina… e tu?»

«Io?» Mi è sembrata quasi imbarazzata da quella domanda. «Be', io… sono come te. Cioè, non nel senso che facciamo parte della stessa razza, ma nel senso che nemmeno io so chi sono. Nel senso che i miei poteri non si sono ancora mostrati, ecco…»

«Ma qualcuno avrà pur dovuto notare qualcosa di strano in te, per portarti qui sotto, no?» D'improvviso ho avuto l'impressione di essere stata troppo invadente con quella domanda, soprattutto perché il volto della ragazza si era fatto, tutt'un tratto, terribilmente triste.

«I miei occhi. Ammaliavano chiunque. E, fidati, è peggio questo che avere degli occhi come i tuoi.» Ma l'espressione avvilita di Faith è sparita dopo pochi secondi. Dopotutto, lei è sempre una persona allegra e ottimista. Si è stretta nelle spalle. «Be', lasciamo perdere. Abbiamo cose più importanti da fare di parlare della mia triste e dolorosa storia!» Ha pronunciato le parole «triste e dolorosa» ridendo, come per dire: "La mia storia è tutt'altro che triste e dolorosa, sto bene!" Però so che c'è di più, e credo che prima o poi lo scoprirò.

Ha fatto un ampio gesto col braccio. «Be', allora, andiamo? Devi conoscere la tua storia, giusto?» Ha sorriso e mi ha invitato a seguirla.

  
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