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Autore: SenBreeze93    15/03/2013    1 recensioni
Un materiale curioso rinvenuto su Urano e Nettuno. Un uomo potente che ne viene in possesso. La possibilità di poter creare un "essere migliore". Uomini e donne sottoposti a test di laboratorio, con mortalità pari all'80%. Esseri potenti, senza coscienza.... fino a lei.
Kay è una ragazza, strappata via dalla propria famiglia e privata della propria memoria. L'unica femmina nel suo genere. Starà a lei decidere del proprio destino: utilizzare le proprie abilità per uccidere o per proteggere?
Genere: Azione, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Viva.



 

Freddo. La prima cosa che percepì sotto di sé. Perché era freddo il termine giusto, vero?

Era coricata su qualcosa di ghiacciato: una sensazione spiacevole che la costrinse ad aprire gli occhi. Non riuscì a distinguere niente, solo una fitta nebbia. Sbatté le palpebre per cercare di mettere a fuoco qualcosa, ma il risultato non fu immediato.

Quando provò a muoversi non ce la fece. Una sensazione bruttissima la percorse, facendola gemere. Sgranò gli occhi a quel suono.

Che cos'era? All'improvviso, un flash le attraversò la mente e la parola le balzò in testa come la più semplice e scontata: voce. Quella era la sua voce. E la brutta sensazione che aveva provato era il dolore.

Qualcosa di freddo la toccò appena sotto il collo, sulla... spalla. Piano piano i termini le riaffioravano alla mente, come tante goccioline calde che la facevano sentire un po' meglio.

Guardò in quella direzione, constatando che la nebbia che vedeva se ne stava poco a poco andando. Di fronte a lei, china, vi era una strana figura, avvolta in qualcosa di bianco e con il viso metà coperto.

Corrugò la fronte e ispezionò meglio il luogo in cui si trovava: tante altre figure identiche all'altra la circondavano. Che cos'erano?

Ruotò la testa verso sinistra e il suo sguardo incrociò quello di una figura simile alle altre, ma un po' diversa. Tanto per cominciare non indossava niente e i suoi occhi (ecco come si chiamavano) erano di un rosa acceso.

Anche lei era sdraiata. Aprì piano la bocca e vide l'altra fare lo stesso.

Allora sollevò il... braccio e la cosa si ripeté. Fu allora che le venne la folgorazione: quella che vedeva era lei, l'immagine di sé stessa. Era il suo... riflesso. Certo, la parola giusta era riflesso!

Il suo corpo era identico a quello delle figure in piedi. Braccia, gambe, mani, piedi... persone. Ecco cosa.

Sentì la presa fredda stringersi ancora di più sulla sua spalla e questo bastò per farla voltare. Incrociò lo sguardo attento di quell'individuo mezzo nascosto dietro a bardature bianche e quello le disse qualcosa.

Sentì la voce risuonarle attorno, ma non riuscì a focalizzare le parole, solo una specie di eco indefinito. Corrugò la fronte e vide l'uomo scuotere la testa.

Un altro si fece avanti e l'afferrò per le braccia, obbligandola a mettersi seduta sul tavolo freddo. Ecco cos'era! Tavolo. Acciaio. Freddo. Tutto combaciava nella sua testa, anche se lei non ci stava capendo un granché.

Il secondo uomo alzò una mano e gliela passò davanti agli occhi. La cosa più naturale che riuscì a fare fu quella di seguire la mano andare avanti e indietro. Poi, la stessa mano le afferrò il mento, tenendole ferma la testa.

Con l'altra premette un dito contro un bastoncino lucido e quello iniziò a emanare una forte luce bianca. Torcia.

Gliela passò davanti e la puntò prima su un occhio e poi sull'altro, continuando così per altre tre o quattro volte.

La mollò e prese un altro bastoncino, che passò ripetutamente su qualcosa di bianco. Biro. Foglio.

Ora che la vista era tornata del tutto, anche l'udito stava migliorando.

Riusciva a sentire distintamente le voci e a capire da chi provenisse una e chi dall'altra. Riuscì anche a carpire qualche parola, che immediatamente attivò il suo cervello. Alla fine riuscì a darle un senso: gli organi visivi funzionano.

Si guardò di nuovo attorno, questa volta con più interesse. Era una stanza larga e quadrata, totalmente in acciaio. Anche i mobili erano in metallo.

Registrava ogni cosa che il suo sguardo incontrava e immediatamente il cervello riusciva quasi sempre a darle una parola da attribuirle.

Scaffale. Carrello. Ripiano. Specchio. Muro. Soffitto. Pavimento.

Di nuovo uno degli uomini le si piazzò davanti e le disse qualcosa. Dopo un po', riuscì a focalizzare: riesci a capirmi?

Una sola cosa le venne naturale da fare. Piegò la testa prima in avanti e poi indietro, per un paio di volte. Annuire.

Di nuovo quello si mise a scribacchiare su un foglio e di nuovo disse qualcosa: organo uditivo a posto.

Decise di ignorare quegli strani uomini e si concentro più su di sé. Era completamente nuda e aveva freddo. Seppur meno di prima. Ora si trovava molto più a suo agio.

Si osservò il petto, da cui sporgevano due rigonfiamenti. Seno.

Agitò i piedi e li osservò muoversi stupita. Fece lo stesso con le mani e ne osservò con meraviglia e interesse tutti i pori, i piccoli peli, i tendini che si muovevano allo stesso ritmo con cui lei voleva muovere le dita.

Quando voltò di scatto la testa sentì qualcosa di setoso e morbido frusciarle su schiena e spalle. Curiosa, spostò lo sguardo e vide lunghissimi filamenti sottili, di un azzurro pallidissimo, quasi luminoso.

Tirò una manciata di questi e un lieve dolore le attanagliò un punto sulla nuca. Erano collegati ad essa. Quelli erano i suoi... capelli.

    • K93xx. –

Non seppe perché, ma nell'udire quella strana sfilza di lettere e numeri, si voltò automaticamente verso chi l'aveva pronunciata.

    • Alzati. –

Di nuovo un ordine. Si voltò verso il bordo del tavolo e vi fece scorrere le gambe nude. Il freddo era ormai un ricordo. Ora stava benissimo. Fece leva con le braccia e toccò il pavimento in acciaio con i piedi scalzi. Una lieve sensazione di fresco, per un istante, poi più niente.

Ora era ritta sulle due gambe, come gli altri.

Le fecero fare qualche passo per la stanza, per testare le sue abilità motorie, poi la fecero parlare. Doveva dire qualcosa, qualsiasi cosa.

Proprio mentre stava per aprire bocca, una sgradevole sensazione le attanagliò la pancia. Una sensazione di vuoto, seguita da un rumoroso gorgoglio. Le parole le uscirono dalle labbra senza che se ne accorgesse.

    • Ho... fa..me... –

Le aveva dette con un accento strano, un po' insicura. Non sapeva bene come dovesse dirle. Ma una cosa l'aveva notata: al contrario di quando avevano parlato loro, quando lei aprì bocca, una nuvoletta bianca era uscita insieme al respiro, fredda come il ghiaccio. Si soffiò allora sulla mano e la ritrasse di colpo quando la sentì ghiacciarsi all'improvviso.

Perché il suo respiro era tanto gelido?

Gli uomini la circondarono e tre di loro l'afferrarono per i polsi e le braccia, tenendola ferma. Il quarto le puntò addosso uno strano tubo bianco, che finiva con un beccuccio metallico a imbuto.

Confusa, cercò di liberarsi e notò che, seppur avesse mosso le braccia con estrema leggerezza e sebbene fosse notevolmente più bassa di loro, i tre individui avevano rischiato di cadere, gemendo dallo spavento.

Stupita, si bloccò, rimanendo immobile a fissarli.

Non se ne accorse subito, ma quelle persone avevano approfittato della sua distrazione per fare qualcosa: quelli che la tenevano ferma si erano dileguati e quello con in mano il tubo aveva tirato una specie di leva. Dal beccuccio fuoriuscì con estrema velocità un'ondata bianca che diffuse una fredda nebbiolina tutt'intorno.

Il getto la investì in pieno, ma riuscì solo a farla barcollare leggermente.

Tanti piccoli pallini le picchiettavano sopra la pelle nuda. Alzò lo sguardo infastidita, fino a incrociare gli occhi sgranati e stupefatti degli uomini.

Alzò allora una mano e la parò davanti a sé, afferrando a velocità impressionante qualcuno di quei pallini fastidiosi. Se lo rigirò fra le mani: era bianco, lucido e un po' trasparente. Il nome le affiorò prima alla mente e poi sulle labbra.

    • Ghiaccio... – sussurrò e ancora una nuvoletta di condensa si formò nell'aria.

Il getto si interruppe all'improvviso e stranamente Kay si sentì quasi rinvigorita. Le caddero gli occhi su una ciocca di capelli e vide che si era illuminata di un azzurro intenso, non più slavato. Si sentiva fortissima e ogni grammo di debolezza e dolore era sparito del tutto.

    • Impressionante. – commentò uno degli uomini in camice bianco – Questo getto avrebbe dovuto spazzare via un muro. E poi viene solitamente usato per refrigerare i macchinari surriscaldati... –

La ragazza capì la metà di quello che aveva appena sentito, ma non le diedero nemmeno il tempo di ragionarci. La fecero sedere nuovamente al tavolo d'acciaio e le puntarono uno strano tubetto di ferro all'avambraccio destro. Quando premettero un pulsante talmente piccolo da essere quasi invisibile, dal beccuccio uscì un raggio blu sibilante, che passarono sulla sua pelle, in contorni ben definiti, quasi volessero scrivere qualcosa.

Quando spensero il laser, una sottilissima striscia bianca luccicante disegnava uno strano simbolo sulla sua epidermide.

Lo guardò stranita e posò nuovamente lo sguardo su quegli strani individui. Ne vide uno afferrarle il braccio e avvicinare alla parte marchiata una... siringa. Conteneva un liquido blu intenso e luccicante, quasi fosse costituito da tanti piccoli cristalli. Con quello le bucarono la pelle... o almeno, ci provarono. Perché lo spillo di ferro si ruppe.

Allora, dopo aver mormorato qualche parola incomprensibile, se ne avvicinò un secondo, questa volta con un arnese ben più grande e metallico. La forma le ricordava vagamente qualcosa.

Socchiuse gli occhi e, mentre lo appoggiavano sul suo braccio, un flash le attraversò la testa: pistola.

D'istinto sottrasse il braccio, balzando in piedi sul tavolo con uno scatto inumano. Talmente veloce che i dottori la guardarono spaventati.

    • No! – gridò lei.

Non sapeva bene il perché, ma sentiva che doveva avere paura di quell'oggetto. Ne aveva il terrore. Un'altra scoperta. Paura. Una sensazione sgradevole che è capace di paralizzare il corpo o farti fare ciò che non vorresti. La mente isolò il resto della sala, concentrandosi solo sulla pistola. Questo poteva essere un problema, perché se qualcuno si fosse avvicinato a lei non se ne sarebbe neanche accorta.

    • Calma. Non vogliamo farti del male. – le disse uno scandendo bene le parole.

Ma lei non si mosse.

    • Pis...pistola. Pericolo. – mormorò.

Il dottore parve spiazzato. Poi guardò ciò che aveva in mano e rise.

    • No, non è una pistola. Serve per le iniezioni. K93xx, vieni. –

A quelle ultime parole non poteva sottrarsi. Si chinò, saltò giù dal tavolo e si risedette dov'era prima. Di nuovo le fu appoggiato al braccio quell'arnese e, quando il grilletto venne premuto, sentì un forte pizzicotto al braccio e un qualcosa di estremamente caldo riversarsi sotto la sua pelle.

Guardò allora che cosa le stesse succedendo e notò che il segno lasciato dal laser si stava riempiendo di quel liquido blu che aveva visto prima.

Anche sotto la pelle continuava a brillare sommessamente, espandendosi fino a riempire i contorni del simbolo. Nel suo cervello qualcosa si attivò e all'improvviso riconobbe il simbolo che le avevano appena marchiato addosso: una K.

La fecero alzare, di nuovo, e l'avvolsero in uno di quei camici bianchi che lì dentro indossavano tutti.

Si avviarono verso un grosso ritaglio sulla parete metallica (porta, giusto?) e l'aprirono.

Lo scenario non cambiava di molto. Ancora tutto metallico, d'acciaio. Un gruppo numerosissimo di persone identiche a quelle che erano con lei lavoravano tra strani macchinari e tavoli vari.

Alla sua destra, alcuni stavano buttando in un tunnel dei lunghi e grossi sacchi neri contenenti chissà cosa, altri lavoravano su alcuni corpi inermi e con gli occhi spalancati. Non seppe perché, ma quella visione la turbò non poco, obbligandola a distogliere lo sguardo.

Un dottore le posò la mano sulla spalla e la spinse verso una lunga scalinata ferrosa, che portava dritta verso una porta dell'analogo materiale.

Salirono in silenzio, senza degnare di uno sguardo nessuno e varcarono la soglia.

Una stanzina bianca, quadrata, che al posto della parete opposta alla loro, aveva un grande pannello di... plastica.

I dottori si tolsero i camici e premettero un pulsante rosso. Il pannello incominciò a salire, svelando un mondo totalmente diverso da quello che aveva appena visto.

I colori predominanti erano l'oro e il rosso, tutto tappezzato di moquette e non. Pareti rosse ricamate in oro, con splendidi... candelabri a tre teste.

Il pavimento era coperto di un soffice tappeto rosso che smorzava il rumore dei loro passi e il soffitto era dorato.

La ragazza fece frusciare i piedi sulla morbida moquette e percepì una temperatura di gran lunga più calda di quanto non fosse prima.

Camminarono per parecchio, allontanandosi sempre di più dal luogo in cui era appena nata. Svicolarono per diversi corridoi, fino a raggiungere una porta in mogano. Sopra vi era inciso un numero: 402.

Il più alto degli uomini, uno pelato, infilò un pezzo di ferro (chiave) nella parte metallica della porta (serratura) e la girò per un paio di volte.

Quando aprì la porta, la fece entrare per prima, consegnandole la chiave che aveva appena usato.

    • Questa è la tua stanza. Resterai qui fino a quando non arriverà qualcuno a chiamarti. Hai capito? –

Annuì.

I dottori la guardarono per qualche istante, poi si voltarono e si richiusero la porta alle spalle.

Sola. Silenzio, interrotto solo dal rumore sommesso e ritmico del suo respiro.

La stanza era grande e rettangolare, con i soliti colori tendenti all'oro e al rosso. Alla sua destra c'era un grosso letto, con a fianco un comodino in mogano e quello che sembrava un... ripiano da toeletta. Il termine le venne in mente così, naturalmente, facendola sorridere.

Non seppe come mai, ma la vista di quel mobile la faceva sentire leggera, le veniva voglia di sorridere e anche di... ridere. Felicità. Lei era felice.

Si sentiva strana, ma la cosa le piaceva molto. Si avvicinò alla specchiera e si sedette sullo sgabello in mogano e cuscino rosso. Ora poteva osservarsi meglio: il suo viso era ben levigato e di forma tonda; gli occhi erano davvero grossi e la pupilla sfavillava di un bel rosa acceso e vivace, mentre i capelli.... erano davvero lunghissimi. Se li accarezzò distrattamente, ammirandone la lucentezza e tastandone la setosità.

A separarli in due bande ben definite era una riga al centro del cranio, che fungeva da divisore. Solo una ciocca, più corta delle altre, le ricadeva sul viso, coprendole per metà uno degli occhi e solleticandole il naso. Se la portò dietro all'orecchio con una mano, con un gesto naturale che le venne automatico.

Guardò a terra e notò che, quando era seduta, i filamenti azzurrini si raggruppavano a terra, come una soffice sciarpa di seta.

Tornando alla propria immagine riflessa, notò quanto fosse bianca la carnagione e di come riusciva a ghiacciare il vetro con il respiro se si avvicinava troppo.

C'erano parecchie cose che non le tornavano, ma non le importava al momento.

Un suono secco e ritmico risuonò dalla porta. Qualcuno stava bussando.

Scattò automaticamente in piedi e attese che la porta si aprisse. La maniglia girò, scostando la porta e facendo largo a una figura slanciata.

Nell'anatomia del corpo, questa figura assomigliava di più a lei: era una donna.

La giovane signora si guardò attorno, finché non la trovò. Le rivolse allora un sorriso cordiale, che Kay non poté non ricambiare, seppure in modo più timido e insicuro.

    • Tu sei Kay? – le chiese la donna.

    • K93xx. – le rispose lei. Non sapeva che quello fosse effettivamente il suo nome, ma le venne naturale dirlo.

L'altra sorrise – Facciamo Kay, per abbreviare, ti va? –

Kay annuì lievemente, sorridendo appena e abbassando lo sguardo. La donna le si avvicinò, presentandosi – Io sono la professoressa Sienna. Sarò la tua tutrice d'ora in poi. –

    • Tut-tutrice? –

    • Mi prenderò cura di te. –

Questa volta la risposta era chiara. Kay si sentì un poco tranquillizzata, ma non di tanto. Almeno adesso sapeva di avere qualcuno che le avrebbe detto che cosa fare e non sarebbe stata costretta a restare sola in quella stanza.

    • Oh, buon dio! Ma hai solo il camice indosso? Ah, quegli scienziati non hanno un minimo di buon senso! –

Esclamò, avviandosi verso un angolo della stanza, dove aprì una porta scorrevole che rivelò un intero armamentario di vestiti.

    • Scienziati? –

Questa volta Sienna la ignorò, continuando a frugare tra i vestiti.

Kay non aveva la minima idea di come si dovesse vestire una donna e per capirne qualcosa, osservò ciò che indossava la signora. Era tutto beige, a partire dal gilè a maniche lunghe e finendo con la stretta gonna lunga fino al ginocchio. Anche le scarpette con il tacco erano dello stesso colore. I capelli castani erano stati raccolti in un'elegante chignonne fermata da qualche molletta e ad aggiungere un tocco di stile c'erano un bel paio di occhiali rettangolari dalla montatura tanto sottile da sembrare inesistente.

    • Trovato! –

Sienna si raddrizzò, stringendo tra le mani qualcosa di fucsia e qualcosa di azzurro.

    • Sei una ragazza e quindi il tuo abbigliamento dev'essere giovanile, non da vecchia befana come me. In più è in tinta con i tuoi occhi... e anche con i capelli. –

Le porse il vestiario, ma, vedendo la faccia spiazzata di Kay, rise e sospirò.

    • Va bene, ti aiuto io, ma tu vedi di imparare, ok? –

Aveva degli splendidi occhi color sabbia, screziati di marrone e verde.

Rimase incantata a fissarle gli occhi anche quando le tolse il camice di dosso, rimettendola nuda.

Stava per porgerle quelli che sembravano pantaloni in pelle rosa, ma fece una smorfia e ritornò all'armadio.

Quando tornò, reggeva qualcosa di piccolo e bianco con un fiocchetto viola davanti.

    • Delle mutande...? – chiese Kay osservandole.

    • Certo! Non vorrai metterti i pantaloni senza queste, vero? –

Non sapendo bene che cosa stava facendo, Kay scosse la testa, facendosi infilare l'indumento.

    • Aspetta... qui ci vuole anche un reggiseno... a occhio e croce direi che va bene una seconda misura... o forse anche una terza... boh, vediamo... –

Tornò dall'ennesima esplorazione con due fasce, una bianca e l'altra nera, la seconda sembrava più larga.

Le fece indossare quella bianca, ma vedendola trattenere il respiro, Sienna optò per quella nera.

    • Meglio la terza, allora. –

Le allacciò la fascia e le tolse le spalline, ritenendo che non stavano bene con quello che voleva farle mettere.

Le mise i pantaloni fucsia: erano in pelle lucida ed estremamente attillati, anche se sul polpaccio si allargavano a zampa di elefante.

Poi venne il momento di quello che sembrava un top azzurrino molto strano: era stato cucito e tagliato in modo che prendesse motivi a nuvola.

Infatti, quando lo ebbe indosso, notò che l'ombelico rimaneva completamente scoperto, come anche l'incavo tra i seni, al contrario dei fianchi e della schiena, che restarono del tutto coperte.

    • Sai, non è un caso che io abbia scelto questi vestiti. – la informò Sienna.

Le allacciò insieme top e pantaloni tramite un paio di cinghie poste sui fianchi. Ora Kay capiva cosa intendeva: erano fatti apposta per stare insieme.

Fu stupita di quel pensiero. Lei non ne sapeva nulla di vestiti e roba varia, allora perché tante informazioni le balenavano alla mente così, dal nulla? Forse tutto era dovuto al fatto che fosse donna?

Sienna si allontanò, considerandola con sguardo critico, poi sorrise e le porse un'ultima cosa, che Kay, questa volta, riconobbe al volo: scarpe.

Erano nere con decorazioni gialle, di quelle da ginnastica. Non avevano lacci, ma solo un elastico interno che faceva aderire subito la calzatura al piede.

    • Guardati allo specchio. Che te ne pare? Ora va meglio, no? –

Kay ubbidì, piazzandosi davanti a quella superficie riflettente. Quel che vedeva era una ragazza, alta più o meno 168 centimetri, con lunghi capelli che le sfioravano le caviglie e con un raggiante sorriso sul viso. Un sorriso che non si era nemmeno resa conto di fare.

Ora si riconosceva davvero. Era viva!



  
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