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Autore: Shari Deschain    15/03/2013    3 recensioni
[What if? e Spoiler fino alla 4x16]
«Ce ne andiamo»
La voce di Stefan la colse di sorpresa, ma le sue parole no. In fondo nessuno dei due fratelli Salvatore aveva più alcuna ragione per restare e, soprattutto, nessuno a Mystic Falls aveva più alcuna ragione per voler continuare ad accoglierli.
La Camaro di Damon era parcheggiata poco distante, e Damon stesso era lì a pochi metri da loro, appoggiato con noncuranza contro l'automobile.
“Quindi se ne vanno insieme”, pensò Caroline, e nemmeno questo la sorprese più di tanto. Quando perdi qualcosa di importante, la reazione più naturale possibile è quella di stringerti ancora più forte intorno a quello che ti rimane.
«Vieni con noi?»
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Stefan Salvatore | Coppie: Caroline/Tyler, Damon/Elena, Elena/Stefan
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Pairing/Characters: Caroline, Damon, Stefan (also: Stelena, Delena, Forwood, Steroline f-ship)
Rating: PG
Warnings: What if?, Spoiler 4x16;
Word Count: 4812 (fdp)
Disclaimer: Niente di mio, non ci cavo un euro.
N/A: Scritta per il COW-T#3 @ maridichallenge missione 4, prompt "viaggio" #TeamSuthiForeverAndEver e per 500themes_ita, prompt #76. Lasciare andare.






Hopeless wanderer





«You heard my voice
I came out of the woods by choice
Shelter also gave their shade
But in the dark I have no name
So leave that click in my head
And I will remember the words that you said
Left a clouded mind and a heavy heart
But I was sure we could see a new start»

(Mumford & Sons – Hopeless Wanderer)






Ci si sente sempre inadeguati ai funerali, soprattutto a quelli degli amici.

Non è una sensazione razionale, è più un generico senso di colpa per essere ancora vivi mentre la persona a cui tenevi non lo è più. Sindrome del sopravvissuto, la chiamano, e non è per niente naturale checché ne dicano gli psichiatri.

Non per un vampiro, almeno.

Il funerale di Jeremy, comunque, fu abbastanza veloce. Dopotutto era solo l'ultima di una lunga serie di disgrazie: si poteva quasi dire che ormai gli abitanti di Mystic Falls ci avessero fatto il callo. Tanti morti, tante tragedie, sempre meno lacrime. La riserva stava davvero esaurendosi.

Per Tyler, invece, non c'era stato nessun funerale, né ci sarebbe mai stato. O almeno così sperava Caroline.

Sarebbe rimasto tra la lista delle persone scomparse fino a quando anche la sua storia non fosse stata dimenticata, ed allora solo alcuni dei suoi amici avrebbero continuato a pensare a lui, ad aspettarlo, a chiedersi se sarebbe mai tornato a casa.

Caroline ne dubitava.

Con Klaus a piede libero, per Tyler l'unica soluzione era continuare a scappare, fino a far perdere completamente le proprie tracce.

(Fino a quando non troveremo un modo)

(Ma non l'avrebbero mai trovato)

Camminando tra l'erba bassa e talmente ben curata da sembrare di plastica, Caroline si domandò per l'ennesima volta perché non le avesse chiesto di andare con lui. L'avrebbe seguito. Lo avrebbe fatto davvero.

Sarebbe bastato un semplice─

«Ce ne andiamo», gli sussurrò qualcuno all'orecchio, distraendola dai suoi pensieri.

La voce di Stefan la colse di sorpresa, ma le sue parole no. In fondo nessuno dei due fratelli Salvatore aveva più alcuna ragione per restare e, soprattutto, nessuno a Mystic Falls aveva più alcuna ragione per voler continuare ad accoglierli.

Caroline si voltò a guardare quello che sorprendentemente era diventato il suo migliore amico di sempre, ed incontrò uno sguardo duro e un'espressione impossibile da decifrare.

Prima di Klaus, Stefan non era mai stato un così buon attore.

La Camaro di Damon era parcheggiata poco distante, e Damon stesso era lì a pochi metri da loro, appoggiato con noncuranza contro l'automobile.

Quindi se ne vanno insieme”, pensò Caroline, e nemmeno questo la sorprese più di tanto. Quando perdi qualcosa di importante, la reazione più naturale possibile è quella di stringerti ancora più forte intorno a quello che ti rimane.

«Vieni con noi?»

Quella domanda probabilmente avrebbe dovuto essere la cosa più sorprendente in assoluto, dato che lo stesso Stefan aveva sgranato leggermente gli occhi non appena finito di porla.

Caroline lo fissò in silenzio, la bocca ben poco graziosamente spalancata.

Andare via con loro, che cosa ridicola”, pensò.

Abbandonare tutto e tutti per andare non si sa dove, a fare non si sa cosa, senza più una casa né, più pragmaticamente, un posto qualsiasi dove vivere.

Abbandonare tutto e tutti per stare con un pazzo psicotico e crudele, con un'ironia che definire malata era fargli un complimento, e con un depresso cronico che probabilmente non avrebbe sorriso mai più per il resto della sua vita.

Abbandonare tutto e tutti per non dovere più tornare ad una scuola dove tutto, tranne lei, sarebbe tornato più o meno normale nel giro di pochi giorni, e ad una vita dove i suoi amici non l'avrebbero più guardata in faccia senza avere le lacrime agli occhi.

Abbandonare tutto e tutti e smettere di fingere di essere quella che non era, che non poteva più essere nemmeno se lo avesse voluto, e Caroline non lo voleva.

Abbandonare una casa dove lei e sua madre erano finalmente qualcosa di più che due estranee che condividevano quattro pareti.

Ma dovrò abbandonarli lo stesso, prima o poi. Quando tutti gli altri inizieranno ad invecchiare ed io, al loro fianco, sembrerò sempre più giovane. 

E in fondo Tyler se n'era già andato.

Guardò negli occhi Stefan, che sembrava stesse ancora chiedendosi perché diamine le avesse chiesto una cosa del genere, e poi spostò lo sguardo su Damon che aspettava impassibile la sua risposta.

Non si voltò a guardare indietro.

«Sì», rispose semplicemente. «Sì, vengo con voi»

E mentre lo disse capì di averlo sempre saputo, fin dal giorno in cui Katherine l'aveva uccisa, che sarebbe finita così, e che era solo questione di tempo prima che si trovasse costretta a dire definitivamente addio a quello che restava della sua vita umana.

Scoprì di aver sempre saputo anche che, quando quel momento fosse infine arrivato, Stefan e Damon sarebbero stati lì con lei.


*


Damon le diede trenta minuti esatti per preparare i bagagli (“Solo le cose necessarie, Barbie, non azzardarti neanche a pensare di portare più di una valigia, se vuoi salire nella mia macchina”), mentre Stefan le chiese di non avvisare nessuno della sua partenza (“Potrai telefonare a tua madre quando saremo abbastanza lontani da qui e il rischio di venire fermati e arrestati per rapimento di minore sarà più ridotto” “Come se potessero davvero arrestarci” “Taci, Damon”), e dopo essersi affrettata a mandare a quel paese il primo, e a rassicurare il secondo di non voler lasciare nessun biglietto d'addio o altre cose melodrammatiche di questo genere, Caroline salì in camera sua, prese la valigia più grande che possedeva, e cominciò a riempirla senza pensarci troppo.

Vestiti estivi, vestiti invernali, scarpe col tacco e scarpe da ginnastica. Non sapeva a che cosa sarebbe andata incontro, e non voleva trovarsi impreparata. Mise dentro anche un paio di bikini, nonostante le possibilità di sdraiarsi con Damon e Stefan su una spiaggia della California sembrassero probabili quanto un loro sbarco sulla luna.

Raccolse la borsa dei trucchi, gli accessori per i capelli, qualche gioiello a cui era particolarmente legata, e poi tutte le fotografie che riuscì a trovare. Non le guardò nemmeno, ma le infilò direttamente in una tasca interna della borsa, con talmente tanta forza che quasi finì per strapparla.

Quando finalmente riuscì a pigiare tutta la roba all'interno della valigia, e convincere quest'ultima a chiudersi come si deve, venticinque dei trenta minuti concessi da Damon erano già passati.

Gli ultimi cinque minuti che le rimanevano da passare con la sua vecchia vita, Caroline li spese rannicchiata sul suo letto, a fissare la parete opposta della sua camera.

Sembrava tutto così irreale che riusciva a stento a credere che lo che stava davvero facendo.

Le porte dell'armadio erano ancora spalancate e, tra i molti vestiti che non avevano trovato posto nella sua valigia, spiccava la divisa bianca e rossa da cheerleader (e in realtà avrebbe voluto portare anche quella, ma proprio non riusciva a pensare ad una qualsiasi situazione in cui avrebbe potuto indossarla. E poi non osava neanche immaginare i commenti di Damon se mai avesse scoperto che se l'era portata dietro).

Mille domande cominciarono ad assillarla, e dubbi e ripensamenti si affollarono nella sua testa. Non si sentiva pronta per farlo. Non era giusto. Aveva solo diciassette anni, in fondo.

La valigia ai piedi del letto diventò all'improvviso una cosa minacciosa e oscura, e fuori dalla finestra, mentre il sole tramontava, il mondo sembrò ancora più spaventoso di prima – e non che gli ultimi mesi fossero stati un luna-park, eh.

Per un attimo sperò che Damon e Stefan non si facessero vedere, che decidessero di non aver bisogno di accollarsi la compagnia di una ragazzina nevrotica come lei, e che se ne andassero da soli, abbandonandola lì dov'era, lasciandole ancora un po' di tempo.

Oppure avrebbe sempre potuto dire loro che ci aveva ripensato: sapeva che non avrebbero obiettato.

Ma i trenta minuti erano ormai passati, e la macchina di Damon si stava fermando proprio in quel momento nel vialetto sotto casa sua.

Dopo pochi secondi di attesa Damon schiacciò con impazienza sul clacson, e Caroline sentì distintamente il rimbrotto immediato di Stefan.

La ragazza lanciò un ultimo sguardo alla sua stanza, poi afferrò la valigia e corse velocemente di sotto, prima che Damon venisse a prenderla personalmente come già stava minacciando di fare.


*


Sdraiata sul sedile posteriore dell'auto, le gambe schiacciate contro la propria valigia – o armadio in miniatura, a detta di Damon, che appena l'aveva vista si era assolutamente rifiutato di metterla nel suo bagagliaio perché sosteneva che avrebbe danneggiato gli altoparlanti (“E dove me la metto allora?” “Vuoi davvero che ti risponda, Barbie?”), Caroline osservava il cielo fuori dal finestrino.

All'interno dell'abitacolo il silenzio era pesante e quasi imbarazzante, ma quando dieci minuti prima lei aveva proposto di accendere la radio, Stefan l'aveva ignorata e Damon aveva emesso un grugnito poco rassicurante, così Caroline aveva deciso di lasciar perdere.

Chi se ne frega, aveva pensato.

Aveva rinunciato fin da subito anche a chiedere dove stessero andando, perché aveva intuito che nessuno ne aveva la più pallida idea, men che meno Damon, che stava guidando da ore senza mai scendere sotto i centoventi chilometri orari. Ancora una volta, chi se ne frega.

Piegando appena la testa di lato, Caroline gettò un'occhiata ai sedili anteriori. Damon guidava dritto ed irrigidito come una statua di sale, e non distoglieva lo sguardo dalla strada nemmeno per un attimo, ma lei sapeva che la vedeva appena, concentrato su ben altri pensieri che la sicurezza stradale. Stefan invece era appoggiato di lato, contro la portiera, la testa posata contro il finestrino appannato, e per quello che Caroline poteva vedere dal riflesso nello specchio, i suoi occhi erano chiusi e la sua espressione quasi rilassata. Eppure sapeva che lui non stava dormendo, e che in realtà la sua concentrazione non era seconda a quella del fratello.

Caroline riportò lo sguardo sulle stelle e sulle luci lontane che s'intravedevano oltre il finestrino, e si domandò per quante altre volte, nei giorni seguenti, avrebbe dovuto dirsi chi se ne frega, e per quanto tempo ancora avrebbe dovuto fare finta di crederci.


*


Si fermarono la prima volta che erano quasi le tre del mattino, e apparentemente solo perché Damon aveva bisogno di bere qualcosa. Senza fornire ulteriori spiegazioni, infatti, il vampiro cacciò lei e Stefan fuori dalla sua macchina, ordinando loro di trovarsi un albergo in zona dove passare la notte.

Caroline s'indignò da morire, ma non fece in tempo ad aprire la bocca che Stefan aveva già recuperato entrambi i loro bagagli e la stava prendendo per un braccio, guidandola verso quello che sembrava uno di quegli squallidi motel a ore.

Mentre la Camaro alle sue spalle sgommava dispettosamente, Caroline si chiese se Damon l'avesse fatto apposta, e immediatamente si rispose che sì, ovviamente l'aveva fatto apposta. Era di Damon che stavano parlando, dopotutto.

«Mi dispiace», disse Stefan poco dopo, sventolandole davanti alla faccia una chiave da cui pendeva un portachiavi dalla non poi così vaga forma fallica. «Dovremo arrangiarci un po'.»

«Non fa niente», rispose Caroline, ed in fondo era sincera, anche se per un attimo, davanti all'arredamento leopardato e le lenzuola nere macchiate di non-voleva-sapere-cosa, i suoi nervi sembrarono sul punto di cedere.

Ma dopo aver ammaliato la cameriera perché mettesse delle lenzuola pulite, dopo aver convinto Stefan che sedersi sul letto accanto a lei non avrebbe intaccato la virtù di nessuno dei due, e, soprattutto, dopo aver trovato una buona riserva di alcolici nel minifrigo accanto al comodino, le cose si misero decisamente meglio.

Ben lontani dall'idea di mettersi a dormire, Caroline e Stefan passarono tutta la notte a bere, aspettando il ritorno di Damon che stava facendo esattamente la stessa cosa, in un bar a pochi chilometri da loro, da solo.


*


Tirarono avanti così per un po' (e al posto di un po' ci si può mettere indifferentemente sia giorni che settimane), e almeno all'inizio sembrava andare bene.

Di giorno viaggiavano seguendo la strada che Damon decideva di seguire, fermandosi di tanto in tanto da qualche parte, vuoi per fare rifornimento ad una banca del sangue, vuoi perché Caroline, stufa, si metteva a cantare finché Damon non la sbatteva praticamente giù dall'auto, minacciando di abbandonarla come un animale domestico indesiderato (cosa che Caroline sapeva che non avrebbe mai fatto, se non altro perché Stefan non glielo avrebbe permesso).

Di notte, invariabilmente, Damon spariva, mollandoli vicino a qualche albergo – ma se non aveva almeno tre stelle Caroline si rifiutava categoricamente di scendere –, per andare poi a riprenderli la mattina dopo.

Più volte Stefan gli aveva chiesto di restare, ma lui sembrava non sentirlo, e comunque non gli aveva mai risposto.

Da quando avevano lasciato Mystic Falls, a parte per le solite battute taglienti che dovevano essergli state incorporate durante il concepimento, Damon era diventato taciturno come nessuno che lo conosceva avrebbe mai potuto immaginare, Caroline men che meno. A suo confronto Stefan era un chiacchierone, per dire.

Caroline intuiva che lo faceva principalmente per lei, per essere un buon amico. Questo la inteneriva, e l'aiutava a sopportare le nottate passate insieme a fare finta di dormire, spesso sdraiati fianco a fianco senza niente da dirsi, perché non osavano parlare del passato, e il presente offriva ben pochi spunti di conversazione. Il futuro, poi, era un concetto completamente inesistente nelle loro menti.

Caroline intuiva anche che non potevano andare avanti in quel modo per sempre, ma aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere dopo, quindi si costringeva a stringere i denti e a sopportare noia, caldo e inutili ore di viaggio, aspettando con trepidazione e timore insieme che il futuro venisse finalmente a bussare alla portiera della loro auto.


*


Durante tutto quel tempo, affrontarono il discorso di Elena una sola volta, poco dopo essere partiti.

«Non dovremmo andare a cercarla?», aveva domandato Caroline, sdraiata sui sedili anteriori.

«No», era stata la risposta di Damon. Brusca, secca, che non ammetteva discussioni.

«Ma se sta dando la caccia a Katherine...»

«No», aveva ripetuto Stefan.

Caroline non aveva più domandato nulla.


*


La verità è che a volte ci si costringe a fare qualcosa pur sapendo fin dall'inizio che è una pessima idea. Succede quando il cuore si sostituisce al cervello, e le emozioni alla razionalità.

Succede quando vuoi credere che andrà tutto bene, ma in fondo sai già che non sarà così.

Stefan, per esempio, sapeva che il tempo passato insieme a Mystic Falls, con tutto ciò che era successo a loro ed intorno a loro ─ e soprattutto l'intera faccenda di Klaus ─, aveva riavvicinato lui e Damon come non aveva mai osato neanche solo sperare in passato; ma sapeva anche che costringersi a vivere così a stretto contatto l'uno con l'altro, in condizioni che avrebbero probabilmente fatto esplodere relazioni molto più tranquille della loro, rimaneva una delle idee più stupide che avessero mai avuto ─ e fra lui e Damon di stupidaggini ne potevano vantare davvero parecchie, eh.

Il suo subconscio doveva averlo intuito molto prima di lui, e forse era un po' anche per questo che si era ritrovato a chiedere a Caroline di andare via con loro ─ e si vergognava profondamente ad ammetterlo anche solo con sé stesso, perché non le aveva propriamente chiesto di accompagnarli a fare un allegro picnic in campagna, ed averla costretta a prendere una decisione così importante per la sua vita solo perché l'idea di rimanere da solo con Damon lo spaventava non era certo nella lista delle sue azioni migliori.

Ma inaspettatamente Caroline era partita (fuggita) con loro, e Stefan non avrebbe mai smesso di ringraziarla per questo.

Non che le avesse mai veramente detto “grazie”, ad essere onesti, ma a volte, quando Damon li lasciava da soli e si trovavano entrambi ad occhi sbarrati nel mezzo della notte, incapaci di dormire o di parlare, di pensare o di ricordare, ecco, quelle volte lì Stefan cercava la sua mano e la stringeva forte, senza dire nulla, e lei gliela stringeva a sua volta, ancora senza parlare, così Stefan sapeva che Caroline capiva, e che non aveva alcun bisogno di sentirselo dire ad alta voce quel grazie.


*


Non era mai stato nella natura di Damon rendere le cose facili. Certo, la maggior parte delle volte lo faceva apposta a complicare tutte le situazioni in cui si trovava coinvolto, ma c'erano casi ─ casi come questo, per intenderci ─, in cui lui stesso avrebbe voluto essere leggermente meno predisposto a peggiorare le cose, ma proprio non riusciva a trattenersi.

Così certe notti Stefan doveva mentire a Caroline, dicendole di aver bisogno di andare di nuovo a caccia ─ ormai beveva anche sangue umano, ma solo a piccole quantità e non troppo spesso, quindi, come diceva Damon, gli scoiattoli erano ancora una specie a rischio Stefan ─, o di voler bere del liquore migliore di quello offerto dalla bettola di turno, per poi invece andare a recuperare suo fratello in qualche bar sperduto sull'autostrada, prima che si ubriacasse troppo e facesse qualcosa di estremamente stupido che avrebbe potuto metterli tutti in pericolo.

«Vorrei che fosse tutta colpa tua, Stefan. Renderebbe le cose dannatamente più facili», gli diceva di solito Damon, quando se lo ritrovava improvvisamente davanti.

«Già», rispondeva Stefan, che non era esattamente lusingato dall'idea, ma non poteva nemmeno biasimare il fratello. Se ci fosse stato qualcuno ─ uno qualsiasi, persino lui stesso ─ a cui poter dare la colpa di tutto ciò che era andato storto, si sarebbero sentiti entrambi molto meglio.

«Mi piaceva quel ragazzo.»

«Già.»

«Lei non aveva il diritto di cacciarci da casa nostra», Damon non faceva il suo nome ─ nessuno di loro aveva ancora fatto il suo nome da quando erano partiti ─, ma non ce n'era bisogno.

«Non ci ha cacciati. Ce ne siamo andati noi.»

«Ah sì?»

«Sì.»

A quel punto, di solito, Damon lo fissava con occhi spenti e vagamente confusi, e non solo a causa dell'alcool.

«Perché?», domandava infine, e Stefan, invariabilmente, distoglieva lo sguardo.

«Non lo so.»

Sempre lo stesso copione, tutte le notti. Stefan non era mai abbastanza ubriaco da cambiare qualche battuta, da rispondere qualcosa di diverso dalla verità.

Così si limitava a trascinare il fratello fino alla macchina, guidare fino all'hotel dove Caroline, ignara, lo stava aspettando, e ritornare in camera sua, lasciando Damon addormentato sul sedile, con la consapevolezza che difficilmente l'indomani si sarebbe ricordato della sera prima, e ancora più difficilmente gliene sarebbe importato qualcosa.


*


«Adesso spiegami perché, se ti è completamente indifferente dove andiamo, non posso essere io a scegliere la prossima città dove ci scaricherai come due pacchi postali», strepitò Caroline, per quella che Stefan contò come la dodicesima volta da quella mattina.

«Perché sono io che guido», replicò pigramente Damon, senza nemmeno prendersi il disturbo di voltarsi a guardarla.

«Bene, in tal caso lascia guidare me!», urlò ancora Caroline.

Damon rise.

«Allora Stefan!»

Damon rise ancora e Caroline iniziò seriamente ad arrabbiarsi. Stefan sospettava che lei neanche sapesse dove diamine voleva andare (la notte prima aveva ammesso di non avere la più pallida idea di dove si trovassero al momento), ma che fosse comunque determinata ad annoiare Damon, giusto per amore di discussione.

Più i giorni passavano, più quel viaggio continuo gli sembrava una follia. Non capiva come mai Caroline non fosse già caduta preda di una crisi di nervi, o perché Damon accettasse quei battibecchi sempre più frequenti con una semplice alzata di spalle, quando un paio di mesi prima avrebbe minacciato di sterminarle la famiglia per molto meno.

«Stefan, accendi la radio!», ordinò Caroline dopo qualche minuto di furioso silenzio.

Stefan sospirò.

«Stefan, non azzardarti a toccare la radio», sibilò suo fratello.

Stefan sospirò ancora.

«Si può sapere perché devi essere così maledettamente sgradevole

«Si può sapere perché devi essere così maledettamente rompiscatole

Stefan capì di aver raggiunto il limite, almeno per quella giornata.

«Damon, fammi scendere.»

Non sapeva se il suo mormorio fosse passato davvero inosservato a suo fratello ─ probabile, visto che stava continuando a scimmiottare ogni parolaccia che Caroline gli urlava contro ─, o se Damon avesse semplicemente deciso di ignorarlo ─ probabile anche questo ─, fatto sta che l'auto non si fermò, i due continuarono a litigare, e Stefan sentì i suoi nervi sfregare l'uno contro l'altro, producendo scintille di rabbia.

Allora fece una cosa molto stupida, che non si sarebbe mai azzardato a fare se la strada non fosse stata totalmente deserta e se tutti loro non fossero stati immortali.

Tirò il freno a mano con talmente tanta forza che la leva gli si spezzò tra le dita, e non fece in tempo a gettare un'occhiata alle espressioni sbalordite degli altri due che la macchina, ovviamente lanciata al massimo, sbandò paurosamente e, con un fastidiosissimo stridio di fischi, iniziò a girare forte su sé stessa.

Finirono fuori strada, sollevando un mucchio di polvere che invase l'abitacolo attraverso i finestrini aperti, e per qualche secondo, troppo sorpresi e anche troppo impegnati a tossire per pensare di urlare, i tre non poterono fare altro che osservare il mondo girare intorno a loro a velocità pazzesca.

Dopo qualche minuto la macchina si fermò definitivamente, ma prima che suo fratello si riprendesse abbastanza da ammazzarlo, o prima che Caroline riuscisse a trovare abbastanza fiato da ricominciare ad urlare, Stefan aveva già spalancato la portiera ed era sparito alla loro vista.


*


Damon e Caroline lo raggiunsero due ore dopo, in un bar ad una cinquantina di chilometri di distanza dall'incidente, mentre Stefan stava bevendo la sua seconda tazza di caffè grigiastro dal sapore di cartone.

In silenzio, i due si sedettero al suo tavolo, Caroline al suo fianco e Damon di fronte a lui, e Stefan si limitò a continuare a fissare il suo orrido caffè come se volesse convincerlo a tramutarsi in scotch con la sola forza del pensiero.

«Sei pazzo», disse Caroline poco dopo, senza guardarlo, e prendendo in mano il menù che la cameriera aveva prontamente posato di fronte a lei. «Pensavo che il pazzo fosse solo Damon, ma evidentemente è una cosa di famiglia»

E per tutto il resto della giornata quello rimase l'unico commento su quanto era accaduto.


*


Quella notte, per la prima volta da quando erano partiti, Damon rimase con loro, “dato che qualcuno ha deliberatamente deciso di distruggere la mia macchina ─ e ti assicuro che prima o poi me la pagherai cara, Stefan ─, e che per oggi ho camminato già troppo”.

Presero tre camere separate perché Stefan e Caroline non avevano voglia di spiegare a Damon che spesso e volentieri dormivano insieme nello stesso letto, senza nemmeno sfiorarsi, solo per farsi compagnia. Entrambi avevano la precisa impressione che lui non avrebbe capito.

Ci fu un attimo di imbarazzante silenzio quando si ritrovano tutti e tre sul pianerottolo, ognuno con la propria valigia in una mano e nell'altra la chiave della stanza che avevano prenotato per due notti (“All'inizio quel meccanico ciccione ha detto che ci sarebbe voluta una settimana per riparare la mia macchina, ma poi ha cambiato idea” “Ovvio, lo tenevi sollevato per il collo”), ma poi Caroline mormorò un “Be', allora buonanotte”, e sparì dietro la sua porta, e gli altri due si affrettarono immediatamente ad imitarla.



****



Il pensiero di Elena accompagnava Stefan ogni momento da quando aveva lasciato Mystic Falls, come un mal di testa leggero ma sempre presente.

Con Damon non aveva mai avuto il coraggio di parlarne ─ suo fratello sembrava avere l'innata capacità di trasformarlo in un vigliacco ─, e Caroline semplicemente non avrebbe capito. Ci avrebbe provato, certo, ma non avrebbe mai potuto capire davvero.

Ricordava il funerale di Jeremy, il modo in cui lei si era voltata a guardarlo e lui aveva realizzato, con quel solo sguardo, che era finito tutto.

«Lo capisco», le aveva detto quando lei, perfettamente insensibile nel suo scudo di non-umanità, aveva detto di non potere, di non potere davvero andare avanti così, ed Elena aveva sorriso amaramente.

«No che non capisci», gli aveva risposto, guardandolo dritto negli occhi. I suoi erano asciutti, gelidi e lontanissimi. «Tuo fratello è ancora vivo.»

Tu sei riuscito a salvare tuo fratello, io no, è quello che lei non aveva detto, e che lui aveva sentito lo stesso.

Io non riesco a salvare nessuno.

(JeremyJennaJohnMammaPapà)

E ora non voglio più salvare nessuno.


La sua stanchezza lo aveva ferito più di ogni altra cosa, e lo feriva ancora adesso.

Ma aveva capito.

C'erano volte in cui l'amore semplicemente non era abbastanza, e c'erano cose a cui nemmeno l'amore poteva porre rimedio.

Cose come il rimorso, la rabbia, il senso di colpa. E il dolore. Soprattutto il dolore.

Al funerale Stefan non aveva visto quelle emozioni negli occhi di Elena, ma ricordava le sue urla quando infine aveva realizzato che suo fratello era morto davvero. Ricordava il dolore di quella notte e lo riviveva lui stesso giorno dopo giorno, sotto il volto inespressivo che era costretto a tenere su con Caroline e Damon.

Quel genere di cose erano troppo personali per essere condivise: chi ha detto che niente come il dolore può unire due persone, doveva essere una persona molto stupida.


*


Il pensiero di Elena accompagnava anche Damon, e non in modo più piacevole.

Non aveva raccontato a nessuno quello che era successo quel giorno, dopo il funerale di Jeremy, e nessuno glielo aveva chiesto. A Stefan era bastata un'occhiata sola per capire.

Senza nessun sentimento da parte di Elena, perfino il sirebonding si era allentato, perdendosi nel nulla dietro lo sguardo spento della ragazza. Quel vuoto gli aveva fatto male allora, e gli faceva ancora male adesso.

Ma tutto quel dolore non era nulla in confronto al momento in cui, in piedi davanti alla tomba di Jeremy, con il suo vestito da lutto già fin troppo usato, Elena si era voltata verso di lui con quegli occhi pieni di morte e indifferenza, e gli aveva chiesto l'unica cosa che non era mai stato sicuro di poterle dare.

«Lasciami andare», gli aveva detto. «Dimmi di andarmene via da te. È quello che avresti dovuto fare fin dall'inizio, no?»

Parole come paletti di legno.

Lui era rimasto in silenzio a lungo, con il cuore di nuovo spezzato. Ma che cos'altro avrebbe potuto fare, alla fine, se non darle quello che voleva? Non era questo il punto? Rispettare le sue scelte? E lei voleva andarsene, adesso. In cerca di vendetta. Forse in cerca di un'altra vita.

Aveva allungato un braccio e le aveva afferrato un polso, pensando di trattenerla. Che cosa stupida, lasciarla andare. Insieme potevano ancora trovare la cura. Insieme potevano farla pagare a Katherine. Insieme potevano fare tutto. Ma niente sarebbe bastato.

«Lasciami andare, Damon», aveva ripetuto Elena.

Damon aveva lasciato la presa e la mano di lei era scivolata via dalla sua, mentre dalle sue labbra scivolavano parole giuste, parole che odiava con tutto se stesso. Parole che, però, infine aveva dovuto dire.

Parole che l'avevano lasciata andare.


*


«Ha bisogno di stare da sola», aveva detto Stefan, comprendendo la situazione non appena rientrato nella casa vuota. «Katherine non si lascerà trovare, e lei avrà il tempo di... rimettersi in sesto.»

Damon aveva scosso la testa, ubriaco fino al midollo.

«È colpa mia», aveva mormorato piano. «È sempre colpa mia.»

Stefan si era limitato a sospirare.

«È sempre colpa nostra», lo aveva corretto. E poi, più per non lasciare ancora spazio al silenzio che per vera intenzione, aveva continuato: «Forse dovremmo andarcene anche noi.»

Damon lo aveva preso in parola.

Silas, Klaus, Katherine, la cura, Bonnie e la sua follia di voler squarciare il velo tra i due mondi... si erano lasciati tutto alle spalle. Almeno per un po'.



****



Caroline li aspettava seduta sul cofano della Camaro appena rimessa a nuovo, con i piedi posati sul parafango e un vassoio con tre bicchieri di caffè in grembo.

Stefan la raggiunse per primo, con le mani sprofondate nelle tasche dei jeans e un sorriso storto sulla faccia. Le prese i bicchieri dalle mani e ne porse uno a Damon, che lo seguiva lentamente.

Per un po' rimasero tutti e tre in silenzio, a lasciarsi accarezzare dai raggi del sole nascente e dal venticello frizzante della mattina.

«Credo che sia ora di tornare a casa», disse Caroline, spezzando infine quell'irreale immobilità. «Prima o poi dovremo andarcene per davvero, ma non questa volta. Questa è stata una specie di prova, vero? Un giro a vuoto?»

«Probabilmente sì», rispose Stefan.

La risata roca di Damon li colse quasi di sorpresa. Quasi.

«Non proprio a vuoto», spiegò infine il maggiore dei Salvatore, guardando lontano. «Diciamo che potrei aver seguito le tracce di Katherine.»

Stefan alzò un sopracciglio, scettico.

«Per tutto il tempo?»

«Non proprio», confessò Damon, voltandosi a guardarlo negli occhi. «Solo da qualche giorno. O qualche settimana. Da un po', diciamo.»

Senza alcun preavviso, Caroline allungò una gamba e gli rifilò un calcio in uno stinco.

«Ahi!»

«Stronzo», commentò. «Avresti potuto dircelo.»

Damon si strinse nelle spalle, i suoi occhi erano ancora fissi in quelli di suo fratello.

«All'inizio non era questo il piano.»

«Avevamo tutti bisogno di una pausa», disse Stefan. «E ce la siamo presa. Ma credo anche io che ora dovremmo tornare a casa.»

«Insieme ad Elena», aggiunse Damon.

Stefan annuì e si voltò verso Caroline.

«Be', suppongo che se ci capitasse per caso di incontrare anche Tyler sulla strada verso nessun dove, io non potrei certo dichiararmi scontenta della cosa», mormorò lei con un mezzo sorriso.

Sorridendo a sua volta, Stefan le prese la mano e gliela strinse appena.

Damon sopportò ancora qualche minuto di silenzio, poi la sua impazienza ebbe la meglio.

«D'accordo allora, tutti a bordo. Stefan, tu stai dietro», sbottò.

«Ma─»

«Niente ma. Mi hai già distrutto la macchina una volta.»

Caroline rise.

«Finalmente potrò impadronirmi dello stereo», sospirò contenta.

«Non ci pensare neanche», ringhiò Damon.

Ricominciarono a battibeccare ancora prima di chiudere le portiere, un nuovo record personale. Ma questa volta a Stefan non dispiacque affatto.






N/A: E quindi, in definitiva, cos'è questa cosa? Bella domanda XD È una storia che ho in testa da anni, non tutta ovviamente (la preveggenza non è un mio dono), solo la scena in cui Caroline lascia Mystic Falls con Damon e Stefan. È un qualcosa di cui sono così convinta che ormai lo prendo per canon anche se non lo è e probabilmente non lo sarà mai XD
E niente, alla fine l'idea si è trasformata in una What If? a partire dalla 4x15 perché ho grossissimi problemi ad accettare questa cosa del sirebonding e il fatto che ormai tutti lo usano così come se niente fosse, e spero che lo eliminino presto del tutto.
Also potrebbe esserci una parte due con Elena a caccia di Katherine, beware #lol




   
 
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