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Autore: Padmini    16/03/2013    5 recensioni
Sherlock è un bambino timido che, nonostante la sua buona volontà, non riesce a farsi nessun amico. Forse per il suo carattere introverso, forse perché si annoia con i giochi dei suoi compagni di classe, forse perché è troppo intelligente e saccente, perfino con le maestre. Forse tutte queste cose insieme.
Eppure, da qualche parte, c'è un amico che aspetta solo lui.
AU Child!Sherlock; Teen!John; Child!Moriarty
Genere: Avventura, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Avete voluto che continuassi con la storia? Bene! Mi avete provocata e questo è il risultato!

Ho imparato da Moffat e Gatiss, perciò soffrirete …. soffrirete moltissimo! *risata diabolica lunghissima*

 

Padma: Mini, chiamo il ristorante e dico che arriveremo in ritardo?

 

Padmini: Bwahahahaha – sì, grazie – Bwahahahahaha ….

 

 

(citazione da Rat Man, “Il signore dei Ratti”)

 

 

 

 

 

Il mio peggior incubo

 

 

 

 

 

22 anni prima

 

Era stato un inverno particolarmente freddo. Non aveva nevicato ma la temperatura era scesa molto sotto lo zero. Sherlock voleva uscire a giocare, ma la mamma glielo aveva proibito, faceva troppo freddo.

Lui, testardo come al solito, aveva iniziato a battere i piedi a terra, ad offendere la madre dandole della stupida e della rompiscatole. A quel punto Violet non aveva trovato altra soluzione se non quella di rinchiuderlo in camera sua finché non si fosse calmato.

Sherlock si era arrampicato sul divanetto posizionato sotto la finestra e, inginocchiato, sognava di poter uscire. Saltò giù dal divanetto e andò alla porta. Era chiusa a chiave. Cercò inutilmente di aprirla, ma era tutto inutile. Sbuffò scocciato e diede un calcio allo zaino di scuola.

John era occupato a studiare e non poteva andare a giocare con lui. Si annoiava da star male.

Giusto davanti alla sua camera cresceva un grande albero. Gli sarebbe bastato fare un piccolo salto per poter raggiungere il ramo più grosso e, da lì, saltare di ramo in ramo e raggiungere il giardino. La madre era troppo occupata con i lavori domestici e non si sarebbe certo accorta della sua assenza. Indossò la sua giacca, i guanti e la sciarpa e aprì delicatamente la finestra, cercando di non fare rumore. Si arrampicò sul balcone e valutò la distanza tra lui e il ramo. Con un salto ce l'avrebbe fatta. Si inginocchiò e, dandosi una bella spinta, saltò sul ramo. Ce la fece per un pelo. Si tenne con entrambe le braccia e riuscì a sedersi a cavalcioni. Il primo passo era fatto. Ora bastava raggiungere il suolo. Era più alto del previsto e gli girò un po' la testa, ma guardando in basso riuscì a individuare ottimi appigli per scendere e, più tardi, risalire.

Rischiando di cadere, riuscì in qualche modo a scendere dall'albero e atterrò fiero e soddisfatto su un cumulo di foglie secche. Si guardò attorno. Non c'era anima viva.

Corse veloce verso il cancello e uscì dal buchino che conosceva solo lui, direzione Regents Park.

 

 

Restò fuori casa per due ore buone. Corse lungo i viali alberati del parco, inseguì gli scoiattoli e fece volare gli aironi. Si divertiva come un matto, anche se non c'era John. La sola idea di disobbedire, di fare il pirata, lo riempiva di gioia e di orgoglio. Era sfuggito alla prigionia della madre e ora si godeva la sua libertà.

Nonostante la follia, rimaneva un bambino molto furbo, perciò tenne sempre d'occhio l'ora, per evitare che la madre lo scoprisse fuori di casa. Stava per rientrare, quando arrivò il primo colpo di tosse. Non ci fece caso e trotterellò fino a casa allegro come sempre.

Se tutto fosse andato come aveva previsto, non avrebbero scoperto nulla, ma non aveva fatto i conti con Mycroft. Il fratello maggiore tornava proprio in quel momento da un pomeriggio in casa di un amico, a cui aveva dato ripetizioni di matematica.

Entrò in giardino proprio mentre Sherlock si apprestava ad arrampicare l'albero. Il fatto che il fratellino si comportasse in modo così strano lo insospettì, ma non disse nulla. Entrò in casa e permise al piccolo di continuare i suoi giochi.

 

 

Trascorsero un paio di giorni. Sherlock ogni tanto tossiva, ma erano sfoghi momentanei, nulla di cui preoccuparsi. La notte del secondo giorno, però, qualcosa cominciò a muoversi. Sherlock non riusciva a prendere sonno. I colpi di tosse erano diventati sempre più frequenti e lo tormentavano incessantemente, nonostante lui cercasse di tenerli nascosti.

I signori Holmes dormivano pacificamente, ma quando Violet si svegliò per andare in bagno, sentì il malessere del figlio e corse immediatamente in camera sua. Sherlock era a letto, raggomitolato e tremante, tossiva convulsamente. Gli andò vicino e gli posò una mano sulla fronte. Scottava.

Sherlock ...” sussurrò Violet preoccupata “Hai la febbre … com'è successo, signorino?”

Era veramente in ansia. Sherlock non era uscito se non per andare a scuola e in quei casi si era sempre premurata che non prendesse freddo. Si allontanò per andare a prendere il termometro e gli misurò la temperatura. Era superiore ai 38 ° C. Violet guardò spaesata il figlio, che nel frattempo aveva iniziato a respirare sempre più affannosamente, tormentato dalla tosse.

Sherlock ...” sussurrò nuovamente “Cosa ti è successo?”

Il bambino non rispose, ma qualcun altro lo fece per lui.

È uscito qualche giorno fa, di nascosto” disse Mycroft, entrando nella stanza con le braccia incrociate al petto “Per questo ha preso freddo”

Violet guardò il figlio furente.

Quel che dice tuo fratello è vero?” chiese, cercando di non sembrare troppo arrabbiata, per non spaventarlo.

Non è vero!!” mentì il piccolo, tra un colpo di tosse e l'altro “Sei un bugiardo, My, un bugiardo cattivo!”

Il ragazzo sospirò ma non si arrabbiò per le offese ricevute. Portava molta pazienza con il fratellino e gli voleva molto bene, anche se ultimamente si era parecchio ingelosito per il suo rapporto con John.

Ti ho visto arrampicarti sull'albero di fronte a camera tua per rientrare di nascosto” spiegò Mycroft “Non ho detto nulla perché volevo che la tua piccola avventura rimanesse segreta, ma ora mi vedo costretto a dire la verità”

Violet guardò Sherlock preoccupata. In quel momento aveva altri pensieri e non lo sgridò. Sherlock era sempre stato cagionevole di salute, anche a causa del fatto che era nato prematuro di quasi un mese. I medici le avevano detto che avrebbe potuto avere dei problemi ai polmoni, anche se al momento della nascita sembrava tutto a posto.

Si alzò e andò a guardare fuori dalla finestra. Non se la sentiva di spostarlo. La notte era troppo fredda e si era alzato un venticello gelido che aveva portato con sé alcune gocce di pioggia.

Si alzò dal letto e posò una mano sulla spalla del figlio maggiore.

Pensa tu a tuo fratello. Io vado a chiamare il medico”

Mycroft prese il posto della madre affianco al fratellino e lo carezzò piano sulla testa.

Perché l'hai fatto, My?” chiese Sherlock, sull'orlo delle lacrime “Perché hai fatto la spia?”

L'avrebbe scoperto lo stesso, piccolo ...” gli rispose lui “Ora stai male, pensa solo a guarire, ok?”

Sherlock tenne il muso per qualche istante, poi si rilassò e annuì debolmente.

 

 

Il medico arrivò dopo poco tempo e visitò Sherlock con attenzione. Il responso fu polmonite, non troppo grave per sua fortuna. Prescrisse degli antibiotici e se ne andò, assicurandosi che lo avrebbero chiamato in caso di bisogno.

Il giorno seguente arrivò John. Violet gli spiegò lo stato di salute di Sherlock e che presto sarebbe guarito. John entrò nella stanza di Sherlock in punta di piedi, quasi intimorito dal silenzio che regnava lì. Solitamente il bambino gli sarebbe saltato al collo ridendo e raccontandogli le sue ultime avventure. Quel giorno giaceva inerme a letto, scosso ogni tanto da tenui colpi di tosse.

Buongiorno mio Capitano” sussurrò avvicinandosi al letto “Come sta oggi?”

Sto bene!” rispose Sherlock, ma un colpo di tosse lo smentì “Sto quasi bene!” si corresse poi ridendo “Però ora che ci sei tu qui con me sto meglio!”

John rise e si sedette accanto a lui per coccolarlo.

Sherlock restò a letto per due settimane piene e poté alzarsi solo all'inizio della terza, anche se non era completamente guarito. La febbre era scesa ma non passata del tutto e gli restava ancora un po' di tosse, ma anche quella svanì nel giro di pochi giorni.

John gli era sempre stato vicino ed era lì anche per l'ultima visita del dottore.

Quel giorno pioveva a dirotto e Violet non se l'era sentita di portare il figlio in ambulatorio, preferendo far venire lì il medico, che naturalmente si era trovato d'accordo con lei.

Lo visitò a lungo e quando si ritenne soddisfatto uscì dalla stanza e si congedò.

 

 

Il tempo passò e Sherlock aveva ormai 12 anni. Anche se quell'inverno non era stato particolarmente rigido, ancora una volta si ritrovò a letto, con la febbre alta e i polmoni infiammati.

John, come al solito, era con lui, più preoccupato che mai, mentre osservava il medico che lo visitava. Anche lui sarebbe diventato un medico e osservò ogni mossa del suo futuro collega con attenzione, soprattutto perché si trattava di Sherlock.

L'uomo gli auscultò i polmoni, gli misurò la temperatura e la pressione del sangue, poi si alzò sospirando e scuotendo la testa. Si rese immediatamente conto di quella reazione involontaria e si affrettò a sorridere, per non spaventare il bambino.

Guarirai” gli disse, senza troppa convinzione nella voce. Salutò John con un cenno del capo e uscì dalla stanza, per andare a parlare con Violet.

John, che aveva colto quel momento di sconforto da parte del dottore, lo seguì silenziosamente, dopo essersi assicurato che Sherlock fosse ben coperto.

Violet era in cucina. Piangeva piano. Forse si aspettava brutte notizie. Il medico la raggiunse e le posò una mano sulla spalla.

Signora Holmes, devo parlarle … penso sappia cosa sto per dirle, no?”

Violet non rispose ma si limitò ad asciugarsi una lacrima con il dorso della mano.

Suo figlio, Signora Holmes, è molto debole. Ormai in questi ultimi anni è stato vittima di infezioni ai polmoni diverse volte … è sempre guarito, ma non so se riuscirà a diventare adulto … se continuerà così, morirà nel giro di pochi anni o peggio … probabilmente non supererà questo inverno ...”

Violet scoppiò a piangere. John aveva ascoltato tutto con il terrore che pian piano gli saliva sulla schiena. Non poteva essere … non poteva … Corse a grandi passi verso la camera di Sherlock.

Aveva gli occhi chiusi e respirava appena. Si avvicinò a lui. Gli carezzò la fronte rovente mentre con la mano libera andava a prendere il fazzoletto nella bacinella d'acqua fredda. Lo strizzò e glielo posò sul viso, per fargli sentire un po' di refrigerio. Sherlock tremò sotto la stoffa bagnata e fu la sua unica reazione. John temeva di poterlo perdere, magari proprio sotto i suoi stessi occhi, magari di lì a qualche istante. Calde lacrime gli scivolarono sul viso e andarono ad abbattersi sul corpicino del bimbo. Quando una di queste lambì la mano tremante del malato, questi aprì dolcemente gli occhi.

Guarirò, Jawn” disse con voce debole, rotta ogni tanto da un colpo di tosse “Devo guarire, altrimenti la mia ciurma sarebbe persa senza di me!” rise piano e cercò di alzarsi, ma John glielo impedì posando la mano sul suo petto.

Piano, Sherly, piano ...” gli sussurrò asciugandosi le lacrime con il dorso della mano “Stai ancora troppo male per alzarti”

Sto male ora” lo assicurò lui “Ma presto guarirò. Non mi importa cosa pensa il dottore”

John lo guardò a bocca aperta, ma Sherlock proseguì.

So che il dottore pensa che morirò” disse serio, togliendosi il fazzoletto ormai caldo dalla fronte “Ma io non posso morire, non voglio. Non so cosa farò da grande, ma so che sarà qualcosa di importante, che mi renderà famoso. So che sono intelligente e le persone intelligenti possono fare tutto ciò che vogliono! Anche se non diventerò un pirata so che mi divertirò perché tu ...” gli sorrise “Tu sarai sempre con me, vero Jawn? Anche quando non avrò più bisogno di un babysitter?”

John, che stava maturando un inconscio sentimento d'amore per il piccolo, annuì scoppiando a piangere”

Ti starò sempre vicino, Sherlock. Sempre” rise tra le lacrime “Non ti abbandonerò mai … diventerò un dottore e ti curerò, qualsiasi cosa accada”

 

 

I giorni seguenti avvenne un vero e proprio miracolo. La forza di volontà di Sherlock andò contro qualsiasi pronostico e, dopo soli due giorni cominciò a migliorare. Due settimane dopo era perfettamente guarito e saltellava allegramente tra il letto e la poltrona dove John era seduto, ancora incredulo.

Hai visto, Jawn? Sono guarito! Sono guarito! Adesso non posso venire fuori a giocare, però quando farà più caldo andremo insieme al parco e inseguiremo gli scoiattoli e le papere, vero? Vero?”

John sorrise e si alzò per prendere un libro.

Vuoi che ti legga qualcosa?”

 

 

 

 

 

 

Erano passate diverse ore da quando avevano ricoverato Sherlock in ospedale. Da quando lo conosceva non aveva mai avuto una forma così grave di polmonite. Non riusciva a capacitarsi di non essersene reso conto prima. I sintomi c'erano tutti, ma come al solito Sherlock aveva cercato di minimizzare e lui gli era andato dietro, nascondendosi in una barriera di voluta cecità. Non poteva sopportare che quella malattia lo avesse colpito di nuovo. Lo osservò a lungo, seduto nella comoda poltrona della stanza. Il suo petto si alzava e si abbassava regolarmente, ma troppo lentamente. Posò il viso sulla mano aperta, cercando di rilassarsi, quando sentì un allarme. I macchinari segnavano evidenti problemi respiratori. Cercò di alzarsi, ma il terrore lo bloccava. Non sapeva cosa fare, sentiva che il suo cervello era offuscato dalla paura, così fece l'unica cosa sensata che gli venne in mente in quel momento. Chiamò aiuto.

Dopo qualche istante arrivarono un medico e un'infermiera, già attirati dall'allarme di macchinari, con il carrellino di emergenza. John fu gentilmente invitato ad aspettare fuori. Lo aiutarono ad alzarsi e lo spinsero con decisa cortesia in corridoio. La porta si chiuse davanti al suo naso … e al suo cuore.

 

 

Era passata una settimana da quel giorno infernale. John non aveva visto come era successo, ma ricordava le voci delle infermiere e dei medici ovattate dalle pareti che lo dividevano da Sherlock in quel momento. Erano voci concitate, cariche di ansia e preoccupazione. Per un momento gli era sembrato che si stessero rilassando e anche i rumori dei macchinari si erano fatti più regolari, ma la speranza fu presto sostituita da nuova ansia. Il suono intermittente dell'elettrocardiogramma si era fatto improvvisamente acuto e penetrante. Era entrato nell'udito di John come un trapano, assordandolo. Aveva sentito il primario chiamare a gran voce un defibrillatore, il rumore acuto dell'elettricità che andava a caricare le piastre e poi quello secco della scarica sul petto di Sherlock. Una, due, tre volte i medici provarono a rianimarlo, ma ormai non c'era più nulla da fare.

Il suono lungo e doloroso dell'elettrocardiogramma piatto gli aveva trafitto il cuore come una lancia.

Ora si trovava di nuovo lì, di fronte alla lapide nera e lucida con inciso il nome del suo migliore amico, del suo amante, dell'uomo che amava: Sherlock Holmes.

Gli sembrò di tornare indietro nel tempo, a ormai quasi quattro anni prima, quando piangeva al capezzale di quel bambino di dodici anni e poi, anni dopo, davanti alla stessa lapide e implorava per il miracolo. Stavolta il miracolo non sarebbe accaduto. Sherlock non era guarito, non si era rialzato da quel letto.

John tornò al 221 B, intenzionato a non rimetterci più piede. Troppi ricordi aleggiavano tra quelle mura e stavolta non sarebbe riuscito a conviverci. Decise di chiudere il suo cuore al passato in quelle stanze dove li aveva vissuti. Prese il cappotto di Sherlock e lo indossò per l'ultima volta. Accese il camino e aspettò che la fiamma si facesse abbastanza potente per poter bruciare quella stoffa e tutti i ricordi che portava con sé.

Si raggomitolò sulla poltrona di pelle di Sherlock e pianse a lungo finché, suo malgrado, si addormentò.

   
 
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