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Autore: _vally_    03/10/2007    7 recensioni
Questa fanfiction è il seguito di "Fumi", il seguito della folle notte in cui l'alcool ha fatto accadere cose, ha permesso momenti... Storia Huddy, ma spazio a tutto e a tutti: un caso medico, del lavoro da svolgere, delle conseguenze da affrontare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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13 – LA MIA FINE

 

21 ottobre 2006, h 11.35 pm

Abitazione di Robert Chase

 

Non era da Foreman andare a prendere a casa, di persona, i suoi colleghi, ma House gli aveva telefonato mezz’ora prima, chiedendogli di andare immediatamente in ospedale, e di contattare gli altri.

In realtà la telefonata era consistita in poche parole.

“Chiama Quo e Qua e raggiungetemi in ospedale. Adesso.”

Click.

Nel linguaggio di House quella indicava un’emergenza, o comunque qualcosa che lui considerava un’emergenza.

Le emergenze di House venivano certamente prima delle sue rimpatriate con vecchi amici, quindi aveva dovuto abbandonare il tavolo carico di vino che stava dividendo con gente che non vedeva da anni, inventandosi una scusa poco credibile.

Questo era il primo motivo per cui era nervoso.

Il secondo era che aveva provato a contattare Chase e Cameron diverse volte, sia sul cellulare che a casa, ma tutti i telefoni suonavano a vuoto.

Il terzo era che a questo punto avrebbe preferito andare a cercare Cameron, che Chase, ma il ristorante si trovava accanto a casa del collega, quindi era costretto a passare a casa sua, per dire ad House di averci almeno provato.

 

Era la terza volta che suonava il campanello, e questa volta insistette un po’ di più, tenendo premuto il bottone e accompagnandosi con qualche imprecazione detta a mezza voce.

Aveva visto la luce accesa, Chase era in casa.

“Foreman…” sentì la voce dell’intensivista dall’altra parte della porta “Che succede?”

“Credi che sia venuto qui per una visita di piacere?! E’ mezz’ora che ti chiamo, dobbiamo andare in ospedale.”

Dall’altra parte non ci fu nessuna risposta.

“Chase?! Vuoi aprire la porta? Non riesco a trovare neanche Cameron, se non siamo in ospedale entro pochi minuti House ci licenzia.”

Ancora silenzio dall’altra parte.

Stava per prendere in considerazione l’ipotesi di buttare giù la porta con una spallata quando sentì le chiavi girare nella toppa.

Chase aprì la porta, quel tanto che bastava per tirare fuori la testa.

“Dobbiamo andare adesso? Non siamo di turno…”

Foreman alzò gli occhi al soffitto. “Ma ti ricordi per chi lavoriamo noi?!”

Poi aggrottò le sopracciglia, notando qualcosa di strano nel collega: le guance più colorite del solito, i capelli spettinati, un velo di sudore sulla fronte…e il rifiuto categorico di aprire la porta.

“Sei con una donna?!” gli chiese, abbassando il tono di voce.

“Si…” rispose Chase. “Non puoi incominciare ad andare? Ti raggiungo il prima possibile…”

Foreman sembrava un po’ titubante. “Come vuoi. Se poi House ti rende la vita impossibile non ne voglio sapere niente.”

Mentre parlava prese in mano il telefono, e dopo aver fatto partire una chiamata, se lo portò all’orecchio.

“Chi chiami?” chiese Chase, mentre uno strano presentimento lo coglieva.

“Cam…” Foreman fu interrotto dallo squillo famigliare di un telefono, proveniente dall’appartamento di Chase.

I due medici si guardarono qualche secondo negli occhi, entrambi con la bocca semiaperta, senza sapere cosa dire.

“Ehm…” iniziò Chase.

“Sei con Cameron?!” chiese il neurologo allibito. “Stavi facendo sesso con Cameron?!”

“No…” tentò di difendersi l’intensivista in modo poco convincente, ma fu interrotto dall’immunologa stessa che, arrivando alle sue spalle, afferrò la maniglia della porta e la spalancò.

“Si, è con Cameron.” rispose lei a Foreman, che la guardava ammutolito.

Poi lo sguardo gli cade su Chase, e un’espressione disgustata gli si dipinse sul volto. “Vai a vestirti per favore.”

L’intensivista si rese conto che Cameron aveva approfittato di quei due minuti per vestirsi, sciacquarsi la faccia,e legarsi i capelli: solo il colore della pelle lievemente rossastro tradiva ciò che stava facendo fino a pochi minuti prima.

Lui era praticamente nudo, con solo un asciugamano un po’ troppo piccolo intorno alla vita, che si teneva allacciato con una mano.

Si sentì improvvisamente molto a disagio.

“Due minuti e sono pronto.” disse quasi tra sé e sé, sparendo nella camera da letto.

Gli sguardi degli altri due medici si incontrarono, non appena furono da soli.

“Io credo…che siamo andati oltre l’abbraccio innocente.” disse lei titubante, ricordando quando Foreman gli aveva visti dormire insieme, appena un paio di giorni prima.

Il neurologo annuì, accennando quello che voleva essere un sorriso comprensivo.

Non aveva nient’altro da aggiungere.

 

22 ottobre 2006, h 0.15 pm

Princenton Plaisboro Teaching Hospital – Ufficio di House

 

“Quindi questo sarebbe solo un modo, terribilmente molesto nei miei confronti, per fuggire dall’appuntamento con Cuddy?” Wilson, capelli arruffati, jeans e vecchia felpa, lo guardava con espressione assonnata dalla poltrona dell’ufficio, sulla quale era quasi sdraiato.

“No! L’appuntamento stava andando benissimo…” rispose House, con lo sguardo perso sulla lavagna dove c’erano ancora, scarabocchiati, i sintomi dei due gemelli.

“Allora ti è solo venuta un’indomabile voglia di abbandonare la donna per la quale sei completamente cotto a casa tua, da sola, davanti a Rambo, per venire a buttare giù dal letto il tuo migliore amico e trascinarlo in ospedale blaterando qualcosa su una diagnosi a metà?”

“Questa frase contiene due imprecisioni: uno, tu non sei il mio migliore amico; due, …” House esitò quel tanto che bastava per permettere all’oncologo di contrattaccare.

“Ah! House non può mentire! Quindi non può dire che non è innamorato di Cuddy!” Wilson sembrava essersi improvvisamente animato, e dimenava con foga un dito nella sua direzione “Il burbero dottore tutto d’un pezzo ha perso la testa per il suo capo, per la donna contro cui combatte da anni! Le sue difese sono crollate davanti al suo dolce sguard…”

“Wilson scopa con le malate terminali.” affermò crudele House, zittendo brutalmente l’amico.

“Sei un bastardo.” dichiarò Wilson, incrociando le braccia al petto e lasciandosi ancora andare contro lo schienale della poltrona. “Le hai dato da mangiare, almeno?” chiese, cercando si ritornare sulla conversazione originale.

“Certo, conosco il significato della parola cena.” rispose controvoglia il diagnosta, continuando a rivolgere lo sguardo alla lavagna.

“Cosa?”

“Pizza, bistecca e birra.”

“Ma Cuddy non mangia carne…e non beve birra!” esclamò l’oncologo, sorpreso.

House per la prima volta si voltò verso di lui. “E tu come fai a saperlo?”

“E’ mia amica! Mi è capitato di mangiare con lei…” rispose tranquillo Wilson.

House lo fissò per qualche istante serio, come se cercasse di leggergli qualcosa nella testa.

“Sei geloso…” proferì l’oncologo, con un sorrisino che innervosì House ancora di più.

La situazione sarebbe potuta precipitare, ma fu salvata dall’ingresso di Foreman, Chase e Cameron.

House aveva intenzione di tormentarli un po’ per il ritardo, ma visto il loro arrivo nel momento perfetto, decise di risparmiarli.

“Vedi Wilson? Tu sembri uno zombie, mentre loro sono freschi e attivi! Stai invecchiando…” House si rivolse verso i suoi colleghi “Ho interrotto una serata speciale? Non che me ne importi qualcosa ma…”

“Ero a cena con amici che non vedevo da dieci anni.” disse serio Foreman.

Non che gli interessasse informare il suo capo della sua vita privata, ma sapeva che, dopo la sua risposta, House si sarebbe aspettato qualcosa anche dagli altri due…e non vedeva l’ora di godersi la scena.

“Io…Io stavo…” balbettò Chase, preso alla sprovvista. Non era bravo ad improvvisare, e d’istinto si voltò verso Cameron, che rimase a fissarlo con le labbra serrate.

“Idiota!” lo apostrofò House “Bastava che mi rifilassi una balla qualunque…”

Il diagnosta si zittì improvvisamente, vedendo entrare a passo spedito Lisa Cuddy.

L’attenzione di tutti fu in pochi istanti su di lei…il suo vestito “sobrio” sul posto di lavoro era decisamente fuori luogo. Il problema non era tanto quello, visto che il capo era lei, ma il fatto che tutti i presenti sembravano gradire un po’ troppo.

Cameron la squadrò da capo a piedi, con lo sguardo analitico che solo una donna può avere nei confronti di un vestito.

Si sentì un po’ a disagio.

House non migliorò certo le cose.

“Ti avevo chiesto di aspettarmi a casa…”

Gli occhi dei colleghi si spostarono rapidamente su House, e poi ancora su di lei, mentre l’espressione sorpresa sui loro visi si trasformava in sconcerto, misto al timore della sua possibile reazione.

Dal viso di House trapelava la medesima espressione: appena era entrata gli era mancato il fiato, come se la vedesse così bella per la prima volta, poi si era accorto di come i colleghi la stavano guardando, e la cosa lo aveva infastidito parecchio. Aveva reagito d’istinto marcando il suo territorio con quell’inopportuna affermazione…ed era adesso meravigliato quanto tutti gli altri di essersi spinto così oltre, di aver messo così a nudo sia se stesso che Lisa.

“Non ti lascio scorrazzare in giro per l’ospedale in piena notte senza il mio controllo.” disse lei poco convinta, sperando inutilmente che le parole di House fossero sfuggite ai colleghi.

“Ultimamente succedono cose strane alla gente che lavora in questo ospedale…” asserì Foreman, pensando ad alta voce.

“Già!” esclamò House a voce alta, facendo trasalire tutti quanti. “Ma cose ancora più strane succedono ai nostri fratellini moribondi! Foreman, ci sono miglioramenti nella loro condizione?”

“Quando me ne sono andato qualche ora fa erano stabili, ma ci vuole tempo prima che la plasmaferesi abbia effetto, e devono riprendersi dall’anestesia delle operazioni.”

“E’ normale che non si siano ancora ripresi dal coma.” intervenne Cameron.

“Già” confermò Chase.

House fece scorrere lo sguardo sui suoi tre assistenti. “Tralasciando il parere di Chase che ha dato ragione a Cameron solo per garantirsi l’opportunità di poter finire ciò che a causa mia è stato interrotto, siamo due contro due: io e Wilson crediamo che questa diagnosi sia incompleta” affermò con decisione, ignorando la fronte aggrottata dell’oncologo, decisamente di parere contrario “Foreman e Cameron che ci voglia solo un po’ di tempo per vedere migliorare i gemelli.” spostò lo sguardo su Cuddy.

Tutti si voltarono verso di lei, aspettando il suo parere decisivo per avere una maggioranza.

Lisa stava per rispondere, quando House la interruppe “…ma visto che il diagnosta qui sono io, me ne frego della democrazia e vi faccio rimanere qui lo stesso.”

Cuddy richiuse la bocca, offesa dall’arroganza di House.

I loro sguardi si incontrarono e lui si accorse che la stava facendo arrabbiare; non voleva si arrabbiasse, voleva tornare a casa con lei il prima possibile.

Ma il suo istinto di autodistruzione, caratteristica assente nella maggior parte degli esseri viventi tranne che in lui, ebbe la meglio, impedendogli di rivolgerle un qualunque gesto di scusa, d’intesa, di pace…Gli occhi del diagnosta rimasero fissi in quelli di Lisa finché lei non fu costretta ad abbassarli.

“Bene! Visto che siamo tutti d’accordo, mettiamoci al lavoro!”

“Io vado a dare un’occhiata ai pazienti.” disse Foreman.

“Ti seguo.” Chase seguì il collega fuori dall’ufficio.

“Io ricontrollo i risultati dello screening genetico.” Cameron prese delle cartelle e si posizionò alla scrivania.

House si voltò verso di lei pronto a farle notare quanto inutile fosse quello che stava facendo, ma si rese conto che neanche a lui veniva in mente un’idea alternativa su cosa riprendere in esame.

“Io vado in ufficio, visto che devo stare qui in piena notte tanto vale che mi porti avanti con alcune pratiche.” disse Cuddy, che incominciava ad essere irritata da come House aveva rovinato la serata a tutti, lei compresa, per qualcosa che probabilmente non era altro che la sua solita ossessione “House, se alla fine si scopre che questi ragazzi ormai stanno bene, scalo queste ore da quelle che i tuoi assistenti dovranno fare in ambulatorio la prossima settimana, e sarai tu a sostituirli.”

Si voltò e lasciò la stanza, senza che il diagnosta avesse tempo di pensare ad una replica sarcastica delle sue.

 

Wilson si alzò, avvicinandosi all’amico che era tornato imperterrito a studiare i sintomi sulla lavagna.

“L’hai fatta arrabbiare. Ha ragione.” disse l’oncologo, abbassando la voce per non farsi udire da Cameron.

“E’ solo frustrata perché ho rovinato il nostro appuntamento. Questa assurdità delle ore in ambulatorio è solo un modo di vendicarsi per essermene andato sul più bello.”

Wilson scosse la testa.

“House, sarà sicuramente offesa, ma ti conosce, sicuramente si aspettava qualcosa di simile da te. Le ore in laboratorio sono solo un modo per cercare di farti capire che le tue azioni hanno delle conseguenze. Non c’è niente di diverso dagli altri provvedimenti che prende nei tuoi confronti.”

House si voltò verso l’amico, guardandolo con la fronte corrugata.

Wilson continuò: “Anche se esci con lei, anche se fai sesso con lei, anche se prova qualcosa per te…è comunque il tuo capo. Resta la stessa Lisa Cuddy di sempre; stesso ruolo, stessa persona. Anche se mostra di adorarti non significa che smetterà di fare il capo con te. E’ la sua natura…”

House lo fissava ormai trattenendo quasi il respiro, e con un’espressione che faceva trapelare uno sforzo di concentrazione notevole.

Chiuse gli occhi, si voltò verso la lavagna, e appoggiò rumorosamente la fronte contro di essa. “Idiota…” mormorò.

Cameron si voltò verso i due medici. “Tutto bene?” chiese, perplessa.

“Sono un idiota!” esclamò ancora il diagnosta, prendendo la distanza dalla lavagna. “Anzi, siamo tutti degli idioti!”

Cameron e Wilson lo guardavano sempre più confusi.

“Anzi, voi siete degli idioti perché prendete tutto quello che esce dalla mia bocca come oro colato!”

“Perdonami, non ti seguo.” disse Wilson, diplomatico.

House scosse la testa, sbuffando.

Si voltò poi verso Cameron. “Chiama gli altri.” le ordinò.

 

Dopo pochi minuti Chase e Foreman raggiunsero gli altri medici nell’ufficio di House.

“Quei ragazzi sono malati mentali!” esclamò House, appena ebbe l’attenzione di tutti su di sé.

“Questo lo sappiamo…” rispose titubante Chase.

“Si, l’abbiamo scoperto, ne abbiamo preso atto, e l’abbiamo messo da parte senza dedicargli neanche un po’ d’attenzione.” continuò il diagnosta.

“Abbiamo ipotizzato che il mutismo fosse dovuto alla psicosi, e poi abbiamo cercato una spiegazione per gli altri sintomi.” osservò Foreman.

“E perché non abbiamo cercato una spiegazione per la psicosi?” chiese House. “Perché abbiamo tralasciato il sintomo più grosso, quello che colpisce ogni aspetto della loro vita. Perché abbiamo tralasciato la loro natura, la loro natura psicotica?!” House aveva quell’energia che lo invadeva solo quando vedeva la luce accecante in fondo al tunnel, ed era sicuro che quella era l’uscita giusta.

Andò alla lavagna e aggiunse psicosi alla lista dei sintomi.

“Cosa provoca psicosi e cancro?” chiese poi ai suoi assistenti.

“La sindrome di Kinter!” rispose Cameron “Una mutazione genetica che causa modificazioni nella produzione di neurotrasmettitori a livello del sistema limbico, con conseguenti problemi di personalità che possono sfociare in psicosi. Inoltre, provoca dei gap nella riproduzione cellulare, causando frequentemente tumori. E’ rara, ma l’incidenza sembra essere concentrata nei gemelli monozigoti.”

“Una caramella per Cameron!” esclamò House.

“E questa diagnosi sarebbe più potente della precedente?” chiese scettico Wilson.

“Bhè…cosa fanno gli psicotici per contenere i loro disturbi? Prendono psicofarmaci. E cosa provoca una forte dose di neurolettici? Magari neurolettici comprati sottobanco e assunti in dosi spropositate, magari insieme a qualche droga per combattere gli effetti collaterali…insomma, se ti senti un po’ strano e ti dai al mix di farmaci, cosa succede?”

“Problemi di coagulazione, quindi ictus e infarti. Anche coma. Ma non avremmo dovuto trovare qualche traccia di queste sostanze?” chiese Foreman, ancora poco convinto della nuova idea del suo capo.

“Cameron?” House interrogò ancora la dottoressa.

“Le mutazioni derivate dalla sindrome di Kinter provocano anche il metabolismo anomalo di molti principi attivi…è possibile che quando abbiamo fatto le analisi i farmaci presi avessero assunto una forma non individuabile con i nostri test.”

“Quindi la sindrome di Kinter spiega i tumori e la psicosi, che a sua volta spiega il mutismo e l’abuso di farmaci che avrebbe portato a infarti, ictus e coma. Le allucinazioni e la paranoia sono sintomi dello spettro psicotico e…le guarigioni miracolose… Simon era sotto chemioterapia, e può esser semplicemente guarito grazie a quella. Magari in un modo più rapido del normale ma…non sottovalutiamo il potere degli agenti chimici sul corpo di un bambino. Per quanto riguarda Mark…Wilson, qual è la percentuale di tumori maligni guariti spontaneamente senza apparente spiegazione?”

“Circa il 2%.”

“E visto che al Plaisboro non capitano miracoli da parecchio tempo, direi che il ragazzo può benissimo essere inserito in questa percentuale.”

Seguirono lunghi istanti di silenzio, in cui ognuno tastava mentalmente la nuova ipotesi.

“Per me può andare. Sembra più convincente del Chrystopea carnea. Anche più probabile visto lo stretto vincolo di parentela tra i due.” affermò Cameron.

“Non che me ne freghi qualcosa della vostra approvazione comunque…apprezzo l’appoggio.” replicò arrogante House. “Non ho intenzione di aspettare che le rotelline dei vostri cervelli raggiungano le mie. Iniziate il trattamento per la sindrome di Kinter, sperando che non sia troppo tardi.”

“I farmaci per la Kinter sono ancora in fase sperimentale…non esiste una cura sicura per questo disturbo.” precisò Cameron.

“Lo so! Vado ad estorcere alla Cuddy l’autorizzazione per l’uso della terapia sperimentale. Voi intanto procuratevi i farmaci e incominciate a somministrarli ai pazienti. Se quando convinco la Cuddy i ragazzi saranno morti, sarà stata una fatica inutile.”

Detto questo, lasciò trionfante il suo ufficio.

 

22 ottobre 2006, h 0.55 pm

Princenton Plaisboro Teaching Hospital – Ufficio di Cuddy

 

Lisa aveva fatto il possibile per concentrarsi su qualcosa di utile da fare, ma la guerra che si stava combattendo dentro di lei catturava tutte le sue energie: dura battaglia tra i suoi sentimenti e la ragione.

Il suo orgoglio le inviava forti segnali di disagio per essere stata abbandonata in un modo parecchio brusco sul più bello di un appuntamento ufficiale, dopo esser stata messa al secondo posto dopo un paziente dalla diagnosi poco convincente; al terzo posto se si considerava che i pazienti erano due.

D’altra parte, il suo cuore e il suo stomaco le inviavano segnali di gioia ed eccitazione profonda, per quello che era successo quella sera, prima della brusca interruzione.

La sua ragione cercava faticosamente di fare da mediatrice, cercando di sedare il suo orgoglio con la spiegazione che…”House è House, ed è per questo che l’ho assunto”, e di dare qualche motivo al suo cuore per trattenersi un po’, razionalizzando il fatto che l’insicurezza che provava in quel momento nei confronti del rapporto con House non sarebbe mai svanita.

Quindi era in preda ad alternate ondate di rabbia e felicità, quando lui varcò la soglia del suo ufficio, ovviamente senza bussare, ovviamente senza chiedere permesso.

“Mi serve un’autorizzazione per utilizzare i farmaci sperimentali per la sindrome di Kinter sui gemelli psicopatici.”

Ovviamente senza un briciolo di diplomazia.

“Sarebbe meglio prima che diventassero i due gemelli psicopatici morti.” insistette House, vedendo che Cuddy lo guardava senza dire una parola.

A questo punto lei avrebbe potuto mostrarsi contraria, lui si sarebbe innervosito e avrebbe incominciato a riempirla di commenti sarcastici mischiati a valide motivazioni mediche, e lei avrebbe ceduto.

Il loro familiare e rassicurante gioco.

Stava pensando che non aveva proprio voglia quella notte di fare ancora il solito gioco, quando fu lui a interromperlo.

Si avvicinò ancora di più alla scrivania, le posò il documento davanti, prese una penna e gliela mise tra le dita della mano sinistra. “Lisa ti prego, firma questo modulo e torniamocene a casa.”

Lo disse con un tono che non aveva mai sentito uscire dalla sua bocca: una sincerità disarmante.

Davvero voleva chiudere questa storia, liberarsi di quell’episodio della sua ossessione e andare a godersi insieme a lei la relativa tranquillità mentale che avrebbe preceduto il prossimo paziente, il prossimo puzzle a cui dedicare tutto se stesso.

Cuddy pensò che poteva anche essere una recita molto ben fatta per convincerla a firmare, ma firmò lo stesso, subito.

Se la prendeva in giro per una volta ci sarebbe cascata senza combattere, per una volta avrebbe corso il terribile rischio di abbassare la guardia nel momento sbagliato.

Ci avrebbe sbattuto la testa, e forse avrebbe imparato.

 

Non avvenne niente di tutto questo.

Lisa firmò il foglio e rimise la penna a posto.

Alzò la cornetta e chiamò Cameron, informandola che avevano l’autorizzazione per procedere con la terapia.

Posò la cornetta e alzò lo sguardo su House.

“Sindrome di Kinter?” come medico, la curiosità era troppo grossa, e non riuscì a rimandare quella domanda ad un altro momento.

“E’ la loro natura…la Kinter determina la loro natura. Non abbiamo pensato alla natura dei due ragazzi.”

Lisa non capì esattamente cosa intendeva, ma la sicurezza con cui parlava la convinse in pochi istanti che era la cosa più ovvia del mondo. Bisogna sempre tener conto della natura di una persona.

“Tu sei il mio capo, e resterai il mio capo, nonostante tutto.” House con le sue parole seguì il corso dei pensieri della donna “E io sono misantropo e ossessionato dal mio lavoro, e rimarrò tale.”

“Se cambiassi ti licenzierei.” osservò lei, con un sorriso appena accennato.

“Già…”

Rimasero a fissarsi ancora qualche secondo in silenzio.

“Io penso di poter sopportare per un po’ la tua natura, se evitiamo di indagare su cosa significhi sopportare la tua natura nel mio linguaggio.” disse House, facendo scivolare la mano sulla scrivania, fino a raggiungere le sue dita, alle quali si appoggiò appena.

“Io penso…” Lisa si interruppe, non riuscendo a trovare qualcosa di coerente da dire. “…io non penso niente.”

Anche House sorrise ora, pienamente soddisfatto di una risposta che, a chiunque altro, non avrebbe detto assolutamente nulla di buono.

Ma a loro, che si amavano ma ogni tanto si odiavano, che conoscevano cento pregi e cento difetti l’uno dell’altro, e che, soprattutto, potevano dare l’uno all’altro felicità o dolore, piacere o frustrazione, senza un minimo di prevedibilità, quelle parole racchiudevano il fulcro del loro rapporto: era inutile pensare, tra di loro aveva la meglio sempre il cuore, o l’istinto, o l’anima…tutto tranne la loro venerata razionalità.

“Ora possiamo tornare da te?”

House non rispose, ma andò a prenderle il cappotto, aspettò che la raggiungesse e glielo posò dolcemente sulle spalle, stringendola un po’ prima di lasciarla andare.

Non era un “ti amo”, ma quello era House.

 

Ripensandoci, poteva anche essere un “ti amo”.

 

 

EPILOGO

 

Nessuno definiva la loro una storia.

I primi a non farlo erano loro.

In realtà, la loro non fu mai una storia.

Ma un amore, quello si.

 

Lisa non portò mai lo spazzolino da House…ma lui ne aveva comprato uno in più, anche se continuava ad arrabbiarsi con lei quando usava “il suo spazzolino di scorta”.

 

House non si stupì quando, in giro per l’appartamento di Cuddy, incominciò a trovare riviste di nefrologia e saggi medici, e neanche quando trovò il piano che giaceva in un angolo del suo salotto perfettamente accordato.

 

Non parlarono mai di quanto tempo era passato dalla loro prima cena insieme, ma il 21 ottobre del 2008, House si presentò a casa di Lisa, senza preavviso, e lei gli fece trovare nel piatto mezza pizza e mezzo hamburger, e una bottiglia di birra.

 

Per completare il loro “anniversario” in bellezza, fuggì in ospedale con una scusa nel momento in cui i loro baci si stavano facendo più voraci, e le loro carezze più spinte.

 

House la raggiunse in ospedale e, dopo una discussione su cosa fosse più importante tra la diagnosi dell’anno prima e le scartoffie notturne di Cuddy, crollarono stremati sul divano nell’ufficio di Lisa, finendo lì quello che avevano iniziato poche ore prima, e restandoci fino alla mattina dopo.

 

A volte si chiedevano, ognuno a se stesso, se sarebbero andati avanti così a lungo.

 

La cosa strana è che la riposta positiva che si davano, li rendeva pazzamente felici.

 

 

FINE

 

 

Ecco il finale.

Spero non vi abbia deluso.

Ringrazio di cuore Earine, Miky91, Siyah, Zoe MonBlanck, madda, sara, the bride, Jo_Ch_90, Rabb-it, marghe999, gioalle1, remsaverem, logan, gengy, apple per i commenti, e per aver seguito questa storia!

A presto!!!!

 

Vally

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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