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Autore: The queen of darkness    17/03/2013    2 recensioni
Ok, lo so che non dovrei con altre storie in corso, ma non ho proprio resistito. Naturalmente non ho nessun diritto di manipolare le vite di questi stupendi musicisti e so che sarà uno strazio, quindi ci tengo a sottolineare che tali eventi non sono mai accaduti sul serio, ma sono solo frutto della mia mente perversa e malata. Detto questo, spero vi divertiate
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era sicuro di aver fatto la cosa giusta.
O almeno questo si ripeteva mentre, con passo sicuro, si dirigeva verso l’università. Migliaia di pensieri sconclusionati l’avevano tenuto sveglio tutta la notte, rendendolo abbastanza impresentabile. Per quanto si fosse lavato e rasato accuratamente, aveva ancora quell’aria da naufrago occhialuto che tanto detestava.
Sul viso pallido arricchito grottescamente da occhiaie scure si leggeva chiaramente la voglia di dormire, aggiunta ad una dose di adrenalina derivata dall’ansia, e sullo zigomo si apriva un’antiestetica piega di cuscino, che lo attraversava trasversalmente per buona metà della faccia.
La sera prima, infatti, aveva invitato Jessy a casa propria cercando di apparire normale, ma alla fine si era sentito un verme davanti a tutte le carinerie di cui la ragazza lo aveva inondato.
Gli sembrava ingiusto nascondere fatti di quell’entità proprio a lei, anche perché stava per essere divorato dalle sue preoccupazioni. Non capiva cosa Bridget avesse in mente, e forse lei avrebbe potuto aiutarlo a scoprire cosa si muovesse sotto la chioma color platino della strega.
Non era stato affatto facile confessarle tutto, ma non di certo per paura di una possibile gelosia da parte sua al pensiero che avesse parlato con l’altra insegnante, bensì perché le aveva taciuto quella parte della sua vita senza nessun rimorso, e non gliel’avrebbe mai detto se non fosse successo tutto quel casino.
Non aveva infatti intenzione di sottostare alle condizioni dettate dalla sua ricattatrice. Lui non era schiavo di nessuno, e sapeva di poter trovare un alleato in Jessy, per quanto difficile le sarebbe stato digerire la notizia. In fondo, l’uomo che amava era stato in realtà una delle rockstar più controverse degli ultimi anni, un esempio di eccessi e droga, che ora si ritrovava a condurre una banale vita come tutte le altre.
All’inizio l’espressione della giovane si era fatta incredula. La forchetta aveva tintinnato sul piatto (colmo del cibo cucinato da lei stessa, il primo pasto sostanzioso che Brian mangiasse da tempo), e la bocca era rimasta schiusa dall’incredulità. Gli aveva tranquillamente chiesto se fosse per caso impazzito.
Ma, vedendolo così certo delle sue affermazioni, era sorto un dubbio, per quanto assurda sembrasse la situazione. E al dubbio era subentrata la certezza, mentre ogni tassello del puzzle andava al suo posto, finalmente componendo l’ultima persona che avrebbe mai pensato di vedere.
Poi era accaduta una cosa davvero strana. Nel silenzio di piombo che si era creato nella stanza, lui rimaneva afflitto dall’averla delusa, poiché conosceva bene la sensazione di essere traditi dall’individuo più insospettabile, e di come facesse male affrontare la nuova realtà. Anche Jessy sembrava turbata, ma all’improvviso si era messa a piangere di gioia, ridendo fra le lacrime.
Gli era saltata al collo, dicendo di aver sempre ammirato la band e di avere tutti i loro CD. Aveva affrontato un brutto periodo sapendo della sua ritirata, rischiando di mandare all’aria anche il lavoro, ma alla fine se ne era fatta una ragione.
Ma, aveva confessato, sapere di essersi innamorata del proprio idolo “in borghese”, aveva detto quelle esatte parole, la colmava di una felicità immensa e stupita. Erano andati avanti mezz’ora a confermare indizi, idee, fatti di vita che potevano appartenere solo al vecchio Brian Warner senza nessun dubbio.
Certo, era stata diffidente e per un paio di volte aveva creduto di essere presa in giro, ma alla fine capì che era tutto vero. Altro pianto, altre risate, altra incredulità.
Persino lui doveva ammettere che non se lo sarebbe mai aspettato da Jessy, che aveva l’aria di essere una persona con la testa a posto, però non poteva negare che ciò aveva facilitato notevolmente le cose; sarebbe potuta andare avanti per le lunghe come storia, risolvendosi magari in una rottura.
Quest’ultima era l’unica cosa che voleva. Non sapeva quanto tempo di anonimato gli rimanesse, ma voleva passarlo con lei, a qualunque costo.
Da anni ormai aveva smesso di credere all’amore, dopo aver visto centinaia di relazioni sgretolarsi, impegni importanti buttati al vento, una totale incapacità di tenersi strette le persone a cui teneva. Pensava semplicemente di non essere fatto per un sentimento del genere, cominciando a prendere con insofferenza la solitudine auto-imposta. Quando aveva bisogno di sesso trovava qualcuno, e se la cosa si faceva regolare allora ben venga, meno fatica per trovare altri partner.
Ripensandoci in quell’istante gli parve un ragionamento abbastanza abominevole, in quanto a cinismo. Significava vedere le donne solo come uno strumento, ed era una cosa che non gli era mai appartenuta. Quand’era giovane giocava con i sentimenti altrui senza rimpianti, proprio grazie alla sua avvenenza. Si prendeva gioco delle persone quasi per sport, e non si faceva scrupoli davanti a tradimenti di coppia.
I suoi principi sul lavoro e sugli amici erano sempre stati però saldi. Per quanto fosse arrivato a detestare l’umanità cercava di mantenere certi punti stabili nel suo bizzarro codice morale, anche se a volte di fronte alle sue relazioni sentimentali venivano meno.
Con il tempo aveva cercato di arginare in parte il problema, riuscendoci. Invecchiando si era accorto che le persone rivestivano un ruolo importante nella sua vita, e se voleva viverla serenamente avrebbe dovuto mantenere almeno una cerchia di persone da rispettare. Da essa aveva escluso proprio sé stesso, divenatato poi causa del suo conflitto interiore.
Era davvero strano, il destino, perché spingeva a rimanere in guardia nei confronti di tutti e farsi tradire proprio dal proprio intimo, il nemico più temibile e insospettabile.
Comunque il fatto che la ragazza l’avesse presa con filosofia risolveva solo una piccola parte del disastro: la sua proposta era stata quella di vedere come la situazione si sarebbe evoluta, e intervenire di conseguenza. Lui sarebbe dovuto rimanere al gioco, fingendo di obbedirle e poi incastrarla proprio nella parte finale del piano.
Non riuscivano infatti a capire cosa potesse volere in cambio, dal momento che non disponeva di risorse economiche così in vista e nemmeno di notorietà. L’aver riportato alla luce una rockstar non avrebbe di certo fatto la sua fortuna, anche perché una volta smascherato non si sarebbe fatto scrupoli a denunciarla.
Così acconsentì alle idee della fanciulla, senza discutere. Alla fine, era l’unica cosa che potesse fare senza danneggiarsi ancor di più, e rimanere sé stesso.
Cercò di sembrare sciolto e naturale mentre saliva la breve scalinata, salutando come suo solito le due segretarie all’ingresso, entrambe molto più vecchie anche forse di sua madre. Poi si immise nel corridoio assieme ad alcuni studenti, e chiacchierò con un paio di loro riguardo ad una tesina da preparare; passò in sala insegnanti per prendere un libro che aveva dimenticato il giorno prima e si preparò alla solita routine, con un brivido.
In giro, nessuna traccia di Bridget. Quella mattina lei entrava un’ora più tardi a causa della coincidenza con i corsi, spostati proprio per incastrarci la sua materia.
Scrollò le spalle: meglio così. Non poteva dire di essere del tutto pronto alla successiva fase del piano da lei ideato, e non era certo entusiasta di venire a conoscenza delle sue oscure macchinazioni. Se fosse stato per lui l’avrebbe volentieri ignorata, come faceva con tutte le persone sgradite nella sua vita.
Proseguire le lezioni come se nulla fosse gli fu molto difficile, quel giorno. Gli pareva di essere spiato continuamente da chiunque, che tutti fossero a conoscenza della sua vita passata e lo stessero accusando, riportando alla luce tutto quanto ciò che aveva tentato disperatamente di uccidere.
Quando i ragazzi alzavano la mano per fare una domanda, temeva sempre che fosse per porre fine alla sua carriera anonima, o per deridere tutti i suoi sforzi. Quando usciva dalle aule per recarsi alle lezioni successive gli sembrava sempre di trovare telecamere o giornalisti invadenti, pronti a farlo finire su tutte le prime pagine dei giornali.
Quella di essere braccato era una sensazione spiacevole che non provava più da tanto tempo, ma lo riempì di felino istinto di fuga. Nascondersi dalle occhiate diffidenti era sempre stata la sua professione,e in un momento della mattinata gli sembrò quasi di sentire la risata di quel demonio che aveva travestito per anni, alimentandolo con il successo.
Doveva tornare alla realtà beandosi dei punti immutabili della sua nuova vita. La piega del colletto della camicia, il taglio di capelli della ragazza in prima fila, il gessetto sulla lavagna, il reticolato di rughe tatuato sul viso della Harper, la punta lucida delle sue scarpe, l’odore del corridoio opaco e il fruscio dei volantini, che svolazzavano nonostante l’aria fosse immobile.
Poi, all’improvviso, la campanella della pausa pranzo spezzò violentemente la frase che stava pronunciando. Ci mise qualche istante per riprendersi.
 –Ehm…bene, ragazzi, per domani consegnatemi le vostre relazioni. Forza, andate pure.
Alcuni studenti si fermarono a chiedergli questa o l’altra cosa, mentre altri lo salutarono e basta, andandosene subito. Lui rispose cortesemente a tutti i dubbi, aspettando urgentemente che l’aula si svuotasse; gli parve un tempo infinito, quello direttamente successivo al trillo fastidioso e penetrante, e la consapevolezza del colloquio che avrebbe avuto di lì a poco lo rese ansioso.
Una volta liberatosi degli ultimi ritardatari, si fiondò dritto verso il magazzino, certo di trovarla là. Aveva fretta di risolvere la questione in fretta, senza troppe moine, e tornare da Jessy. Era l’unica che riuscisse veramente a farlo sentire bene con sé stesso, calmando i suoi timori.
Si sedette su uno sgabello, torturando il bordo di un’unghia. Non dovette aspettare molto.
Presto, una figura sinuosa si disegnò contro il bordo scuro della porta. A causa della mancanza di illuminazione, ne vedeva solo il contorno, ma riuscì comunque ad associarlo ad una sola persona, in quel momento più persecutrice che compagnia gradita; con un movimento fluido appoggiò entrambe le mani agli stipiti allargando alle braccia, assomigliando ad un’aquila in procinto di andare a caccia.
-Sapevo che saresti venuto – disse soddisfatta.
Lui non rispose subito, e decise di ignorare l’esclamazione appena fatta. –Cosa vuoi da me?
Anche lei fece il suo stesso gioco, come a voler recuperare la sua supremazia sulla situazione. –Hai fatto quello che ti ho detto? – avanzò di qualche passo nel riquadro di luce, facendo assumere tratti più netti e precisi al suo aspetto.
Quel giorno era vestita abbastanza sobriamente, meno truccata e decisamente meno scollata. Con un normale tailleur e una pettinatura decente sembrava quasi una donna seria, in carriera, e non una sgualdrinella qualunque. Il viso da gatta era senza dubbio attraente, ma era quel genere di bellezza che non gli era mai piaciuto. Troppo predatrice, troppo aggressiva per soddisfarlo.
Lui annuì in fretta. Senza nemmeno sforzarsi apparì affranto e distrutto, logorato da quella storia. Aveva davvero bisogno di dormire.
La vide annuire con aria professionale, e farglisi più vicina: -Bene…si può dire che adesso comincerà la parte vera e propria, la più importante – posò un polpastrello sulla sua spalla, descrivendo un’ampia parabola che dal bordo della giacca arrivava a posarsi sulla camicia, in pieno petto. Sopra al tatuaggio.
Lui rabbrividì a causa di quel contatto sgradito, ma non disse nulla, limitandosi a guardarla con sguardo fiammeggiante d’ira.
Per un istante la donna assunse un aria maliconica, sognante.
-Ieri mi hai chiesto come ho fatto a venire a conoscenza della tua vera identità…ricordi? Beh, devo dire che nemmeno io ero sicura, all’inizio.
Con un passo lento, gli girò intorno, sempre mantendo il dito contro di lui, come punto fermo. Brian la guardò sospettosamente, seguendo il presentimento che quello che stava per dire non gli sarebbe affatto piaciuto.
-Come ti muovi, come parli…il timbro della tua voce, soprattutto, e i capelli. Sono solo piccoli dettagli, ma non mi sono voluta arrendere per così poco. Insomma, ero la prima a credermi pazza, ma mi convincevo sempre più di avere ragione.
Orami non riusciva a vederla in viso, essendo arrivata esattamente dietro di lui. Rimase immobile sentendo i palmi aperti posarsi sulla sua schiena e scorrere sulla stoffa scura, quasi fino ad abbracciarlo.
-Ti ho sempre amato, Marilyn – sussurrò, con un filo di voce. –Sempre.
Poggiò la testa fra le sue scapole, in un dolce movimento della guancia levigata.
Lui, dal canto suo, era sconvolto: non riusciva a crederci. Bridget una sua ammiratrice? Assurdo! In un istante le due persone più importanti della sua vita, anche se con significati opposti, si rivelavano fan del suo personaggio, ormai morto e sepolto!
Quante probabilità c’erano che accadesse una cosa simile? Una su un milione, forse. Fatto sta che in quel momento si trovava incastrato in una situazione doppiamente spiacevole, perché aveva l’impressione che la richiesta della donna si sarebbe allontanata abbastanza significativamente dalla sfera materiale, e aveva un’improvvisa paura di conoscere il possibile riscatto.
-Te lo ripeto, Bridget – disse, con tono basso e profondo, duro. –Cosa vuoi da me?
Ci fu un istante di silenzio che assorbì completamente i suoi timori più intimi e oscuri, dove ogni sospetto e sbigottimento vennero confermati dal più spietato dei destini. All’assurdo non c’era mai limite, di questo era improvvisamente certo, mentre tutto il resto si sgretolava irreparabilmente.
-Voglio un figlio da te, Marilyn. 
  
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