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Autore: Padmini    18/03/2013    5 recensioni
Sherlock è un bambino timido che, nonostante la sua buona volontà, non riesce a farsi nessun amico. Forse per il suo carattere introverso, forse perché si annoia con i giochi dei suoi compagni di classe, forse perché è troppo intelligente e saccente, perfino con le maestre. Forse tutte queste cose insieme.
Eppure, da qualche parte, c'è un amico che aspetta solo lui.
AU Child!Sherlock; Teen!John; Child!Moriarty
Genere: Avventura, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Vi ho fatto prendere paura con il precedente capitolo, eh? *risata diabolica*

Bene … ora mi farò perdonare. Non dico altro.

Buona lettura.

 

Mini

 


 

 

 

Gli amici ti proteggono

 

 

 


 

 

 

 

“John … John … Jawn ...”

Qualcuno lo stava chiamando. Una voce lontana, indefinita, un eco … chi era? La signora Hudson? Lei non lo avrebbe mai chiamato Jawn … ma chi era, dunque?

Aprì lentamente gli occhi, sciogliendo le gambe e sedendosi meglio sulla poltrona e cercando di mettere a fuoco la stanza.

Non si trovava al 221 B di Baker Street. La poltrona su cui era seduto non era quella comoda e soffice di pelle di Sherlock, accanto a lui non ardeva il fuoco sul quale voleva bruciare il cappotto del suo migliore amico e che non indossava, in quel momento.

Si trovava seduto nella poltrona della stanza d'ospedale di Sherlock ed era proprio lui, steso sul letto, a chiamarlo.

Si alzò di scatto e gli corse incontro. Gli prese una mano e la baciò.

“Sei vivo! Sei vivo!” gridò, sull'orlo delle lacrime “Dio, ti ringrazio, sei vivo!”

Sherlock sorrise, tossendo piano.

“Perché dovrei essere morto, Jawn? Hai fatto un brutto sogno?”

Il detective capì che lo aveva spaventato a tal punto da trasmettergli addirittura un incubo. Si domandò cosa mai avesse potuto sognare, ma era chiaro.

“Ho sognato la tua lapide, Sherlock … la tua lapide nera …” disse senza riuscire a trattenere le lacrime “La tua stramaledettisima lapide nera ..”

Si inginocchiò accanto a lui e scoppiò in un pianto liberatorio.

Sherlock si sentì in colpa. Da quando era 'morto' aveva fatto soffrire John tante volte. Prima con il finto suicidio, poi quando era quasi morto per denutrizione e ora … la malattia. Quella volta però non poteva imputarsi tutte le colpe. Il suo fisico era già debole per costituzione ed era stato recentemente messo alla prova, quindi era abbastanza normale che non avesse retto all'influenza.

“Mi dispiace, Jawn …” gli disse carezzandogli la schiena “Io … starò più attento alla mia salute … non voglio che tu soffra a causa mia ...”

John calmò il pianto e sollevò la testa. Tra le lacrime spuntò un sorriso.

“Non è colpa tua, Sherlock. Sono io … io avrei dovuto accorgermi che stavi più male di quanto davi a credere … sono io il medico …” gli passò una mano sui capelli “Sono io che devo prendermi cura di te ...”

Sherlock sorrise, gli prese la mano e la baciò.

“ … e io di te ...”

Qualche lacrima cominciò a scivolare anche dagli occhi di Sherlock.

“Ti amo, Jawn … ti amo tanto ...” disse con voce roca, interrotta dalla tosse “Guarirò, Jawn. Devo guarire. Devo riuscirci ...” sorrise e gli strinse la mano “Ho pensato che quando andrò in pensione potrei comprare una casetta nel Sussex e allevare api. Verresti con me?” gli domandò, allargando il sorriso.

John non rispose subito. Un grosso nodo di emozioni gli stringeva la gola. Si limitò ad annuire e stringere a sua volta la mano dell'amico.

“Molto bene” continuò Sherlock chiudendo gli occhi “Visto che ormai te l'ho promesso, dovrò vivere per mantenere ciò che ho detto. Ora se non ti dispiace vorrei riposare. Mentre dormivi mi hanno fatto una serie di analisi e sono molto stanco … anche tu dovresti andare a casa. Torna domani …” aggiunse aprendo gli occhi per guardarlo “Ti aspetterò … ah! Portami anche il necessario per disegnare … so già che mi annoierò …” stava per dire 'a morte', ma si bloccò appena in tempo “ … tantissimo qui da solo”

John annuì alzandosi. Gli rimboccò le coperte e lo baciò sulla fronte, sul naso e poi sulle labbra.

“A domani, mio capitano”

 

 

I giorni passarono tutti uguali. John andava a trovare Sherlock ogni mattina e ogni sera, portandogli nuovi fogli bianchi da riempire e ammirando i disegni già fatti.

Sherlock disegnava tantissimo. Molto spesso riempiva i fogli di schizzi, dettagli che osservava nelle persone. Le mani delle infermiere, le boccette dei medicinali, i visi …

Quelli erano solo schizzi preparatori che usava per illustrare i racconti che John, nel tempo, aveva pubblicato nel suo blog. Erano disegni fatti molto bene, ben distanti dagli scarabocchi seppur molto espressivi che realizzava da piccolo.

Erano eleganti, dal tratto sottile ma espressivo. Ne realizzava due per ogni soggetto. Uno ricco di sfumature da tenere in bianco e nero e l'altro da completare, una volta tornato a casa, con gli acquarelli.

John lo osservava ed era sempre più felice di constatare che migliorava di giorno in giorno.

Nel giro di due settimane lo dimisero e poté tornare a Baker Street. Tornarono a casa a piedi, camminando lentamente perché Sherlock doveva riabituarsi a camminare, dopo tutto quel tempo passato a letto. Ne approfittò anche per ritemprare le sue capacità di osservazione, sussurrando all'orecchio di John ogni dettaglio che notava nelle persone che incontravano lungo la strada.

John cercava di mascherare le risate che le parole di Sherlock suscitavano in lui, con scarso risultato. Sherlock notava ogni dettaglio buffo, inquietante o imbarazzante con nonchalance incredibile. Finalmente erano tornati loro due. Il suo detective preferiti era guarito e, come al solito, lo divertiva con le sue deduzioni. Mancava solo una cosa.

John sentiva gli sguardi dei passanti su di loro. Erano estremamente famosi, sia per il lavoro di Sherlock che per il suo blog ed era normale che li riconoscessero, anche se Sherlock era così bello che si sarebbe attirato gli sguardi dei passanti anche senza essere famoso.

Il dottore ridacchiò come un adolescente alla prima cotta all'idea di ciò che stava per fare. Lo fermò, prendendolo per un braccio e lo fece abbassare quel tanto che bastava per poterlo baciare delicatamente sulle labbra. Chiuse gli occhi mentre le loro bocche si incontrarono, ma sorrise, beandosi della sensazione degli sguardi dei curiosi puntati su di loro.

“Jawn ...” disse Sherlock, arrossendo leggermente “Ora la gente parlerà ...”

“Lascia che parli” sussurrò John al suo orecchio “Noi abbiamo di meglio da fare ...”

Lo baciò sulla guancia e lo prese per mano, orgoglioso di mostrare al mondo intero chi era il suo fidanzato.

 

 

Passò un po' di tempo. Il maltempo continuava a imperversare su Londra. Sherlock, su ordine di John, se ne stava in casa quasi tutto il tempo. Ogni tanto, soprattutto durante le ore più calde e solo se il cielo era limpido, andavano insieme a fare una passeggiata, perché Sherlock non rimanesse troppo tempo al chiuso. Gli sequestrò il cellulare, per impedirgli di accettare un qualche caso da parte di Lestrade e mise un avviso sul blog. Nessuno avrebbe dovuto importunarlo per almeno due mesi. Ordine del medico.

L'indebolimento del suo fisico, dovuto sia al prolungato digiuno che alla polmonite, meritavano un lungo riposo e sapeva che Sherlock non sarebbe stato in grado di gestirlo da solo.

Stavano appunto passeggiando lungo Haymarket, quando sentirono il nome di Sherlock. Qualcuno lo stava chiamando, correndo disperatamente verso di loro.

“Sherlock! Sherlock!”

Era Lestrade.

“Finalmente ti trovo! Sono ore che ti chiamo al cellulare, ma lo trovavo sempre spento! Puoi venire con me?”

John lo guardò malissimo, assottigliando gli occhi.

“Si è chiesto perché Sherlock non rispondesse? Si ricorda quando ha sputato sangue a Scotland Yard? Perché sta male! Deve ancora riprendersi!” ringhiò “Sapevo che avremmo dovuto andare in Sussex! Lontano da qui e da voi!!”

Lestrade lo guardò basito, ma fu Sherlock a rompere il silenzio.

“Va bene, John. Sto bene. Oggi non fa molto freddo e mi sento bene. Posso dare un'occhiata alla scena del crimine ...” gli fece gli occhioni dolci da cucciolo.

John restò con il viso contratto per la rabbia qualche istante, poi si rilassò vendendo i suoi occhioni.

“Va bene!” disse infine “Ma solo mezz'oretta, non di più!”

“Ma guardatevi! Fate pena ...”

I tre uomini si girarono contemporaneamente. Era appena sopraggiunta Sally, che rideva scuotendo la testa in un malcelato gesto di condiscendenza.

“Prego?” domandò John, guardandola male.

“Chi sei, John? La sua babysitter? È un uomo adulto, non dovresti trattarlo come un bambino ma … evidentemente non è così, sbaglio?”

Si avvicinò a Sherlock e gli pizzicò una guancia tra due dita.

“Vero piccolo Sherly?”

Sherlock lasciò fare, con l'eleganza che lo contraddistingueva si allontanò da lei. John non fu della stessa opinione. Erano anni che desiderava dire a quella donna ciò che pensava di lei, soprattutto dopo la finta morte di Sherlock. In quel momento gli venne in mente la mocciosa che prendeva in giro Sherlock e la rabbia salì ulteriormente.

“Sì, sono stato il suo babysitter, quando era bambino. Penso che ti ricordi di me, vero? Ero quel John che veniva a prenderlo a scuola … eravate in classe insieme alle elementari e da allora non sei cambiata. Sei rimasta una bambina pettegola e cattiva e non ti devi permettere di parlargli così. È stato malato e ora io sono il suo medico curante. Non può stare fuori troppe ore al giorno altrimenti rischia una ricaduta. Quindi, se non vi dispiace, ora andiamo a casa e io prenoterò due biglietti per il Sussex … ci faremo una bella vacanza, lontani da voi incapaci!” sospirò e guardò l'ispettore” Perdonami, Greg, ciò che sto per dire non riguarda te” gli sorrise e si rivolse nuovamente alla donna “Vi lamentate sempre di Sherlock e lo prendete in giro, ma correte subito da lui appena c'è un problema, vero? Vergognatevi e imparate ad arrangiarvi o almeno non siate così ipocriti!!”

Ringhiò le ultime parole, con un rabbia che raramente aveva espresso. Prese un sorpreso Sherlock per un polso e lo trascinò via il più velocemente possibile, lasciando Lestrade sbalordito e Sally irritata al massimo, ma incapace di rispondere.

 

 

Rimasero in silenzio fino a quando tornarono a Baker Street. Sherlock si spogliò e si mise il più comodo pigiama e la vestaglia e tornò in soggiorno, di fronte al caminetto dove lo attendeva John. Era rosso in viso e sembrava a disagio. John lo raggiunse immediatamente e gli posò una mano sulla fronte.

“Non sembra che tu abbia la febbre, ma ...” fece qualche passo per prendere il termometro, ma Sherlock lo fermò, tenendolo per un braccio.

“Non ho la febbre, sto bene … sono solo ...” esitò, arrossendo ancora di più.

“Solo …?” domandò John, fermandosi incuriosito.

“Quello che hai detto a Sally …” gli regalò un sorriso pieno di gratitudine “Te ne sono grato”

John sospirò di sollievo.

“Te l'ho detto quella volta al Barts, Sherlock. Gli amici ti proteggono. Tu mi hai protetto quando hai finto di suicidarti ...” esitò, travolto dal dolore di quel ricordo, ma il sorriso di Sherlock lo fece rilassare “Questo è il minimo che io possa fare”

“Non è il minimo” lo corresse Sherlock ridendo “Fai tantissimo per me e io ...” esitò, leggermente a disagio “... vorrei riuscire a fare di più … per te ...”

John lo baciò sulle labbra e lo abbracciò.

“Sei vivo e mi ami … e questo è tanto, Sherlock. È tantissimo”

Lo abbracciò ancora, poi lo prese per mano e lo portò sul divano, dove lo fece sedere.

“Ti va se ci guardiamo un puntata di Dr Who?”

Sherlock annuì felice e si accomodò sul divano mentre John andava a prendere due tazze di tè, i loro biscotti preferiti al cioccolato e accendeva la TV, dove già c'era il DVD pronto.

Restarono accoccolati tutto il tempo, mangiando biscotti e bevendo tè.

Sherlock sapeva che da qualche parte a Londra c'era un assassino che aspettava solo di essere smascherato, ma in quel momento non gli interessava. Jawn era più importante di qualsiasi omicidio. Non c'era nulla che lo attraesse di più, in quel momento, di stare con John, con il suo Jawn. Il tè e i biscotti, uniti al suono della televisione, lo fecero addormentare.

John se ne accorse, così spense la televisione, indeciso su come comportarsi. Non sarebbe stato bello farlo addormentare sul divano, ma non si sentiva in grado di trasportarlo fino al suo letto. Ciò nonostante ci provò. Passò la mano sotto il suo collo e una sotto le ginocchia e cercò di sollevarsi.

Fu più facile del previsto. Era incredibilmente magro. Lo sollevò, pur con qualche difficoltà, e riuscì a trasportarlo fino al letto, dove lo fece atterrare bruscamente. Sherlock si mosse un po' nel sonno, ma non ebbe altre reazioni, così John lo coprì e si distese al suo fianco.

Si addormentarono abbracciati.

 

 

I preparativi per il viaggio in Sussex erano ormai terminati. Dopo qualche ora di treno arrivarono a destinazione, un tranquillo paesino vicino al mare. Sherlock era restio a partire, ma infine si fece convincere da John, il quale gli promise che, una volta tornati a casa, avrebbe potuto riprendere a lavorare come consulente detective.

Si erano appena sistemati e John stava giusto preparando il pranzo, quando sentirono suonare alla porta.

“Non è possibile ...” disse John disperato “Come hanno fatto a trovarci anche qui?”

“Tranquillo” disse Sherlock sorridendo “Sono certo che sarà qualcuno del posto che vorrà accoglierci, in fin dei conti questa casetta è rimasta vuota per molti mesi ...”

“Spero tu abbia ragione” gli rispose lui ridendo “Altrimenti lo manderò via a calci!”

Questa reazione estremamente protettiva fece sorridere il detective, che andò ad aprire, seguito dal dottore. Si trovarono di fronte ad un uomo sorridente, che li scrutava con interesse. Non era troppo alto, il viso cicciottello era abbellito da un paio di folti baffi brizzolati e li osservava alternativamente, cercando di cogliere in ognuno di loro ogni singolo aspetto. Sherlock e John

“Salve!” disse porgendo la mano, sperando che almeno uno dei due ricambiasse la stretta “Sono il vostro vicino di casa. Sono qui anch'io per passare qualche mese di vacanza con la mia famiglia … Molto piacere, mi chiamo Arthur Conan Doyle”

   
 
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