La
Fuga: Toccata e Fuga in Re Minore
“Alt!!
Questo non è un pezzo di opera lirica!”
Si
lo so, ma la fuga esiste in lirica: se cercate in Falstaff o, ancora
meglio,
nella Carmen, troverete delle fughe (nel secondo caso il coro delle
sigaraie
quando avviene il litigio).
“E
perché non usi quelli?”
I
testi non coincidevano con quello che sto per scrivere. Detto questo
avverto
che siamo prossimi al finale, manca davvero poco!
“Finalmente!”
Siete
spietati ç_ç
Lo
stato di salute di Hikaru spinse
molte volte Jun a tornare da Yayoi, ma non ci fu mai occasione per i
due di
avere un po’ di privacy, o quanto meno di avere il tempo di
scambiare qualche
parola.
La
necessità veniva soprattutto da Jun:
dopo quanto accaduto, infatti, aveva la sensazione che le cose non si
fossero
ben spiegate tra i due, perché vedeva la ex moglie
continuare ad essere si,
gentile e amichevole, ma di tenersi comunque sempre a distanza, quasi
evitando
il contatto fisico. Gli venne il dubbio che il suo tentativo non fosse
stato
ben compreso, doveva chiarirsi.
In
ogni caso non era solo la presenza di
Sanae a disturbare l’uomo: ogni giorno, infatti, i compagni
d’asilo del bambino
andavano a trovarlo, e con la presenza di Kumo i piccoli finivano per
rimanere
più a lungo, e le madri ne approfittavano per chiacchierare
con la donna dai
capelli rossi.
Jun
era sempre spazientito da quella
confusione, anche perché Yayoi doveva occuparsi di Hikaru, e
poi non vedeva il
motivo per cui quegl’estranei rimanessero più a
lungo del dovuto.
-Si
chiama “creare utili rapporti”, e
sarebbe giusto che anche tu lo facessi un pochino.-
-Non
ne vedo la motivazione.-
La
donna sbuffò, avvicinandosi alla
camera del figlio, il bambino in quel momento si stava facendo
imboccare dal
padre, anche se gran parte del passato era sul bavaglino del malato, e
sul suo
muso; tuttavia l’uomo era concentratissimo
nell’azione, e così il bambino aveva
gli occhi fissi sul genitore.
A
Yayoi, nel vedere la scena, le
scappava da ridere, e incrociò le braccia restando
sull’uscio.
-Ti
assicuro che è molto più utile di
quanto sembri: ad esempio sono venuta a sapere che alcuni dei compagni
d’asilo
di Hikaru andranno alla sua stessa scuola elementare, così
potrà ritrovare i
suoi amichetti.-
-Anche
Makoto?-
-Si
tesoro, anche Makoto: sua madre
abita non molto lontano da qui.-
-Evvai!-
-Ah
Hikaru fermo, se no sbrodoli sul
letto.-
-Come
se non fosse già sporco di suo.-
La
donna, nel frattempo, si era
avvicinata ai due, e con l’ultima frase si era sporta verso
Hikaru, pulendogli
la faccia con un lembo del bavaglino ancora pulito; nel fare questo
movimento
la sua coda di capelli rossi sfiorò le dita e le mani
dell’uomo seduto lì
vicino, facendogli salire l’impulso di afferrare quei
boccoli, e per trattenersi
strinse con più forta il cucchiaio e il piatto, tanto che le
nocche tremarono
leggermente.
-Ecco
fatto. Tra te e papà chissà chi è
il più sbrodoloso, eh?-
-Papà!-
-Ehi!-
Madre
e figlio si voltarono all’unisono,
sorridendo divertiti. Alla fine anche il padre sorrise, non riusciva a
resistere a nessuna di quelle due espressioni da briganti.
-Yayoi?-
La
donna alzò il capo, Sanae la stava
chiamando dall’uscio della camera, facendole un cenno con il
capo;
immediatamente Yayoi le si avvicinò, ricordandosi che quella
notte la sua amica
sarebbe partita.
-Hai
già preparato tutto?-
-Si,
tanto non avevo molto bagaglio.-
-Sei
proprio sicura che non puoi
restare?-
-Scherzi?
Sono sciura che quando
rimetterò piede in casa sarò sommersa dai
disastri di quei quattro!-
La
donna dai capelli rossi sorrise,
divertita all’idea, effettivamente quando aveva fatto il suo
viaggio a
Barcellona si era scontrata con la realtà colorata e
chiassosa di casa Tsubasa,
impressionandosi ma anche divertendosi molto.
La
bruna, poi, abbassò leggermente il
tono di voce, sporgendosi in avanti.
-E
poi è ora che mi levi dalle scatole,
altrimenti chissà quando avrete un momento per voi due, eh?-
Yayoi,
quando l’uomo era tornato a casa
sua, le aveva parlato della litigata avuta quel pomeriggio, senza
entrare nei
dettagli di quello che era accaduto dopo, accennando solo al fatto che
aveva
visto le fedi; da quel momento Sanae aveva osservato con maggiore
attenzione i
movimenti dei due, a volte arrivando a disturbare, perfidamente, il
silenzio
che si creava, sorridendo sotto i baffi nel vedere Jun innervosirsi e
cercare
di trattenersi dal lanciarle qualche occhiataccia.
Aoba
arrossì leggermente, cercando
subito di battere in ritirata.
-Ma
che dici!-
-Yayoi,
parliamoci chiaro: io non
perdono quello che ha fatto Jun, così come non perdono
quello che hai fatto tu
di conseguenza.-
Sanae
incrociò le braccia, guardando
storta l’amica, la quale chinò leggermente il
capo, le dita cominciarono a
giocare nervosamente fra di loro. A quell’atteggiamento la
bruna sospirò,
ammorbidendo il tono delle sue parole.
-Tuttavia,
nonostante siano passati
cinque anni, sembra proprio che non riuscite a fare a meno
l’uno dell’altra.-
-…
ed è un bene questo?-
Yayoi
non rialzò lo sguardo da terra, ma
le dita smisero di giocherellare, suscitando l’interesse
della bruna. E questa
rimase colpita dall’espressione della donna di fronte a lei.
Solitamente,
quando si trattava di Jun,
la rossa arrossiva, sorrideva, si preoccupava, piangeva, ma questa
volta aveva
un’espressione cupa, triste … persino dubbiosa.
Teneva gli occhi bassi, e si
limitò a lanciare un’occhiata alla stanza dove si
trovavano i due, poteva
sentire Hikaru parlare.
-…
non voglio pensare a nessun altro che
a mio figlio.
Lo
so, tu pensi che io e Jun … ma no,
non è possibile. E in ogni caso non ha funzionato prima, non
credo funzionerà
ora.-
-Yayoi
…-
-In
fondo non si dice che la minestra
riscaldata due volte non è mai buona?-
-Che
cosa vuoi dire?-
-Voglio
dire che quello che è successo,
qualche giorno fa, è stato solo perché eravamo
presi … dagl’eventi. In realtà
non credo d’interessare a Jun.-
-Spero
tu stia scherzando.-
-Sanae,
l’hai detto anche tu: fosse
stato interessato mi avrebbe cercata in questi cinque anni. Non
è possibile
che, di punto in bianco, le cose cambino.-
-Però
non puoi negare che in questi,
quanti? Due mesi? Non sia successo niente!-
-È
sempre riguardato Hikaru, e solo lui.
Quello che riguarda noi due … oramai è passato.-
-Ma
sei davvero convinta di questo? E il
desiderio di fargli conoscere Hikaru? Le fedi? Le foto? -
Yayoi
si morse il labbro inferiore,
stavolta le mani si stringevano tra loro con forza, fino a tremare
leggermente,
gli occhi bassi ancora rivolti a quella stanza. Sanae la
guardò preoccupata,
aspettando una sua risposta.
Alla
fine usò un tono di voce basso,
così diverso dalla sua solita voce; sembrava nascere dalla
parte più buia di
lei, quell’angolo che nemmeno la sua cara amica conosceva.
-Io
non voglio essere come mia madre:
non voglio ossessionarmi per qualcuno che non mi desidera, e che me lo
ha fatto
comprendere tempo fa. Ciò che interessa a Jun è
solo il bene di suo figlio.-
-Ma
che dici!-
-Dico,
Sanae, che la priorità è Hikaru:
il bene di mio figlio prima di tutto. E a mio figlio serve suo padre.
Non gli
serve un uomo per me.-
Questa
volta la donna aveva alzato,
decisa, la testa, e guardava dritta negl’occhi
l’amica, rivelando tutta la sua
paura: quello che era successo qualche giorno prima l’aveva
scossa, e
parecchio. Se da una parte il parlare a Jun l’aveva aiutata a
mettere in chiaro
tutto quello che era successo fra di loro, dall’altro
l’atteggiamento dell’uomo
l’aveva spinta a rivalutare bene tutto quello che aveva
ottenuto in questi
cinque anni lontana da lui: un figlio, un lavoro, e adesso finalmente
una casa
e un po’ di stabilità economica.
Tentare
con Jun significava di nuovo
rischiare di buttare tutto all’aria, senza contare che
l’uomo, probabilmente,
si stava facendo prendere dalla foga del momento, come gli succedeva
sempre in
quei casi: non sembrava, ma era molto passionale, e con tutti gli
avvenimenti
che gli stavano piombando addosso, probabilmente, si stava facendo
prendere la
mano. Il tempo di abituarsi alla nuova realtà, e
l’uomo si sarebbe di nuovo
stancato di lei.
Come
sempre Yayoi doveva essere la
razionale dei due, mettere dei paletti, cercare di far concentrare
l’uomo
soltanto sul figlio. Perché era quello ciò che
contava di più al momento:
Hikaru.
Sanae
guardò l’amica, osservandone gli
occhi decisi, e prese un profondo respiro, tenendo le braccia
incrociate.
-Mi
pare di capire che sei convinta
della tua decisione, pertanto non andrò avanti in questa
discussione.-
L’altra
la ringraziò con un piccolo
cenno del capo, mantenendo però l’espressione un
po’ dura.
-Cambiando
discorso, oggi vai da
Matilde?-
-Si,
ho appuntamento alle sei, dopo il
turno. Chiederò a Jun di rimanere con te, cerco di tornare
il più presto
possibile.-
E
così dicendo la donna si mosse verso
la sua stanza, iniziando a prepararsi mentre la bruna la guardava
dubbiosa, e
dire che sembrava essersi così lanciata verso questa nuova
situazione, adesso stava
pericolosamente tornando sui suoi passi; sinceramente, temeva che
cadesse di
nuovo nella depressione.
Quando
l’aveva vista, in quel periodo,
si era davvero spaventata: era dimagrita molto di viso, nonostante la
gravidanza, e sembrava non essere più in grado di compiere
le azioni più
semplici, nemmeno sorridere; l’aveva trascinata a asa sua, a
Barcellona, quasi
di prepotenza, per farle riprendere un po’ le forze, ma non
era riuscita a
restarle accanto durante il trasferimento dal padre.
Era
stata presente quando aveva ammesso
di non stare bene, e anche nel suo percorso per uscirne e partorire
senza
problemi, e ancora dopo, e sembrava essersi finalmente ripresa.
Ora
aveva di nuovo quell’atteggiamento. Chissà
cosa aveva combinato quello stupido. Perché di sicuro era
colpa sua!
Yayoi,
prima di uscire, tornò nella
stanza del bambino, questo e Jun stavano giocando con un gioco da
tavola, e
sembrava che il piccolo stesse vincendo.
-Si!-
-Ah,
sei troppo bravo.-
-Ehi,
voi due, andateci piano, o gli si
alza di nuovo la febbre.-
-Ma
no tranquilla, facciamo i bravi,
vero Hikaru?-
-Si
si.-
La
donna accarezzò i capelli del figlio
sorridendogli tenera, constatando ancora una volta che la sua fronte
era molto
più fresca rispetto ai giorni scorsi, oramai era quasi
guarito.
Il
bimbo guardò la madre con aria
seriosa, il sorriso gli scomparve velocemente.
-Vai
via mamma?-
-Solo
per un po’: devo andare a lavoro,
e poi devo andare dalla mia dottoressa.-
-Ma
stasera torni?-
-Certo
che torno amore, promesso.-
E
la donna diede un bacio al figlio,
accarezzandogli il volto e parlandogli un con sorriso tranquillo.
-Non
sarai solo: ci saranno la zia Sanae
e papà, si prenderanno cura di te. Giusto papà?-
Yayoi
si voltò tranquilla verso l’uomo,
chiamandolo in quel modo; il nomignolo fece venire un brivido di
piacere lunga
la schiena di Jun, e lui annuì, accarezzando a sua volta i
capelli del figlio.
Al
gesto, la donna si scostò in modo
evidente, ma l’uomo non poté dirle niente,
concentrandosi sul bambino.
-Resterò
tutto il tempo qui con te,
vedrai ci divertiremo.-
-Mi
raccomando, prendi le medicine e
resta a letto, va bene?-
-Ancora
a letto?-
-Lo
so che sei annoiato amore, ma
resisti: se domani la febbre è ancora bassa, ti prometto che
puoi scendere dal
letto. Ce la fai per domani?-
Il
bimbo annuì, e la donna gli diede un altro
bacio, alzandosi e muovendosi verso l’ingresso, seguita
subito dopo dal padre,
che scambiò un occhiolino con il figlio, prima di rivolgersi
alla donna.
-Per
che ora torni?-
-Se
tutto va bene per le nove avrei
finito. Sanae parte da qui alle otto e mezza per andare
all’aeroporto.-
-Va
bene.-
-Per
la cena te la sai cavare?-
-Scherzi?
Sono un ottimo cuoco!-
La
donna sorrise, scuotendo la testa
poco convinta, infilandosi le scarpe mentre Jun la guardava
dall’alto del
gradino d’ingresso.
-Allora
… ci vediamo dopo?-
Ci
vediamo dopo … era una di quelle
frasi che solitamente era la donna a dire all’uomo, quando
questo usciva per
andare a lavoro; sentirsela dire proprio da lui la stupiì,
facendola voltare
indietro, per guardarlo.
Lui
sorrise, leggermente imbarazzato.
-Sai,
è una sensazione strana: sembra
quasi che ci siamo scambiati di ruolo.-
La
donna si fermò, guardando l’uomo
sorpresa di quelle parole: scambiarsi … di ruolo? In che
senso?
Non
sapeva perché, ma l’idea la metteva
a disagio. Pertanto si limitò ad annuire, dando nuovamente
le spalle a Jun.
-Si,
è strano.-
Lui
notò questa nuova reazione, ma non
poté dire niente che la donna era già uscita di
casa, lasciandolo in piedi di
fronte alla porta; lentamente, si mise le mani nelle tasche dei jeans,
rimanendo a guardare la porta lì di fronte, attirando
l’attenzione di Sanae,
tornata per un momento nella sua stanza.
-Tutto
ok?-
-…
Yayoi ti ha detto qualcosa?-
La
bruna guardò colpita l’uomo lì di
fronte, per poi sorridere divertita.
-Siamo
diventati intuitivi, eh Jun?-
A
quel commento l’uomo chinò il capo
imbarazzato mentre la donna si dirigeva in cucina, decisa a preparare
qualcosa
da mangiare dato che l’ora di pranzo si avvicinava
velocemente.
-Comunque
mi dispiace, non posso
dirtelo: dev’essere lei a parlare, dopotutto si tratta di te
con lei, no?-
-Ah,
a tale proposito … grazie delle
foto.-
-Sono
belle, vero?-
Lui
annuì mentre la bruna sorrideva
soddisfatta, tagliando le verdure mentre aveva acceso la pentola per il
riso,
chiacchierando mentre cucinava, le sue mani si muovevano veloci.
-Tenni
Yayoi con me per almeno un mese.
Ma purtroppo il cambio d’aria non bastò per farla
tornare subito a posto.-
-Cioè?-
La
donna si fermò dalla sua attività,
prendendo un profondo respiro prima di parlarne all’uomo alle
sue spalle.
-Vedi,
Yayoi ha sofferto di depressione
pre-parto.-
Jun
non era fatto per le malattie
mentali, era una frase che spesso gli diceva Matilde: essendo uno
sportivo era
in grado di poter guarire al meglio i pazienti che avevano problemi
fisici, e
nessuno era migliore di lui, lo sapevano tutti in clinica. Ma per la
sua natura
mancava della capacità di comprensione nei confronti di
tutti quei pazienti che
non avevano uno strappo muscolare o un appendicite; sapeva che non
stavano
bene, ma non lo capiva davvero.
Ora,
quando Sanae gli disse quelle parole,
la sua mente non le comprese subito; poi, in un breve momento di
silenzio,
l’uomo ripensò ad una delle spiegazioni che la
psicologa gli fece a proposito
della depressione.
“-Immagina
una stanza buia. Non vedi niente, giusto?
Non vedi i muri, gli angoli o il pavimento. Prova a camminare in quella
stanza,
e ti accorgerai che lo spazio è distorto: le distanze che
conosci non le percepisci,
tutto sembra più lontano o vicino, e rischi di farti del
male, perché non sai
dove stai andando.
Ecco,
una persona depressa vede così il mondo: non
sa cosa sta facendo, non ne trova più il motivo per farlo,
la forza che aveva
l’ha persa.
In
realtà questa è una spiegazione semplicistica.
C’è molto più, in
quell’oscurità, che in una mente piena di luce e
vigore …-”
Pensò
a Yayoi, incinta, e al giorno del
divorzio; provò a immaginare quel giorno
negl’occhi della donna, e lo vide
tutto grigio. E poi, lentamente, la vista si offuscava sempre di
più.
Sanae
gli stava dando la schiena mentre
raccontava, perciò non vide l’espressione
dell’uomo: mano a mano che continuava
con quella specie di esercizio, il suo sguardo s’incupiva
sempre di più.
-Era
al sesto mese quando ci fu la crisi
più forte: il fattore scatenante, secondo lo psicologo, fu
il trasferimento
dalla vostra casa a quella di suo padre, e il fatto che doveva
restituirti
tutti i tuoi oggeti.
Devo
essere sincera: ho temuto che
facesse una sciocchezza.-
-Tipo
… tipo abortire?-
Silenzio
assenso.
L’uomo
chiuse gli occhi, e quando li
riaprì era di nuovo nella cucina, con davanti
agl’occhi la schiena, si era
voltata per riuscire a vederlo con la coda dell’occhio, prima
di tornare alla
sua azione. Continuò a parlare, tagliando le verdure.
-Però
Yayoi è più tenace di quanto
pensi: seguì le sedute, portò avanti la
gravidanza e fece nascere Hikaru.-
-…
tu sapevi delle sue difficoltà
finanziarie?-
-Si,
anche fin troppo bene: ho cercato
più di una volta di aiutarla, ma si è sempre
rifiutata, voleva farcela da sola.
Si è sempre sentita … dipendere da te.-
Ma
chi era davvero quello o quella che
dipendeva dall’altro?
Nella
testa di Jun i ruoli si erano
davvero scambiati: adesso era lui che era seduto su quella sedia, in
cucina,
aspettando che il tempo passasse e che lei tornasse a casa, per essere
certo …
che fosse davvero lì.
-Papà!-
La
voce di Hikaru arrivò fino in cucina,
spingendo l’uomo ad alzarsi in piedi mentre Sanae gli
sorrideva.
-Dai,
va da tuo figlio. Ti chiamo quando
è pronto il pranzo.-
-Si,
ti ringrazio.-
La
bruna sospirò, guardando quella
figura alzarsi e incomminarsi; lo fermò giusto prima che
scomparisse dall’uscio
della stanza.
-Jun!-
-Si?-
-…
Yayoi … lei ha sempre avuto il vizio
di non dire sempre quello che pensava o sentiva, ma non lo fa sempre
perché non
si fida degl’altri, anzi se potesse offrirebbe cuore e anima
a chi vuole bene.-
Sanae
aveva l’aria afflitta nel parlare
di questo, un’espressione che era raro trovare in quel volto
sempre energico.
Gli rivolse lo sguardo, e Jun capì che quelle parole erano
rivolte in
particolare a lui. E a nessun altro.
-Però,
ecco, lei ha sempre avuto paura
di essere come sua madre: possessiva, tremendamente fragile, incapace
di andare
avanti. Per lei è un’ombra scura, e per quanto si
sforzi non credo possa
riuscire, da sola, a superarlo.-
-Mi
stia chiedendo di aiutarla?
Davvero?-
Sorrise
amara, lanciando anche
un’occhiata incattivita.
-Non
ho mai perdonato nessuno dei due
per quello che avete fatto, ma mi rendo conto che avevate i vostri
motivi. Ora
però avete un’altra occasione, e Yayoi sta
tornando sui suoi passi,
nascondendosi dietro al fatto che Hikaru ha solo bisogno di un padre e
di una
madre.
Ma
non sarebbe meglio per Hikaru avere
due genitori che non solo lo amano, ma si amano tra di loro?-
La
domanda restò sospesa nel silenzio
per qualche secondo, Jun stava stringendo con la mano l’uscio
della cucina,
vibrando a quelle parole: un’altra occasione per entrambi,
c’era davvero, lo
sapeva. Non doveva farsela scappare.
-Papà
…-
L’uomo
si voltò, e vide suo figlio in
piedi, lontano dal letto, con addosso il pigiama e a piedi nudi sul
pavimento;
lo prese velocemente in braccio, sollevandolo in aria.
-Ehi,
campione, che ci fai qua? La mamma
non ti ha detto di stare a letto?-
-Ti
ho chiamato e non venivi.-
-Hai
ragione, scusami piccolo, ma adesso
sono qui.
Allora,
torniamo a giocare?-
Il
bimbo annuì, abbracciando il padre
mentre questo ricambiava, trasportandolo in camera mentre Sanae si
sporgeva a
guardare la scena.
-Papà.-
-Dimmi
Hikaru.-
-Tu
e la mamma vi volete bene, vero?-
L’uomo
si fermò un momento, poi posò il
figlio nel letto, rimboccandogli le coperte.
-Certo
campione, ci vogliamo molto
bene.-
-Allora
verrai a stare con noi?-
Jun
si bloccò di nuovo, sedendosi molto
lentamente sul suo sgabello, osservando il bambino preparare le carte
per la
partita, aveva deciso di cambiare gioco.
-…
beh, prima bisogna chiedere il
permesso alla mamma. Se lei dice che va bene, mi farebbe davvero
piacere.-
-Allora
quando torna glielo chiediamo!-
-Va
bene campione. Ora gioca, tocca a te
pescare.-
Il
bimbo tenne le sue cinque carte in
mano, le dita erano così piccole in confronto.
Tuttavia
si distrasse un momento,
guardando fuori dalla finestra; accanto a lui l’uomo
notò il movimento, seguendo
lo sguardo.
La
pioggia cominciò a picchiettare sulla
finestra della camera.
-Ah,
si è messo a piovere.-
-La
mamma avrà l’ombrello?-
-Hai
un ombrello Yayoi?-
-No,
ma aspetterò che smetta.-
-D’accordo.-
Come
sempre, Matilde tirò fuori il suo
registratore, accendendolo e poggiandolo sul tavolinetto fra loro due.
Quel
giorno iniziò subito a parlare, senza aspettare che la
paziente si
tranquillizzasse.
-Come
sta Hikaru?-
La
rossa rimase sorpresa dalla domanda.
-Bene,
grazie, ma come fai a saperlo?-
-Ah,
intuizione: ho visto Jun, qualche
giorno fa, sfrecciare giù dalle scale con aria molto
preoccupata, a momenti
investiva me e un’infermiera.-
Yayoi
sorrise divertita, immaginandosi
la scena e ricordandosi che, anche al liceo, Jun faceva di pazzie
simili, rischiando
sempre di travolgere insegnanti e studenti, una volta il professore di
fisica
provò ad inseguirlo per fermarlo, a momenti si rompeva una
caviglia!
-Dunque
adesso Hikaru sta bene?-
-Si.-
-Immagino
che Jun sia venuto spesso da
voi.-
-Praticamente
tutti i giorni.-
-Il
bambino sarà stato contento.-
-Si,
delle volte temevo che la febbre
gli tornasse su per l’agitazione.-
-E
tu? Sei contenta?-
L’impulso
del suo corpo fu frenato
bruscamente, e Matilde lo vide benissimo, cominciando a studiare il
soggetto:
doveva essere successo qualcosa di forte, vedeva Yayoi metterci
più tempo nel
rispondere, essere sulle spine.
-Certo
che lo sono.-
-Ne
avete approfittato per parlare?-
Ancora
più sulle spine, probabilmente si
erano parlati davvero.
-Beh,
abbiamo chiacchierato. Lui … lui
mi ha detto che ha ritrovato delle vecchie foto di noi da piccoli.-
Stava
cercando di sviare il discorso
della psicologa verso un altro argomento; Matilde decise di seguire il
tentativo della donna, pronta ad usare la prima buona occasione.
-Che
bello, e che foto erano?-
-Ah,
principalmente dei nostri anni
scolastici, quando ci siamo conosciuti da piccoli fino
all’Università.-
-Wow,
sono molti scatti!-
-Già,
mio padre ci teneva a farci tante
foto.-
-È
sempre stato presene immagino.-
-Per
quanto poteva si, lo è stato.-
-Ha
mai parlato con Jun?-
Riuscì
a far venire un dubbio nella
mente di Yayoi, la vide alzare lo sguardo e rivolgerle
un’occhiata stupita,
prima di rispondere.
-Beh,
si, credo di si. Non ero presente
in quei momenti.-
-Allora
credi che Jun sia venuto a
sapere di tua madre da lui?-
La
donna dai capelli rossi gli rivolse
un’occhiata un po’ offesa, sapeva perfettamente che
era stata la psicologa ad
accennare a Jun di sua madre. Matilde, però, voleva una
risposta.
-No,
a mio padre non piace parlare di
questo.-
-Per
tuo padre dev’essere stato
difficile.-
Yayoi
ripensò al funerale, e ricordava
chiaramente che suo padre le teneva la mano e che il suo volto era
tranquillo.
Certo triste, ma non sofferente.
-…
si, lo è stato.-
-Non
ti vedo convinta, perché?-
Quella
sera avrebbe scavato più a fondo
in quell’oscurità, fino a toccarne il fondo.
Di
reazione, la paziente strinse
leggermente le mani tra di loro, gli occhi erano rivolti in basso, la
memoria
le stava mostrando le immagini di quel funerale, fatto di fiori e
persone che
erano davanti a lei, rivolgendole quegl’odiosi sguardi di
pietà.
Lei,
allora, alzava lo sguardo verso il
padre, e lei ricambiava, arrivando perfino a sorridere e ad
accarezzarle la
testa.
-…
mio padre è una persona riservata:
non mostra mai le sue emozioni, e lo fece anche allora.-
-Quindi
dici che, in realtà, soffriva?-
Continuava
a non essere sicura di dire
“si”; l’espressione negl’occhi
dell’uomo era stata troppo tranquilla. Come se …
un pensiero sfrecciò nella mente della donna, bloccandola
per un momento, e
mille più dubbi cominciarono a gonfiarsi nel suo cervello.
Matilde,
notando il mutamento, la
richiamò a sé.
-Yayoi.-
La
donna alzò lo sguardo, e cercò di
rispondere.
-Ah
si, credo di si.-
Ma
non ne fu mai certa.
Ma
Matilde non le lasciò il tempo di
pensarci, perché approfittò di quella debolezza
per attaccare. A scopo
terapeutico, si capisce.
-Tu
credi che l’amasse tua madre, tuo
padre?-
L’insinuazione
mise subito Yayoi
sull’attenti, e la donna rispose come se avesse voluto
tagliare la lingua della
dottoressa con le sue parole.
-Si,
certo.-
-E
lei ha mai provato affetto per lui?-
Questo
frenò la sicurezza della donna,
la quale però si chiuse nell’orgoglio nei
confronti della psicologa.
-Si,
ne sono sicura.-
La
risposta fece sorridere leggermente
Matilde, la quale cercò una breccia in quella corazza.
-E
secondo te perché si è uccisa? In
fondo aveva l’amore di suo marito.-
Non
aveva usato zucchero, non aveva
indorato la pillola, perché aveva capito che quel modo di
fare portava la
paziente a chiudersi in sé, dato che le dava fastidio
qualsiasi cosa
assomigliasse alla pietà.
Yayoi
si morse il labbro inferiore, le
sue mani cercarono l’appoglio dei braccioli della
poltroncina. Per Matilde fu
come se avesse abboccato un pesce enorme al suo amo, ma non le bastava:
voleva
andare ancora più a fondo.
-…
non lo so.-
-Non
credi che fosse per tuo padre? In
fondo la vostra non era una situazione facile, e in questi casi capita
di
mescolare l’amore con la pietà.-
Fu
come se avesse sparato un colpo di
cannone in mezzo ad una landa desolata, e il rumore riecheggia per
molto tempo.
L’occhiata
che ricevette da Yayoi era
tale che avrebbe potuto congelare tutta la stanza e poi farla a pezzi;
ma gli
occhi di Matilde, al contrario, brillarono entusiasti, era risucita a
toccare
il nervo scoperto della donna. Questa, infatti, gli rispose con voce
bassa e
ostile.
-Mamoru
ha amato sinceramente mia
madre.-
-E
nei tuoi confronti? Amava anche te.-
-Si.-
Decisa,
bassa, dura.
-Se
è così perché lo chiami per nome? Te
lo ha chiesto lui?-
Stavolta
non arrivò nessuna risposta, e
Matilde andò più a fondo.
-È
stata una tua scelta?-
Silenzio
assenso.
-Perché
Yayoi? Pensi che non fosse un
buon padre per te?-
-Era
il miglior padre che potessi
avere!-
La
reazione fu più violenta delle altre,
alzò perfino la voce nel tenttivo di far tacere la donna
davanti a lei; Matilde
sentiva di essere molto vicina al fondo, e osò ancora di
più, iniziando a fare
una serie veloce di domande.
-Come
Jun?-
-Si
…-
-Dici
che è un buon padre per Hikaru?-
-Certo
che lo è!-
-Però
non ti ha cercato in questi anni,
giusto?-
-L’ho
voluto io!-
-Davvero?-
-Si!-
-Non
volevi che conoscesse suo figlio?-
-No!-
-Allora
lo volevi o non lo volevi?-
-Lo
volevo! È suo figlio!-
-Lo
volevi solo per Hikaru?-
-Io
…-
Yayoi
si frenò, rendendosi conto di dove
sarebbe andata a finire con le sue parole, ma Matilde non gli permise
di
restare muta a lungo ,a costo di risultare offensiva.
-Lo
volevi solo per Hikaru?-
-…-
-Allora
lo volevi per qualche altro
motivo. Ti serviva aiuto? Problemi finanziari? In fondo lui
è benestante.-
-Non
era per questo!-
Scattò
in piedi irritata, ma Matilde
insistette.
-E
allora per cosa? Volevi vederlo?-
-Si,
lo volevo!-
-E
perché, in fondo vi siete lasciati di
comune accordo, no?-
-Mi
mancava.-
-Come?
Non ho sentito.-
-Mi
mancava maledizione! Che lo devo
gridare?-
-Ti
mancava? E allora perché non l’avevi
sentito prima.-
-Io
… io …-
-Allora
non ti mancava davvero.-
-Si
che mi mancava, da morire!-
-Perché
non l’hai chiamato prima allora?-
-PERCHE’
NON SAREI PIU’ RIUSCITA A
LASCIARLO ANDARE! LO AMO!!-
Lo
urlò con tutte le sue forze, e le
lacrime le scapparono dagl’occhi.
Tuttavia
per Matilde non bastava, aveva
rotto solo metà del coperchio di quella scatola.
-Perché
non lo avresti più lasciato
andare?-
-…
io …-
-Tu
cosa, Yayoi?-
Piangeva,
singhiozzava anche forte, ma
la psicologa non l’avrebbe lasciata scaricarsi fino a quando
non avrebbe
parlato e tirato fuori tutto.
-Hai
paura che ti abbandoni?-
Scosse
la testa.
-Che
ti odi?-
Annuì.
-Perché?-
-…
perché sono come mia madre.-
Lo
aveva detto. Finalmente.
La
vedeva in piedi, in lacrime, con i
pugni stretti, e Matilde vide tutta l’oscurità
uscire fuori da quel corpo,
impedendole quasi di respirare. Al tempo stesso però,
proprio perché si erano
rotte le sue barriere, la donna stava continuando a parlare, anche se
faceva
fatica con gli singhiozzi che le mozzavano il respiro.
-…
per anni mia madre … ha inseguito il
ricordo di un uomo che … non è mai tornato a
prenderla; mi è stato detto che
non mi voleva … che non mi nutriva … ma al tempo
stesso lei aveva una tale cura
di me … e il giorno in cui è morta …
mi ha anche chiesto scusa … mi ha detto …
che non era adatta a farmi da madre … che si scusava
… mi ha anche abbracciata
… ed io … io non capivo …-
Matilde
sospirò, appoggiando la schiena
sulla poltrona, sistemandosi gli occhiali sul naso, ne aveva sentiti
diversi di
casi come questo, ma ogni volta era dura avvertire quel flusso di
emozioni
negative.
-Io
… ho amato … e amo profondamente Jun
… ma non posso sperare che torni, con tutti gli sbagli che
abbiamo fatto.
E
Hikaru … è mio figlio, sono sua madre,
e voglio sempre dimostrargli che lo amo, sempre. Ma sono single, con un
reddito
basso, che ha meno garanzie di dare al proprio figlio
stabilità, come invece
può fare Jun.-
-Quindi
dici che, in caso, tu lasceresti
che Jun ti portasse via tuo figlio?-
La
donna annuì. Matilde si sporse verso
di lei, la sua faccia non era per niente convinta di quelle parole.
-Cosa
vuoi davvero, Yayoi? Cosa DAVVERO vuoi
tu?-
La
donna prese un profondo respiro, e si
vedeva che si rifiutava di dirlo. Matilde insistette, alzandosi in
piedi per
avvicinarsi e insistere per farglielo sputare fuori.
-Dillo
Yayoi! Dillo cosa vuoi! Dillo!-
L’altra
cercava di allontanarsi ma la
psicologa, senza toccarla, le stava addosso, confondendola e
attaccandola con
quella semplice parola.
-Dillo,
dillo Yayoi. Avanti dillo!-
Alla
fine la rossa le urlò contro,
arrivando quasi a spingerla via pur di farla allontanare.
-Voglio
Jun con me, voglio Hikaru con
me, li voglio tutti e due con me! Tutti e due!-
-E
quanto sei disposta a fare per
questo? Quanto?!-
-Darei
la vita per questo!-
-E
perché lo faresti? Perché?-
-Perché
li amo entrambi!-
-E
ne sei fiera?!-
-Certo!
Ne sarò sempre fiera! Io amo mio
figlio Hikaru e amo Jun Misugi!-
A
quel punto cadde il silenzio; le due
si guardarono negl’occhi, prendendo fiato dato che avevano
praticamente
litigato, restando ferme nelle loro posizioni; alla fine, Matilde
tornò al
tavolino, prendando il registratore e portandoselo alla bocca, parlando
con
aria tranquilla.
-Questa
è l’ultima registrazione della
paziente Yayoi Aoba. Ritengo che possano concludersi qui le sedute.-
La
rossa la guardò sorpresa, ancora con
le lacrime agl’occhi e l’altra chiuse il
registratore, alzandosi in piedi e
mettendosi le mani sui fianchi, parlando con voce sfiancata
all’altra donna.
-Tu
non sarai mai come tua madre, Yayoi:
lei, per amore, è morta. Tu, per amore, vuoi vivere,
ficcatelo bene in testa. E
se io non ti convinco, beh, spero che almeno Jun ci riesca.-
E
dopo aver detto questo la psicologa si
portò alla scrivania, sedendosi sulla sua sedia, togliendosi
gli occhiali per
massaggiarsi gli occhi; per tutto il tempo, la rossa rimase a guardarla
stranita.
-…
Puoi andare ora Yayoi.-
A
quel punto la rossa si svegliò, e
velocemente si asciugò gli occhi e prese la sua borsa e la
giacca, fermandosi
sull’uscio della porta: lentamente, con
un’espressione grata, la donna fece un
ultimo inchino, chiudendo in seguito la porta dietro di sé.
Quando
fu sola, Matilde sbuffò
sonoramente, guardando il nastro del registratore.
-…
di questo che me ne faccio?-
Yayoi
uscì di corsa dalla clinica, e si
rese conto di due cose: prima di tutto che stava ancora piovendo, e di
sera la
pioggia le dava ancora più malinconia. La seconda cosa era
che Jun Misugi era
lì che la stava aspettando, sotto un grande ombrello.
Era
più sorpresa che mai.
-Jun
…-
Lui
l’accolse con un sorriso.
-Eccoti
qui.-
-Che
ci fai qui?-
La
donna si avvicinò all’uomo, e questo
le porse l’ombrello, facendo in modo che non si bagnasse.
-Sanae
mi ha detto che eri uscita senza
ombrello, e così ho pensato di venirti a prendere.-
-Ma
Hikaru?-
-C’è
ancora Sanae con lui, ma dobbiamo
fare presto che lei probabilmente sta per andare
all’aeroporto.-
-Ah,
va bene. Ma ha cenato, si?-
-Si
si, tranquilla. Probabilmente adesso
sta dormendo.-
La
donna annuì, e i due cominciarono a
camminare a passo svelto.
Attorno
a loro la città sembrava
rallentare nel suo andirivieni quotidiano, per via della pioggia,
vedevano
tanti ombrelli passare e scansarli, così come gente che si
riparava in tutti i
modi, con le borse o i giornali, alcuni erano fermi sotto piccoli tetti
aspettando, pazienti, che il tempo si calmasse.
Le
macchine che sfrecciavano avevano i
fari accesi, e le gocce di pioggia venivano illuminate nella loro
caduta;
l’asfalto brillava alla luce dei lampioni, le pozzanghere che
si formavano
vibravano e si agitavano, come se avessero vita propria.
Jun
e Yayoi, lungo il tragittol non si parlarono,
camminando l’uno accanto all’altra senza sfiorarsi,
anche se per la donna era
difficile restare riparata sotto l’ombrello senza rischiare
di toccare il
braccio dell’uomo, irrigidendo le spalle per la tensione.
L’uomo
parlò solo quando si trovarono in
una via secondaria, più buia e solitaria rispetto alla
caotica strada
principale.
-Com’è
andata con Matilde?-
-…
mi ha detto che questa era l’ultima
seduta.-
-Ah,
davvero? Quindi … quindi stai bene
ora.-
Lei
annuì, anche se nemmeno lei ne era
certa, era successo tutto in un modo così strano e veloce
che le stesse parole
della psicologa non le erano rimaste particolarmente impresse;
alzò lo sguardo,
guardando l’uomo con aria incerta, e lui subito
cercò di giustificare la frase
appena detta, credendo che lo sguardo fosse per la frase poco carina.
-Cioè,
non che tu non sia normale, è
solo che hai affrontato tanti problemi, non dev’essere stato
facile … insomma,
quello che voglio dire è che ora sei più
tranquilla, no?-
Yayoi
ascoltò quelle parole colpita, e
lentamente sorrise, il volto s’illuminò a quel
cambiamento, e Jun ne rimase
affascinato, arrossendo subito dopo e distogliendo lo sguardo, cercando
di
continuare a parlare.
-In
ogni caso, quando vuoi, ci sono
anch’io se ne vuoi parlare.-
-…
non sei mai stato un buon
ascoltatore, sai?-
-Ah,
ma come?! Adesso ti sistemo io.-
E
l’uomo spostò l’ombrello verso di
sé,
facendo bagnare la donna. Questa, d’istinto, si
attaccò al suo braccio,
cercando di coprirsi sotto il riparo.
-Ehi
che fai?!-
-Così
impari.-
-Guarda
che era la verità!-
-Allora
lo faccio di nuovo.-
-Ah
no! Ti faccio vedere io!-
E
lei afferrò il bastone dell’ombrello
evitando di beccarsi di nuovo la pioggia, e nello slancio lo
tiraò verso di sé,
e stavolta metà del corpo dell’uomo fu solo la
pioggia, Jun a fatica cercò di
riprendere il controllo dell’oggetto.
-Ehi,
molla!-
-Sei
stato tu a cominciare!-
Continuarono
per una buona mezz’ora, arrivando
anche a ridere divertiti fino a quando l’ombrello, a furia di
strattoni e
movimenti, non si ruppe, lasciando i due a bagnarsi in mezzo alla
strada;
nonostante ciò, quando si guardarono, si misero a ridere di
gusto, e alla fine
Jun afferrò la mano di Yayoi, trascinandola verso il primo
riparo, una tenda di
un negozio chiuso.
A
quella presa, per qualche momento, la
donna si emozionò, per poi avere l’istinto di
strattonarsi via, quei contatti
ancora le provocavano la scossa; tuttavia la presa dell’uomo
e la sua spinta in
avanti le impedivano di fare altro se non correre con lui, fino a
quando non
arrivarono al riparo. A quel punto, lui la lasciò andare.
La
donna ebbe quasi freddo a quelle
dita, cercando velocemente un fazzoletto per non pensarci e soprattutto
per
asciugarsi, aveva i capelli umidi.
Guardò
in direzione di Jun, e vide che
anche il volto di lui era umido, come i capelli; arrossendo
leggermente, la
donna pose delicatamente la mano con il fazzoletto sulla guancia di
lui, per
tamponargliela e asciugarlo.
L’uomo
si voltò, stupito, ma non
indietreggiò, e lasciò fare la donna, restando in
silenzio e osservandola
mentre lei evitava il più possibile il suo sguardo.
Con
la pioggia, la colonia di Jun si
sentiva molto, così come lo shampoo che usava Yayoi.
Il
rosso dei capelli di lei sembrava più
vivo, così come le spalle di lui sembravano più
grandi.
La
donna si rese conto che, andando avanti
così, ci sarebbe cascata, e velocemente
indietreggiò, mettendo il fazzoletto
nella borsa, mormorando qualcosa d’indefinito.
-Yayoi.-
Diede
la schiena all’uomo, avvampando
nel sentire quella voce chiamarla per nome, le sembrava di tornare di
nuovo
ragazzina, on la sua prima cotta; rispose con voce flebile, ricordando
quanto
ci era mancato poco qualche giorno prima, a casa sua.
-Si?-
L’uomo
vide quelle piccole spalle, la
figura magra con quei lunghi capelli rossi, e cominciò a
mancargli il coraggio;
al tempo stesso, però, non poteva permettere a nessun altro
uomo di portargli
via l’amore della sua vita.
Ma
che dirle in un momento simile? Che
l’amava e che non l’avrebbe più
lasciata? Di colpo tutte le parole di questo
mondo sembravano così banali, retoriche, vuote.
Yayoi,
lentamente, si voltò verso di
lui, con aria preoccupata, non l’aveva più sentito
da quando aveva pronunciato
il suo nome. Ma fece appena in tempo a girarsi che lui le
andò addosso,
abbracciandola e stringendola a sé, sorprendendola.
-Jun?!-
-Yayoi,
ti amo.-
…
inizialmente la donna non reagì,
troppo sorpresa da quelle parole e da quel calore che sentiva addosso;
poi,
pian piano, cominciò a spingere via l’uomo,
scuotendo leggermente il capo.
-No,
non è vero Jun. È solo perché ci
siamo rivisti che dici questo.-
-Vuol
dire che credi che non possa
amarti?-
-Io
… io credo che dobbiamo pensarci
bene.-
-Io
non ci voglio pensare bene, io ti
amo e basta!-
Quella
reazione un po’ infantile la
finastidì, e alzò leggermente la voce,
l’imbarazzo cominciava a svanire.
-Beh
io non voglio finire come cinque
anni fa!-
-E
cosa ti fa credere che finiremo come
allora?!-
-Il
fatto che tu, come al
solito, pesti i piedi quando vieni
contraddetto!-
-Io
pesto i piedi perché tu non vuoi
accettare la realtà!-
Si
erano staccati l’una dall’altra, e
mentre Yayoi teneva le mani sui fianchi in posizione da combattimento
Jun aveva
aperto le braccia stravolto.
-E
comunque sono cambiato in questi
cinque anni!-
-Ah
si, si vede che sei cambiato!-
-Senti
chi ha parlato, quella che continua
ad avere i complessi!-
-Sarò
una complessata ma di certo non
sono una stronza come qualcuno qui presente!-
-Hai
voglia di litigare?!-
-Certo
che voglio litigare!-
-Avanti
allora sentiamo! Quel’è il
problema? Che io possa fare come l’amante di tua madre?!-
-Come
cazzo ti permetti?!-
-Perché,
non lo pensi anche tu?! Non
pensi che tua madre sia stata stupida e il tuo vero padre un
vigliacco?!-
-Certo
che lo penso!-
-E
tu pensi che io sia come lui?-
-No!-
-E
allora cosa pensi?!-
Yayoi
si sentì frenare a quella domanda.
-Penso
… penso che potresti cercare una
donna mille volte migliore di me!-
-Ma
io desidero e voglio solo te!-
Yayoi
distolse lo sguardo, lanciando la
bomba.
-Solo
perché sono la madre di tuo
figlio.-
Jun,
incazzato come una bestia, la scrollò
con la mano sul polso, obbligandola a guardarlo di nuovo.
-Sei
stupida?! Pensi davvero che sia
solo questo?!
Stammi
bene a sentire Yayoi Aoba, tu sei
la ragazza che ho sempre amato, la donna che ho sposato e che ora
rivoglio per
me!-
-Ma
… ma mia madre …-
-Del
tuo passato, al di fuori di me, non
me ne frega niente: io sono qua, e ci sarò sempre, con te e
Hikaru, ficcatelo
bene in testa maledizione!-
E
l’uomo si fermò per prendere diato, si
vedevano chiaramente le spalle salire e scendere.
La
pioggia continuò a scendere, tappando
le loro orecchie.
Le
mani erano immobili in quella
posizione, ricordava una scultura d’arte moderna.
Nel
loro respiro sentivano ognuno
l’odore dell’altra.
I
loro occhi si cercavano continuamente,
fissandosi per qualche momento, per poi separarsi e cercarsi di nuovo
nei
dettagli dei volti e dei capelli.
Alla
fine Yayoi prese per prima la
parola.
-…
mi ami ancora?-
-…
e tu?-
Di
nuovo a respirare, a sentire la
pioggia attorno a loro, a non sapere cosa fare se non continuare a
guardarsi,
di sicuro stavano facendo tardi nel tornare a casa.
Dovevano
tornare da Hikaru, dovevano.
Però
prima dovevano capire cosa fare.
Alla
fine, con un piccolo movimento, la
donna annuì, non sapendo rispondere a voce. Poi
annuì più forte.
Jun
prese un profondo respiro, lasciando
lentamente andare il polso della donna.
-…
e io amo te.-
Restarono
immobili, a gustarsi quel
momento, a contemplare quello che stavano vedendo, a prendere coscienza
di
quanto era stato detto; poi, lentamente, entrambi si avvicinarono,
passo dopo
passo, fino a quando la donna dovette alzare la testa per continuare a
guardare
l’uomo negl’occhi, le mani strette a sé
un po’ incerta.
Lentamente,
senza aver bisogno di
afferrarla, l’uomo si abbassò, e la donna si
alzò in punta di piedi; rimasero
fermi a pochi millimetri l’uno dalla bocca
dell’altro, continuando a guardarsi
negl’occhi, cercando incertezze vicendevolmente. Quando fu
sicuro di non
trovarne in Yayoi, Jun le sfiorò le labbra, con molta
lentezza. Lei lo lasciò
fare.
Fu
un bacio lento, a stampo, e durò
pochi secondi.
Sciolse
le mani di Yayoi, la quale si
aggrappaò alle braccia dell’uomo, cercando di
nuovo quella bocca, stavolta
chiudendo gli occhi. Ancora a stampo, ma stavolta la donna
c’impiegò di più
prima di riuscire a separarsi.
Poi
si staccò, e Jun l’afferrò con una
mano sulla nuca, spingendola a baciarlo di nuovo, stavolta con
più passione,
stavolta le labbra si schiusero, restando a lungo ad assaggiarsi,
ritrovando
quei sapori che avevano dimenticato, trovandone quasi qualcuno in
più.
E
quando lui lasciò andare, e lei gli
afferrò la camicia, trascinandolo a sé, arrivando
a sorridere divertita e
ricambiata da lui.
E
così, in un gioco di spinte,
parlandosi fra un bacio e l’altro.
-Mi
sei mancato.-
-E
tu a me. Tanto. Da morire-
-Bugiardo,
sei un bugiardo.-
-È
vero. Ma ti amo, ti amo Yayoi.-
-E
io amo te, solo te Jun.-
-Non
ti lascio andare, non ti lascio
più.-
-Non
farlo, non farlo ti prego.-
Si
staccarono faticosamente, ma quando
si ritrovarono, con gli sguardi, entrambi pensarono a Hikaru, solo a
casa; ed
entrambi, a quel pensiero, si misero a correre come pazzi, tenendosi
per mano
sotto la pioggia, percorrendo l’ultimo tratto di strada con
il cuore in gola,
salendo le scale praticamente due a due. Ma non erano preoccupati:
correvano
perché erano così felici che volevano che la
tristezza, il dolore, la
sofferenza restassero lì, sotto la tenda di quel negozio
dov’erano stati fino a
qualche minuto prima.
A
Yayoi tremavano le mani mentre cercava
la chiave di casa, e Jun ne approfittò per strapparle ancora
qualche bacio,
facendola ridere divertita.
Finalmente
riuscì ad aprire la porta,
rischiando di cadere in avanti dato che ci si era appoggiata con la
spalla e si
accorserò subito che la casa era buia.
Jun,
togliendosi le scarpe, corse veloce
dal figlio mentre Yayoi si accorse che, sopra il comò dove
c’era il telefono,
Sanae aveva lasciato un biglietto.
“Hikaru
dorme, io vado. Buona fortuna a tutti e
due.”
Lesse
il biglietto con il sorriso sulle
labbra.
Alzò
lo sguardo, e vide Jun indicarle la
stanza del bambino; la donna la raggiunse svelta, senza fare rumore, e
nell’oscurità
raggiunse il letto del figlio, non toccandolo per paura di svegliarlo,
ascoltando quel respiro tranquillo e profondo.
Scambiò
uno sguardo con l’uomo,
sorridendo serena, e quasi non le sembrava vero che lui fosse
lì con lei, non
le sembrava vero di quanto era successo. E se ora si fosse svegliata e
fosse
stato tutto un sogno?
Lentamente,
Jun le offrì la mano, e per
un momento ebbe una sensazione di deja-vu mentre, d’istinto,
accettava l’offerta,
alzandosi in piedi e facendosi guidare, lanciando solo un ultimo
sguardo al
figlio.
Arrivò
davanti alla porta di camera sua,
e si arrestò, facendo voltare l’uomo verso di lei:
vide quegl’occhi grandi
brillare di una leggera incertezza, e lui le sorrise tenero, baciandole
i
capelli e accarezzandole il volto, stringendola a se con forza.
Lei
accettò quelle coccole e si strinse
maggiormente a lui, salendo sulle punte per sussurrargli
all’orecchio.
Gli
disse qualcosa, e lui sorrise
felice, annuendo prima di stringerla fra le braccia con tutte le sue
forze,
mormorandole tutto quello che gli stava passando per la testa,
facendola
sorridere e perfino rodere a bassa voce.
Alla
fine, entrambi si nascosero dietro
la porta della camera della donna.