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Autore: WYWH    19/03/2013    3 recensioni
[STORIA RIVEDUTA E MODIFICATA] Solo per un momento, Yayoi ebbe remora di firmare quella carta, e questo non passò certo inosservato a Jun o all’avvocato; ma non era perché aveva cambiato idea su qualcosa, oramai la donna aveva accettato tutto, anche per sfinimento. È solo … solo che, in una remota parte di sé, la donna ancora si ostinava a pensare che le cose si sarebbero risolte; le succedeva sempre, quando non sembrava esserci soluzione al problema: all’improvviso, nella sua testa, cominciava a sentire una musica ritmata, allegra, che la faceva sorridere.
Era una musica tratta da “L’Elisir D’amore”, forse la sua opera lirica preferita.
"Una tenera occhiatina, un sorriso, una carezza, vincer può chi più si ostina, ammollir chi più ci sprezza. Ne ho veduti tanti e tanti, presi cotti, spasimanti, che nemmanco Nemorino non potrà da me fuggir. La ricetta è il mio visino, in quest'occhi è l'elisir..."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Anche un uomo'
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La Fuga: Toccata e Fuga in Re Minore

 

“Alt!! Questo non è un pezzo di opera lirica!”

Si lo so, ma la fuga esiste in lirica: se cercate in Falstaff o, ancora meglio, nella Carmen, troverete delle fughe (nel secondo caso il coro delle sigaraie quando avviene il litigio).

“E perché non usi quelli?”

I testi non coincidevano con quello che sto per scrivere. Detto questo avverto che siamo prossimi al finale, manca davvero poco!

“Finalmente!”

Siete spietati ç_ç

 

Lo stato di salute di Hikaru spinse molte volte Jun a tornare da Yayoi, ma non ci fu mai occasione per i due di avere un po’ di privacy, o quanto meno di avere il tempo di scambiare qualche parola.

La necessità veniva soprattutto da Jun: dopo quanto accaduto, infatti, aveva la sensazione che le cose non si fossero ben spiegate tra i due, perché vedeva la ex moglie continuare ad essere si, gentile e amichevole, ma di tenersi comunque sempre a distanza, quasi evitando il contatto fisico. Gli venne il dubbio che il suo tentativo non fosse stato ben compreso, doveva chiarirsi.

In ogni caso non era solo la presenza di Sanae a disturbare l’uomo: ogni giorno, infatti, i compagni d’asilo del bambino andavano a trovarlo, e con la presenza di Kumo i piccoli finivano per rimanere più a lungo, e le madri ne approfittavano per chiacchierare con la donna dai capelli rossi.

Jun era sempre spazientito da quella confusione, anche perché Yayoi doveva occuparsi di Hikaru, e poi non vedeva il motivo per cui quegl’estranei rimanessero più a lungo del dovuto.

-Si chiama “creare utili rapporti”, e sarebbe giusto che anche tu lo facessi un pochino.-

-Non ne vedo la motivazione.-

La donna sbuffò, avvicinandosi alla camera del figlio, il bambino in quel momento si stava facendo imboccare dal padre, anche se gran parte del passato era sul bavaglino del malato, e sul suo muso; tuttavia l’uomo era concentratissimo nell’azione, e così il bambino aveva gli occhi fissi sul genitore.

A Yayoi, nel vedere la scena, le scappava da ridere, e incrociò le braccia restando sull’uscio.

-Ti assicuro che è molto più utile di quanto sembri: ad esempio sono venuta a sapere che alcuni dei compagni d’asilo di Hikaru andranno alla sua stessa scuola elementare, così potrà ritrovare i suoi amichetti.-

-Anche Makoto?-

-Si tesoro, anche Makoto: sua madre abita non molto lontano da qui.-

-Evvai!-

-Ah Hikaru fermo, se no sbrodoli sul letto.-

-Come se non fosse già sporco di suo.-

La donna, nel frattempo, si era avvicinata ai due, e con l’ultima frase si era sporta verso Hikaru, pulendogli la faccia con un lembo del bavaglino ancora pulito; nel fare questo movimento la sua coda di capelli rossi sfiorò le dita e le mani dell’uomo seduto lì vicino, facendogli salire l’impulso di afferrare quei boccoli, e per trattenersi strinse con più forta il cucchiaio e il piatto, tanto che le nocche tremarono leggermente.

-Ecco fatto. Tra te e papà chissà chi è il più sbrodoloso, eh?-

-Papà!-

-Ehi!-

Madre e figlio si voltarono all’unisono, sorridendo divertiti. Alla fine anche il padre sorrise, non riusciva a resistere a nessuna di quelle due espressioni da briganti.

-Yayoi?-

La donna alzò il capo, Sanae la stava chiamando dall’uscio della camera, facendole un cenno con il capo; immediatamente Yayoi le si avvicinò, ricordandosi che quella notte la sua amica sarebbe partita.

-Hai già preparato tutto?-

-Si, tanto non avevo molto bagaglio.-

-Sei proprio sicura che non puoi restare?-

-Scherzi? Sono sciura che quando rimetterò piede in casa sarò sommersa dai disastri di quei quattro!-

La donna dai capelli rossi sorrise, divertita all’idea, effettivamente quando aveva fatto il suo viaggio a Barcellona si era scontrata con la realtà colorata e chiassosa di casa Tsubasa, impressionandosi ma anche divertendosi molto.

La bruna, poi, abbassò leggermente il tono di voce, sporgendosi in avanti.

-E poi è ora che mi levi dalle scatole, altrimenti chissà quando avrete un momento per voi due, eh?-

Yayoi, quando l’uomo era tornato a casa sua, le aveva parlato della litigata avuta quel pomeriggio, senza entrare nei dettagli di quello che era accaduto dopo, accennando solo al fatto che aveva visto le fedi; da quel momento Sanae aveva osservato con maggiore attenzione i movimenti dei due, a volte arrivando a disturbare, perfidamente, il silenzio che si creava, sorridendo sotto i baffi nel vedere Jun innervosirsi e cercare di trattenersi dal lanciarle qualche occhiataccia.

Aoba arrossì leggermente, cercando subito di battere in ritirata.

-Ma che dici!-

-Yayoi, parliamoci chiaro: io non perdono quello che ha fatto Jun, così come non perdono quello che hai fatto tu di conseguenza.-

Sanae incrociò le braccia, guardando storta l’amica, la quale chinò leggermente il capo, le dita cominciarono a giocare nervosamente fra di loro. A quell’atteggiamento la bruna sospirò, ammorbidendo il tono delle sue parole.

-Tuttavia, nonostante siano passati cinque anni, sembra proprio che non riuscite a fare a meno l’uno dell’altra.-

-… ed è un bene questo?-

Yayoi non rialzò lo sguardo da terra, ma le dita smisero di giocherellare, suscitando l’interesse della bruna. E questa rimase colpita dall’espressione della donna di fronte a lei.

Solitamente, quando si trattava di Jun, la rossa arrossiva, sorrideva, si preoccupava, piangeva, ma questa volta aveva un’espressione cupa, triste … persino dubbiosa. Teneva gli occhi bassi, e si limitò a lanciare un’occhiata alla stanza dove si trovavano i due, poteva sentire Hikaru parlare.

-… non voglio pensare a nessun altro che a mio figlio.

Lo so, tu pensi che io e Jun … ma no, non è possibile. E in ogni caso non ha funzionato prima, non credo funzionerà ora.-

-Yayoi …-

-In fondo non si dice che la minestra riscaldata due volte non è mai buona?-

-Che cosa vuoi dire?-

-Voglio dire che quello che è successo, qualche giorno fa, è stato solo perché eravamo presi … dagl’eventi. In realtà non credo d’interessare a Jun.-

-Spero tu stia scherzando.-

-Sanae, l’hai detto anche tu: fosse stato interessato mi avrebbe cercata in questi cinque anni. Non è possibile che, di punto in bianco, le cose cambino.-

-Però non puoi negare che in questi, quanti? Due mesi? Non sia successo niente!-

-È sempre riguardato Hikaru, e solo lui. Quello che riguarda noi due … oramai è passato.-

-Ma sei davvero convinta di questo? E il desiderio di fargli conoscere Hikaru? Le fedi? Le foto? -

Yayoi si morse il labbro inferiore, stavolta le mani si stringevano tra loro con forza, fino a tremare leggermente, gli occhi bassi ancora rivolti a quella stanza. Sanae la guardò preoccupata, aspettando una sua risposta.

Alla fine usò un tono di voce basso, così diverso dalla sua solita voce; sembrava nascere dalla parte più buia di lei, quell’angolo che nemmeno la sua cara amica conosceva.

-Io non voglio essere come mia madre: non voglio ossessionarmi per qualcuno che non mi desidera, e che me lo ha fatto comprendere tempo fa. Ciò che interessa a Jun è solo il bene di suo figlio.-

-Ma che dici!-

-Dico, Sanae, che la priorità è Hikaru: il bene di mio figlio prima di tutto. E a mio figlio serve suo padre. Non gli serve un uomo per me.-

Questa volta la donna aveva alzato, decisa, la testa, e guardava dritta negl’occhi l’amica, rivelando tutta la sua paura: quello che era successo qualche giorno prima l’aveva scossa, e parecchio. Se da una parte il parlare a Jun l’aveva aiutata a mettere in chiaro tutto quello che era successo fra di loro, dall’altro l’atteggiamento dell’uomo l’aveva spinta a rivalutare bene tutto quello che aveva ottenuto in questi cinque anni lontana da lui: un figlio, un lavoro, e adesso finalmente una casa e un po’ di stabilità economica.

Tentare con Jun significava di nuovo rischiare di buttare tutto all’aria, senza contare che l’uomo, probabilmente, si stava facendo prendere dalla foga del momento, come gli succedeva sempre in quei casi: non sembrava, ma era molto passionale, e con tutti gli avvenimenti che gli stavano piombando addosso, probabilmente, si stava facendo prendere la mano. Il tempo di abituarsi alla nuova realtà, e l’uomo si sarebbe di nuovo stancato di lei.

Come sempre Yayoi doveva essere la razionale dei due, mettere dei paletti, cercare di far concentrare l’uomo soltanto sul figlio. Perché era quello ciò che contava di più al momento: Hikaru.

Sanae guardò l’amica, osservandone gli occhi decisi, e prese un profondo respiro, tenendo le braccia incrociate.

-Mi pare di capire che sei convinta della tua decisione, pertanto non andrò avanti in questa discussione.-

L’altra la ringraziò con un piccolo cenno del capo, mantenendo però l’espressione un po’ dura.

-Cambiando discorso, oggi vai da Matilde?-

-Si, ho appuntamento alle sei, dopo il turno. Chiederò a Jun di rimanere con te, cerco di tornare il più presto possibile.-

E così dicendo la donna si mosse verso la sua stanza, iniziando a prepararsi mentre la bruna la guardava dubbiosa, e dire che sembrava essersi così lanciata verso questa nuova situazione, adesso stava pericolosamente tornando sui suoi passi; sinceramente, temeva che cadesse di nuovo nella depressione.

Quando l’aveva vista, in quel periodo, si era davvero spaventata: era dimagrita molto di viso, nonostante la gravidanza, e sembrava non essere più in grado di compiere le azioni più semplici, nemmeno sorridere; l’aveva trascinata a asa sua, a Barcellona, quasi di prepotenza, per farle riprendere un po’ le forze, ma non era riuscita a restarle accanto durante il trasferimento dal padre.

Era stata presente quando aveva ammesso di non stare bene, e anche nel suo percorso per uscirne e partorire senza problemi, e ancora dopo, e sembrava essersi finalmente ripresa.

Ora aveva di nuovo quell’atteggiamento. Chissà cosa aveva combinato quello stupido. Perché di sicuro era colpa sua!

Yayoi, prima di uscire, tornò nella stanza del bambino, questo e Jun stavano giocando con un gioco da tavola, e sembrava che il piccolo stesse vincendo.

-Si!-

-Ah, sei troppo bravo.-

-Ehi, voi due, andateci piano, o gli si alza di nuovo la febbre.-

-Ma no tranquilla, facciamo i bravi, vero Hikaru?-

-Si si.-

La donna accarezzò i capelli del figlio sorridendogli tenera, constatando ancora una volta che la sua fronte era molto più fresca rispetto ai giorni scorsi, oramai era quasi guarito.

Il bimbo guardò la madre con aria seriosa, il sorriso gli scomparve velocemente.

-Vai via mamma?-

-Solo per un po’: devo andare a lavoro, e poi devo andare dalla mia dottoressa.-

-Ma stasera torni?-

-Certo che torno amore, promesso.-

E la donna diede un bacio al figlio, accarezzandogli il volto e parlandogli un con sorriso tranquillo.

-Non sarai solo: ci saranno la zia Sanae e papà, si prenderanno cura di te. Giusto papà?-

Yayoi si voltò tranquilla verso l’uomo, chiamandolo in quel modo; il nomignolo fece venire un brivido di piacere lunga la schiena di Jun, e lui annuì, accarezzando a sua volta i capelli del figlio.

Al gesto, la donna si scostò in modo evidente, ma l’uomo non poté dirle niente, concentrandosi sul bambino.

-Resterò tutto il tempo qui con te, vedrai ci divertiremo.-

-Mi raccomando, prendi le medicine e resta a letto, va bene?-

-Ancora a letto?-

-Lo so che sei annoiato amore, ma resisti: se domani la febbre è ancora bassa, ti prometto che puoi scendere dal letto. Ce la fai per domani?-

Il bimbo annuì, e la donna gli diede un altro bacio, alzandosi e muovendosi verso l’ingresso, seguita subito dopo dal padre, che scambiò un occhiolino con il figlio, prima di rivolgersi alla donna.

-Per che ora torni?-

-Se tutto va bene per le nove avrei finito. Sanae parte da qui alle otto e mezza per andare all’aeroporto.-

-Va bene.-

-Per la cena te la sai cavare?-

-Scherzi? Sono un ottimo cuoco!-

La donna sorrise, scuotendo la testa poco convinta, infilandosi le scarpe mentre Jun la guardava dall’alto del gradino d’ingresso.

-Allora … ci vediamo dopo?-

Ci vediamo dopo … era una di quelle frasi che solitamente era la donna a dire all’uomo, quando questo usciva per andare a lavoro; sentirsela dire proprio da lui la stupiì, facendola voltare indietro, per guardarlo.

Lui sorrise, leggermente imbarazzato.

-Sai, è una sensazione strana: sembra quasi che ci siamo scambiati di ruolo.-

La donna si fermò, guardando l’uomo sorpresa di quelle parole: scambiarsi … di ruolo? In che senso?

Non sapeva perché, ma l’idea la metteva a disagio. Pertanto si limitò ad annuire, dando nuovamente le spalle a Jun.

-Si, è strano.-

Lui notò questa nuova reazione, ma non poté dire niente che la donna era già uscita di casa, lasciandolo in piedi di fronte alla porta; lentamente, si mise le mani nelle tasche dei jeans, rimanendo a guardare la porta lì di fronte, attirando l’attenzione di Sanae, tornata per un momento nella sua stanza.

-Tutto ok?-

-… Yayoi ti ha detto qualcosa?-

La bruna guardò colpita l’uomo lì di fronte, per poi sorridere divertita.

-Siamo diventati intuitivi, eh Jun?-

A quel commento l’uomo chinò il capo imbarazzato mentre la donna si dirigeva in cucina, decisa a preparare qualcosa da mangiare dato che l’ora di pranzo si avvicinava velocemente.

-Comunque mi dispiace, non posso dirtelo: dev’essere lei a parlare, dopotutto si tratta di te con lei, no?-

-Ah, a tale proposito … grazie delle foto.-

-Sono belle, vero?-

Lui annuì mentre la bruna sorrideva soddisfatta, tagliando le verdure mentre aveva acceso la pentola per il riso, chiacchierando mentre cucinava, le sue mani si muovevano veloci.

-Tenni Yayoi con me per almeno un mese. Ma purtroppo il cambio d’aria non bastò per farla tornare subito a posto.-

-Cioè?-

La donna si fermò dalla sua attività, prendendo un profondo respiro prima di parlarne all’uomo alle sue spalle.

-Vedi, Yayoi ha sofferto di depressione pre-parto.-

Jun non era fatto per le malattie mentali, era una frase che spesso gli diceva Matilde: essendo uno sportivo era in grado di poter guarire al meglio i pazienti che avevano problemi fisici, e nessuno era migliore di lui, lo sapevano tutti in clinica. Ma per la sua natura mancava della capacità di comprensione nei confronti di tutti quei pazienti che non avevano uno strappo muscolare o un appendicite; sapeva che non stavano bene, ma non lo capiva davvero.

Ora, quando Sanae gli disse quelle parole, la sua mente non le comprese subito; poi, in un breve momento di silenzio, l’uomo ripensò ad una delle spiegazioni che la psicologa gli fece a proposito della depressione.

“-Immagina una stanza buia. Non vedi niente, giusto? Non vedi i muri, gli angoli o il pavimento. Prova a camminare in quella stanza, e ti accorgerai che lo spazio è distorto: le distanze che conosci non le percepisci, tutto sembra più lontano o vicino, e rischi di farti del male, perché non sai dove stai andando.

Ecco, una persona depressa vede così il mondo: non sa cosa sta facendo, non ne trova più il motivo per farlo, la forza che aveva l’ha persa.

In realtà questa è una spiegazione semplicistica. C’è molto più, in quell’oscurità, che in una mente piena di luce e vigore …-”

Pensò a Yayoi, incinta, e al giorno del divorzio; provò a immaginare quel giorno negl’occhi della donna, e lo vide tutto grigio. E poi, lentamente, la vista si offuscava sempre di più.

Sanae gli stava dando la schiena mentre raccontava, perciò non vide l’espressione dell’uomo: mano a mano che continuava con quella specie di esercizio, il suo sguardo s’incupiva sempre di più.

-Era al sesto mese quando ci fu la crisi più forte: il fattore scatenante, secondo lo psicologo, fu il trasferimento dalla vostra casa a quella di suo padre, e il fatto che doveva restituirti tutti i tuoi oggeti.

Devo essere sincera: ho temuto che facesse una sciocchezza.-

-Tipo … tipo abortire?-

Silenzio assenso.

L’uomo chiuse gli occhi, e quando li riaprì era di nuovo nella cucina, con davanti agl’occhi la schiena, si era voltata per riuscire a vederlo con la coda dell’occhio, prima di tornare alla sua azione. Continuò a parlare, tagliando le verdure.

-Però Yayoi è più tenace di quanto pensi: seguì le sedute, portò avanti la gravidanza e fece nascere Hikaru.-

-… tu sapevi delle sue difficoltà finanziarie?-

-Si, anche fin troppo bene: ho cercato più di una volta di aiutarla, ma si è sempre rifiutata, voleva farcela da sola. Si è sempre sentita … dipendere da te.-

Ma chi era davvero quello o quella che dipendeva dall’altro?

Nella testa di Jun i ruoli si erano davvero scambiati: adesso era lui che era seduto su quella sedia, in cucina, aspettando che il tempo passasse e che lei tornasse a casa, per essere certo … che fosse davvero lì.

-Papà!-

La voce di Hikaru arrivò fino in cucina, spingendo l’uomo ad alzarsi in piedi mentre Sanae gli sorrideva.

-Dai, va da tuo figlio. Ti chiamo quando è pronto il pranzo.-

-Si, ti ringrazio.-

La bruna sospirò, guardando quella figura alzarsi e incomminarsi; lo fermò giusto prima che scomparisse dall’uscio della stanza.

-Jun!-

-Si?-

-… Yayoi … lei ha sempre avuto il vizio di non dire sempre quello che pensava o sentiva, ma non lo fa sempre perché non si fida degl’altri, anzi se potesse offrirebbe cuore e anima a chi vuole bene.-

Sanae aveva l’aria afflitta nel parlare di questo, un’espressione che era raro trovare in quel volto sempre energico. Gli rivolse lo sguardo, e Jun capì che quelle parole erano rivolte in particolare a lui. E a nessun altro.

-Però, ecco, lei ha sempre avuto paura di essere come sua madre: possessiva, tremendamente fragile, incapace di andare avanti. Per lei è un’ombra scura, e per quanto si sforzi non credo possa riuscire, da sola, a superarlo.-

-Mi stia chiedendo di aiutarla? Davvero?-

Sorrise amara, lanciando anche un’occhiata incattivita.

-Non ho mai perdonato nessuno dei due per quello che avete fatto, ma mi rendo conto che avevate i vostri motivi. Ora però avete un’altra occasione, e Yayoi sta tornando sui suoi passi, nascondendosi dietro al fatto che Hikaru ha solo bisogno di un padre e di una madre.

Ma non sarebbe meglio per Hikaru avere due genitori che non solo lo amano, ma si amano tra di loro?-

La domanda restò sospesa nel silenzio per qualche secondo, Jun stava stringendo con la mano l’uscio della cucina, vibrando a quelle parole: un’altra occasione per entrambi, c’era davvero, lo sapeva. Non doveva farsela scappare.

-Papà …-

L’uomo si voltò, e vide suo figlio in piedi, lontano dal letto, con addosso il pigiama e a piedi nudi sul pavimento; lo prese velocemente in braccio, sollevandolo in aria.

-Ehi, campione, che ci fai qua? La mamma non ti ha detto di stare a letto?-

-Ti ho chiamato e non venivi.-

-Hai ragione, scusami piccolo, ma adesso sono qui.

Allora, torniamo a giocare?-

Il bimbo annuì, abbracciando il padre mentre questo ricambiava, trasportandolo in camera mentre Sanae si sporgeva a guardare la scena.

-Papà.-

-Dimmi Hikaru.-

-Tu e la mamma vi volete bene, vero?-

L’uomo si fermò un momento, poi posò il figlio nel letto, rimboccandogli le coperte.

-Certo campione, ci vogliamo molto bene.-

-Allora verrai a stare con noi?-

Jun si bloccò di nuovo, sedendosi molto lentamente sul suo sgabello, osservando il bambino preparare le carte per la partita, aveva deciso di cambiare gioco.

-… beh, prima bisogna chiedere il permesso alla mamma. Se lei dice che va bene, mi farebbe davvero piacere.-

-Allora quando torna glielo chiediamo!-

-Va bene campione. Ora gioca, tocca a te pescare.-

Il bimbo tenne le sue cinque carte in mano, le dita erano così piccole in confronto.

Tuttavia si distrasse un momento, guardando fuori dalla finestra; accanto a lui l’uomo notò il movimento, seguendo lo sguardo.

La pioggia cominciò a picchiettare sulla finestra della camera.

-Ah, si è messo a piovere.-

-La mamma avrà l’ombrello?-

 

-Hai un ombrello Yayoi?-

-No, ma aspetterò che smetta.-

-D’accordo.-

Come sempre, Matilde tirò fuori il suo registratore, accendendolo e poggiandolo sul tavolinetto fra loro due. Quel giorno iniziò subito a parlare, senza aspettare che la paziente si tranquillizzasse.

-Come sta Hikaru?-

La rossa rimase sorpresa dalla domanda.

-Bene, grazie, ma come fai a saperlo?-

-Ah, intuizione: ho visto Jun, qualche giorno fa, sfrecciare giù dalle scale con aria molto preoccupata, a momenti investiva me e un’infermiera.-

Yayoi sorrise divertita, immaginandosi la scena e ricordandosi che, anche al liceo, Jun faceva di pazzie simili, rischiando sempre di travolgere insegnanti e studenti, una volta il professore di fisica provò ad inseguirlo per fermarlo, a momenti si rompeva una caviglia!

-Dunque adesso Hikaru sta bene?-

-Si.-

-Immagino che Jun sia venuto spesso da voi.-

-Praticamente tutti i giorni.-

-Il bambino sarà stato contento.-

-Si, delle volte temevo che la febbre gli tornasse su per l’agitazione.-

-E tu? Sei contenta?-

L’impulso del suo corpo fu frenato bruscamente, e Matilde lo vide benissimo, cominciando a studiare il soggetto: doveva essere successo qualcosa di forte, vedeva Yayoi metterci più tempo nel rispondere, essere sulle spine.

-Certo che lo sono.-

-Ne avete approfittato per parlare?-

Ancora più sulle spine, probabilmente si erano parlati davvero.

-Beh, abbiamo chiacchierato. Lui … lui mi ha detto che ha ritrovato delle vecchie foto di noi da piccoli.-

Stava cercando di sviare il discorso della psicologa verso un altro argomento; Matilde decise di seguire il tentativo della donna, pronta ad usare la prima buona occasione.

-Che bello, e che foto erano?-

-Ah, principalmente dei nostri anni scolastici, quando ci siamo conosciuti da piccoli fino all’Università.-

-Wow, sono molti scatti!-

-Già, mio padre ci teneva a farci tante foto.-

-È sempre stato presene immagino.-

-Per quanto poteva si, lo è stato.-

-Ha mai parlato con Jun?-

Riuscì a far venire un dubbio nella mente di Yayoi, la vide alzare lo sguardo e rivolgerle un’occhiata stupita, prima di rispondere.

-Beh, si, credo di si. Non ero presente in quei momenti.-

-Allora credi che Jun sia venuto a sapere di tua madre da lui?-

La donna dai capelli rossi gli rivolse un’occhiata un po’ offesa, sapeva perfettamente che era stata la psicologa ad accennare a Jun di sua madre. Matilde, però, voleva una risposta.

-No, a mio padre non piace parlare di questo.-

-Per tuo padre dev’essere stato difficile.-

Yayoi ripensò al funerale, e ricordava chiaramente che suo padre le teneva la mano e che il suo volto era tranquillo. Certo triste, ma non sofferente.

-… si, lo è stato.-

-Non ti vedo convinta, perché?-

Quella sera avrebbe scavato più a fondo in quell’oscurità, fino a toccarne il fondo.

Di reazione, la paziente strinse leggermente le mani tra di loro, gli occhi erano rivolti in basso, la memoria le stava mostrando le immagini di quel funerale, fatto di fiori e persone che erano davanti a lei, rivolgendole quegl’odiosi sguardi di pietà.

Lei, allora, alzava lo sguardo verso il padre, e lei ricambiava, arrivando perfino a sorridere e ad accarezzarle la testa.

-… mio padre è una persona riservata: non mostra mai le sue emozioni, e lo fece anche allora.-

-Quindi dici che, in realtà, soffriva?-

Continuava a non essere sicura di dire “si”; l’espressione negl’occhi dell’uomo era stata troppo tranquilla. Come se … un pensiero sfrecciò nella mente della donna, bloccandola per un momento, e mille più dubbi cominciarono a gonfiarsi nel suo cervello.

Matilde, notando il mutamento, la richiamò a sé.

-Yayoi.-

La donna alzò lo sguardo, e cercò di rispondere.

-Ah si, credo di si.-

Ma non ne fu mai certa.

Ma Matilde non le lasciò il tempo di pensarci, perché approfittò di quella debolezza per attaccare. A scopo terapeutico, si capisce.

-Tu credi che l’amasse tua madre, tuo padre?-

L’insinuazione mise subito Yayoi sull’attenti, e la donna rispose come se avesse voluto tagliare la lingua della dottoressa con le sue parole.

-Si, certo.-

-E lei ha mai provato affetto per lui?-

Questo frenò la sicurezza della donna, la quale però si chiuse nell’orgoglio nei confronti della psicologa.

-Si, ne sono sicura.-

La risposta fece sorridere leggermente Matilde, la quale cercò una breccia in quella corazza.

-E secondo te perché si è uccisa? In fondo aveva l’amore di suo marito.-

Non aveva usato zucchero, non aveva indorato la pillola, perché aveva capito che quel modo di fare portava la paziente a chiudersi in sé, dato che le dava fastidio qualsiasi cosa assomigliasse alla pietà.

Yayoi si morse il labbro inferiore, le sue mani cercarono l’appoglio dei braccioli della poltroncina. Per Matilde fu come se avesse abboccato un pesce enorme al suo amo, ma non le bastava: voleva andare ancora più a fondo.

-… non lo so.-

-Non credi che fosse per tuo padre? In fondo la vostra non era una situazione facile, e in questi casi capita di mescolare l’amore con la pietà.-

Fu come se avesse sparato un colpo di cannone in mezzo ad una landa desolata, e il rumore riecheggia per molto tempo.

L’occhiata che ricevette da Yayoi era tale che avrebbe potuto congelare tutta la stanza e poi farla a pezzi; ma gli occhi di Matilde, al contrario, brillarono entusiasti, era risucita a toccare il nervo scoperto della donna. Questa, infatti, gli rispose con voce bassa e ostile.

-Mamoru ha amato sinceramente mia madre.-

-E nei tuoi confronti? Amava anche te.-

-Si.-

Decisa, bassa, dura.

-Se è così perché lo chiami per nome? Te lo ha chiesto lui?-

Stavolta non arrivò nessuna risposta, e Matilde andò più a fondo.

-È stata una tua scelta?-

Silenzio assenso.

-Perché Yayoi? Pensi che non fosse un buon padre per te?-

-Era il miglior padre che potessi avere!-

La reazione fu più violenta delle altre, alzò perfino la voce nel tenttivo di far tacere la donna davanti a lei; Matilde sentiva di essere molto vicina al fondo, e osò ancora di più, iniziando a fare una serie veloce di domande.

-Come Jun?-

-Si …-

-Dici che è un buon padre per Hikaru?-

-Certo che lo è!-

-Però non ti ha cercato in questi anni, giusto?-

-L’ho voluto io!-

-Davvero?-

-Si!-

-Non volevi che conoscesse suo figlio?-

-No!-

-Allora lo volevi o non lo volevi?-

-Lo volevo! È suo figlio!-

-Lo volevi solo per Hikaru?-

-Io …-

Yayoi si frenò, rendendosi conto di dove sarebbe andata a finire con le sue parole, ma Matilde non gli permise di restare muta a lungo ,a costo di risultare offensiva.

-Lo volevi solo per Hikaru?-

-…-

-Allora lo volevi per qualche altro motivo. Ti serviva aiuto? Problemi finanziari? In fondo lui è benestante.-

-Non era per questo!-

Scattò in piedi irritata, ma Matilde insistette.

-E allora per cosa? Volevi vederlo?-

-Si, lo volevo!-

-E perché, in fondo vi siete lasciati di comune accordo, no?-

-Mi mancava.-

-Come? Non ho sentito.-

-Mi mancava maledizione! Che lo devo gridare?-

-Ti mancava? E allora perché non l’avevi sentito prima.-

-Io … io …-

-Allora non ti mancava davvero.-

-Si che mi mancava, da morire!-

-Perché non l’hai chiamato prima allora?-

-PERCHE’ NON SAREI PIU’ RIUSCITA A LASCIARLO ANDARE! LO AMO!!-

Lo urlò con tutte le sue forze, e le lacrime le scapparono dagl’occhi.

Tuttavia per Matilde non bastava, aveva rotto solo metà del coperchio di quella scatola.

-Perché non lo avresti più lasciato andare?-

-… io …-

-Tu cosa, Yayoi?-

Piangeva, singhiozzava anche forte, ma la psicologa non l’avrebbe lasciata scaricarsi fino a quando non avrebbe parlato e tirato fuori tutto.

-Hai paura che ti abbandoni?-

Scosse la testa.

-Che ti odi?-

Annuì.

-Perché?-

-… perché sono come mia madre.-

Lo aveva detto. Finalmente.

La vedeva in piedi, in lacrime, con i pugni stretti, e Matilde vide tutta l’oscurità uscire fuori da quel corpo, impedendole quasi di respirare. Al tempo stesso però, proprio perché si erano rotte le sue barriere, la donna stava continuando a parlare, anche se faceva fatica con gli singhiozzi che le mozzavano il respiro.

-… per anni mia madre … ha inseguito il ricordo di un uomo che … non è mai tornato a prenderla; mi è stato detto che non mi voleva … che non mi nutriva … ma al tempo stesso lei aveva una tale cura di me … e il giorno in cui è morta … mi ha anche chiesto scusa … mi ha detto … che non era adatta a farmi da madre … che si scusava … mi ha anche abbracciata … ed io … io non capivo …-

Matilde sospirò, appoggiando la schiena sulla poltrona, sistemandosi gli occhiali sul naso, ne aveva sentiti diversi di casi come questo, ma ogni volta era dura avvertire quel flusso di emozioni negative.

-Io … ho amato … e amo profondamente Jun … ma non posso sperare che torni, con tutti gli sbagli che abbiamo fatto.

E Hikaru … è mio figlio, sono sua madre, e voglio sempre dimostrargli che lo amo, sempre. Ma sono single, con un reddito basso, che ha meno garanzie di dare al proprio figlio stabilità, come invece può fare Jun.-

-Quindi dici che, in caso, tu lasceresti che Jun ti portasse via tuo figlio?-

La donna annuì. Matilde si sporse verso di lei, la sua faccia non era per niente convinta di quelle parole.

-Cosa vuoi davvero, Yayoi? Cosa DAVVERO vuoi tu?-

La donna prese un profondo respiro, e si vedeva che si rifiutava di dirlo. Matilde insistette, alzandosi in piedi per avvicinarsi e insistere per farglielo sputare fuori.

-Dillo Yayoi! Dillo cosa vuoi! Dillo!-

L’altra cercava di allontanarsi ma la psicologa, senza toccarla, le stava addosso, confondendola e attaccandola con quella semplice parola.

-Dillo, dillo Yayoi. Avanti dillo!-

Alla fine la rossa le urlò contro, arrivando quasi a spingerla via pur di farla allontanare.

-Voglio Jun con me, voglio Hikaru con me, li voglio tutti e due con me! Tutti e due!-

-E quanto sei disposta a fare per questo? Quanto?!-

-Darei la vita per questo!-

-E perché lo faresti? Perché?-

-Perché li amo entrambi!-

-E ne sei fiera?!-

-Certo! Ne sarò sempre fiera! Io amo mio figlio Hikaru e amo Jun Misugi!-

A quel punto cadde il silenzio; le due si guardarono negl’occhi, prendendo fiato dato che avevano praticamente litigato, restando ferme nelle loro posizioni; alla fine, Matilde tornò al tavolino, prendando il registratore e portandoselo alla bocca, parlando con aria tranquilla.

-Questa è l’ultima registrazione della paziente Yayoi Aoba. Ritengo che possano concludersi qui le sedute.-

La rossa la guardò sorpresa, ancora con le lacrime agl’occhi e l’altra chiuse il registratore, alzandosi in piedi e mettendosi le mani sui fianchi, parlando con voce sfiancata all’altra donna.

-Tu non sarai mai come tua madre, Yayoi: lei, per amore, è morta. Tu, per amore, vuoi vivere, ficcatelo bene in testa. E se io non ti convinco, beh, spero che almeno Jun ci riesca.-

E dopo aver detto questo la psicologa si portò alla scrivania, sedendosi sulla sua sedia, togliendosi gli occhiali per massaggiarsi gli occhi; per tutto il tempo, la rossa rimase a guardarla stranita.

-… Puoi andare ora Yayoi.-

A quel punto la rossa si svegliò, e velocemente si asciugò gli occhi e prese la sua borsa e la giacca, fermandosi sull’uscio della porta: lentamente, con un’espressione grata, la donna fece un ultimo inchino, chiudendo in seguito la porta dietro di sé.

Quando fu sola, Matilde sbuffò sonoramente, guardando il nastro del registratore.

-… di questo che me ne faccio?-

 

Yayoi uscì di corsa dalla clinica, e si rese conto di due cose: prima di tutto che stava ancora piovendo, e di sera la pioggia le dava ancora più malinconia. La seconda cosa era che Jun Misugi era lì che la stava aspettando, sotto un grande ombrello.

Era più sorpresa che mai.

-Jun …-

Lui l’accolse con un sorriso.

-Eccoti qui.-

-Che ci fai qui?-

La donna si avvicinò all’uomo, e questo le porse l’ombrello, facendo in modo che non si bagnasse.

-Sanae mi ha detto che eri uscita senza ombrello, e così ho pensato di venirti a prendere.-

-Ma Hikaru?-

-C’è ancora Sanae con lui, ma dobbiamo fare presto che lei probabilmente sta per andare all’aeroporto.-

-Ah, va bene. Ma ha cenato, si?-

-Si si, tranquilla. Probabilmente adesso sta dormendo.-

La donna annuì, e i due cominciarono a camminare a passo svelto.

Attorno a loro la città sembrava rallentare nel suo andirivieni quotidiano, per via della pioggia, vedevano tanti ombrelli passare e scansarli, così come gente che si riparava in tutti i modi, con le borse o i giornali, alcuni erano fermi sotto piccoli tetti aspettando, pazienti, che il tempo si calmasse.

Le macchine che sfrecciavano avevano i fari accesi, e le gocce di pioggia venivano illuminate nella loro caduta; l’asfalto brillava alla luce dei lampioni, le pozzanghere che si formavano vibravano e si agitavano, come se avessero vita propria.

Jun e Yayoi, lungo il tragittol non si parlarono, camminando l’uno accanto all’altra senza sfiorarsi, anche se per la donna era difficile restare riparata sotto l’ombrello senza rischiare di toccare il braccio dell’uomo, irrigidendo le spalle per la tensione.

L’uomo parlò solo quando si trovarono in una via secondaria, più buia e solitaria rispetto alla caotica strada principale.

-Com’è andata con Matilde?-

-… mi ha detto che questa era l’ultima seduta.-

-Ah, davvero? Quindi … quindi stai bene ora.-

Lei annuì, anche se nemmeno lei ne era certa, era successo tutto in un modo così strano e veloce che le stesse parole della psicologa non le erano rimaste particolarmente impresse; alzò lo sguardo, guardando l’uomo con aria incerta, e lui subito cercò di giustificare la frase appena detta, credendo che lo sguardo fosse per la frase poco carina.

-Cioè, non che tu non sia normale, è solo che hai affrontato tanti problemi, non dev’essere stato facile … insomma, quello che voglio dire è che ora sei più tranquilla, no?-

Yayoi ascoltò quelle parole colpita, e lentamente sorrise, il volto s’illuminò a quel cambiamento, e Jun ne rimase affascinato, arrossendo subito dopo e distogliendo lo sguardo, cercando di continuare a parlare.

-In ogni caso, quando vuoi, ci sono anch’io se ne vuoi parlare.-

-… non sei mai stato un buon ascoltatore, sai?-

-Ah, ma come?! Adesso ti sistemo io.-

E l’uomo spostò l’ombrello verso di sé, facendo bagnare la donna. Questa, d’istinto, si attaccò al suo braccio, cercando di coprirsi sotto il riparo.

-Ehi che fai?!-

-Così impari.-

-Guarda che era la verità!-

-Allora lo faccio di nuovo.-

-Ah no! Ti faccio vedere io!-

E lei afferrò il bastone dell’ombrello evitando di beccarsi di nuovo la pioggia, e nello slancio lo tiraò verso di sé, e stavolta metà del corpo dell’uomo fu solo la pioggia, Jun a fatica cercò di riprendere il controllo dell’oggetto.

-Ehi, molla!-

-Sei stato tu a cominciare!-

Continuarono per una buona mezz’ora, arrivando anche a ridere divertiti fino a quando l’ombrello, a furia di strattoni e movimenti, non si ruppe, lasciando i due a bagnarsi in mezzo alla strada; nonostante ciò, quando si guardarono, si misero a ridere di gusto, e alla fine Jun afferrò la mano di Yayoi, trascinandola verso il primo riparo, una tenda di un negozio chiuso.

A quella presa, per qualche momento, la donna si emozionò, per poi avere l’istinto di strattonarsi via, quei contatti ancora le provocavano la scossa; tuttavia la presa dell’uomo e la sua spinta in avanti le impedivano di fare altro se non correre con lui, fino a quando non arrivarono al riparo. A quel punto, lui la lasciò andare.

La donna ebbe quasi freddo a quelle dita, cercando velocemente un fazzoletto per non pensarci e soprattutto per asciugarsi, aveva i capelli umidi.

Guardò in direzione di Jun, e vide che anche il volto di lui era umido, come i capelli; arrossendo leggermente, la donna pose delicatamente la mano con il fazzoletto sulla guancia di lui, per tamponargliela e asciugarlo.

L’uomo si voltò, stupito, ma non indietreggiò, e lasciò fare la donna, restando in silenzio e osservandola mentre lei evitava il più possibile il suo sguardo.

Con la pioggia, la colonia di Jun si sentiva molto, così come lo shampoo che usava Yayoi.

Il rosso dei capelli di lei sembrava più vivo, così come le spalle di lui sembravano più grandi.

La donna si rese conto che, andando avanti così, ci sarebbe cascata, e velocemente indietreggiò, mettendo il fazzoletto nella borsa, mormorando qualcosa d’indefinito.

-Yayoi.-

Diede la schiena all’uomo, avvampando nel sentire quella voce chiamarla per nome, le sembrava di tornare di nuovo ragazzina, on la sua prima cotta; rispose con voce flebile, ricordando quanto ci era mancato poco qualche giorno prima, a casa sua.

-Si?-

L’uomo vide quelle piccole spalle, la figura magra con quei lunghi capelli rossi, e cominciò a mancargli il coraggio; al tempo stesso, però, non poteva permettere a nessun altro uomo di portargli via l’amore della sua vita.

Ma che dirle in un momento simile? Che l’amava e che non l’avrebbe più lasciata? Di colpo tutte le parole di questo mondo sembravano così banali, retoriche, vuote.

Yayoi, lentamente, si voltò verso di lui, con aria preoccupata, non l’aveva più sentito da quando aveva pronunciato il suo nome. Ma fece appena in tempo a girarsi che lui le andò addosso, abbracciandola e stringendola a sé, sorprendendola.

-Jun?!-

-Yayoi, ti amo.-

… inizialmente la donna non reagì, troppo sorpresa da quelle parole e da quel calore che sentiva addosso; poi, pian piano, cominciò a spingere via l’uomo, scuotendo leggermente il capo.

-No, non è vero Jun. È solo perché ci siamo rivisti che dici questo.-

-Vuol dire che credi che non possa amarti?-

-Io … io credo che dobbiamo pensarci bene.-

-Io non ci voglio pensare bene, io ti amo e basta!-

Quella reazione un po’ infantile la finastidì, e alzò leggermente la voce, l’imbarazzo cominciava a svanire.

-Beh io non voglio finire come cinque anni fa!-

-E cosa ti fa credere che finiremo come allora?!-

-Il fatto che tu, come  al solito, pesti i piedi quando vieni contraddetto!-

-Io pesto i piedi perché tu non vuoi accettare la realtà!-

Si erano staccati l’una dall’altra, e mentre Yayoi teneva le mani sui fianchi in posizione da combattimento Jun aveva aperto le braccia stravolto.

-E comunque sono cambiato in questi cinque anni!-

-Ah si, si vede che sei cambiato!-

-Senti chi ha parlato, quella che continua ad avere i complessi!-

-Sarò una complessata ma di certo non sono una stronza come qualcuno qui presente!-

-Hai voglia di litigare?!-

-Certo che voglio litigare!-

-Avanti allora sentiamo! Quel’è il problema? Che io possa fare come l’amante di tua madre?!-

-Come cazzo ti permetti?!-

-Perché, non lo pensi anche tu?! Non pensi che tua madre sia stata stupida e il tuo vero padre un vigliacco?!-

-Certo che lo penso!-

-E tu pensi che io sia come lui?-

-No!-

-E allora cosa pensi?!-

Yayoi si sentì frenare a quella domanda.

-Penso … penso che potresti cercare una donna mille volte migliore di me!-

-Ma io desidero e voglio solo te!-

Yayoi distolse lo sguardo, lanciando la bomba.

-Solo perché sono la madre di tuo figlio.-

Jun, incazzato come una bestia, la scrollò con la mano sul polso, obbligandola a guardarlo di nuovo.

-Sei stupida?! Pensi davvero che sia solo questo?!

Stammi bene a sentire Yayoi Aoba, tu sei la ragazza che ho sempre amato, la donna che ho sposato e che ora rivoglio per me!-

-Ma … ma mia madre …-

-Del tuo passato, al di fuori di me, non me ne frega niente: io sono qua, e ci sarò sempre, con te e Hikaru, ficcatelo bene in testa maledizione!-

E l’uomo si fermò per prendere diato, si vedevano chiaramente le spalle salire e scendere.

La pioggia continuò a scendere, tappando le loro orecchie.

Le mani erano immobili in quella posizione, ricordava una scultura d’arte moderna.

Nel loro respiro sentivano ognuno l’odore dell’altra.

I loro occhi si cercavano continuamente, fissandosi per qualche momento, per poi separarsi e cercarsi di nuovo nei dettagli dei volti e dei capelli.

Alla fine Yayoi prese per prima la parola.

-… mi ami ancora?-

-… e tu?-

Di nuovo a respirare, a sentire la pioggia attorno a loro, a non sapere cosa fare se non continuare a guardarsi, di sicuro stavano facendo tardi nel tornare a casa.

Dovevano tornare da Hikaru, dovevano.

Però prima dovevano capire cosa fare.

Alla fine, con un piccolo movimento, la donna annuì, non sapendo rispondere a voce. Poi annuì più forte.

Jun prese un profondo respiro, lasciando lentamente andare il polso della donna.

-… e io amo te.-

Restarono immobili, a gustarsi quel momento, a contemplare quello che stavano vedendo, a prendere coscienza di quanto era stato detto; poi, lentamente, entrambi si avvicinarono, passo dopo passo, fino a quando la donna dovette alzare la testa per continuare a guardare l’uomo negl’occhi, le mani strette a sé un po’ incerta.

Lentamente, senza aver bisogno di afferrarla, l’uomo si abbassò, e la donna si alzò in punta di piedi; rimasero fermi a pochi millimetri l’uno dalla bocca dell’altro, continuando a guardarsi negl’occhi, cercando incertezze vicendevolmente. Quando fu sicuro di non trovarne in Yayoi, Jun le sfiorò le labbra, con molta lentezza. Lei lo lasciò fare.

Fu un bacio lento, a stampo, e durò pochi secondi.

Sciolse le mani di Yayoi, la quale si aggrappaò alle braccia dell’uomo, cercando di nuovo quella bocca, stavolta chiudendo gli occhi. Ancora a stampo, ma stavolta la donna c’impiegò di più prima di riuscire a separarsi.

Poi si staccò, e Jun l’afferrò con una mano sulla nuca, spingendola a baciarlo di nuovo, stavolta con più passione, stavolta le labbra si schiusero, restando a lungo ad assaggiarsi, ritrovando quei sapori che avevano dimenticato, trovandone quasi qualcuno in più.

E quando lui lasciò andare, e lei gli afferrò la camicia, trascinandolo a sé, arrivando a sorridere divertita e ricambiata da lui.

E così, in un gioco di spinte, parlandosi fra un bacio e l’altro.

-Mi sei mancato.-

-E tu a me. Tanto. Da morire-

-Bugiardo, sei un bugiardo.-

-È vero. Ma ti amo, ti amo Yayoi.-

-E io amo te, solo te Jun.-

-Non ti lascio andare, non ti lascio più.-

-Non farlo, non farlo ti prego.-

Si staccarono faticosamente, ma quando si ritrovarono, con gli sguardi, entrambi pensarono a Hikaru, solo a casa; ed entrambi, a quel pensiero, si misero a correre come pazzi, tenendosi per mano sotto la pioggia, percorrendo l’ultimo tratto di strada con il cuore in gola, salendo le scale praticamente due a due. Ma non erano preoccupati: correvano perché erano così felici che volevano che la tristezza, il dolore, la sofferenza restassero lì, sotto la tenda di quel negozio dov’erano stati fino a qualche minuto prima.

A Yayoi tremavano le mani mentre cercava la chiave di casa, e Jun ne approfittò per strapparle ancora qualche bacio, facendola ridere divertita.

Finalmente riuscì ad aprire la porta, rischiando di cadere in avanti dato che ci si era appoggiata con la spalla e si accorserò subito che la casa era buia.

Jun, togliendosi le scarpe, corse veloce dal figlio mentre Yayoi si accorse che, sopra il comò dove c’era il telefono, Sanae aveva lasciato un biglietto.

“Hikaru dorme, io vado. Buona fortuna a tutti e due.”

Lesse il biglietto con il sorriso sulle labbra.

Alzò lo sguardo, e vide Jun indicarle la stanza del bambino; la donna la raggiunse svelta, senza fare rumore, e nell’oscurità raggiunse il letto del figlio, non toccandolo per paura di svegliarlo, ascoltando quel respiro tranquillo e profondo.

Scambiò uno sguardo con l’uomo, sorridendo serena, e quasi non le sembrava vero che lui fosse lì con lei, non le sembrava vero di quanto era successo. E se ora si fosse svegliata e fosse stato tutto un sogno?

Lentamente, Jun le offrì la mano, e per un momento ebbe una sensazione di deja-vu mentre, d’istinto, accettava l’offerta, alzandosi in piedi e facendosi guidare, lanciando solo un ultimo sguardo al figlio.

Arrivò davanti alla porta di camera sua, e si arrestò, facendo voltare l’uomo verso di lei: vide quegl’occhi grandi brillare di una leggera incertezza, e lui le sorrise tenero, baciandole i capelli e accarezzandole il volto, stringendola a se con forza.

Lei accettò quelle coccole e si strinse maggiormente a lui, salendo sulle punte per sussurrargli all’orecchio.

Gli disse qualcosa, e lui sorrise felice, annuendo prima di stringerla fra le braccia con tutte le sue forze, mormorandole tutto quello che gli stava passando per la testa, facendola sorridere e perfino rodere a bassa voce.

Alla fine, entrambi si nascosero dietro la porta della camera della donna.

   
 
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