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Autore: Dagon    19/03/2013    1 recensioni
"Si chiama Tsugumi, e il nome non gli appartiene.
L'uomo continua a sfiorare fogli di carta col tocco leggero di una penna e siede come il ragazzo che compare nel poster sulla parete: accovacciato, le ginocchia a sfiorargli il mento e i piedi nudi che poggiano sulla sedia"
Tsugumi Ohba: lo sceneggiatore di Death Note, di cui nessuno sa nulla.
Un uomo misterioso che ha la sua stessa voce e il suo identico aspetto comincia a tormentarlo con strane telefonate. E uno strano nome riemerge da un passato oscuro.
Chi è in verità Tsugumi? Qual è il suo vero nome? E cosa spinge l'uomo a spiazzare i fan con un annuncio: quello di voler interrompere la serie?
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo VII
Scompaio


Scompaio, pensa Ryou.
Percorre con passo lento e pesante la strada che lo porterà allo studio. In un certo senso, svanire non serve: nella folla, lui è già invisibile. Una persona che non conta nulla. Un numero. Uno spettro che lascia una traccia silenziosa ed evanescente in un luogo lontano.
A nessuno importa davvero di lui.
Chi scompare? Ryou o Tsugumi?
Forse entrambi. Io non sono un nome. Sono una persona che soffre, ride, piange e ama – che ha amato.
Una persona, soprattutto, che ha dimenticato.
Quando varca la soglia dello studio, Ryou pensa di ritrovarsi in un ambiente vuoto. Invece ecco gli assistenti: sono dove li aveva lasciati, gli sguardi incerti, gli occhi tremanti.
Mi guardano come se fossi impazzito.
Non dice una parola, Ryou. Gli assistenti continuano a esitare. Anche loro, tacciono: sulle loro labbra affiora una parola, folle, ma nessun suono l'accompagna.
Ryou giunge di fronte alla scrivania.
Anche L mi guarda come fossi impazzito. I suoi occhi indagatori, il suo sguardo tagliente e provocatorio.
Ma L non esiste.
E' grazie a personaggi come lui che ho raggiunto il successo.
Che Tsugumi ha raggiunto il successo.
Che tutti mi conoscono.
Ma nessuno sa chi sei.
Sulla scrivania, nel disordine più completo, giacciono pennelli, tavole e chine. Ryou prende un calamaio pieno d'inchiostro.
Sorride.
Il calamaio si disintegra sul viso di L; frammenti di vetro volano in ogni direzione, taglienti, come migliaia di piccole scintille. L'inchiostro si riversa sul poster e in pochi secondi parte del muro è come ricoperta di un sangue grumoso, scuro e viscido.
Il sangue di un personaggio di carta.
C'è anche sangue vero, però. Mille ferite infiammano viso, collo, braccia e mani di Ryou: costellate di piccolissimi frammenti di vetro, disegnano macchie cremisi che si spandono e scivolano sul pavimento.
C'è una piccola pozza rossa, ora, per terra.
L'uomo digrigna i denti.
Scompaio.
Alle sue spalle, ancora integra, c'è la collezione di tazze. A passo lento, Ryou la raggiunge. Nel silenzio. Un silenzio assordante.
Gli assistenti non sanno cosa fare. Gridano: “Cosa stai facendo, Tsugumi?”
Ma Ryou non risponde.
Non risponderà più a quel nome.
“Sei impazzito?”
“Andatevene!” urla l'uomo. La sua voce squarcia il silenzio, fa tremare i vetri delle finestre, il cristallo che si interpone fra lui e le tazze.
Gli assistenti scappano; si sente il rumore della porta che sbatte.
Ryou dissemina il suo sangue ovunque. Tante macchie rosse, sempre più numerose, sul pavimento. Come fiori che sboccino per ricoprire di nuovo colore un prato antico.
Ryou apre la bacheca.
Poi Ryou estrae una tazza.
E su quella tazza c'è un disegno.
È il disegno di un albero di ciliegio.
Che va in frantumi, quando l'uomo decide di lasciare la presa. Altri piccoli frammenti scivolano ovunque, e arricchiscono il pavimento di nuove sfumature. Ora è tutto bianco e rosso. Da qualche parte si vede del rosa.
Torna il silenzio.
Ryou torna a guardare il mobile.
Poi Ryou vi si getta contro.
E il mobile si rovescia a terra, e altri piccoli, piccolissimi frammenti di cristallo, ceramica e legno si riversano ovunque, rimbalzando ovunque, come biglie, come stelle, come scintille.
E Ryou grida per il dolore.
Per la disperazione.
Il dolce viso di Sakura squarcia i suoi ricordi, infiamma la sua mente, tortura la sua anima. La prigione, il sangue che scivolava dalle braccia della ragazza e si spargeva ovunque. Come ora.
Tutto era cominciato nel sangue, e nel sangue tutto sarebbe finito. Nel sangue di Tsugumi.
Tutto quanto..
Ora.
Scompaio, pensa Ryou. Scompaio, scompaio...
Si guarda attorno. È ferito, ma il dolore non lo fermerà.
Scompaio. Non ci sarò per nessuno. Ho bisogno di una pausa. Ho bisogno... di ricominciare.
E Death Note? Qualcuno dovrà pur scrivere la serie: ci sono di mezzo lo Shonen Jump, la carriera di Takeshi. Non puoi fare questo a Takeshi. Ai migliaia di fans che hai in tutto il mondo.
Non mi importa.
Ryou decide che sparirà da Tokyo: tornerà nel suo paese natale, un lungo pellegrinaggio che lo ricondurrà sulle orme della sua gioventù. Per ricordarsi di chi è stato. Di chi è.
Si avvicina alla scrivania, attraversando il cimitero di frammenti e di sangue del pavimento. Recupera una penna, un foglio che non sia sporco.
Scrive questo:

«La serie è interrotta.
Takeshi, mi dispiace.
Chiedo solo questo: non cercatemi.»

Lascia il foglio sulla scrivania. Poi attraversa di nuovo lo studio. Cerca del disinfettante. Dei cerotti. Si deve medicare.
Trascorre mezz'ora.
Nessun frammento di vetro è rimasto intrappolato nelle ferite: e nessuna delle ferite è profonda. Sono tante, ma per fortuna sono piccole e superficiali.
Trascorre un'ora.
Nello studio Ryou ci ha praticamente vissuto: quasi tutti i suoi effetti personali si trovano fra quelle mura. Recupera una valigia, e vi butta dentro biancheria, vestiti e quante altre cose gli serviranno.
Trascorre un'ora e mezza.
Ryou recupera anche il denaro. Ha liquidità sufficiente per affrontare il viaggio: non sa come se ne procurerà altro. Ma tanto basta.
Ryou chiama un Taxi.
Poi Ryou butta il cellulare nel cesso.
Si allontana, valigia al seguito. Scende le scale, nel silenzio, e quando si ritrova per la strada, è più sicuro che mai. Non si preoccupa che qualcuno noti le piccole ferite che tempestano il suo volto e le sue mani. È invisibile, nella folla di persone che come un fiume travolge Tokyo.
Gli viene in mente una frase. L'aveva pronunciata qualche filosofo: ne aveva sentito parlare in un suo viaggio in Grecia.
Panta rei.
“Tutto scorre.”
Il taxi arriva e si ferma a pochi metri da lui. Il traffico è bloccato: il tassista lo esorta a salire al più presto.
“Dove è diretto?” chiede poi, quando Ryou è salito a bordo.
“All'aereoporto.”
Mentre il taxi raggiunge la destinazione, Ryou chiude gli occhi. Quasi, si addormenta. Alla radio passano un pezzo di musica classica. Forse Mozart. Il brano lo culla, lo accoglie: e a metà fra il sogno e la veglia, Ryou è sicuro di sognare.
Sogna che Sakura lo attende.

  
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