Fanfic su attori > Johnny Depp
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Autore: Cohava    19/03/2013    3 recensioni
A chi piace Orgoglio e pregiudizio? A tanti. E se...
al posto di Elizabeth ci fosse una timmida attrice alle prime armi e in luogo di mr. Darcy il mitico Johnny Depp?
Idea per quasi un anno sepolta nel fedele Jean-Luc (il computer), riesumata, corretta e...chi vivrà vedrà!
Dal capitolo due:
Ed ecco che la mia adorata mente regredisce a tal punto da non ricordare una sola parola d'inglese, per quanto io mi sia laureata in lingua e letteratura inglese appena un anno fa. Riesco solo a comprendere (faticosamente) che Tim ci sta presentando.
-Hi-
Johnny Depp sta parlando con me?! E adesso che dovrei fare?!
Beh, rispondere, presumo.
Già.
Enjoy it and...
Lunga vita e prosperità!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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E, finalmente, le cose cominciano a girare per il verso giusto.
Io sono così: un’insicurezza cronica che viene fuori nei momenti peggiori e che mi ha fatto perdere più di un’occasione. Però con gli anni ho imparato a gestire –più o meno- questo difetto, non potendo ridimensionarlo.
Adesso sono felice, di quella felicità che non si ferma neanche a pensare di esserlo: dopotutto sono immersa nel lavoro, il lavoro che sogno da tutta una vita, e sento la creatività che mi pulsa dentro e sprizza fuori dai pori della pelle; passo ore a provare, a imparare a memoria le battute, a discutere con Tim riguardo l’intonazione di una data frase o l’espressione che devo assumere nel tal momento…
Ho persino instaurato un minimo di sano rapporto lavorativo con Johnny Depp, il che è tutto dire. Certo, continuo a provare nei suoi confronti un misto di disagio –per una serie di cause tutte riconducibili a quella che potremmo definire “ansia da prestazione”- e delusione per il modo in cui mi ha giudicata a priori, decisamente non conforme alla persona che credevo fosse. Ma vabbeh.
Fortunatamente oggi non devo provare con lui, bensì con un altro attore, Michael. E’ giovane e al suo primo ruolo di un certo peso, proprio come me, quindi riesco a pormi più tranquillamente nei suoi confronti e abbiamo raggiunto un’ottima intesa.
 
“Tu non mi conosci…”
 
La produzione ha affittato un teatro per le prove, e ne sono felicissima: è bello ritrovarsi su un palco vero e proprio e sentirne l’odore, è come essere a casa. Certo, le piccole compagnie amatoriali in cui recitavo al liceo e all’università non sono nulla rispetto a un film diretto da Tim Burton… ma per me sono quanto di più vicino ci sia all’idea di felicità.
 
“Tu non mi conosci, non puoi conoscermi.
Ma forse a volte hai sognato una sensazione confusa, un dettaglio che si ripeteva, inafferrabile.
L’hanno in tanti, sai? A volte riescono a dimenticarla, altre volte passano la vita tentando di darle un nome. Non so se ci riescano davvero o se ne siano solo convinti, per placare in qualche modo la loro ansia di sapere, di compartimentare tutto il loro essere in cassetti con le sigle…
Ma nel tuo caso posso darglielo io, il nome: è me che hai visto, nelle notti di luna, è mia la mano che ti passava sulla nuca.
So che non riesci a capirlo, so che non puoi ricordare, ma io te lo chiedo lo stesso: abbi fiducia, e torna”
 
Ammazza, complimenti: scusa, faccio un salto a comprale l’insulina e torno, ma tu non ti preoccupare, eh!
 
Oh, accidenti. E’ più forte di me, tendo a fare barriera quando si tratta di esternare con troppo…  Sentimentalismo, ecco.
Sarò sembrata stucchevole? Falsa? Distaccata? Mi volto verso le poltrone in cerca di conferme da Tim e per poco non mi prende un colpo vedendo che c’è pure Johnny, seduto qualche fila più indietro.
 
Cavolo. Cavolo. Cavolo! Ma non era il tuo giorno libero, Johnny, bello di casa?
Ti prego, fa che non sia stata un completo schifo…
 
Penso, e contemporaneamente mi irrito per essere così vulnerabile al suo giudizio. E’ che non vedevo l’ora di dargli una batosta, da quando ho scoperto quanto si sente superiore… Basta.
Devio il mio sguardo sul regista, in attesa di consigli.
 
“Mmm… Buono. Mi piace l’interpretazione che ne hai dato, un po’ insicura, come se quando dici ‘è me che hai visto’ in realtà ci stessi sperando… “
 
E grazie, se uso la recitazione soprattutto per esorcizzare le mie mancanze!
 
 “Però dal punto di vista fisico non va ancora, tendi a fare troppo affidamento sulla voce”
 
“Riprovo?”
 
“Si, dai, ancora una volta”
 
Perfetto. Mi volto verso il fondo della scena e respiro con il diaframma un paio di volte, giusto per estraniarmi dal mondo. Inspira, uno-due-tre-quattro-cinque, trattieni il fiato, uno-due-tre-quattro-cinque, espira, sempre in cinque tempi… Ripeto la sequenza finchè non mi sento svuotata, pronta per ricalibrarmi sul personaggio.
 
Vai.
 
Ripeto il monologo, facendo più attenzione a non mettere una distanza fra me e il povero Michael –che in questa scena fa più o meno la bella statuina- sollevando una mano come per toccarlo, anche se non completo il gesto. Poi, cercando di ignorare l’adrenalina che si dilegua lasciandomi le ginocchia molli
 
Perché lui è ancora lì? Perché mi guarda? Perché non lascia trapelare il minimo commento non-verbale?
 
Chiedo: “Meglio?”
 
“Uhm, si, ma ancora non ci siamo. E’ proprio il monologo che non mi piace, mi sa di ridondante, voglio tagliare qualcosa; sentite, prendetevi dieci minuti di pausa, fumate una sigaretta ma non allontanatevi, vi richiamo io quando possiamo ricominciare” E, detto questo, Tim si volta e si mette a parlare fitto fitto con lo sceneggiatore. Io, che non fumo, ricevo qualche complimento e suggerimento dai colleghi –tra cui anche Viggo che, grazie al cielo, sembra aver completamente dimenticato la mia figuraccia epocale di quando l’ho conosciuto e mi tratta in modo molto amichevole- e li guardo uscire tutti disordinatamente, pronti a sfruttare al massimo la pausa.
A me non serve. Mi guardo intorno per vedere dove ho posato il copione e, con orrore, mi accorgo che l’ho lasciato appena due sedili in là da dove ora c’è Johnny.
 
Perfetto.
 
Manteniamo la calma, non mi farò certo sconvolgere da un’inezia del genere.
 
No, mica…
Ok, ecco il piano: mi avvicino e gli chiedo di passarmi la mia roba. Punto. Soluzione adulta e matura.
Ora vado. Ora vado. Ora….
Dai, serio.
 
Detto fatto, percorro la fila di poltroncine rosso scure in direzione Depp.
 
“Ehi”
 
Non mi ha sentita.
 
“Ahem… Ehi, Johnny”
 
Ritenta, sarai più fortunata.
 
Porca miseria. E’ proprio una cosa mia, tendo a diventare invisibile ed è imbarazzata da morire. Cioè, guardatemi, in piedi goffa e impacciata accanto all’ennesima Persona Che Non Mi Vede E Non Mi Sente.
 
“…Johnny?” E stavolta qualcosa nel mio tono ha sortito il suo effetto –la velata supplica, forse? Quel tipregotiprego fammi evitare l’ennesima figura di biip?- in ogni caso lui gira la testa, solo la testa, il corpo rimane fermissimo.
Si, lo sapevo, non è umano.
 
“Mh?”
 
“Potresti…” Faccio io, con un sorriso imbarazzato, indicando le carte sparse vicino a lui, che le raccoglie e me le porge senza una parola.
 
E se ve lo state chiedendo no, amici ascoltatori, le nostre dita non si sfiorano. Manco per sbaglio.
 
“Grazie” “Aspetta, Stella”
 
Mi rigiro verso di lui, stroncata sul colpo dall’averlo sentito pronunciare il mio nome.
 
Per la prima volta, dopo settimane che siamo teoricamente colleghi. No, dico, settimane.
 
“Senti, ma a cosa pensi in scena, sul palco, mentre reciti?”
 
Ah no, eh!
 
Incasso il colpo e gli rispondo, gelida.
 
“A niente. Non penso proprio a niente. Tutte le riflessioni sulla parte le ho fatte a margine, mentre studiavo, ho calibrato ogni gesto, ogni espressione, e quando vado in scena mi esce fuori tutto in automatico, semplicemente”
 
Naturalmente. E’ l’unico contesto della mia vita in cui non devo pensare a cosa dire, perché le parole sono già dentro di me. E’ liberatorio, vertiginoso, è la stasi totale del tempo.
Non lo dico.
E, mentre esco –forse tutto sommato ho bisogno anch’io di una boccata d’aria- non so se sono più irritata con lui che proprio non ci riesce a non fare lo splendido o con me, che non ho saputo esternare –e quando mai?- quelli che sono i miei veri pensieri, banalizzando il tutto e dando alle mie frasi un tono supponente che non mi appartiene.

 
  
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