Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: FairyQueen_Titania    20/03/2013    1 recensioni
Berlino 1999 è lo scenario in cui si muovono i personaggi di questa storia.
Sono persone, indossano maschere, recitano trame, fanno ciò che lo spettatore si aspetta da loro.
Sono giovani che collidono tra di loro come particelle impazzite alla ricerca di se stesse.
Gilbert si ricorda di un muro di cemento e mattoni che lo divideva dal fratello. Dietro il suo egocentrismo asfissiante nasconde ricordi sbiaditi e un affetto sproporzionato per il fratello minore.
Antonio rischia la sua vita più per orgoglio e spirito d' avventura che per vero altruismo, quasi fosse alla ricerca incessante di un' eccitazione distruttiva che gli tocchi l' anima. Il suo sorriso nasconde solo le ombre del suo carattere.
Francis vive di rendita e si gode i piaceri della vita, la sua esistenza senza scopo a un certo punto sarà fatta di tante piccole cose da realizzare.
La vita di queste tre persone si intreccerà inevitabilmente con quella di altre e i loro equilibri già precari verranno lentamente meno.
(NOTA: Vago poliziesco, germancest in quantità da definire, triangoli, non per tutti i personaggi credo ci sarà il lieto fine.
PAIRING VARI tra cui: Spamano, FruK, TurGre, NedIce, PruAus, GerIta ecc...)
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Bad Friends Trio, Inghilterra/Arthur Kirkland, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2 H Hope


Capitolo 2
Élite


Image and video hosting by TinyPic


Antonio aveva dormito otto ore di fila. Avrebbe continuato a ronfare beato nel proprio letto, forse, se lo squillo imperioso del cellulare non lo avesse strappato alle braccia di Morfeo.

Dall' altro capo del cellulare Sadiq lo svegliò definitivamente con una bella strigliata dicendogli di raggiungerlo alla centrale.
Antonio chiuse la chiamata, sbuffò imprecando mentalmente contro le maniere poco delicate del collega e adagiò la testa sul cuscino per qualche altro secondo. Avrebbe voluto restare a letto, al caldo e non abbandonare quel tepore accogliente.
Il telefono squillò ancora.
Sadiq lo richiamava.
-Rompipalle- borbottò lo spagnolo per poi concedersi un mezzo sorriso.
L' altro lo conosceva piuttosto bene, probabilmente aveva pensato che se la sarebbe presa comoda (cosa che in effetti stava facendo) o peggio che si sarebbe riaddormentato.

Antonio si alzò dal letto per infilarsi rapidamente sotto la doccia.
Non passò molto che fu al dipartimento.
-Tò...- lo accolse Adnan- il bell' addormentato s' è alzato.
-A differenza tua io non ho dormito 'sta notte- borbottò lo spagnolo sbadigliando e guardandosi intorno. Posò gli occhi sull' orologio che aveva al polso. Non si era reso conto dell' ora tarda, era sera inoltrata e la centrale era più tranquilla rispetto alle ore diurne.
-Perchè questa convocazione urgente?
Sadiq per tutta risposta gli fece cenno di seguirlo. Attraversarono tutto il corridoio di un grigio smunto illuminato da luci al neon che rendevano l' ambiente assai triste. Alla fine salirono le scale che portavano al primo piano e si richiusero la porta di un ufficio appartato alle spalle.
-Buonasera! O forse dovrei dire buonanotte?! Ahahahaha- la voce squillante di Mathias Køhler gli irruppe nelle orecchie. Antonio gli riservò un ampio sorriso per poi rivolgersi al resto dei presenti:
-Wow! Cos' è? Una festa?
-Sei sempre il solito scemo- lo rimbeccò Sadiq sedendosi su una poltrona vuota.
Antonio conosceva tutti quanti lì dentro, avevano lavorato insieme piuttosto spesso, quindi sospettava che se erano stati riuniti tutti e cinque in quella stanza doveva esserci sotto qualcosa di grosso.
Vide Berwald Oxestierna seduto quietamente dietro all' ampia scrivania, Mathias sul tavolo che dondolava i piedi nel vuoto come un bimbo troppo cresciuto, Jan Verhagen scocciatamente appoggiato a una parete che girò lo sguardò stizzito non appena lo vide entrare, infine c' erano lui e Sadiq Adnan.
Erano un corpo speciale e decisamente elitario. Il governo tedesco aveva pescato i migliori degli uomini di cui disponeva. Tutti loro avevano alle spalle esperienze, saperi e allenamenti degni di antichi guerrieri.
Antonio ebbe un brivido.
Amava le missioni che venivano affidate a quel corpo.
Ogni volta lo mettevano faccia a faccia con la morte, gli davano l' ebbrezza folle di essere invincibile.

Chiuse a chiave la porta, poi andò a sedersi sul divanetto.
Fremeva.
Ora tutti loro pendevano dalla labbra di Berwald.
 Lo svedese si schiarì la gola imbarazzato. Non era abituato a parlare a lungo, anzi, a volte non parlava proprio ma era a capo delle operazioni del loro piccolo manipolo quindi gli ordini arrivavano per primi direttamente alle sue orecchie.

Li guardò ad uno ad uno con l' aria truce che lo caratterizzava, poi iniziò a parlare quasi a malincuore:- Il nostro compito è quello di stanare un gruppo criminale piuttosto consistente. Le loro attività spaziano dallo spaccio alla prostituzione.- lo svedese tacque in attesa di domande che non sarebbero di sicuro tardate.
-Cosa sappiamo?- domandò infatti Jan rompendo il breve silenzio
Mathias si chinò sulle carte che lo svedese aveva tra le mani, poi puntò gli occhi sul collega:- I tizi che si sono occupati delle indagini preliminari hanno scoperto un locale gestito da uno di questi bastardi, suppongono che lo usino per le loro attività. 'Sti stronzi fanno le cose in grande. Commerciano praticamente in mezza Europa.
Come al solito il danese era arrivato per primo facendosi spiegare tutto in anticipo. Sghignazzò senza pudore lieto di sapere tutte quelle cose.
-E quindi?- fece Sadiq
-E quindi ci tocca il lavoro sporco come al solito- borbottò Jan.
-Come agiamo?- domandò Antonio impaziente
-Intanto dobbiamo capire se il locale che ci è stato segnalato è il punto nevralgico delle loro operazioni o meno- rispose Berwald- non possiamo sbagliare.
Sadiq annuì:- Se facessimo una retata inutile lì dentro rischieremmo solo di prendere pesci piccoli mettendo quelli grossi in allerta.
-E' un' operazione importante- chiarì Berwald rivolgendosi soprattutto a Mathias e ad Antonio, le teste calde del gruppo, che da parte loro annuirono vivacemente.
-E allora che facciamo? Ci infiltriamo dentro al... al... come si chiama il locale?- chiese Mathias
-Pandemonium- rispose Berwald
Antonio arcuò le sopracciglia:- Mh. Fa un certo effetto
-Ti stai cagando addosso?- lo sbeffeggiò Sadiq
Lo spagnolo rise:- Per niente, amigo
-Dicevo- Mathias alzò il tono della voce per riportate l' attenzione su di sè, poi continuò gongolando- ci travestiamo e facciamo finta di essere dei clienti così prendiamo informazioni, vi va?
-Non è molto originale ma credo sia l' unica soluzione- approvò Jan a malincuore. Odiava le missioni in incognito, specie se doveva recitare in maniera palese e improvvisarsi gente assurda. Mathias poi sembrava sguazzarci in questo genere di cose, le prendeva talmente sul serio che gli faceva fare le prove per ore e ore.
Berwald diede il suo benestare, poi, tutto rosso in viso, chiarì:- Mmm... dal rapporto pare che ce ne sia per tutti i... mh... gusti.
Sadiq aggrottò le sopracciglia dando voce al pensiero generale:- Ber, che cazzo dici?
-I servizi vengono prestati sia da ragazzi che da ragazze, anche minorenni- chiarì Mathias- si può chiedere di fare qualunque cosa, basta pagare prufamatamente: orge, cose a tre, sadomaso...
-Ok, basta- lo fermò Jan
A volte si domandava perchè avesse accettato di far parte di quel gruppo.
Lì ogni cosa sembrava trascendere ogni umano limite, si viveva la vita al massimo piantando costantemente il piede su un accelleratore invisibile, emozioni e adrenalina si mischiavano in un tutto disomogeneo e confuso.
Quella vita non era per lui.
Non era neppure per Berwald, che aveva una famiglia e forse nemmeno per Sadiq che tutto sommato amava il quieto vivere.
Mathias e Antonio erano gli unici tra loro ad avere una strana luce negli occhi e anche i loro sguardi erano tuttavia diversi.

La mattina era arrivata in fretta e fredda come al solito.
Appena mise il piede fuori dall' uscio di casa Lovino fu investito da una folata di aria gelida, borbottò contrariato dirigendosi verso la fermata dal bus per andare a scuola convincendosi sempre di più di odiare quella città.

No, Berlino non gli piaceva. Non gli piaceva la Germania per il semplice fatto che non era l' Italia, non era casa.
Feliciano come al solito trotterellava allegro alle sue spalle. Non sembrava neppure lo stesso ragazzo che appena un' ora prima non voleva alzarsi dal letto. Aveva una velocità di ripresa sorprendente.
A differenza del maggiore sembrava eternamente allegro e spensierato, privo di qualsiasi responsabilità.
Lovino invece aveva costantemente il viso contratto in un' espressione scocciata o arrabbiata, quella di chi sembra dover portare addosso il peso di mille problemi e altrettanti fastidi.
Perso nei suoi pensieri non si accorse di una pozzanghera d' acqua prendendola in pieno.
-Merda!- gridò facendo girare nella sua direzione un paio di passanti.
-Veh, fratellone, non è successo niente- Feliciano gli si avvicinò guardando il danno combinato dall' acqua- si è solo bagnata un po' la scarpa.
Lovino sbuffò allontanandosi dal fratello. Aveva il calzino fradicio ma non sarebbe tornato indietro a cambiarlo per nessun motivo.
-Lovi, sei arrabbiato con me?- chiese insicuro il minore.
-No. E lasciami stare, stai zitto- fece l' altro senza neppure degnarlo di uno sguardo.
Feliciano abbassò la testa, poi si allontanò un poco dal più grande e girò il viso dall' altra parte. Sentiva le lacrime che premevano per uscire ma cercò con tutto se stesso di trattenerle.
Non capiva perchè Lovino fosse sempre così scontroso nei suoi confronti. Che gli aveva fatto di male? Lui gli voleva così bene, non capiva davvero. Il maggiore dei Vargas aveva sempre avuto un carattere difficile ma nei suoi confronti aveva mostrato sin da piccoli una dolcezza un po' timida e scontrosa, lo aveva sempre protetto e si preoccupava per lui. Cosa era cambiato da allora?
I fratelli Vargas si erano trasferiti a Berlino da quasi sei anni. Il padre era andato a gestire un locale dalla scritta rossa che brillava a intermittenza la notte, col pavimento nero come la pece e le poltrone di un verde sporco e polveroso, i tavoli bassi e numerosi circondati da divanetti verdognoli, con i liquori dietro all' enorme bancone che sembravano sostituire il cibo. Il locale infatti faceva anche da bar ma non offriva quasi nulla che si differenziasse da un super alcolico. Una volta Roberto Vargas aveva messo in vetrina una crostata comprata già pronta. Era rimasta lì per giorni interi.

Lovino si era chiesto più volte perchè la gente andasse in quel posto. Non aveva nulla da offrire secondo lui.
Poi un giorno aveva capito. Era tornato prima da scuola ed era salito dall' entrata sul retro che portava al primo piano dove c' era casa loro. Si era bloccato nel corridoio non appena aveva sentito gridolini e risate sguaiate.
Aveva sceso le scale di corsa col cuore in gola, con lo zaino ancora in spalla si era messo a correre.
Aveva girato senza meta, disgustato da quello che aveva sentito e intravisto attraverso una delle porte semichiuse.
Che schifo, che schifo, che schifo.
Era ritornato verso il locale rimanendo dall' altro lato del marciapiede. Da lì poi aveva visto uscire un paio di ragazze che avrebbero potuto avere sì e no l' età di Feliciano.
Gli venne da vomitare.
Non aveva ben chiara la situazione ma ora capiva perchè i genitori cercavano di tenerli in ogni modo lontani dal locale.
Soprattutto la notte quel posto si animava di gente che entrava da una porticina sul retro, scura e allungata, di un marrone arrugginito e in tutto e per tutto simile a quella che conduceva al loro appartamento.
Lovino pensò che suo padre incrementasse i guadagni quando loro non erano in casa utilizzando anche le loro stanze per... per certe cose.
Da quando aveva visto dei corpi muoversi sul letto della sua stanza non riusciva più a chiudere occhio la notte. Si domandava chi avesse giaciuto tra le sue lenzuola che tuttavia erano sempre pulite (supponeva che sua madre le cambiasse ogni volta), se mani estranee avessero frugato tra le sue cose, sporcato in qualche modo il suo piccolo mondo, quello ancora più puro di Feliciano.
Si domandava cosa accadesse al piano di sotto.
Un pomeriggio il bar era chiuso e i genitori fuori casa. Scese di sotto e guardò l' enorme stanza, i liquori che abbondavano al di là del bancone, i numerosi divanetti vecchiotti e rovinati dal tempo. Non sembrava esserci nulla di strano.
Non era mai stato coraggioso in vita sua, anzi, forse era anche più codardo di Feliciano e allora si chiese chi ce lo avesse portato lì sotto a improvvisarsi Sherlok Holmes.
Soffocò una mezza imprecazione tra i denti e andò verso la parete che aveva di fronte, aprì l' unica porta oltre a quella del bagno trovandosi di fronte solo un paio di scope e di strofinacci. La richiuse velocemente e rifece le scale di casa, poi uscì di corsa per andare a vedere Feliciano che giocava a calcetto con gli amici.
Forse aveva sbagliato tutto, chissà, magari ora aveva anche le allucinazioni.
Tuttavia ogni volta che arrivava in prossimità di casa, ogni volta che per forza di cose doveva rimanere all' interno dell' appartamento non poteva che pensare a quello che accadeva in quel piccolo edificio.
Si domandò con orrore se lui e Feliciano fossero al sicuro lì dentro.
Forse sì visto che il padre trattava sempre bene il minore.
 Feliciano attirava sempre le simpatie della gente, tutti lo coccolavano e lo trattavano con dolcezza, attirati da quella sua aria innocente. Roberto grazie al cielo non sembrava fare eccezioni. E poi Feli era gentile e servizievole, era obbediente, si impegnava a scuola e faceva le pulizie di casa.
Lovino invece finiva per rispondere male a tutti, un po' per carattere e un po' perchè geloso delle attenzioni che si riversavano sul fratello. Odiava studiare e non era capace di fare le pulizie.
Lui e Roberto Vargas non avevano affatto un buon rapporto, spesso il genitore sfogava su di lui la rabbia e le frustrazioni che si portava addosso picchiandolo. Ovviamente non lo faceva mai davanti alla moglie e al figlio più piccolo o la sua immagine di padre e marito amorevole sarebbe andata in frantumi. Da bambino Lovino aveva sofferto molto per tutta quella situazione. Non capiva il perchè della differenza enorme che il genitore faceva tra lui e il fratello più piccolo.
Una volta aveva cercato persino di uccidersi gettandosi nel lago vicino casa ma un ragazzo gli aveva salvato la vita. Ricordava di avergli dato dello stupido.
In seguito Roberto gli sputò in faccia la verità. Non era suo figlio, era solo un bastardo che sua moglie aveva avuto con un altro. Avrebbe preferito che fosse morto in quel lago.
Non poteva picchiarla, quella puttana che lo aveva incastrato e gli aveva macchiato l' onore mettendogli le corna, o sarebbe morto.
Per fortuna poteva sfogarsi su di lui.

Lovino non vedeva l' ora che Feliciano fosse diventato maggiorenne, almeno sarebbero potuti andare via e sottrarsi da quella tutela affatto desiderabile.
Ammesso che il minore, che adorava quel caro papà, avesse accettato di seguirlo. Aveva dei seri dubbi.
Mentre aspettavano l' autobus iniziò a piovere e Lovino avrebbe voluto piangere. Nessuno se ne sarebbe accorto.
Avrebbe voluto piangere e gridare, scalciare come un bambino, strattonare Feliciano e dirgli un fiume di parole che non fosse altro che la verità. Voleva farlo perchè gli facevano male le costole e faticava a respirare, perchè nella sua vita non si era mai sentito amato o protetto, perchè si sentiva maledettamente solo e impaurito.


Eirik attraversò il marciapiede e poi la strada a passo svelto, poi, come se avesse all' improvviso esaurito tutte le energie, ciondolò lentamente verso l' entrata della scuola.
Lukas gli diceva sempre di essere veloce ad attraversare la strada e anche se era piuttosto cresciutello gli ripeteva in continuazione di guardare bene che non ci fossero macchine in arrivo prima di passare.
Come se fosse stupido o una specie di suicida. Suo fratello era troppo protettivo, sfibrante.
Certe volte gli toglieva ogni energia, non si rendeva conto di soffocarlo.
Eirik stazionò all' ingresso in attesa del suono della seconda campanella. Anche se faceva piuttosto freddo e il cielo era coperto da nuvole minacciose non aveva voglia di entrare subito.
Come era prevedibile aveva iniziato a piovere di nuovo.
Vide arrivare Raivis tutto di fretta e col fiatone, il ragazzo si fermò di fronte a lui ansimando.

-Non è ancora suonata- lo avvertì Eirik monocorde
-Ah... ah, meno male- l' altro fece un mezzo sorriso assumendo la posizione eretta- ho visto dei poliziotti uscire fuori dalla centrale- affermò poi indicando alle proprie spalle l' edificio di polizia che in realtà distava qualche metro dalla scuola- sono così fighi con quelle divise. - Raivis tacque per un attimo, il tono allegro scemò all' improvviso in un sussurro preoccupato- forse è successo qualcosa.
-Forse. Ma poi scusa, di che ti preoccupi? Noi siamo a posto
L' altro annuì incerto, poi la campanella suonò e i due ragazzi si diressero in due classi diverse. Raivis a differenza di Eirik era solo al secondo anno.
Non appena entrò, Eirik notò che i suoi compagni erano già quasi tutti dentro, solo Lovino Vargas e un altro paio di ragazze che si erano attardate in bagno entrarono dopo di lui.
Il ragazzo guardò di sfuggita l' italiano ritrovandosi a pensare che avesse sempre un' espressione crucciata. Per un attimo si domandò a cosa fosse dovuto quel carattere scontroso, ammesso che in effetti vi fosse un vero motivo.
Anche Eirik non sorrideva spesso però a differenza del compagno di classe non era mai arrabbiato o scortese. Bè, quasi mai.
Non poteva lamentarsi della sua vita, aveva una casa, affetto, una madre e un padre che gli volevano bene e non gli facevano mancare mai niente e ovviamente un fratello troppo protettivo ma con cui alla fine andava d' accordo.
Ok, forse non aveva molti amici e non usciva spesso, forse la sua vita non era un viaggio affascinante pieno di avventure ed emozioni travolgenti ma alla fine gli andava bene così.
O forse no.
Forse la sua vita era troppo piatta e abitudinaria, procedeva lenta lungo un percorso senza interruzioni e imprevisti, privo di emozioni che lo facessero sembrare più vivo di quanto non si sentisse in realtà.
Non chiedeva chissà che cosa, per carità. E non si augurava minimamente qualche sciagura, non era mica scemo, tuttavia si sentiva incredibilmente vuoto.
Ci aveva provato a socializzare con la gente ma dopo un po' lasciava perdere, tutti gli sembravano così sciocchi e superficiali, così chiusi nel loro quieto vivere.
Eirik voleva qualcosa che lo svegliasse dal torpore in cui viveva... e forse l' aveva trovato.
Una parte di lui aveva avuto un fremito una mattina di un paio di mesi prima.
Aveva visto un ragazzo, un uomo anzi, perchè rispetto a lui era di certo più adulto, fumare scocciato di fronte al dipartimento di polizia. Eirik era rimasto a fissarlo imbambolato dall' altro lato della strada con una liquirizia mezza finita tra le mani e Raivis che parlava di... di cosa stava parlando Raivis? Non se lo ricordava neppure.
Ma quell' uomo gli era parso bello in modo innaturale.
Ogni mattina passava sempre un po' più vicino alla centrale e certe volte riusciva anche a vederlo, altre invece no. Una volta lo aveva visto al bar mentre prendeva un caffè con un ragazzo moro.
Eirik era entrato con la scusa di comprare qualcosa per osservarlo meglio, per sentire la sua voce, per essergli più vicino.
Aveva una voce un po' cupa, l' espressione seria e scocciata, gli occhi di un verde intenso.
Delle belle mani.
Eirik era uscito dal locale dispiacendosi di non essere potuto rimanere di più e con un mezzo sorriso sulla faccia.
Solo che all' improvviso era come se si fosse risvegliato dicendosi mentalmente che quello che stava provando non era naturale.
Si era sentito una specie di mostro e non passava giorno che non pensasse a quel ragazzo facendo a botte tra il raziocinio che gli diceva che dovevano piacergli le ragazze e l' interesse che provava per lui.
Sì, per un po' di tempo quelle piccole cose lo avevano travolto, avevano spezzato la sua monotona quotidianità, poi però, all' improvviso aveva deciso di metterci una pietra sopra sentendosi uno stupido.
Non si poteva provare un tale interesse per uno sconosciuto, era assurdo farsi condizionare per sciocchezze del genere. Se era successo doveva essere proprio disperato.
Non andava più al bar, evitava la centrale, si stava persino scordando la sua faccia.
Era perfetto.
Quel giorno però l' insegnante di storia annunciò l' arrivo gradito di alcuni ospiti inattesi. La professoressa fece accomodare i nuovi arrivati all' interno dell' aula.
Eirik spalancò gli occhi mentre il cuore perse un paio di battiti.
Era lui, era lui, era lui.
-Vi avevamo detto che presto sarebbero venuti dei poliziotti per parlare della legalità, no?- aveva iniziato la professoressa- ebbene, oggi questi signori si sono resi disponibili. Ringraziamoli e cercate di stare bene attenti a ciò che dicono.
Il ragazzo più basso fu il primo a parlare, sfoggiò un enorme sorriso e si sedette sulla cattedra. Era quello che aveva visto al bar quella volta.
-Buongiorno a tutti ragazzi, io sono Antonio. Il mio collega imbronciato invece è Jan.
Eirik non lo ascoltava. Aveva sentito solo il nome, quello di Jan ovviamente, con interesse, poi il resto era stato un enorme black - out.
Dopo un po' il moro si rivolse al collega:- Jan mi si sta seccando la gola- ridacchiò- non vuoi aggiungere nulla?
L' insegnante rise giuliva, Jan guardò Antonio con sguardo truce, poi sospirò appoggiando una spalla alla porta:- Commettere un crimine, di qualsiasi natura esso sia, è da stupidi- iniziò guardandosi intorno con disinteresse- Nella maggior parte dei casi non ci si arricchisce, si vive nella paura e basta perchè se sbagliate vi arrestiamo- stirò le labbra in una specie di sorriso divertito- se non vi arrestiamo prima noi qualcuno di più grosso di voi vi farà fare una brutta fine. E poi diciamocelo, perchè dei ragazzini come voi dovrebbero fare qualche cazzata? I vostri genitori non vi fanno mancare nulla, no? Se cercate l' eccitazione fatevi una bella sc...
-Ok basta!- la voce di Antonio interruppe la frase dell' altro
La professoressa si alzò e spalancò gli occhi, rossa in viso. Guardò Antonio, in lui vedeva la sua ancora di salvezza quindi nonostante tutto non mosse un passo
Jan guardò il collega di sbieco sorridendo ferino:- Non ti hanno insegnato che è da maleducati interrompere la gente che parla?
-Se la gente dice cose indecenti è più che lecito- sussurrò l' iberico a denti stretti
-Mmm- Jan si girò nuovamente verso la classe sbalordita senza abbandonare quel sorriso sempre più compiaciuto e malizoso- fatevi una scampagnata con gli amici e socializzate- si voltò leggermente verso Antonio- niente di incente, visto?
Al suono prolungato della campanella che annunciava l' inizio dell' intervallo Eirik vide i due guardarsi in cagnesco.
-Lo hai fatto a posta- sibilò Antonio
-Cos' è? Ho rovinato la tua immagine?- Jan si stava frugando spazientito nelle tasche- merda, non trovo le sigarette.
-Di solito sei molto più prudente e controllato, Jan quindi mi pare evidente che cercavi rogne. Nemmeno io vorrei essere qui in questo momento, cosa credi?
Jan trovò le sigarette e se ne mise una tra le labbra, poi fissò l' altro con lo sguardo più serio che avesse:- Io non ho mai detto di non aver voglia di essere qui. Non voglio starci con te, la cosa è piuttosto diversa.
Antonio rimase da solo nell' aula mentre l' olandese usciva fuori. Si accorse solo in quel momento di alcuni ragazzi che erano rimasti all' interno.
-Scommetto che questo è stato molto più interessante della solfa sulla legalità vero?- domandò ridacchiando prima di andar via.
Jan era andato in giardino a fumare. Trovava Antonio assolutamente insopportabile, oltre ad essere una testa calda era anche un bugiardo. La sua era tutta apparenza. Jan invece si presentava alla gente per quello che era e senza fronzoli. Non gliene fregava niente di fare l' eroe o di passare per tale, delle lodi e dei complimenti. Di una presunta gloria, dei meriti e delle medaglie. Non era un buon samaritano nè si metteva addosso la faccia pulita del ragazzo della porta accanto, non lo era e non ingannava la gente fingendo di esserlo.
Lui e Antonio avevano due caratteri che erano decisamente agli antipodi, forse per questo motivo tra di loro era sempre guerra aperta.
L' olandese buttò fuori un po' di fumo, notò un ragazzino osservarlo da lontano. Era lo stesso che non gli aveva tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo della loro piccola lezione.
Gettò la sigaretta finita per terra e gli si avvicinò, quando gli fu davanti Eirik sobbalzò. Non se lo aspettava.
-Che c' è?- chiese diretto
-Io... niente!- negò l' altro quasi indignato
-Mi hai guardato tutto il giorno
-Non è...
-Vero- lo interruppe il più grande- già.
Eirik pensò di essere partito decisamente col piede sbagliato. Se aveva qualche vaga e remota possibilità se l' era appena giocata. Cercò nella sua testa qualcosa da dirgli ma non trovò nulla.
All' improvviso gli arrivò una sonora pacca sulla spalla.
-Ohi, Eirik! Mi dispiace non esserci venuto io nella tua classe!
Il liceale si girò verso la voce allegra e squillante e vide la figura di Mathias, buon amico di suo fratello, stagliarsi tra lui e Jan e iniziare a parlare per entrambi.
Quando i due se ne andarono insieme Eirik non ci mise molto a fare due più due. Quei due semplicemente si conoscevano, di più, erano colleghi e da come chiacchieravano sembravano anche piuttosto affiatati.
Sperò con tutto se stesso che Jan non vuotasse il sacco.







Jan è Paesi Bassi
Mathias Danimarca
Eirik Islanda
Lukas Norvegia.
Ho scelto i nomi più quotati dal fandom Hetaliano.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: FairyQueen_Titania