Oh, ma guarda un
po’ chi abbiamo qui. Ancora voi.
Non demordete, eh? Siete proprio degli impiccioni!
Vi
vedo.
Siete
lì, con il vostro taccuino per appuntarvi i
passaggi più salienti del gossip riguardante Sebastian
Moran. Mi ricordate un
po’ il tipico chiacchiericcio delle signore fuori dalla
chiesa di domenica
mattina, che additano le parrocchiane con sguardo di riprovazione
perché la
loro gonna andava di un filino sopra il ginocchio.
***
Beh, visto che
siete qui, tanto vale approfittare
del momento.
Oh, no, non
badate a me. Sì, lo so che sono in
macchina e che quando si guida bisogna soltanto guardare la strada,
mani sul
volante alle dieci e dieci e tutte quelle cazzatine lì. Ma
francamente, chi di
noi lo fa? Andiamo, lo so che vi è capitato di trovare
almeno una volta davanti
a voi- soprattutto quando siete di fretta- o la classica ottantenne
troppo
vecchia per vederci bene e guidare in modo decente, o
l’indecisa, la donna al
volante che non sa se svoltare a destra (ma in ogni caso non mette la
freccia),
oppure, il mio preferito: il damerino con un braccio fuori dal
finestrino e
l’altro che manda un messaggino alla ragazza (che, visto lo
spessore,
sicuramente starà facendo altro
e
quel poveretto si ritroverà con un palco di corna quasi
imbarazzante).
Ad ogni modo, il
mio massimo in macchina è
sempre stato fumare una sigaretta e cambiare
la traccia allo stereo. Poi, però, quando ho iniziato ha
scarrozzare Jim in
giro ho dovuto trattenermi dal fare la prima cosa perché a
lui dà fastidio
l’odore del fumo quando si sta in macchina.
Ma non mi
incazzerei se il mio capo non fumasse,
credetemi. Il problema è che lui fuma pure, a
scrocco per giunta, fregandosi le mie sigarette, tra le
tante cose. E poi
fa delle uscite del genere e tu fai appello alla tua infinita pazienza,
chiedendo magari un prestito anche a quella di Giobbe, per evitare di
premere
il grilletto quando sei in sua presenza.
Sono sulla A45
e, ovviamente, piove. Sto tornando
a Londra, dopo un lavoretto di poco conto per Jim. Il raffreddore
me lo sono dovuto fare passare. Il massimo che ho
avuto, a grandi linee, sono state quarantotto ore di stop. Quarantotto
ore in
cui non mi ha lasciato un attimo di tregua, ma sorvoliamo.
La strada
è deserta. Tenendo conto che ho lavorato
tutta la notte e sono quasi le cinque del mattino, credo sia piuttosto normale. Ho bisogno di un maledetto
caffè. Mi sento a pezzi- ma, sfortunatamente, - e come al
solito - non ci sono
posti dove posso trovare un po’ di sana caffeina.
Dovrò aspettare di rientrare
a Londra.
Sospiro
esasperato: l’unica cosa che posso fare è
accendere lo stereo e svegliarmi con un po’ di buona musica.
Sono convinto che
neppure gli spogliarellisti
facciano
gli orari che ho io, seriamente.
Oh, ma Jim mi
sentirà questa volta!
...Certo. E poi
mi risponderà “Oh,
Sebbie, non si può dare un orario
all’omicidio.”
Io urlerò, lo manderò al diavolo, mi
verserò un buono scotch e dormirò come un
sasso fino al tardo pomeriggio. Ordinaria
amministrazione.
Accendo lo
stereo, mentre sbuffo e alzo il volume.
Le casse mi rimandano un pericoloso ritmo anni Settanta e battiti
concitati di
mani.
Oh, no. Non alle cinque del mattino,
non dopo aver lavorato tutta la notte, Cristo.
La
vettura, incurante delle mie lamentele mi
rimanda alcune voci maschili decisamente conosciute sul panorama
internazionale. E
non per
commenti positivi, credete a me.
Where can you find
pleasure,
search
the world for treasure,
learn
science, technology?
Where
can you begin
to
make your dreams all come true
on the land or on the sea?
Al
realizzare di che canzone si tratta l’auto sbanda per pochi
secondi,
impreco tra i denti e cambio la traccia dello stereo come se fossi
stato morso
da una tarantola, riprendendo immediatamente il controllo della mia
macchina.
Questo
è quello che succede a lasciare a Jim lo stereo, che imposta
addirittura sulla riproduzione casuale. Ma porca
puttana, non posso imbattermi nei Village
People alle cinque del mattino che cantano come idioti
“In the navy”.
Non dopo aver passato la
notte ad uccidere un americano ex-marine che non ne voleva sapere di
uscirsene
allo scoperto. E soprattutto perché vengo investito da
vagonate di immagini di
questi uomini oltremodo imbarazzanti vestiti chi da poliziotto e chi da
non so
più che cosa.
JIM!
Fregandomene
altamente dell’ora - tanto lo so che è sveglio -
sfrutto il
mio auricolare e premo il piccolo tasto, con l’ennesimo
sospiro, e parte così
la chiamata al mio adorato superiore.
“Non
voglio sapere cosa ci fanno i Village People nella mia macchina. So
solo che non avrei voluto trovarli.”sbotto, assolutamente
piatto e vagamente
incazzato.
“Buongiorno anche a te,
Sebbie.”
replica, con il suo solito tono cantilenante che mi rende
più nervoso di quanto
non dovrebbe.
No,
non era un buongiorno. Non con uomini inguardabili dagli strani
pantaloni attillati che muovevano ritmicamente il bacino nella mia
testa.
Impreco
ancora una volta.
***
Credo
di aver ciarlato per troppo tempo su cose di poco conto e,
probabilmente, anche assolutamente inutili.
Beh, in mia difesa risponderò che ci sono persone che
scrivono libri peggiori.
Soprattutto perché i romanzetti d’appendice non
sono ancora morti. E nessuno ci
può far nulla. Nemmeno un buon fucile, ve lo assicuro. Non
c’è M82 o R93 che
tenga.
Dopo
essermi concesso il mio meritato riposo e aver concesso a Jim una
punizione esemplare - anche e soprattutto
per i Village People- credo che possiamo finalmente ritornare
al nostro
delirante discorso (o dovrei dire mio?)
sui sette peccati capitali.
Ho
scritto solo il primo e già sono stanco. Non fraintendetemi:
è sempre
stato così, fin da quando ero bambino. Iniziavo a
collezionare qualcosa e poi
ci perdevo interesse. Cominciavo ad andare da qualche parte, oppure a
fare
qualche sport in particolare e poi mollavo tutto. Io sono uno che si
stanca
subito, sapete. Basta considerare anche soltanto il fatto che sono
riuscito a
sopportare il mondo della guerra per soli cinque anni e poi hanno iniziato a girarmi i coglioni.
Posso
essere così volgare?
Certo che posso, tanto chi mi legge.
Se ci fosse Jim
probabilmente storcerebbe il naso e mi chiamerebbe rozzo, rude, maleducato, materiale, uomo privo di classe
o
un mix delle cose citate, che è molto più
tipico. È stupefacente come il caro Consulting
Criminal
trovi sempre un modo molto posh
di insultarti. Ne rimango stupito ogni volta. Ti guarda, quasi con aria
di
superiorità - ma che dico quasi! ne ha da vendere -, sbatte
le ciglia e
comincia ad insultarti senza che tu te ne renda conto. E quando tu
glielo fai
gentilmente notare, lui semplicemente risponde che un elenco di
aggettivi
negativi corrisponde soltanto ad una descrizione, seppur negativa. Se poi lo prendi
come un insulto è un problema
tuo. Che tipo che è!
Ti prende
per il culo, continuamente... e non lo ammette neanche. Quando viene
colto in fallo si schiera sulla difensiva, dicendo che ti sta soltanto descrivendo. Esticazzi.
***
Avarizia: Scarsa
disponibilità a spendere o donare quello
che si possiede.
Beh,
tutti abbiamo avuto il braccino corto, chi più, chi
meno. Ma, stranamente, il denaro non è la prima cosa che mi
viene in mente
leggendo queste dieci parole.
Sorrido come un idiota, sistemandomi meglio sul divano.
***
“Sebastian?”
La
voce giunge
lontana, dal piano superiore.
Quando Jim si scomoda a chiamarti a voce e non a mandarti un sms quando
avete
una rampa di scale bella lunga di distanza, è sempre per
qualcosa di importante
(considerando poi che molte volte il suddetto sms è capace
di mandartelo quando
siete nella stessa stanza. Nello
stesso letto).
E
tu sbuffi,
perché giustamente ti eri appena seduto sul divano e avevi
appena tirato il
collo ad una buona bottiglia di un rosso francese del 1958.
Te ne versi lo stesso un bicchiere e lo raggiungi sopra, con calma,
perché ti
piace da morire farlo incazzare.
“’Bastian!”
Urla
di nuovo e
questa volta non puoi fare a meno di muovere il culo su per le scale se
non
vuoi essere decorato con uno dei suoi coltelli da collezione.
“Che
hai da
urlare come un ossesso?!” gli replichi, sbuffando ancora una
volta. “Sto
arrivando. Sono appena tornato, che diamine, me li darai cinque fottuti
minuti?”
“È mezz’ora che ti chiamo.”
“Sono due volte contate, Jim.”
“Concedimi una figura retorica per esprimere tutta la mia
esasperazione.” ti
risponde piatto, allentandosi la cravatta.
Tu non gli rispondi, altrimenti finiresti inevitabilmente per
picchiarlo e
ritieni che è meglio di no. Con i suoi costosissimi vestiti
addosso non ti
perdonerebbe la minima macchia di sangue. Decidi allora di prendere un
sorso
del tuo rosso e ingoiare avidamente.
“Allora?” gli domandi, rigirandoti il calice tra le
dita.
“Ottima scelta. Senti che profumo. Hai aperto la bottiglia di
Chateau Latour
del ’58?”
Tu
lo guardi
perplesso, perché nella sua cantina ci sono una miriade di
bottiglie di vino e
ti domandi come diamine abbia fatto a riconoscere di quali di esse si
tratti
soltanto da un’occhiata e dal profumo.
“Per
quanto le
tue doti da sommelier siano impressionanti... che
c’è?” gli chiedi ancora una
volta, attento che non perda l’argomento centrale della
conversazione, perché
non vedi l’ora di riposarti dopo una giornata passata a
spezzarti la schiena
per lui. Intanto ti gusti un altro sorso di vino.
Lui ti lancia uno sguardo talmente affilato che retrocedi
involontariamente di
un passo.
“Scusa.”gli concedi, alzando una mano in segno di
resa, addolcendo il tono. E
lui addolcisce anche la lama che il suo sguardo possiede, sbattendo le
palpebre
un paio di volte e annuendo, grave.
“Lo
sai che ho
stima di te, Sebastian.”
“Sì.”
“E non mi sembra di mancarti di rispetto in alcun
modo.”
“Beh, qui io avrei--” e ti fulmina ancora una volta
e ti limiti a scuotere la
testa e a scusarti di nuovo.
Lui si alza in piedi, lasciando cadere la cravatta sulla poltrona e si
avvicina
a te, riuscendo ad inebriarti ancor più del vino che tieni
tra le dita. Ti
prende la mano libera e te la stringe, facendoti male, e tu sai che ne
è
consapevole e che lo sta facendo di proposito. Ti lasci andare soltanto
ad una
smorfia e lui si dichiara soddisfatto, allentando la presa:
“Odio quando mi interrompi.”
“Scusa.”
E sembra quasi che quel giorno tu non sia capace di dire altro.
Lui si avvicina ancora di più ed infila le testa
nell’incavo del tuo collo e tu
puoi sentire il suo respiro solleticarti la pelle e il suo profumo
farti girare
la testa.
Ti spinge verso la sua libreria, poggia la lingua sul tuo collo e per
poco non
ti fai scappare il bicchiere di mano. Lui decide di sottrartelo e tu
non opponi
nemmeno poi tanta resistenza perché non vedi l’ora
di vedere quelle labbra
invitanti carpire quel liquido intenso. Lo ingoia in un sorso e poggia
il
bicchiere sulla sua scrivania.
Tu non puoi fare a meno di osservargli insistentemente le labbra, che
ora
appaiono deliziosamente scarlatte. Lui te lo concede. Sa che cosa vuoi
e te lo
permette, anche se soltanto per un bacio fugace. Un bacio sufficiente
soltanto
a portargli via quella goccia che altrimenti avrebbe percorso
inevitabilmente
il suo mento e poi il suo collo, lungo e sinuoso.
“Davvero
un
ottima annata.” gli commenti, e lui ti sorride.
“Ti
hanno visto
parlare con Andrés Cano Cruz.” ti sussurra,
lasciando che un suo dito ti
percorra il petto e indugi su di esso. È quasi
un’accusa, la sua. E tu lo sai
benissimo che lo è.
Tu
lo guardi
interrogativo, iniziando probabilmente a capire il motivo per cui ti
abbia
convocato.
“Sì. Ci siamo visti un paio di volte. Si
è messo in contatto con me dopo la
missione ad Oviedo. È di nuovo a Londra?” gli
chiedi, facendo finta di niente e
lui trattiene a stento una risata.
“Come se tu non lo sapessi. Certo che è a Londra.
E lo hai visto un’ora fa.”
mormora, avvicinandosi più a te e stringendo un braccio
intorno alla tua vita.
“Non provare a mentirmi, potresti non sopravvivere ai
prossimi due minuti di
conversazione.”
“Va bene. Mi ha invitato ad andare a bere qualcosa.”
“Oh. E come mai uno degli uomini più ricchi in
Spagna vuole bere qualcosa con
te?” ti domanda, con voce dolce, ma, quando si tratta di Jim,
dietro il suo
miele è inevitabile che si nasconda del fiele.
“Perché
io sono
bellissimo.” ammetti e lui ride, scuotendo la testa.
“Ritenta.”
“Ma è la verità.”
“Per quanto tu possa essere attraente, mio caro Sebastian, e,
per quanto il
nostro Andrés abbia le mani lunghe, no, in questo caso non
si tratta di questo.
Non si tratta soltanto di
questo.”
Lo
guardi
interrogativo a quest’affermazione e tieni una domanda in
caldo, rispondendo
prima alla sua non detta.
“A
quanto pare ci
stiamo facendo un po’ di concorrenza in giro. Ci
invidiano.”
“Questo lo so già. Che vuole Andrés a
te?” ti chiede, lambendoti per un secondo
il lobo dell’orecchio con la lingua. “A parte le
tue splendide labbra intorno
alla sua erezione.” sbotta secco, mordendoti il labbro
inferiore con forza,
possessivo come non mai e tu sussulti e non sai se è per il
morso, il suo tono
o l’immagine che ti ha suscitato.
“Mi
ha proposto
di lavorare per lui. Che mi avrebbe pagato il doppio di quanto fai tu e
probabilmente anche una macchina e una villa ad Ibiza.”
Cominci
a ridere,
come un idiota, rendendoti conto di quanto il tutto risuonasse ridicolo
alle
tue stesse orecchie. Però, per quanto surreale che fosse,
era la verità pura e
semplice. “Non lo so, Jim, non ho ascoltato molto.”
“E tu cosa gli hai detto?”
“Che avevo già il mio lavoro.”
“E...?”
“E lui lo sapeva già. Perciò mi offriva
di più. Jim,” fai una pausa e lo
guardi, e lui ricambia il tuo sguardo. Prendi un respiro e non puoi
fare a meno
di ridacchiare “perché sono conteso tra te e il
tuo ex?” gli chiedi, e questa
volta sei tu che lo accusi. Lui sussulta, probabilmente chiedendosi
come
diamine tu abbia fatto ad entrare in conoscenza di una cosa del genere.
“No,
non lo sapevo. È solo che sto ripensando a quanto state
litigando per me. E a
quanto lui insista di essere meglio di te. E di come lui parla di te...
Ed è il
dialogo di uno stronzo egocentrico a cui tu hai spezzato il cuore,
effettivamente, ora che ci ripenso.”
La tua è la risposta alla domanda che ancora una volta non
ti aveva fatto, ma
che tu avevi intuito.
“È
stato tanto
tempo fa. È sempre stato invidioso di me.”
“E poi... hai detto che ha le mani lunghe. E lo chiami per
nome.”
Lui
ti guarda,
inarcando un sopracciglio.
“Se vuoi, ti lascio a casa di Sherlock Holmes.”
E
tu scoppi a
ridere, ancora una volta, tirandotelo vicino.
“No, grazie.” Replichi, baciandolo, sentendo che
schiude le sue labbra, piano.
“Benissimo.” ti sussurra, baciandoti il collo.
“Perché io sono incredibilmente avaro. Non condivido ciò che è mio
con nessuno. E
non ho nessuna voglia di iniziare a farlo ora, tutto chiaro,
Sebastian?”
Ti morde l’orecchio e non puoi fare a meno di immaginare che
cosa succederà di
lì a poco ed avere un fremito di piacere:
“Oh, chiarissimo. Cristallino. Anche io sono avaro. Avaro e
avido, specialmente quando si
tratta di te.”
C’è
una piccola
pausa, in cui lui ti guarda e poi fa schioccare la lingua in dissenso.
“Smettila
di fare
il buffone e vieni in camera da letto.”
Si volta, iniziandosi a sbottonare la camicia e uscendo dalla stanza.
E tu invece sorridi, rimanendo per un po’ lì, in piedi, contro la libreria.
Note dell'autrice:
Eccomi qui! E con il secondo capitolo, Avarizia. Ci sono parti di cui vado particolarmente fiera, in questo capitolo. E questo è un evento abbastanza singolare, in effetti.
Non mi dilungherò molto: sia perché è mostruosamente tardi e dovrei già essere a letto, visto che domani mi aspetta una giornatina niente male, sia perché non voglio trattenervi.
Vi ringrazio per essere arrivati sin qui, a chi legge, a chi commenta e chi resta in silenzio.
Un ringraziamento particolare va a SAranel che mi ha aiutata a betare il capitolo e che ringrazio con tutto il cuore per il sostegno.
Il mio pensiero, come al solito, va anche a te che stai leggendo in questo momento queste brevi righe.
Grazie anche a te, come sempre, mio caro Lettore.
Ti abbraccio.