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Autore: Frances_May    10/10/2007    0 recensioni
Introduzione rimossa perchè non presenta nessun accenno alla trama della fanfiction.
Inserirne al più presto una valida.
Rosicrucian e Nami, assistenti amministratrici.
Genere: Generale, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kairi, Naminè, Organizzazione XIII, Riku, Sora
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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II. Awakening

Zexion dischiuse le palpebre e con un sospiro lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, osservando con aria assorta le sfumature del cielo notturno attraverso il soffitto traslucido; lo stesso nero, schiarito dai raggi fiochi della luna seminascosta dalle nuvole di un’inconsueta giornata coperta, che si era ritrovato a contemplare per tutti quei giorni monotoni. Li vedeva trascorrere silenziosi, fra le mura di quella fortezza incolore, mentre lentamente dimenticava il vero aspetto del cielo riscaldato dagli ampi raggi del sole, gli odori e i suoni trasportati dal vento.

Erano giornate che morivano l’una dopo l’altro, trascorrendo quasi senza tempo in eterne notti prive di stelle, mentre dentro il suo petto sentiva dissolversi sempre più in fretta il debole ricordo di quella breve vita consumata.

Il giovane si scosse, riportando lo sguardo verso il basso, mentre un bagliore riflesso sul pavimento metallico gli attraversava il viso, ricalcando i tratti morbidi di un volto puerile rimasto quasi intatto.

Sbuffò, sistemandosi con un gesto veloce del braccio le pieghe dello scuro soprabito ed alzando la mano subito dopo, proseguendo lo stesso movimento. Davanti a lui sorgeva uno delle tante pareti disadorne della fortezza, sul lato est di un corridoio che proseguiva silenzioso fino ad una stretta porta contornata da spessi stipiti di acciaio opaco.

Zexion rimase un attimo ad osservare il fondo del passaggio, tenendo la mano aperta tesa verso la parete. Due, tre, quattro corridoi più o meno lunghi esattamente quanto quello; cinque larghe stanze vuote che servivano solo e soltanto ad allungargli la strada.

Sospirò, spazientito, ripercorrendo mentalmente tutti quegli spazi immensi e decisamente eccessivi, arrivando alla conclusione che spesso e volentieri non servivano ad altro che a fargli sprecare fiato in lunghe e inutili camminate.

Batté le palpebre, e le sue dita si mossero impercettibilmente, mentre già allungava il primo passo verso il Portale che si espandeva come una macchia liquida oltre i suoi polpastrelli coperti da uno spesso guanto nero. Si mosse con fare deciso, riabbassando la mano, mentre la nebbia lo inghiottiva, e dopo un istante riemerse fra le pareti di un salone circolare. Non smise di avanzare, accompagnato dall’eco freddo dei suoi stivali che battevano sul pavimento; un secondo passaggio si aprì davanti ai suoi occhi senza che avesse fatto alcun gesto, e lo stesso fece un terzo, quasi come comandato da quella sua risoluta marcia.

Continuava ad attraversarli uno dopo l’altro senza esitazioni, imperturbabile, passando rapido di stanza in stanza, mentre i Portali si succedevano incessantemente sulla superficie fredda delle pareti, e si dissolvevano non appena Zexion muoveva un nuovo passo energico e ne oltrepassava l’oscurità.

Ad un tratto il giovane percepì uno strano rumore al suo fianco, accompagnato da una sensazione sgradevole che lo solleticava all’altezza del braccio sinistro. Ruotò gli occhi al cielo, mentre si arrestava ed osservava un nuovo Portale aprirsi al fianco di quello che aveva appena attraversato.

I bordi dei due squarci si sfiorarono per un attimo, attorcigliandosi fra loro in una serpeggiante danza di fumo, poi Zexion vide il proprio dissolversi, mentre dall’altro emergeva una figura umana dai contorni confusi. Non appena anche il secondo passaggio si fu chiuso, il giovane numero VI vide il nuovo arrivato incespicare in maniera scomposta e gettarglisi letteralmente addosso, afferrandolo precipitosamente per una manica e costringendolo a piegarsi leggermente di lato.

Zexion deglutì e voltò lo sguardo con espressione infastidita, cercando invano di divincolarsi da quella stretta opprimente.

Un ragazzo con indosso la sua stessa lunga veste lo tratteneva per un braccio, fissandolo con due grandi occhi limpidi dalle sfumature color acquamarina. Un particolare taglio di capelli biondo scuro, corto sulle tempie con numerosi ciuffi spettinati che dalla fronte si allungavano all’indietro, carezzandogli la nuca, gli incorniciava il volto pallido. Era poco più alto di Zexion, e dimostrava qualche anno in più di lui.

Non appena il ragazzo realizzò a chi realmente si fosse aggrappato, non si trattenne dallo stupore, sorridendo euforico nella direzione del giovane dai capelli azzurri.

«Zexie! Che bello rivederti!»

«Spiacente di non poter dire altrettanto,» sbottò Zexion, liberandosi bruscamente dalla stretta dell’altro e ricominciando ad avanzare «Demyx.»

Se dapprima rimase interdetto dalla cattiveria che gli era stata rivolta, pochi istanti dopo Demyx non mancò di sfoggiare un altro sorriso raggiante verso il suo compagno «Siamo di cattivo umore oggi, eh?» commentò sarcastico, poggiandosi le mani sui fianchi.

«Io piuttosto direi pessimo.» lo corresse Zexion, con tono autorevole «E tu invece si può sapere cosa hai da essere tanto vivace come tuo solito? Immagino che tu stia gironzolando per la fortezza senza uno scopo, anziché rimanere a studiare con Vexen, non è così?»

«Veramente uno scopo lo avrei, Zexie.» riprese l’altro, scuotendo lievemente il capo e sollevando le mani quasi come per schermarsi «Sto cercando Axel. Per caso…sai dov’è?»

Non appena le labbra di Demyx mimarono quel nome, Zexion si indispettì «Non lo so e non ci tengo a scoprirlo. Non mi interessa affatto di dove va a cacciarsi quella testa calda. Sappi che è a causa sua se oggi sono così irritabile.»

Zexion riprese a camminare superando Demyx con noncuranza, e quest’ultimo, vedendo che il giovane dagli occhi glaciali lo ignorava, subito lo raggiunse, spiccando un saltello divertito e sbarrandogli la strada, sfoggiando un sorriso luminoso.

«E tu invece dove stai andando, Zexion? Posso venire con te?» incalzò Demyx «Mi porti a fare un giro con te, Zexie? Dai, andiamo a divertirci! Io mi annoio con Vexen!»

Zexion freddò il numero IX con lo sguardo, scansandolo con un rapido movimento del braccio e sorpassandolo nuovamente «Ho da fare al momento,» lo ammonì, repentino «e non intendo dedicarti un minuto di più. Vexen…»

«E dai, Zexie!» il biondino sventolò le sue ciocche ribelli sul volto del suo interlocutore infastidito «Per una volta…ribellati un po’, come fa Axel! Usciamo dalla fortezza e andiamo a goderci…»

«Demyx.» il tono infiammato di Zexion, che celava lo sguardo oltre i fluenti ciuffi dalle sfumature quasi metalliche, sovrastò l’esuberante Demyx, che si zittì, lasciando la frase a mezz’aria, con le labbra dischiuse e la voce che lentamente gli moriva in gola «Ti ho detto,» continuò, alzando lo sguardo minaccioso «che non voglio sentire parlare di Axel. E ti ripeto che sono impegnato e che non voglio perdere tempo con le assurdità che escono dalla tua bocca quando non la colleghi al cervello. Almeno quello…ti dovrebbe essere rimasto, numero IX.»

Il ragazzo rimase basito al tono perfido che Zexion aveva infuso in quelle sue parole. Si lasciò superare, abbassando a terra lo sguardo.

«Axel non è qui, comunque. Ma credo…che rientrerà presto. Ora torna da Vexen, probabilmente ti starà cercando…» Zexion abbandonò Demyx con quelle ultime parole un po’ raddolcite rispetto a prima, continuando nel suo deciso incedere e scomparendo oltre il Portale che si aprì come uno squarcio a mezz’aria.

Rimasto solo in compagnia del suo regolare respiro, Demyx, un po’ scosso da quel Zexion incattivito che non aveva mai conosciuto, riprese a camminare a scatti fino a quando non spalancò il palmo aprendosi la via grazie al Portale, immergendosi lentamente nella superficie liscia di quello strano specchio di ombre. Poco prima di scomparire, sollevò il cappuccio sul capo, e voltandosi sorrise tristemente, dischiudendo le labbra rosate:

«Non ci è davvero…rimasto altro, Zexion?»

Oo°*°oO

Una luce morbida filtrava attraverso delle leggere tende che ondeggiavano seguendo il debole soffiare di un vento pigro, rischiarando l’interno di una piccola stanza rettangolare. Le pareti erano nude, e gli angoli giacevano in una penombra immota, mentre uno slanciato tavolino intarsiato proiettava la sua lunga ombra sul pavimento, sorretto da tre piedi finemente lavorati.

Un fruscio lieve sibilava tra i vetri semiaperti di un’alta porta finestra, disperdendosi poi oltre gli stipiti di una spessa soglia bianca che si ergeva sulla parete opposta. Oltre la balaustra lucente di uno stretto terrazzo, non si scorgeva altro che un baratro senza fine, nelle cui profondità si potevano intravedere le luci al neon della vuota e silenziosa città sottostante; sfiorava i fianchi levigati della grande fortezza, per poi disperdersi oltre gli edifici più alti.

Avvolto nelle lenzuola di un letto accostato ad una delle pareti, si distingueva la minuta sagoma di un ragazzino; scosso da violenti tremiti, si stringeva forte nelle sue coperte, con la testa immersa fra le pieghe di un cuscino bianco ed i capelli dorati che gli invadevano il volto arrossato. La bocca gli si storse in una leggera smorfia, mentre una ciocca bionda gli scivolava sugli occhi: ebbe un sussulto, e aggrottando profondamente le sopracciglia si strinse ancor più in sé stesso. Sentiva la nuca inumidita dal sudore e le orecchie in fiamme.

Una miriade di pensieri confusi gli invadevano la mente, lo disorientavano e lo rendevano inquieto, incapace di tranquillizzarsi o di ritrovare le soglie di un sonno tranquillo. Ricordi che non gli appartenevano, continue immagini e rimembranze senza senso, suoni, voci sconosciute, gesti, gli affollavano la testa in maniera disordinata, senza che lui riuscisse a dare loro un significato. Gli bruciavano gli occhi, e non sopportava quel ronzio nelle orecchie, mentre i sensi gli mandavano continui impulsi di cui non riusciva a capacitarsi…gli sembrava quasi di dover ancora imparare ad utilizzarli nella giusta maniera.

Poi alcuni istanti vissuti, forti come se si stessero nuovamente svolgendo davanti ai suoi occhi. Il volto di quell’uomo, sotto la pioggia cupa di quella città sconosciuta, la sua mano che lo invitava a seguirlo, e la sua voce leggermente alterata…il freddo dell’acqua battente sulla sua pelle sottile…

D’un tratto gli occhi blu gli si spalancarono, e lui balzò a sedere con un solo rapido movimento, stringendo forte nei pugni i lembi del lenzuolo, che si sollevò in un ampio sbuffo.

Si guardò intorno, allarmato, con le pupille dilatate, ma poi lentamente si rilassò, ingobbendosi ed allentando la presa sul lenzuolo, mentre cercava in tutti i modi di frenare quell’ansioso affannare che non smetteva di scuotergli il petto.

Stava voltando lo sguardo, rincuorato, quando d’un tratto vide oltre il lenzuolo che lento si adagiava nuovamente sulle sue gambe accompagnato dal venticello, apparire un’ asciutta ombra nera. Strozzò un grido, sobbalzando all’indietro sul materasso, mentre il fiato gli si mozzava in gola impedendogli di proferir parola o di sfogare il suo sgomento come avrebbe voluto.

Un ragazzo lo stava osservando con le braccia conserte sul petto, puntando su di lui i suoi occhi freddi e leggermente astiosi, lasciando che le punte irregolari di alcune ciocche azzurre gli carezzassero il profilo del naso.

Il giovinetto biondo rimase a fissarlo con terrore per alcuni istanti, con le mani che tremavano leggermente, poi mandò giù il groppo che gli ostruiva la gola, e finalmente riprese a respirare. Guardando la veste che quell’uomo indossava, per un attimo gli era tornato in mente l’uomo che lo aveva aiutato quel giorno, sotto la pioggia.

Stava per aprir bocca, quando lo sguardo dello sconosciuto si fece più minaccioso e le sue labbra si mossero, accompagnate da una voce stranamente giovanile:

«Alla buon’ora.»

«C-chi sei tu?» si azzardò a domandare il biondino, incerto.

L’altro si limitò a sorridergli fugacemente. Si voltò, e con un rapido gesto della mano, afferrò delle vesti scure ripiegate sul tavolino al suo fianco, lanciandole con sufficienza sul letto. Incrociò nuovamente le braccia sul petto, scuotendo impercettibilmente i lunghi e disordinati capelli blu cobalto che gli celavano l’occhio destro e lasciavano intravedere quello sinistro, sentenziando:

«Alzati e mettiti questa roba.» sciolse l’intreccio delle sue braccia, posando una mano sul fianco e lasciando che l’altra dondolasse verso il basso, prima di continuare, con aria infastidita «Dobbiamo muoverci. Il nostro capo vuole riceverti al più presto, ma prima ti devo portare alla Prova. Perciò, spicciati.»

Sulle prime, il ragazzino lo ascoltò con aria stranamente incuriosita, seppur dimostrando sempre una certa riluttanza nei confronti di quella persona; poi raccolse un po’ di coraggio e, stringendo le coperte fra le dita minute, contestò subito il volere di quello strano ragazzo «Io...non vado da nessuna parte se non c’è…» mentre quelle poche e azzardate parole gli morivano in gola, si guardo attorno spaesato: oltre a lui e a quell’inquietante sagoma nera, nella stanzetta non vi era nessun altro.

«Dov’è…quel ragazzo…» voltò gli occhi al suo interlocutore, mentre quel suo blu ingenuo si accendeva di un leggero turbamento «…lui ieri mi ha aiutato a lavarmi e poi…ha detto che si sarebbe seduto là,» continuò, indicando una sedia vicino al piccolo tavolino treppiedi «e che avrebbe vegliato su di me stanotte, perché…forse non sarei stato…troppo bene.» Riportò lo sguardo aggrottato sul giovane «Lui si chiama…Axel, non è così? E allora dove…»

«Ti consiglio di lasciarlo perdere.» lo interruppe l’altro, socchiudendo le palpebre «Axel non è un individuo a cui bisogna dare troppa corda, se non si vogliono passare guai più o meno seri… Dimenticatelo. In questo posto c’è gente molto più competente di Axel. E io sono il primo della lista.» riaprì i grandi occhi tristi, senza neppure accennare un sorriso «Vestiti o faremo tardi.»

«Non…» il giovinetto esitò. Lo sguardo freddo e il tono perentorio dello sconosciuto gli imponevano obbedienza, e quando tentò di ribellarsi, si accorse di non averne le forze. Guardò con riluttanza il soprabito nero che giaceva scomposto sul fondo del letto, e i lunghi stivali afflosciati ai piedi del tavolino.

Gli unici ricordi chiari che aveva erano tutti ricollegati a quella medesima lunga veste; prima Axel, poi il giovane che non lo perdeva un attimo con il suo sguardo severo. Ora avrebbe dovuto indossarla anche lui.

Quasi guidato dall’istinto, un impulso che non gli riuscì di riconoscere, allungò la mano ed avvicinò il mantello, afferrandolo per il cappuccio. Dei pendagli di metallo tintinnarono, accompagnando il leggero frusciare della stoffa. Il ragazzino rimase ancora qualche istante a fissare le pieghe di quella stoffa spessa, sfiorandola con le dita, poi risollevò lo sguardo verso lo sconosciuto.

Rimase zitto per un attimo, poi azzardò, con tono incerto:

«Come…? »

«Zexion.» l’altro lo precedette, battendo le palpebre «Mi chiamo Zexion. Numero VI.» si strinse nelle spalle con atteggiamento affranto «Ora pensi di riuscire a darti una mossa?»

Il biondino dischiuse le labbra, ma la sua gola non emise alcun suono. Poggiò entrambe le mani sul materasso e si avvicinò al bordo del letto, toccando il pavimento freddo con i piedi nudi. Non capiva bene ciò che stava succedendo, né conosceva il posto in cui si trovava, ma non poteva fare altro che obbedire. Si alzò, reggendosi a malapena sulle gambe ancora malferme, e non appena si accinse ad alzare lo sguardo, sentì una morsa al livello del petto. Una mano volò sul cuore, e le dita stropicciarono con forza la stoffa di una leggera maglietta.

Tossì, mentre sentiva d’un tratto lo stomaco contrarsi e una forte nausea invadergli la gola. Si piegò in due, premendosi un braccio sulla pancia e sforzandosi per non rimettere.

Un vuoto, sentiva un enorme vuoto pesargli sulle spalle e sui polmoni in maniera insopportabile; non riusciva a spiegarselo, e non capiva il perché di quella assurda sensazione. Come se d’un tratto gli fosse stato strappato qualcosa di fondamentale…qualcosa senza la quale sapeva di non poter vivere. Cadde in ginocchio, strizzando gli occhi.

Era doloroso. Insopportabile.

Per un attimo si sentì morire. Ogni parte di sé si contraeva in silenzio, si contorceva, e la sua testa sembrava scoppiare. Voleva solo che finisse…

Ansante, continuò a sopportare quelle continue fitte al petto, ogni volta più violente e dolorose, stringendo forte i denti e soffocando quella sofferenza con gemiti sommessi. Perché? Cosa gli mancava? Sentiva una fastidiosa sensazione di freddo nei polmoni che gli indolenziva i muscoli e gli confondeva la vista…non era certo di riuscire a resistere ancora a lungo.

«Succede sempre.» la voce di Zexion gli giunse alle orecchie leggermente atona «Non durerà a lungo.»

Zexion osservava gli spasmi del ragazzino dall’alto, senza dimostrare alcun tipo di emozione. Mosse un passo verso di lui:

«Il tuo nuovo corpo si stabilizza e tu prendi consapevolezza di ciò che sei diventato. Ci siamo passati tutti.» fece una pausa, prima di posargli una mano sulla fronte, fra le ciocche bagnate di sudore freddo «E’ fastidioso, ma ti ci abituerai, tranquillo.»

Non appena il ragazzino riuscì a percepire il tocco del guanto tiepido di Zexion sulla pelle, sentì un ultimo fremito percorrergli la schiena, poi il dolore affievolirsi, disperdendosi.

Sollevò lentamente gli occhi pieni di lacrime, mentre Zexion ritirava la mano e tornava composto; il piccolo si rizzò in piedi con fatica, destabilizzato, poi si asciugò il viso con la manica della maglietta, mentre la voce incerta si disperdeva in un ansimare sostenuto.

«“Chi sono?” “Cosa mi è successo?”» fece Zexion, fissandolo negli occhi «Ti stai chiedendo questo…non è vero?» ebbe un guizzo nello sguardo «Lo so perché tempo fa anche io mi facevo le stesse domande.»

Il ragazzino lo guardò con gli occhi persi. Non capiva. Le lacrime che gli avevano inondato il viso non erano né di paura, né di dolore…e anche in quel momento, seppure avrebbe voluto sfogarsi, non riusciva ad esternare nulla.

«Perché…» balbettò «…non riesco più a piangere…?»

Zexion lo guardò in silenzio, poi scuotendo il capo come a scacciare un ricordo sgradito, chiuse gli occhi e gli diede le spalle:

«Vestiti e andiamo.»

Il giovinetto lo seguì con lo sguardo mentre gli voltava le spalle, e rimase in silenzio. Gli occhi erano tornati asciutti, quasi aridi, e gli angoli della bocca si inclinarono a delineare un profilo inespressivo.

Afferrò l’abito nero ed iniziò a indossarlo, sentendocisi stranamente a proprio agio. Sistemò le pieghe delle maniche, poi affiancò gli estremi di una lunga cerniera e la tirò con un solo gesto, fino in fondo. Il cappuccio gli ricadeva sulle spalle, e la catena sul petto. Poi infilò gli stivali, uno dopo l’altro, lisciando le grinze sui polpacci tirandoli per il bordo argentato.

Sollevandosi dal letto su cui si era riseduto, cercò Zexion con lo sguardo, il quale, fermo in attesa vicino alla porta, annuì impercettibilmente:

«Bene.» la sua voce vagò un attimo, sospesa, mentre il ragazzino gli si avvicinava a grandi passi, prima di aggiungere, in un sussurro:

«XIII.»

  
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