II.
Awakening
Zexion
dischiuse le
palpebre e con un sospiro lasciò ricadere le braccia lungo i
fianchi,
osservando con aria assorta le sfumature del cielo notturno attraverso
il
soffitto traslucido; lo stesso nero, schiarito dai raggi fiochi della
luna
seminascosta dalle nuvole di un’inconsueta giornata coperta,
che si era
ritrovato a contemplare per tutti quei giorni monotoni. Li vedeva
trascorrere
silenziosi, fra le mura di quella fortezza incolore, mentre lentamente
dimenticava
il vero aspetto del cielo riscaldato dagli ampi raggi del sole, gli
odori e i
suoni trasportati dal vento.
Erano
giornate che
morivano l’una dopo l’altro, trascorrendo quasi
senza tempo in eterne notti prive
di stelle, mentre dentro il suo petto sentiva dissolversi sempre
più in fretta
il debole ricordo di quella breve vita consumata.
Il
giovane si scosse,
riportando lo sguardo verso il basso, mentre un bagliore riflesso sul
pavimento
metallico gli attraversava il viso, ricalcando i tratti morbidi di un
volto
puerile rimasto quasi intatto.
Sbuffò,
sistemandosi
con un gesto veloce
del braccio le
pieghe dello scuro soprabito ed alzando la mano subito dopo,
proseguendo lo
stesso movimento. Davanti a lui sorgeva uno delle tante pareti
disadorne della
fortezza, sul lato est di un corridoio che proseguiva silenzioso fino
ad una
stretta porta contornata da spessi stipiti di acciaio opaco.
Zexion
rimase un
attimo ad osservare il fondo del passaggio, tenendo la mano aperta tesa
verso
la parete. Due, tre, quattro corridoi più o meno lunghi
esattamente quanto
quello; cinque larghe stanze vuote che servivano solo e soltanto ad
allungargli
la strada.
Sospirò,
spazientito,
ripercorrendo mentalmente tutti quegli spazi immensi e decisamente
eccessivi,
arrivando alla conclusione che spesso e volentieri non servivano ad
altro che a
fargli sprecare fiato in lunghe e inutili camminate.
Batté
le palpebre, e le
sue dita si mossero impercettibilmente, mentre già allungava
il primo passo
verso il Portale che si espandeva come una macchia liquida oltre i suoi
polpastrelli coperti da uno spesso guanto nero. Si mosse con fare
deciso,
riabbassando la mano, mentre la nebbia lo inghiottiva, e dopo un istante riemerse
fra le pareti di un salone
circolare. Non smise di avanzare, accompagnato dall’eco
freddo dei suoi stivali
che battevano sul pavimento; un secondo passaggio
si aprì davanti ai suoi occhi senza che avesse fatto alcun
gesto, e lo stesso
fece un terzo,
quasi come comandato da quella sua
risoluta marcia.
Continuava
ad attraversarli uno dopo l’altro senza esitazioni,
imperturbabile, passando rapido
di stanza in stanza, mentre i Portali si succedevano incessantemente
sulla
superficie fredda delle pareti, e si dissolvevano non appena Zexion
muoveva un
nuovo passo energico e ne oltrepassava l’oscurità.
Ad
un
tratto il giovane percepì uno strano rumore al suo fianco,
accompagnato da una
sensazione sgradevole che lo solleticava all’altezza del
braccio sinistro. Ruotò gli occhi al cielo,
mentre
si arrestava ed osservava un nuovo Portale aprirsi al fianco di
quello che aveva appena
attraversato.
I
bordi
dei due squarci si sfiorarono per un attimo, attorcigliandosi fra loro
in una
serpeggiante danza di fumo, poi Zexion vide il proprio dissolversi,
mentre
dall’altro emergeva una figura umana dai contorni confusi.
Non appena anche il
secondo passaggio
si
fu
chiuso, il giovane numero VI vide il nuovo arrivato incespicare in
maniera
scomposta e gettarglisi letteralmente addosso, afferrandolo
precipitosamente per
una manica e costringendolo a piegarsi leggermente di lato.
Zexion
deglutì e voltò lo sguardo con espressione
infastidita, cercando invano di
divincolarsi da quella stretta opprimente.
Un
ragazzo con indosso
la sua stessa lunga veste lo tratteneva per un braccio, fissandolo con
due
grandi occhi limpidi dalle sfumature color
acquamarina. Un particolare taglio di capelli biondo
scuro, corto sulle
tempie con numerosi ciuffi spettinati che dalla fronte si allungavano
all’indietro, carezzandogli la nuca, gli incorniciava il
volto pallido. Era
poco più alto di Zexion, e dimostrava qualche anno in
più di lui.
Non
appena il ragazzo
realizzò a chi realmente si fosse aggrappato, non si
trattenne dallo stupore,
sorridendo euforico nella direzione del giovane dai capelli azzurri.
«Zexie!
Che bello
rivederti!»
«Spiacente
di non
poter dire altrettanto,» sbottò Zexion,
liberandosi bruscamente dalla stretta
dell’altro e ricominciando ad avanzare
«Demyx.»
Se
dapprima rimase
interdetto dalla cattiveria che gli era stata rivolta, pochi istanti
dopo Demyx
non mancò di sfoggiare un altro sorriso raggiante verso il
suo compagno «Siamo
di cattivo umore oggi, eh?» commentò sarcastico,
poggiandosi le mani sui
fianchi.
«Io
piuttosto direi
pessimo.» lo corresse Zexion, con tono autorevole
«E tu invece si può sapere
cosa hai da essere tanto vivace come tuo solito? Immagino che tu stia
gironzolando per la fortezza senza uno scopo, anziché
rimanere a studiare con
Vexen, non è così?»
«Veramente
uno scopo
lo avrei, Zexie.» riprese l’altro, scuotendo
lievemente il capo e
sollevando le mani quasi come per schermarsi «Sto
cercando Axel. Per caso…sai
dov’è?»
Non
appena le labbra
di Demyx mimarono quel nome, Zexion si indispettì
«Non lo so e non ci tengo a
scoprirlo. Non mi interessa affatto di dove va a cacciarsi quella testa
calda.
Sappi che è a causa sua se oggi sono così
irritabile.»
Zexion
riprese a
camminare superando Demyx con noncuranza, e quest’ultimo,
vedendo che il
giovane dagli occhi glaciali lo ignorava, subito lo raggiunse,
spiccando un
saltello divertito e sbarrandogli la strada, sfoggiando un sorriso
luminoso.
«E
tu invece dove stai
andando, Zexion? Posso venire con te?» incalzò
Demyx «Mi porti a fare un giro
con te, Zexie? Dai, andiamo a divertirci! Io mi annoio con
Vexen!»
Zexion
freddò il
numero IX con lo sguardo, scansandolo con un rapido movimento del
braccio e
sorpassandolo nuovamente «Ho da fare al momento,»
lo ammonì, repentino «e non
intendo dedicarti un minuto di più.
Vexen…»
«E
dai, Zexie!» il
biondino sventolò le sue ciocche ribelli sul volto del suo
interlocutore
infastidito «Per una volta…ribellati un
po’, come fa Axel! Usciamo dalla
fortezza e andiamo a goderci…»
«Demyx.»
il tono
infiammato di Zexion, che celava lo sguardo oltre i fluenti ciuffi
dalle
sfumature quasi metalliche, sovrastò l’esuberante
Demyx, che si zittì,
lasciando la frase a mezz’aria, con le labbra dischiuse e la
voce che
lentamente gli moriva in gola «Ti ho detto,»
continuò, alzando lo sguardo
minaccioso «che non voglio sentire parlare di Axel. E ti
ripeto che sono
impegnato e che non voglio perdere tempo con le assurdità
che escono dalla tua
bocca quando non la colleghi al cervello. Almeno quello…ti
dovrebbe essere
rimasto, numero IX.»
Il
ragazzo rimase
basito al tono perfido che Zexion aveva infuso in quelle sue parole. Si
lasciò
superare, abbassando a terra lo sguardo.
«Axel
non è qui,
comunque. Ma credo…che rientrerà presto. Ora
torna da Vexen, probabilmente ti
starà cercando…» Zexion
abbandonò Demyx con quelle ultime parole un po’
raddolcite rispetto a prima, continuando nel suo deciso incedere e
scomparendo
oltre il Portale che si aprì come uno squarcio a
mezz’aria.
Rimasto
solo in
compagnia del suo regolare respiro, Demyx, un po’ scosso da
quel Zexion incattivito
che non aveva mai conosciuto, riprese a camminare a scatti fino a
quando non
spalancò il palmo aprendosi la via grazie al Portale,
immergendosi lentamente
nella superficie liscia di quello strano specchio di ombre. Poco prima
di
scomparire, sollevò il cappuccio sul capo, e voltandosi
sorrise tristemente, dischiudendo
le labbra rosate:
«Non
ci è
davvero…rimasto altro, Zexion?»
Oo°*°oO
Una
luce morbida filtrava attraverso delle leggere
tende che ondeggiavano seguendo il debole soffiare di un vento pigro,
rischiarando l’interno di una piccola stanza rettangolare. Le
pareti erano
nude, e gli angoli giacevano in una penombra immota, mentre uno
slanciato
tavolino intarsiato proiettava la sua lunga ombra sul pavimento,
sorretto da
tre piedi finemente lavorati.
Un
fruscio lieve sibilava tra i vetri semiaperti di
un’alta porta finestra, disperdendosi poi oltre gli stipiti
di una spessa
soglia bianca che si ergeva sulla parete
opposta. Oltre la balaustra lucente di uno stretto terrazzo, non si
scorgeva altro
che un baratro senza fine, nelle cui profondità si potevano
intravedere le luci
al neon della vuota e silenziosa città sottostante;
sfiorava i fianchi levigati della grande fortezza, per poi disperdersi
oltre
gli edifici più alti.
Avvolto
nelle lenzuola di un letto accostato ad una
delle pareti, si distingueva la minuta sagoma di un ragazzino; scosso
da
violenti tremiti, si stringeva forte nelle sue coperte, con la testa
immersa
fra le pieghe di un cuscino bianco ed i capelli dorati che gli
invadevano il
volto arrossato. La bocca gli si storse in una leggera smorfia, mentre
una
ciocca bionda gli scivolava sugli occhi: ebbe un sussulto, e
aggrottando
profondamente le sopracciglia si strinse ancor più in
sé stesso. Sentiva la
nuca inumidita dal sudore e le orecchie in fiamme.
Una
miriade di pensieri confusi gli invadevano la
mente, lo disorientavano e lo rendevano inquieto, incapace di
tranquillizzarsi
o di ritrovare le soglie di un sonno tranquillo.
Ricordi che non gli appartenevano, continue immagini e rimembranze
senza senso,
suoni, voci sconosciute, gesti,
gli
affollavano la testa in
maniera disordinata, senza
che lui riuscisse a dare loro un significato. Gli bruciavano gli occhi, e non sopportava
quel ronzio nelle orecchie, mentre i sensi gli mandavano continui
impulsi di
cui non riusciva a capacitarsi…gli sembrava quasi di dover
ancora imparare ad
utilizzarli nella giusta maniera.
Poi
alcuni istanti vissuti, forti come se si
stessero nuovamente svolgendo davanti ai suoi occhi.
Il volto di quell’uomo, sotto la pioggia cupa di quella
città sconosciuta, la
sua mano che lo invitava a seguirlo, e la sua voce leggermente
alterata…il
freddo dell’acqua battente sulla sua pelle sottile…
D’un
tratto gli occhi blu gli si spalancarono, e
lui balzò a sedere con un solo rapido movimento, stringendo
forte nei pugni i
lembi del lenzuolo, che si sollevò in un ampio sbuffo.
Si
guardò intorno, allarmato, con le pupille dilatate,
ma poi lentamente si rilassò, ingobbendosi ed allentando la
presa sul lenzuolo,
mentre cercava in tutti i modi di frenare quell’ansioso
affannare che non
smetteva di scuotergli il petto.
Stava
voltando lo sguardo, rincuorato, quando d’un
tratto vide oltre il lenzuolo che lento si adagiava nuovamente sulle
sue gambe
accompagnato dal venticello, apparire un’ asciutta ombra
nera. Strozzò un grido,
sobbalzando all’indietro sul materasso, mentre il fiato gli
si mozzava in gola impedendogli
di proferir parola o di sfogare il suo sgomento come avrebbe voluto.
Un
ragazzo lo stava osservando con le braccia
conserte sul petto, puntando su di lui i suoi occhi freddi e
leggermente
astiosi, lasciando che le punte irregolari di alcune ciocche azzurre
gli
carezzassero il profilo del naso.
Il
giovinetto biondo rimase a fissarlo con terrore
per alcuni istanti, con le mani che tremavano leggermente, poi
mandò giù il
groppo che gli ostruiva la gola, e finalmente riprese a respirare.
Guardando la
veste che quell’uomo indossava, per un attimo gli era tornato
in mente l’uomo che
lo aveva aiutato quel giorno, sotto la pioggia.
Stava
per aprir bocca, quando lo sguardo dello
sconosciuto si fece più minaccioso e le sue labbra si
mossero, accompagnate da
una voce stranamente giovanile:
«Alla
buon’ora.»
«C-chi
sei tu?» si azzardò a domandare il biondino,
incerto.
L’altro
si limitò a sorridergli fugacemente. Si
voltò, e con un rapido gesto della mano, afferrò
delle vesti scure ripiegate
sul tavolino al suo fianco, lanciandole con sufficienza sul letto.
Incrociò
nuovamente le braccia sul petto, scuotendo impercettibilmente i lunghi
e
disordinati capelli blu cobalto che gli celavano l’occhio
destro e lasciavano
intravedere quello sinistro, sentenziando:
«Alzati
e mettiti questa roba.» sciolse l’intreccio
delle sue braccia, posando una mano sul fianco e lasciando che
l’altra dondolasse
verso il basso, prima di continuare, con aria infastidita
«Dobbiamo muoverci.
Il nostro capo vuole riceverti al più presto, ma prima ti
devo portare alla
Prova. Perciò, spicciati.»
Sulle
prime, il ragazzino lo ascoltò con aria
stranamente incuriosita, seppur dimostrando sempre una certa riluttanza
nei
confronti di quella persona; poi raccolse un po’ di coraggio
e, stringendo le
coperte fra le dita minute, contestò subito il volere di
quello strano ragazzo
«Io...non vado da nessuna parte se non
c’è…» mentre quelle poche e
azzardate
parole gli morivano in gola, si guardo attorno spaesato: oltre a lui e
a quell’inquietante
sagoma nera, nella stanzetta non vi era nessun altro.
«Dov’è…quel
ragazzo…» voltò gli occhi al suo
interlocutore, mentre quel suo blu
ingenuo si
accendeva di un leggero turbamento «…lui ieri mi
ha aiutato a lavarmi e poi…ha
detto che si sarebbe seduto là,»
continuò, indicando una sedia vicino al
piccolo tavolino treppiedi «e che avrebbe vegliato su di me
stanotte,
perché…forse non sarei stato…troppo
bene.» Riportò lo sguardo aggrottato sul
giovane «Lui si chiama…Axel, non è
così? E allora dove…»
«Ti
consiglio di lasciarlo perdere.» lo interruppe
l’altro, socchiudendo le palpebre «Axel non
è un individuo a cui bisogna dare
troppa corda, se non si vogliono passare guai più o meno
seri… Dimenticatelo.
In questo posto c’è gente molto più
competente di Axel. E io sono il primo
della lista.» riaprì i grandi occhi tristi, senza
neppure accennare un sorriso
«Vestiti o faremo tardi.»
«Non…»
il giovinetto esitò. Lo sguardo freddo e il
tono perentorio dello sconosciuto gli imponevano obbedienza, e quando
tentò di
ribellarsi, si accorse di non averne le forze. Guardò con
riluttanza il
soprabito nero che giaceva scomposto sul fondo del letto, e i lunghi
stivali
afflosciati ai piedi del tavolino.
Gli
unici ricordi chiari che aveva erano tutti
ricollegati a quella medesima lunga veste; prima Axel, poi il giovane
che non
lo perdeva un attimo con il suo sguardo severo. Ora avrebbe dovuto
indossarla
anche lui.
Quasi
guidato dall’istinto, un impulso che non gli
riuscì di riconoscere, allungò la mano ed
avvicinò il mantello, afferrandolo
per il cappuccio. Dei pendagli di metallo tintinnarono, accompagnando
il
leggero frusciare della stoffa. Il ragazzino rimase ancora qualche
istante a
fissare le pieghe di quella stoffa spessa, sfiorandola con le dita, poi
risollevò lo sguardo verso lo sconosciuto.
Rimase
zitto per un attimo, poi azzardò, con tono
incerto:
«Come…?
»
«Zexion.»
l’altro lo precedette, battendo le
palpebre «Mi chiamo Zexion.
Numero VI.»
si strinse nelle spalle con atteggiamento
affranto «Ora pensi di riuscire a darti una mossa?»
Il
biondino dischiuse le labbra, ma la sua gola non
emise alcun suono. Poggiò entrambe le mani sul materasso e
si avvicinò al bordo
del letto, toccando il pavimento freddo con i piedi nudi. Non capiva bene
ciò che stava succedendo, né conosceva
il posto in cui si trovava, ma non poteva fare altro che obbedire. Si
alzò,
reggendosi a malapena sulle gambe ancora malferme, e non appena si
accinse ad
alzare lo sguardo, sentì una morsa al livello del petto. Una
mano volò sul
cuore, e le dita stropicciarono con forza la stoffa di una leggera
maglietta.
Tossì,
mentre sentiva d’un tratto lo stomaco
contrarsi e una forte nausea invadergli la gola. Si piegò in
due, premendosi un
braccio sulla pancia e sforzandosi per non rimettere.
Un
vuoto, sentiva un enorme vuoto pesargli sulle
spalle e sui polmoni in maniera insopportabile; non riusciva a
spiegarselo, e
non capiva il perché di quella assurda sensazione. Come se
d’un tratto gli
fosse stato strappato qualcosa di fondamentale…qualcosa
senza la quale sapeva
di non poter vivere. Cadde in ginocchio, strizzando gli occhi.
Era
doloroso. Insopportabile.
Per un
attimo si sentì morire. Ogni parte di sé si
contraeva in silenzio, si contorceva, e la sua testa sembrava
scoppiare. Voleva
solo che finisse…
Ansante,
continuò a sopportare quelle continue
fitte al petto, ogni volta più violente e dolorose,
stringendo forte i denti e
soffocando quella sofferenza con
gemiti sommessi. Perché?
Cosa gli mancava? Sentiva una fastidiosa
sensazione di freddo nei
polmoni che gli
indolenziva i muscoli e gli confondeva la vista…non era
certo di riuscire a
resistere ancora a lungo.
«Succede
sempre.» la voce di Zexion gli giunse alle
orecchie leggermente atona «Non durerà a
lungo.»
Zexion
osservava gli spasmi del ragazzino
dall’alto, senza dimostrare alcun tipo di emozione. Mosse un
passo verso di
lui:
«Il
tuo nuovo corpo si stabilizza e tu prendi
consapevolezza di ciò che sei diventato. Ci siamo passati
tutti.» fece una
pausa, prima di posargli una mano sulla fronte, fra le ciocche bagnate
di
sudore freddo «E’ fastidioso, ma ti ci abituerai,
tranquillo.»
Non
appena il ragazzino riuscì a percepire il tocco
del guanto tiepido di Zexion sulla pelle, sentì un ultimo
fremito percorrergli
la schiena, poi il dolore affievolirsi, disperdendosi.
Sollevò
lentamente gli occhi pieni di lacrime,
mentre Zexion ritirava la mano e tornava composto; il piccolo si rizzò in
piedi con fatica, destabilizzato, poi si
asciugò il viso con la manica della maglietta, mentre la
voce incerta si
disperdeva in un ansimare sostenuto.
«“Chi
sono?” “Cosa mi è
successo?”» fece Zexion,
fissandolo negli occhi «Ti
stai chiedendo questo…non
è vero?» ebbe
un guizzo nello sguardo «Lo so
perché tempo fa anche io mi facevo le stesse
domande.»
Il
ragazzino lo guardò con gli occhi persi. Non
capiva. Le lacrime che gli avevano inondato il viso non erano
né di paura, né
di dolore…e anche in quel momento, seppure avrebbe voluto
sfogarsi, non
riusciva ad esternare nulla.
«Perché…»
balbettò «…non riesco più a
piangere…?»
Zexion
lo guardò in silenzio, poi scuotendo il capo
come a scacciare un ricordo sgradito, chiuse gli occhi e gli diede le
spalle:
«Vestiti
e andiamo.»
Il
giovinetto lo seguì con lo sguardo mentre gli
voltava le spalle, e rimase in silenzio. Gli occhi erano tornati
asciutti,
quasi aridi, e gli angoli della bocca si inclinarono a delineare un
profilo
inespressivo.
Afferrò
l’abito nero ed iniziò a indossarlo,
sentendocisi stranamente a proprio agio. Sistemò le pieghe
delle maniche, poi
affiancò gli estremi di una lunga cerniera e la
tirò con un solo gesto, fino in
fondo. Il cappuccio gli ricadeva
sulle spalle, e
la catena sul petto. Poi infilò gli stivali, uno dopo
l’altro, lisciando le
grinze sui polpacci tirandoli per il bordo argentato.
Sollevandosi
dal letto su cui si era riseduto, cercò
Zexion con lo sguardo, il quale, fermo in attesa vicino alla porta,
annuì
impercettibilmente:
«Bene.»
la sua voce vagò un attimo, sospesa, mentre
il ragazzino gli si avvicinava a grandi passi, prima di aggiungere, in
un
sussurro:
«XIII.»