Videogiochi > Kingdom Hearts
Segui la storia  |       
Autore: Frances_May    25/09/2007    1 recensioni
Introduzione rimossa perchè non presenta nessun accenno alla trama della fanfiction.
Inserirne al più presto una valida.
Rosicrucian e Nami, assistenti amministratrici.
Genere: Generale, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kairi, Naminè, Organizzazione XIII, Riku, Sora
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I. Nowhere.

Cielo terso, strade deserte, luci al neon ed una quiete innaturale. I palazzi si ergevano silenziosi sotto i raggi fiochi della luna, immoti, rischiarati nel loro nero pece solo dalle flebili luci gialle che provenivano dalle finestre, e dalle fredde luminarie che spandevano i loro colori intensi lungo le larghe strade buie. L’atmosfera era immobile, e tutte quelle luci sembravano combattere con le monolitiche ombre dei palazzi per non farsi oscurare; era come se quella città fosse morta da tempo, eppure non soffiava un filo di vento, e la luna piena, maestosa nel cielo della notte, pareva essere l’unica testimone dell’esistenza di quei palazzi disabitati, delle buie strade deserte e di quelle luci artificiali che risaltavano come disegni di fuoco nell’ombra della notte.

Oltre quelle cupe costruzioni, risaltava nella notte solo una grande fortezza, che sorgeva a mezz’aria, dominando l’intera città. Svettava avvolta in una luce inquietante, con i pinnacoli che si innalzavano fin quasi a voler sfiorare il cielo nuvoloso; lucida e brillante, immersa in un gioco complesso di ombre e chiaroscuri, rifletteva i raggi plumbei della luna, tanto da sembrare risplendere di luce propria, avvolta da un sottile banco di nebbiolina opaca. Le pareti esterne erano lisce e lamate, e oltre lo spesso muro di cinta, si potevano intravedere le torri più alte, avvolte in intricati sistemi di scale che si attorcigliavano fra loro creando disegni sinuosi ed eleganti.

L’interno del castello era luminoso, di un bianco quasi abbagliante che dava l’idea di essere stato creato per assuefarsi alla luce soffusa del cielo che filtrava dalle finestre e dai soffitti di vetro che talvolta si aprivano su quegli ampi ambienti; la pittura e la pavimentazione marmorea spiccavano ancora di più sotto i raggi freddi delle luci azzurrognole che tappezzavano le pareti dei lunghi e vasti corridoi che si snodavano per l’edificio, formando un complicato labirinto di vicoli in cui era facile perdersi. L’intera fortezza era costruita in maniera irregolare, dove ogni stanza poteva condurre ad un luogo completamente diverso, o anche a corridoi senza fine lungo i quali delle croci stilizzate osservavano gli eventi accendendosi di un biancore metallico.

Fra due di quelle tante pareti, si poteva udire distintamente il tacchettio ritmato di alcuni passi, che si sovrapponevano fra loro andando a scandire il tempo di una marcia decisa; rimbombavano sul pavimento lamato di tutto l’androne come rintocchi di un grande orologio.

Quattro figure avanzavano l’una dietro l’altra, in silenzio, avvolte da un lungo mantello nero che lambiva i loro piedi ad ogni passo, e tintinnava ogniqualvolta il moto spostava i pendagli di metallo che stringevano il cappuccio e la catena intarsiata che ricadeva a mezza luna sul loro petto.

Ad un tratto il primo della fila si fermò, e quelli che lo seguivano fecero altrettanto. Una lunga chioma di capelli gli ricadeva lungo schiena e sul petto, brillando di un insolito grigio freddo, e delle ciocche gli incorniciavano il viso inespressivo color dell’ebano. Sollevò lo sguardo, silenzioso, poi annunciò:

«Ne è nato un altro.» la voce profonda e piatta risuonò in un eco lungo tutta la sala, mentre i suoi occhi aranciati risplendevano di una strana luce, sotto le fini sopracciglia bianche.

I tre che gli stavano al seguito lo fissarono per qualche istante, dubbiosi, poi uno di loro si scosse e annuì aggrottando la fronte, smuovendo la lunga frangia di capelli azzurri che gli nascondeva in maniera disordinata l’occhio destro:

«Ora lo sento anche io.» mise le braccia conserte e diresse lo sguardo verso l’uomo che stava davanti a lui «Xemnas?» si limitò a chiamarlo per nome, in attesa che desse le direttive.

Gli altri due si guardarono, leggermente disorientati. Uno di loro era una giovane donna dalla corporatura minuta; il suo corpo avvolto nell’attillata veste nera disegnava una sinuosa silhouette che risaltava sullo sfondo bianco. Scosse il capo, esternando il suo disappunto con un sospiro di stizza:

«Io non sento nulla.» disse, sistemandosi una ciocca dei corti capelli biondi e guardando verso i due uomini davanti a lei, mentre l’ultimo del gruppo, un ragazzo che pareva dimostrare poca esperienza, rimaneva in silenzio per nascondere anch’egli il proprio disagio.

«La cosa non mi piace, Zexion.» continuò ancora la donna, aggrottando le sopracciglia verso il giovane dai capelli azzurri «Perché non riesco a…?»

«Larxen,» la voce di Xemnas risuonò nuovamente, sovrastando ogni altro piccolo rumore «Non essere così impaziente.» parlò senza guardarla, ma le sue parole imposero un silenzio remissivo ai due inesperti, che si arresero a capo chino di fronte alle parole calme di Zexion, che si voltò a loro e disse:

«Sarete in grado di sentirlo anche voi, fra non molto…non siate così ansiosi.» chiuse l’occhio azzurro, chinando il capo di lato «Ogni cosa a suo tempo…»

«Ve lo assicuro, è un vero tormento…!» una voce si fece largo subito dopo quella di Zexion, con tono leggermente canzonatorio. Larxen e il suo compagno si voltarono all’unisono, mentre su una della pareti bianche si spandeva velocemente una spessa ombra nera. Si ingrandiva a macchia d’olio, come se fosse viva, simile al lugubre scrosciare dell’acqua corvina che rifletteva in bagliori e screziature blu la luce del cielo. Avvolta da quello strano vortice d’oscurità, videro apparire un'altra figura con indosso la loro stessa veste, e che avanzando alcuni passi verso il piccolo gruppo, continuò:

«…sapete, alla fine è snervante sentire nella testa un campanello d’allarme ogni volta che ne nasce un altro.» si sporse in avanti, muovendo le braccia in ampi gesti «“Informazione gratuita! Ne è nato un altro!”, “Attenzione! Nobody a dritta!”...capite?» sospirò poggiandosi due dita sulla fronte nascosta dal cappuccio nero «Beati giovani inesperti, non sapete a che stress siano costretti i vostri superiori…!»

«VIII…» lo richiamò Zexion con tono esasperato, interrompendolo «Per favore…!»

«Oh, ti prego non chiamarmi in quel modo…!» continuò l’uomo incappucciato, senza smettere di gesticolare, per poi poggiarsi un pollice sul petto con fare orgoglioso «Almeno un nome ce l’ho, sai?»

Zexion sospirò, stringendosi ancor più fra le sue braccia conserte. Quell’uomo lo faceva spazientire, ma come sempre doveva cercare in qualche modo di trattenersi. Se ne usciva sempre con quelle battute teatrali e fin troppo ironiche, dopo essere apparso nella maniera più improvvisa e plateale possibile. Con quei suoi modi gli ricordava il numero II, e per questo cercava sempre di ignorarlo…quel tipo era difficile da sopportare anche per uno dall’indole calma come la sua. Larxen guardava il nuovo arrivato con sufficienza, squadrandolo da capo a piedi con un sopracciglio inarcato, mentre il suo compagno se n’era completamente disinteressato e non smetteva di spostare gli occhi da una parte all’altra del corridoio.

L’incappucciato fece un gesto ampio con le braccia, mentre sul viso oscurato gli appariva un leggero sorriso:

«Dove andate di bello, ragazzi?» poggiò un gomito su di una mano, mentre con l’altra muoveva le dita coordinandole alle parole « Mi pareva un allegro corteo, eh? Qualcosa di divertente?»

«…cosa ti porta ad onorarci con la tua presenza…?» di nuovo Xemnas, con quel suo tono che imponeva rispetto e non ammetteva repliche. A quel repentino richiamo, l’uomo incappucciato non poté fare altro che interrompersi e rispondere:

«Sai, “capo”, sarò anche un completo ignorante in materia “sentimenti umani”, ma so alla perfezione cosa voglia dire “annoiarsi”» si fermò un attimo, poggiando una mano sul fianco e portandosi il dito indice dell’altra all’altezza della tempia «N-O-I-A. Memorizzato?»

«Oh, per favore!» esclamò ad un tratto l’ultimo membro del piccolo gruppo, scuotendo i capelli di un castano ramato «La smetteresti di gesticolare? Ci prendi per imbecilli?»

« Marluxia, non dargli corda, o non la smetterà mai.» lo ammonì Zexion, rimanendo immobile con lo sguardo distratto, rivolto verso nessun punto in particolare. Il giovane si zittì stringendo i pugni, ma nello scorgere lo sguardo di Larxen, comprese che non era l’unico ad essersi spazientito.

«E cosa intendi fare per…» Xemnas rimase un attimo soprappensiero, prima di riprendere, voltando leggermente il capo verso il numero VIII e sollevando le sopracciglia «…come dire, placarti?»

Tutti si voltarono all’unisono verso l’uomo che continuava a nascondere il volto sotto quello spesso cappuccio nero, impazienti, mentre quello si stringeva nelle spalle con fare noncurante:

«Oh, non saprei…» si finse assorto per un attimo, prima di continuare, dirigendo a Xemnas un gesto veloce della testa e della mano «…vado a prendere il nuovo, mmh?»

Zexion sollevò gli occhi di botto, mentre la bocca gli si dischiudeva in un’espressione di gelido stupore:

«Non ci pensare neanche.»

«Avanti, perché no?» ribatté quello, spostando il proprio peso da un piede all’altro « Ho già preparato un così bel comitato di benvenuto…dovrei sprecarlo?»

Zexion rimase spiazzato, cercando disperatamente le giuste parole per contrastarlo, ma tutto quel suo gesticolare gli confondeva le idee; si voltò verso Xemnas in cerca di appoggio, ma le parole che gli uscirono di bocca lo lasciarono letteralmente basito:

«Vai pure…per me non fa differenza.»

«Grazie mille.» senza farselo ripetere due volte, con un leggero sorriso malizioso che gli illuminava il viso adombrato, l’VIII salutò il gruppo con una rapida mossa della mano e venne nuovamente avviluppato da spirali di fumo nero che lo inghiottirono e poi si dissolsero, lasciando i quattro a fissare il vuoto.

Dopo pochi istanti di quiete, Xemnas riprese ad avanzare, come se nulla fosse successo e i suoi tre compagni, seppure un po’ riluttanti, si voltarono verso di lui e tornarono a seguirlo.

«Xemnas, non mi fido di lui…» fece Marluxia, fissandosi i piedi che andavano l’uno davanti all’altro, alternandosi «Perché gli hai dato il permesso?» al suo fianco, Larxen annuì impercettibilmente, mentre continuava a guardare i due uomini davanti a sé con cipiglio altezzoso.

«L’VIII non è poi così poco affidabile, in fin dei conti.» Zexion rispose senza guardarli, ignorando il movimento di Larxen che aveva scorto per un attimo con la coda dell’occhio «Tra noi è uno dei più abili in battaglia...e se la cava anche con le parole.» guardò il soffitto, lasciando che le braccia gli ricadessero lungo i fianchi « Voi due avete ancora molto da imparare sull’Organizzazione.»

Oo°*°oO

«Ah… Finalmente riuscirò a sgranchirmi un po’ le gambe e a respirare un po’ d’aria nuova!» un paio di stivali neri saltarono oltre un’ombra che sembrava essere apparsa dal nulla, fluttuando a mezz’aria, quasi fosse sorretta da un filo invisibile, e che all’interno luccicava di bagliori e lampi dai mille colori screziati. Il numero VIII atterrò sull’asfalto con eleganza, senza scomporsi. Quando il Portale si restrinse e scomparve lentamente oltre le sue ampie spalle, coperte dalla lunga veste corvina, sospirò poggiando le mani sui fianchi con scioltezza:

«Non ne potevo più delle teorie di Vexen. Mi ripete sempre le stesse cose almeno una decina di volte e…Ah, vecchio burbero e logorroico che non è altro! Quando inizia a spiegarmi tutti i suoi noiosissimi esperimenti, dopo un po’ non lo reggo più. È soporifero. Ha un tono di voce che mi mette addosso un sonno…!...non lo sopporto. Brrr.»

Alzò lentamente il volto incappucciato, orientando lo sguardo proprio davanti a sé, dove si stagliava una parete buia e grigia a poco meno di un metro di distanza da lui. Sotto il lungo copricapo nero che gli oscurava in parte la visuale, aggrottò le sopracciglia e arricciò la punta del naso, sconcertato.

«Mmmh.»

Facendo scorrere la vista alla sua destra, con fare guardingo, riusciva solo a scorgere un angolo strettissimo, che collegava l’ampia parete che si ergeva davanti a lui ad un altro muro spoglio e ingrigito. E la stessa visuale si prospettava alla sua sinistra. Tornò a fissare l’ostacolo che si innalzava proprio davanti al suo naso, ancora più turbato di prima. Qualche istante dopo, alzando le braccia al cielo e gesticolando con le mani, urlò, scuotendo il capo:

«Si può sapere dove diavolo sono finito?!»

Ruotandosi di centottanta gradi, spazientito, si accorse che il posto dove era atterrato era un vicolo, rigorosamente cieco. Incamminandosi risoluto verso l’uscita della viuzza, prese a massaggiarsi il collo con la mano sinistra, borbottando tra sé e sé.

«Mpf! Ma tu guarda se quel coso mi doveva far sbucare nel pieno di un lercio budello di…Crepuscoli?!»

Il numero VIII osservò il rustico paesaggio urbano che si espandeva sotto i suoi occhi, illuminato da una luce rosseggiante che tingeva ogni cosa del suo colore tenue. Sorrise, avanzando intraprendente per la larga via ciottolata dove l’aveva condotto il piccolo e buio vicoletto, e seguì l’istinto, che, come un sesto senso, gli indicava la strada da percorrere.

«Ma tu guarda…uno dei posti più suggestivi al mondo, eh? Crepuscoli, la città dell’eterno tramonto, dove la giornata è un perenne pomeriggio! Interessante. Assomiglia a una di quelle località paradisiache dove vanno a rifugiarsi le coppiette sdolcinate…! Ah, penso proprio che mi gusterò per bene questa allegra gita…se avessi ancora un cuore, ci farei un salto più spesso, qui a Crepuscoli!»

Procedendo a passi ritmati, l’incappucciato notò che ad attraversare la città rischiarato dalla luce aranciata del sole calante, vi era esclusivamente lui. Il borgo era silenzioso e per la strada echeggiava solo l’insistente incedere dei suoi stivali; i battenti di molti edifici erano chiusi, e oltre i lucidi vetri di qualche finestra dalla persiana aperta, si potevano scorgere solo i drappi tirati delle tende.

«Dormono a quest’ora?...bah. Tanto meglio per il sottoscritto “Numero VIII”! Io, fortunatamente, ce l’ho un nome, e gradirei essere appellato per mezzo di quello, e solamente quello! Non sono mica stato marchiato con quel numero perché sono una cavia da laboratorio, eh! Stupido Zexion… quando è così formale sembra proprio il cocco del “capo”. Xemnas lo ha proprio addestrato come un cagnolino da riporto… certo che il Signor VI potrebbe anche mostrarsi meno leccapiedi, ma comunque stiano le cose, rimane sempre troppo rigido per i miei gusti. Anche se non è poi così tanto antipatico, anzi: quando non lecchina Signor “Tono Altezzoso” è abbastanza gradevole la sua compagnia. Scommetto che adesso direbbe “Numero VIII, anziché blaterare idiozie sui tuoi superiori, goditi la scampagnata”. Ci puoi giurare, “Ciuffo Azzurro”.» Si fermò presso uno svincolo, lanciando occhiate fulminee sul circondario, per individuare su quale direzione avviarsi. Inspirò profondamente, per sfiatare poi l’aria raccolta con foga. Alzò il palmo sinistro verso il cielo, e con l’altra mano si carezzò la tempia, con aria scocciata e un po’ frustrata, e riprese «Dannazione. Quel nanetto mi ha distolto dall’obbiettivo e ora non riesco più a localizzare dove si trovi il novellino…Sarà meglio fermarsi un attimo…»

La risposta, giunse rombante alle orecchie dell’incappucciato numero VIII: una goccia di pioggia sul suo guanto nero, seguita da un fragoroso tuono che squarciò la quiete della città, lo fece quasi trasalire, destandolo dalle sue riflessioni.

«Il che è tutto dire, eh?» Domandò al nulla, abbassando l’arto sinistro con flemma. Puntuale, giunse un altro tuono, come il rintocco di una campana. «E va bene, d’accordo: vado a prendere il XIII, ho capito. Non mi è concesso svagarmi, oggi. Prima lo trovo, meglio è.»

Mentre riprendeva a camminare, le gocce di pioggia iniziarono a susseguirsi una dopo l’altra, sempre più velocemente, scivolando lungo il suo giaccone scuro e insinuandosi oltre i bordi dell’ampio cappuccio. Il vespro scomparve all’orizzonte, lasciando posto ad un cielo monotono e alle nuvole plumbee che estendevano la loro ombra grigia lungo le strade e i palazzi. Il numero VIII avanzava col capo chino per la sua strada, sentendosi appesantito dall’incessante piovigginare e leggermente infreddolito. Un altro tuono lo incitò ad incalzare il passo.

«Altro che gitarella!» sibilò, spazientito «Novellino…ti sto alle calcagna come un segugio è sulle tracce della sua preda: lasciati trovare! Non sei tanto lontano, no?»

L’VIII si portò una mano alla tempia, vacillando «Riesco quasi a…» avanzò di qualche passo, fermandosi di colpo, come se qualcosa avesse attirato fortemente la sua attenzione. Alla sua destra si apriva una stradina buia e silenziosa, apparentemente deserta. Strizzò gli occhi e tese l’orecchio non appena percepì un affannoso respiro provenire dal fondo della stradina, seguito dal rumore metallico di qualcosa che cadeva a terra. Ai suoi piedi rotolò il coperchio di un bidone della spazzatura, che si era rovesciato a pochi metri di distanza. Avanzando con cautela fra il sudiciume del vicolo, finalmente riuscì a distinguere qualcosa che risaltava oltre tutto quel buio; una massa indefinita e bianchiccia tremava raggomitolata su un angolo, nascosta da un paio di bidoni e da qualche sacchetto della spazzatura, e gemeva mugolii gutturali di timore e angoscia: un bambino. Quando l’incappucciato gli fu davanti, lo squadrò, protetto sotto la sua veste fradicia, puntandolo con cattiveria.

«Salve, marmocchio.»

I grandi occhi blu del ragazzino tremarono alla vista di quell’alta ombra nera, e si strinse ancora di più fra se. Si spaventò ulteriormente quando l’incappucciato si chinò su di lui, e si voltò contro il muro, dandogli le spalle, impaurito. L’altro lo osservò bene, prima di aprir bocca nuovamente; era molto giovane, con i tratti del viso ancora troppo puerili per definirlo un ragazzo. Era completamente nudo, e si riscaldava raccogliendo le gambe a se stesso e stringendole con forza sul petto. Era parecchio trasandato, sporco e provato, e tentava di nascondersi il volto oltre una frangetta spettinata tra il castano e il biondo, più spaventato e spaesato che mai. Il numero VIII abbozzò un sorrisetto ironico nel vedere quel bamboccio dalle membra malferme, e lo appellò freddamente.

«Pare proprio che sia tu il novellino a cui Xemnas da la caccia, eh?...Non c’è dubbio.»

Sentendo quella voce, il bambino mandò un’occhiata fugace alle sue spalle, terrorizzato, ma nascose subito il volto fra le ginocchia non appena notò un movimento dell’incappucciato che gli si era fatto più vicino.

«Alzati. Non ho tempo da perdere.»

L’VIII lo richiamò nuovamente con tono gelido, ma il ragazzino non ne volle sapere ne di rispondergli ne di alzarsi dal suo lercio angolino. L’incappucciato, in quell’istante di silenzio, provò una strana avversione nei suoi confronti. Gli stava facendo perdere tempo, lo stava ignorando e lo guardava di sbieco con quei grandi occhi profondi, come se la sua presenza in mezzo a tutta quella spazzatura significasse meno di niente. Una delle cose che l’VIII odiava di più al mondo, oltre bagnarsi, era lasciar scorrere via inutilmente tutto quel tempo prezioso.

Alzò una gamba, deciso a spronarlo con un calcio, ma si bloccò pochi istanti dopo. Gli si mozzò il respiro, mentre percepiva lievemente una strana sensazione all’altezza del petto, una sorta brivido bollente che lo ghiacciava sotto quella lunga veste nera, sotto la sua pelle, e gli raggiungeva la gola…era un qualcosa che non riuscì a spiegarsi. Non sapeva per quale motivo, ma alla sola idea di dover picchiare quel bambino gli si erano tesi i muscoli…

Sbuffò, accigliandosi, mentre poggiava il piede sulla schiena del ragazzino, smuovendolo leggermente.

«Dai, alzati! Dobbiamo muoverci! Non vedi come piove? Ehi, ma mi stai ascoltando?»

Il bimbetto non reagiva né alle sue parole, né alla lieve pressione che sentiva sulle scapole. Tremava come una foglia, e sembrava quasi che da un momento all’altro potesse dissolversi nel buio cupo di quel vicolo.

Confuso ed un po’ irritato, l’VIII continuò a squadrarlo dall’alto, incerto sul da farsi, mentre sollevava il piede e lo riportava al fianco dell’altro, caricandovi sopra il proprio peso. Con fare indifferente, portò i pugni lungo i fianchi, stretti sotto la lunga veste che accentuava le linee morbide e sinuose della sua figura snella.

«E’ inutile che fai finta di non vedermi,» disse con tono teatrale «Io non me ne vado da qua fino a quando non ti deciderai ad alzarti. Devi venire con me: punto e basta! Non hai diritto di replica. Comprendi?»

Il numero VIII si accovacciò con le gambe leggermente divaricate davanti al ragazzino, sostenendosi con le punte dei piedi, e scaricando il peso delle lunghe braccia poggiando i gomiti sulle proprie ginocchia e intrecciando fra loro le dita affusolate. Il bambino poté scorgere con la coda dell’occhio due labbra schiuse in un lieve sorriso che ad un tratto gli parlarono con gentilezza, quasi cercando di confortarlo.

«Guarda che non ho alcuna intenzione di farti del male. Te lo giuro…»

Con un gesto fluido, sollevò la mano sopra la sua testa, sfiorando il tessuto lucido della veste e facendo scivolare il cappuccio sulle spalle larghe.

«Il mio nome è Axel…» il sorriso divenne leggermente più ampio «Memorizzato?»

Il gracile biondino si voltò verso il suo interlocutore, osservandolo nei minimi particolari con quei suoi occhi luminosi come zaffiri.

Ciò che vide era un giovane viso sorridente dalla carnagione chiara che spiccava sul buio circostante. Il capo leggermente inclinato, dalla posa ingentilita, lasciava ricadere sui tratti di quel volto amichevole lunghe ciocche di un insolito colore rosso, che la pioggia aveva appesantito e spettinato. Due grandi occhi espressivi dal taglio lievemente allungato lo fissavano di rimando sotto le sottili sopracciglia: le iridi dalle screziature smeraldine incorniciavano una piccola pupilla nera, contornata da sprazzi di un verde chiaro e fresco, che brillava in maniera diversa ad ogni sua espressione. Sotto gli zigomi, spiccavano due piccoli segni rossi che parevano lacrime di sangue.

Un tuono gli illuminò il volto, e la pioggia si fece più insistente, tanto che il giovane vide i capelli vermigli scivolargli sul volto, limitandogli la vista. Alcune ciocche si insinuarono assieme a numerose fredde gocce lungo il profilo del suo collo, che scompariva oltre il colletto del cappuccio.

Il ragazzino continuava a fissarlo, disorientato. Senza il cappuccio a celargli il viso, l’aspetto di quell’uomo non sembrava più così ostile, e quell’espressione conciliante che gli leggeva sul volto gli infondeva una strana sensazione di sicurezza. Distolse un attimo lo sguardo e starnutì, socchiudendo gli occhi. Quando li dischiuse, vide un grande palmo nero aprirsi proprio sotto il suo naso.

«Se ti fiderai di me, ti condurrò in un posto sicuro…» la voce cambiò leggermente tono « …e soprattutto caldo e asciutto, protetto da questa odiosa pioggia incessante e particolarmente fastidiosa.» gli occhi tornarono allegri «…che ne dici?»

Il biondino allungò lentamente il braccio con titubanza, ed un attimo dopo Axel lo afferrò per il polso e lo tirò su con un forte strattone, riportandolo in piedi.

Il giovinetto iniziò nuovamente a tremare per il freddo e abbassò il capo, quando, improvvisamente, sentì qualcosa di caldo ricadergli sulle spalle; sorpreso, si ritrovò sul capo lo stesso cappuccio nero che aveva nascosto il volto di Axel pochi istanti prima. Raccolse i drappi fra le mani e davanti a sé vide il giovane dai capelli rossi vestire solo una canottiera e dei pantaloni neri, le cui pieghe scomparivano in due lunghi stivali, mentre la pioggia incessante gli bagnava le braccia nude.

«Mettitelo e cammina. Se non ci muoviamo mi prenderò una bella strigliata da “Ciuffo Azzurro”.»

Mentre il piccoletto si accingeva ad indossare la lunga veste, i cui risvolti pendevano da ogni parte e gli imponevano un’andatura goffa, Axel avanzò risoluto verso l’uscita del vicolo, senza voltarsi, né tanto meno arrestarsi ad aspettarlo.

Quando il ragazzino lo ebbe raggiunto, si fermò al suo fianco ed iniziò a studiarlo dal basso, incuriosito. Axel lo fulminò di sottecchi, e il marmocchio sobbalzò, impaurito, piantando gli occhi a terra. L’VIII sorrise con aria divertita e si passò una mano fra i capelli, raccogliendoli all’indietro per facilitarsi la visuale.

«Non temere, ti troverai bene.» bofonchiò Axel, scrollandosi l’acqua dai capelli scompigliati «Se non ti caccerai nei pasticci e farai il bravo, non è detto che tu non riesca ad accattivarti il rispetto di qualcuno…anche se è difficile intenerire qualcuno che non sa nemmeno cosa significhi…come noi Nobody.»

Mentre lo ascoltava, il ragazzino si accigliò, senza riuscire a comprendere appieno il significato delle sue parole.

Axel lanciò al novellino un’ultima occhiata, quasi soddisfatto del suo disorientamento, poi tese un braccio dritto davanti a sé ed aprì la mano. Mentre il bagliore bluastro del Portale si espandeva oltre le sue dita, chinò leggermente il capo di lato, impaziente, cercando di ignorare i sobbalzi atterriti che scorgeva al suo fianco, dal gracile nuovo Nobody che si teneva stretto in quella veste fin troppo lunga.

Lasciò ricadere la mano aperta lungo il fianco, mentre osservava con aria compiaciuta lo squarcio d’oscurità che aveva appena terminato di aprirsi tra le gocce di pioggia, attraversato da sprazzi di luce che si muovevano come il moto del mare. Un solo passo, e sarebbe stato finalmente all’asciutto.

«Si parte, marmocchio. Andiamo all’Organizzazione.»

Avanzò qualche passo deciso e immerse la metà destra del suo corpo tra quella massa informe di luci e colori che sembrava inghiottirlo lentamente, quando si accorse che il piccolo biondino era rimasto impalato a qualche passo di distanza da lui e osservava la scena spaventato e quasi inorridito, portandosi le mani tremanti alla bocca e sgranando i grandi occhi femminei color del cielo. Axel gli tese una mano, invitandolo a seguirlo con un cenno.

«Su, aggrappati: se mi stai vicino non ti succederà nulla, promesso.» vedendo che il ragazzino non accennava a muoversi di un millimetro, l’VIII dischiuse le labbra in un sorriso lievemente intenerito «Imparerai che questo squarcio gelatinoso che galleggia a mezz’aria è un utilissimo mezzo di trasporto per noi Nobody. Non devi averne paura…anzi, è divertente. Ogni volta che ci salto dentro…mi sembra di fluttuare, come se fossi una nuvola. E poi…credimi: se una cosa l’approvo io,» proseguì, puntandosi il pollice sul petto «allora è brevettata per chiunque su questo mondo.»

Il biondino si aggrappò al braccio del ragazzo, stringendolo con forza prima di venire inghiottito dal Portale, il quale era effettivamente di una consistenza impalpabile, come aveva affermato Axel;venendo anch’egli avviluppato da quelle spirali liquide multicolore gridò, ammonendo il bambino che gli si era appioppato sull’arto sinistro:

«Se ti appiccichi così mi stacchi un braccio! Guarda che non vado da nessuna parte, eh?!»

Lo squarcio si restrinse e scomparve oltre il guanto del numero VIII lasciando un’umida Crepuscoli nel silenzio.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Frances_May