I.
Nowhere.
Cielo
terso, strade deserte, luci al
neon ed una quiete innaturale. I palazzi si ergevano silenziosi sotto i
raggi
fiochi della luna, immoti, rischiarati nel loro nero pece solo dalle
flebili
luci gialle che provenivano dalle finestre, e dalle fredde luminarie
che
spandevano i loro colori intensi lungo le larghe strade buie.
L’atmosfera era
immobile, e tutte quelle luci sembravano combattere con le monolitiche
ombre
dei palazzi per non farsi oscurare; era come se quella città
fosse morta da
tempo, eppure non soffiava un filo di vento, e la luna piena, maestosa
nel
cielo della notte, pareva essere l’unica testimone
dell’esistenza di quei
palazzi disabitati, delle buie strade deserte e di quelle luci
artificiali che
risaltavano come disegni di fuoco nell’ombra della notte.
Oltre
quelle cupe costruzioni,
risaltava nella notte solo una grande fortezza, che sorgeva a
mezz’aria,
dominando l’intera città. Svettava avvolta in una
luce inquietante, con i
pinnacoli che si innalzavano fin quasi a voler sfiorare il cielo
nuvoloso;
lucida e brillante, immersa in un gioco complesso di ombre e
chiaroscuri,
rifletteva i raggi plumbei della luna, tanto da sembrare risplendere di
luce
propria, avvolta da un sottile banco di nebbiolina opaca. Le pareti
esterne
erano lisce e lamate, e oltre lo spesso muro di cinta, si potevano
intravedere
le torri più alte, avvolte in intricati sistemi di scale che
si attorcigliavano
fra loro creando disegni sinuosi ed eleganti.
L’interno
del castello era luminoso, di
un bianco quasi abbagliante che dava l’idea di essere stato
creato per
assuefarsi alla luce soffusa del cielo che filtrava dalle finestre e
dai
soffitti di vetro che talvolta si aprivano su quegli ampi ambienti; la
pittura
e la pavimentazione marmorea spiccavano ancora di più sotto
i raggi freddi
delle luci azzurrognole che tappezzavano le pareti dei lunghi e vasti
corridoi
che si snodavano per l’edificio, formando un complicato
labirinto di vicoli in
cui era facile perdersi. L’intera fortezza era costruita in
maniera irregolare,
dove ogni stanza poteva condurre ad un luogo completamente diverso, o
anche a
corridoi senza fine lungo i quali delle croci stilizzate osservavano
gli eventi
accendendosi di un biancore metallico.
Fra
due di quelle tante pareti, si
poteva udire distintamente il tacchettio ritmato di alcuni passi, che
si
sovrapponevano fra loro andando a scandire il tempo di una marcia
decisa;
rimbombavano sul pavimento lamato di tutto l’androne come
rintocchi di un
grande orologio.
Quattro
figure avanzavano l’una dietro
l’altra, in silenzio, avvolte da un lungo mantello nero che
lambiva i loro
piedi ad ogni passo, e tintinnava ogniqualvolta il moto spostava i
pendagli di
metallo che stringevano il cappuccio e la catena intarsiata che
ricadeva a
mezza luna sul loro petto.
Ad
un tratto il primo della fila si
fermò, e quelli che lo seguivano fecero altrettanto. Una
lunga chioma di
capelli gli ricadeva lungo schiena e sul petto, brillando di un
insolito grigio
freddo, e delle ciocche gli incorniciavano il viso inespressivo color
dell’ebano. Sollevò lo sguardo, silenzioso, poi
annunciò:
«Ne
è nato un altro.» la voce profonda
e piatta risuonò in un eco lungo tutta la sala, mentre i
suoi occhi aranciati
risplendevano di una strana luce, sotto le fini sopracciglia bianche.
I
tre che gli stavano al seguito lo
fissarono per qualche istante, dubbiosi, poi uno di loro si scosse e
annuì
aggrottando la fronte, smuovendo la lunga frangia di capelli azzurri
che gli
nascondeva in maniera disordinata l’occhio destro:
«Ora
lo sento anche io.» mise le
braccia conserte e diresse lo sguardo verso l’uomo che stava
davanti a lui
«Xemnas?» si limitò a chiamarlo per
nome, in attesa che desse le direttive.
Gli
altri due si guardarono,
leggermente disorientati. Uno di loro era una giovane donna dalla
corporatura
minuta; il suo corpo avvolto nell’attillata veste nera
disegnava una sinuosa
silhouette che risaltava sullo sfondo bianco. Scosse il capo,
esternando il suo
disappunto con un sospiro di stizza:
«Io
non sento nulla.» disse,
sistemandosi una ciocca dei corti capelli biondi e guardando verso i
due uomini
davanti a lei, mentre l’ultimo del gruppo, un ragazzo che
pareva dimostrare
poca esperienza, rimaneva in silenzio per nascondere
anch’egli il proprio
disagio.
«La
cosa non mi piace, Zexion.»
continuò ancora la donna, aggrottando le sopracciglia verso
il giovane dai
capelli azzurri «Perché non riesco
a…?»
«Larxen,»
la voce di Xemnas risuonò
nuovamente, sovrastando ogni altro piccolo rumore «Non essere
così impaziente.»
parlò senza guardarla, ma le sue parole imposero un silenzio
remissivo ai due
inesperti, che si arresero a capo chino di fronte alle parole calme di
Zexion,
che si voltò a loro e disse:
«Sarete
in grado di sentirlo anche voi,
fra non molto…non siate così ansiosi.»
chiuse l’occhio azzurro, chinando il
capo di lato «Ogni cosa a suo tempo…»
«Ve
lo assicuro, è un vero tormento…!»
una voce si fece largo subito dopo quella di Zexion, con tono
leggermente
canzonatorio. Larxen e il suo compagno si voltarono
all’unisono, mentre su una
della pareti bianche si spandeva velocemente una spessa ombra nera. Si
ingrandiva a macchia d’olio, come se fosse viva, simile al
lugubre scrosciare
dell’acqua corvina che rifletteva in bagliori e screziature
blu la luce del cielo.
Avvolta da quello strano vortice d’oscurità,
videro apparire un'altra figura
con indosso la loro stessa veste, e che avanzando alcuni passi verso il
piccolo
gruppo, continuò:
«…sapete,
alla fine è snervante sentire
nella testa un campanello d’allarme ogni volta che ne nasce
un altro.» si
sporse in avanti, muovendo le braccia in ampi gesti
«“Informazione gratuita! Ne
è nato un altro!”, “Attenzione! Nobody a
dritta!”...capite?» sospirò
poggiandosi due dita sulla fronte nascosta dal cappuccio nero
«Beati giovani
inesperti, non sapete a che stress siano costretti i vostri
superiori…!»
«VIII…»
lo richiamò Zexion con tono
esasperato, interrompendolo «Per
favore…!»
«Oh,
ti prego non chiamarmi in quel
modo…!» continuò l’uomo
incappucciato, senza smettere di gesticolare, per poi
poggiarsi un pollice sul petto con fare orgoglioso «Almeno un
nome ce l’ho,
sai?»
Zexion
sospirò, stringendosi ancor più
fra le sue braccia conserte. Quell’uomo lo faceva
spazientire, ma come sempre
doveva cercare in qualche modo di trattenersi. Se ne usciva sempre con
quelle
battute teatrali e fin troppo ironiche, dopo essere apparso nella
maniera più
improvvisa e plateale possibile. Con quei suoi modi gli ricordava il
numero II,
e per questo cercava sempre di ignorarlo…quel tipo era
difficile da sopportare
anche per uno dall’indole calma come la sua. Larxen guardava
il nuovo arrivato
con sufficienza, squadrandolo da capo a piedi con un sopracciglio
inarcato,
mentre il suo compagno se n’era completamente disinteressato
e non smetteva di
spostare gli occhi da una parte all’altra del corridoio.
L’incappucciato
fece un gesto ampio con
le braccia, mentre sul viso oscurato gli appariva un leggero sorriso:
«Dove
andate di bello, ragazzi?» poggiò
un gomito su di una mano, mentre con l’altra muoveva le dita
coordinandole alle
parole « Mi pareva un allegro corteo, eh? Qualcosa di
divertente?»
«…cosa
ti porta ad onorarci con la tua
presenza…?» di nuovo Xemnas, con quel suo tono che
imponeva rispetto e non
ammetteva repliche. A quel repentino richiamo, l’uomo
incappucciato non poté
fare altro che interrompersi e rispondere:
«Sai,
“capo”, sarò anche un completo
ignorante in materia “sentimenti umani”, ma so alla
perfezione cosa voglia dire
“annoiarsi”» si fermò un
attimo, poggiando una mano sul fianco e portandosi il
dito indice dell’altra all’altezza della tempia
«N-O-I-A. Memorizzato?»
«Oh,
per favore!» esclamò ad un tratto
l’ultimo membro del piccolo gruppo, scuotendo i capelli di un
castano ramato
«La smetteresti di gesticolare? Ci prendi per
imbecilli?»
«
Marluxia, non dargli corda, o non la
smetterà mai.» lo ammonì Zexion,
rimanendo immobile con lo sguardo distratto,
rivolto verso nessun punto in particolare. Il giovane si
zittì stringendo i
pugni, ma nello scorgere lo sguardo di Larxen, comprese che non era
l’unico ad
essersi spazientito.
«E
cosa intendi fare per…» Xemnas
rimase un attimo soprappensiero, prima di riprendere, voltando
leggermente il
capo verso il numero VIII e sollevando le sopracciglia
«…come dire, placarti?»
Tutti
si voltarono all’unisono verso
l’uomo che continuava a nascondere il volto sotto quello
spesso cappuccio nero,
impazienti, mentre quello si stringeva nelle spalle con fare noncurante:
«Oh,
non saprei…» si finse assorto per
un attimo, prima di continuare, dirigendo a Xemnas un gesto veloce
della testa
e della mano «…vado a prendere il nuovo,
mmh?»
Zexion
sollevò gli occhi di botto,
mentre la bocca gli si dischiudeva in un’espressione di
gelido stupore:
«Non
ci pensare neanche.»
«Avanti,
perché no?» ribatté quello,
spostando il proprio peso da un piede all’altro «
Ho già preparato un così bel
comitato di benvenuto…dovrei sprecarlo?»
Zexion
rimase spiazzato, cercando
disperatamente le giuste parole per contrastarlo, ma tutto quel suo
gesticolare
gli confondeva le idee; si voltò verso Xemnas in cerca di
appoggio, ma le
parole che gli uscirono di bocca lo lasciarono letteralmente basito:
«Vai
pure…per me non fa differenza.»
«Grazie
mille.» senza farselo ripetere
due volte, con un leggero sorriso malizioso che gli illuminava il viso
adombrato, l’VIII salutò il gruppo con una rapida
mossa della mano e venne
nuovamente avviluppato da spirali di fumo nero che lo inghiottirono e
poi si
dissolsero, lasciando i quattro a fissare il vuoto.
Dopo
pochi istanti di quiete, Xemnas
riprese ad avanzare, come se nulla fosse successo e i suoi tre
compagni,
seppure un po’ riluttanti, si voltarono verso di lui e
tornarono a seguirlo.
«Xemnas,
non mi fido di lui…» fece
Marluxia, fissandosi i piedi che andavano l’uno davanti
all’altro, alternandosi
«Perché gli hai dato il permesso?» al
suo fianco, Larxen annuì
impercettibilmente, mentre continuava a guardare i due uomini davanti a
sé con
cipiglio altezzoso.
«L’VIII
non è poi così poco affidabile,
in fin dei conti.» Zexion rispose senza guardarli, ignorando
il movimento di
Larxen che aveva scorto per un attimo con la coda dell’occhio
«Tra noi è uno
dei più abili in battaglia...e se la cava anche con le
parole.» guardò il
soffitto, lasciando che le braccia gli ricadessero lungo i fianchi
« Voi due
avete ancora molto da imparare
sull’Organizzazione.»
Oo°*°oO
«Ah…
Finalmente riuscirò a sgranchirmi
un po’ le gambe e a respirare un po’
d’aria nuova!» un paio di stivali neri
saltarono oltre un’ombra che sembrava essere apparsa dal
nulla, fluttuando a
mezz’aria, quasi fosse sorretta da un filo invisibile, e
che all’interno
luccicava di bagliori e lampi dai mille colori screziati. Il numero
VIII
atterrò sull’asfalto con eleganza, senza
scomporsi. Quando il Portale si restrinse
e scomparve lentamente oltre le sue ampie spalle, coperte dalla lunga
veste
corvina, sospirò poggiando le mani sui fianchi con
scioltezza:
«Non
ne potevo più delle teorie di
Vexen. Mi ripete sempre le stesse cose almeno una decina di volte
e…Ah, vecchio
burbero e logorroico che non è altro! Quando inizia a
spiegarmi tutti i suoi
noiosissimi esperimenti, dopo un po’ non lo reggo
più. È soporifero. Ha un tono
di voce che mi mette addosso un sonno…!...non lo sopporto.
Brrr.»
Alzò
lentamente il volto incappucciato,
orientando lo sguardo proprio davanti a sé, dove si
stagliava una parete buia e
grigia a poco meno di un metro di distanza da lui. Sotto il lungo
copricapo
nero che gli oscurava in parte la visuale, aggrottò le
sopracciglia e arricciò
la punta del naso, sconcertato.
«Mmmh.»
Facendo
scorrere la vista alla sua
destra, con fare guardingo, riusciva solo a scorgere un angolo
strettissimo,
che collegava l’ampia parete che si ergeva davanti a lui ad
un altro muro
spoglio e ingrigito. E la stessa visuale si prospettava alla sua
sinistra.
Tornò a fissare l’ostacolo che si innalzava
proprio davanti al suo naso, ancora
più turbato di prima. Qualche istante dopo, alzando le
braccia al cielo e
gesticolando con le mani, urlò, scuotendo il capo:
«Si
può sapere dove diavolo sono
finito?!»
Ruotandosi
di centottanta gradi,
spazientito, si accorse che il posto dove era atterrato era un vicolo,
rigorosamente cieco. Incamminandosi risoluto verso
l’uscita della viuzza,
prese a massaggiarsi il collo con la mano sinistra, borbottando tra
sé e sé.
«Mpf!
Ma tu guarda se quel coso mi doveva
far sbucare nel pieno di
un lercio budello di…Crepuscoli?!»
Il
numero VIII osservò il rustico
paesaggio urbano che si espandeva sotto i suoi occhi, illuminato da una
luce
rosseggiante che tingeva ogni cosa del suo colore tenue. Sorrise,
avanzando
intraprendente per la larga via ciottolata dove l’aveva
condotto il piccolo e
buio vicoletto, e seguì l’istinto, che, come un
sesto senso, gli indicava la
strada da percorrere.
«Ma
tu guarda…uno dei posti più
suggestivi al mondo, eh? Crepuscoli, la città
dell’eterno tramonto, dove la
giornata è un perenne pomeriggio! Interessante. Assomiglia a
una di quelle
località paradisiache dove vanno a rifugiarsi le coppiette
sdolcinate…! Ah,
penso proprio che mi gusterò per bene questa allegra
gita…se avessi ancora un
cuore, ci farei un salto più spesso, qui a
Crepuscoli!»
Procedendo
a passi ritmati,
l’incappucciato notò che ad attraversare la
città rischiarato dalla luce
aranciata del sole calante, vi era esclusivamente lui. Il borgo era
silenzioso
e per la strada echeggiava solo l’insistente incedere dei
suoi stivali; i
battenti di molti edifici erano chiusi, e oltre i lucidi vetri di
qualche
finestra dalla persiana aperta, si potevano scorgere solo i
drappi tirati
delle tende.
«Dormono
a quest’ora?...bah. Tanto
meglio per il sottoscritto “Numero
VIII”!
Io, fortunatamente, ce l’ho un nome, e gradirei essere
appellato per mezzo di
quello, e solamente quello! Non sono mica stato marchiato con quel
numero
perché sono una cavia da laboratorio, eh! Stupido
Zexion… quando è così formale
sembra proprio il cocco del “capo”. Xemnas lo ha
proprio addestrato come un
cagnolino da riporto… certo che il Signor VI potrebbe anche
mostrarsi meno leccapiedi,
ma comunque stiano le cose, rimane sempre troppo rigido per i miei
gusti. Anche
se non è poi così tanto
antipatico,
anzi: quando non lecchina Signor “Tono Altezzoso”
è abbastanza gradevole la sua
compagnia. Scommetto che adesso direbbe “Numero VIII,
anziché blaterare idiozie
sui tuoi superiori, goditi la scampagnata”. Ci puoi giurare,
“Ciuffo Azzurro”.»
Si fermò presso uno svincolo, lanciando occhiate fulminee
sul circondario, per
individuare su quale direzione avviarsi. Inspirò
profondamente, per sfiatare
poi l’aria raccolta con foga. Alzò il palmo
sinistro verso il cielo, e con
l’altra mano si carezzò la tempia, con aria
scocciata e un po’ frustrata, e
riprese «Dannazione. Quel nanetto mi ha distolto
dall’obbiettivo e ora non
riesco più a localizzare dove si trovi il
novellino…Sarà meglio fermarsi un
attimo…»
La
risposta, giunse rombante alle
orecchie dell’incappucciato numero VIII: una goccia di
pioggia sul suo guanto
nero, seguita da un fragoroso tuono che squarciò la quiete
della città, lo fece
quasi trasalire, destandolo dalle sue riflessioni.
«Il
che è tutto dire, eh?» Domandò al
nulla, abbassando l’arto sinistro con flemma. Puntuale,
giunse un altro tuono,
come il rintocco di una campana. «E va bene,
d’accordo: vado a prendere il
XIII, ho capito. Non mi è concesso svagarmi, oggi. Prima lo
trovo, meglio è.»
Mentre
riprendeva a camminare, le gocce
di pioggia iniziarono a susseguirsi una dopo l’altra, sempre
più velocemente,
scivolando lungo il suo giaccone scuro e insinuandosi oltre i bordi
dell’ampio
cappuccio. Il vespro scomparve all’orizzonte, lasciando posto
ad un cielo
monotono e alle nuvole plumbee che estendevano la loro ombra grigia
lungo le
strade e i palazzi. Il numero VIII avanzava col capo chino per la sua
strada,
sentendosi appesantito dall’incessante piovigginare e
leggermente infreddolito.
Un altro tuono lo incitò ad incalzare il passo.
«Altro
che gitarella!» sibilò,
spazientito «Novellino…ti sto alle calcagna come
un segugio è sulle tracce
della sua preda: lasciati trovare! Non sei tanto lontano, no?»
L’VIII
si portò una mano alla tempia,
vacillando «Riesco quasi a…»
avanzò di qualche passo, fermandosi di colpo, come
se qualcosa avesse attirato fortemente la sua attenzione. Alla sua
destra si
apriva una stradina buia e silenziosa, apparentemente deserta.
Strizzò gli
occhi e tese l’orecchio non appena percepì un
affannoso respiro provenire dal
fondo della stradina, seguito dal rumore metallico di qualcosa che
cadeva a
terra. Ai suoi piedi rotolò il coperchio di un bidone della
spazzatura, che si
era rovesciato a pochi metri di distanza. Avanzando con cautela fra il
sudiciume del vicolo, finalmente riuscì a distinguere
qualcosa che risaltava
oltre tutto quel buio; una massa indefinita e bianchiccia tremava
raggomitolata
su un angolo, nascosta da un paio di bidoni e da qualche sacchetto
della
spazzatura, e gemeva mugolii gutturali di timore e angoscia: un
bambino. Quando
l’incappucciato gli fu davanti, lo squadrò,
protetto sotto la sua veste
fradicia, puntandolo con cattiveria.
«Salve,
marmocchio.»
I
grandi occhi blu del ragazzino
tremarono alla vista di quell’alta ombra nera, e si strinse
ancora di più fra
se. Si spaventò ulteriormente quando
l’incappucciato si chinò su di lui, e si
voltò contro il muro, dandogli le spalle, impaurito.
L’altro lo osservò bene,
prima di aprir bocca nuovamente; era molto giovane, con i tratti del
viso
ancora troppo puerili per definirlo un ragazzo. Era completamente nudo,
e si
riscaldava raccogliendo le gambe a se stesso e stringendole con forza
sul
petto. Era parecchio trasandato, sporco e provato, e tentava di
nascondersi il
volto oltre una frangetta spettinata tra il castano e il biondo,
più spaventato
e spaesato che mai. Il numero VIII abbozzò un sorrisetto
ironico nel vedere
quel bamboccio dalle membra malferme, e lo appellò
freddamente.
«Pare
proprio che sia tu il novellino a
cui Xemnas da la caccia, eh?...Non c’è
dubbio.»
Sentendo
quella voce, il bambino mandò
un’occhiata fugace alle sue spalle, terrorizzato, ma nascose
subito il volto
fra le ginocchia non appena notò un movimento
dell’incappucciato che gli si era
fatto più vicino.
«Alzati.
Non ho tempo da perdere.»
L’VIII
lo richiamò nuovamente con tono
gelido, ma il ragazzino non ne volle sapere ne di rispondergli ne di
alzarsi
dal suo lercio angolino. L’incappucciato, in
quell’istante di silenzio, provò
una strana avversione nei suoi confronti. Gli stava facendo perdere
tempo, lo
stava ignorando e lo guardava di sbieco con quei grandi occhi profondi,
come se
la sua presenza in mezzo a tutta quella spazzatura significasse meno di
niente.
Una delle cose che l’VIII odiava di più al mondo,
oltre bagnarsi, era lasciar
scorrere via inutilmente tutto quel tempo prezioso.
Alzò
una gamba, deciso a spronarlo con
un calcio, ma si bloccò pochi istanti dopo. Gli si
mozzò il respiro,
mentre percepiva lievemente una strana sensazione all’altezza
del petto, una
sorta brivido bollente che lo ghiacciava sotto quella lunga veste nera,
sotto
la sua pelle, e gli raggiungeva la gola…era un qualcosa che
non riuscì a
spiegarsi. Non sapeva per quale motivo, ma alla sola idea di dover
picchiare
quel bambino gli si erano tesi i muscoli…
Sbuffò,
accigliandosi, mentre poggiava
il piede sulla schiena del ragazzino, smuovendolo leggermente.
«Dai,
alzati! Dobbiamo muoverci! Non
vedi come piove? Ehi, ma mi stai ascoltando?»
Il
bimbetto non reagiva né alle sue
parole, né alla lieve pressione che sentiva sulle scapole.
Tremava come una
foglia, e sembrava quasi che da un momento all’altro potesse
dissolversi nel
buio cupo di quel vicolo.
Confuso
ed un po’ irritato, l’VIII
continuò a squadrarlo dall’alto, incerto sul da
farsi, mentre sollevava il
piede e lo riportava al fianco dell’altro, caricandovi sopra
il proprio peso.
Con fare indifferente, portò i pugni lungo i fianchi,
stretti sotto la lunga
veste che accentuava le linee morbide e sinuose della sua figura
snella.
«E’
inutile che fai finta di non
vedermi,» disse con tono teatrale «Io non me ne
vado da qua fino a quando non
ti deciderai ad alzarti. Devi venire con me: punto e basta! Non hai
diritto di
replica. Comprendi?»
Il
numero VIII si accovacciò con le
gambe leggermente divaricate davanti al ragazzino, sostenendosi con le
punte
dei piedi, e scaricando il peso delle lunghe braccia poggiando i gomiti
sulle
proprie ginocchia e intrecciando fra loro le dita affusolate. Il
bambino poté
scorgere con la coda dell’occhio due labbra schiuse in un
lieve sorriso che ad
un tratto gli parlarono con gentilezza, quasi cercando di confortarlo.
«Guarda
che non ho alcuna intenzione di
farti del male. Te lo giuro…»
Con
un gesto fluido, sollevò la mano
sopra la sua testa, sfiorando il tessuto lucido della veste e facendo
scivolare
il cappuccio sulle spalle larghe.
«Il
mio nome è Axel…» il sorriso
divenne leggermente più ampio
«Memorizzato?»
Il
gracile biondino si voltò verso il
suo interlocutore, osservandolo nei minimi particolari con quei suoi
occhi
luminosi come zaffiri.
Ciò
che vide era un giovane viso
sorridente dalla carnagione chiara che spiccava sul buio circostante.
Il capo
leggermente inclinato, dalla posa ingentilita, lasciava ricadere sui
tratti di
quel volto amichevole lunghe ciocche di un insolito colore rosso, che
la
pioggia aveva appesantito e spettinato. Due grandi occhi espressivi dal
taglio
lievemente allungato lo fissavano di rimando sotto le sottili
sopracciglia: le
iridi dalle screziature smeraldine incorniciavano una piccola pupilla
nera,
contornata da sprazzi di un verde chiaro e fresco, che brillava in
maniera
diversa ad ogni sua espressione. Sotto gli zigomi, spiccavano due
piccoli segni
rossi che parevano lacrime di sangue.
Un
tuono gli illuminò il volto, e la
pioggia si fece più insistente, tanto che il giovane vide i
capelli vermigli
scivolargli sul volto, limitandogli la vista. Alcune ciocche si
insinuarono
assieme a numerose fredde gocce lungo il profilo del suo collo, che
scompariva
oltre il colletto del cappuccio.
Il
ragazzino continuava a fissarlo,
disorientato. Senza il cappuccio a celargli il viso,
l’aspetto di quell’uomo
non sembrava più così ostile, e
quell’espressione conciliante che gli leggeva
sul volto gli infondeva una strana sensazione di sicurezza. Distolse un
attimo
lo sguardo e starnutì, socchiudendo gli occhi. Quando li
dischiuse, vide un
grande palmo nero aprirsi proprio sotto il suo naso.
«Se
ti fiderai di me, ti condurrò in un
posto sicuro…» la voce cambiò
leggermente tono « …e soprattutto caldo
e
asciutto, protetto da questa odiosa pioggia incessante e
particolarmente
fastidiosa.» gli occhi tornarono allegri
«…che ne dici?»
Il
biondino allungò lentamente il
braccio con titubanza, ed un attimo dopo Axel lo afferrò per
il polso e lo tirò
su con un forte strattone, riportandolo in piedi.
Il
giovinetto iniziò nuovamente a
tremare per il freddo e abbassò il capo, quando,
improvvisamente, sentì
qualcosa di caldo ricadergli sulle spalle; sorpreso, si
ritrovò sul capo lo
stesso cappuccio nero che aveva nascosto il volto di Axel pochi istanti
prima.
Raccolse i drappi fra le mani e davanti a sé vide il giovane
dai capelli rossi
vestire solo una canottiera e dei pantaloni neri, le cui pieghe
scomparivano in
due lunghi stivali, mentre la pioggia incessante gli bagnava le braccia
nude.
«Mettitelo
e cammina. Se non ci
muoviamo mi prenderò una bella strigliata da
“Ciuffo Azzurro”.»
Mentre
il piccoletto si accingeva ad
indossare la lunga veste, i cui risvolti pendevano da ogni parte e gli
imponevano un’andatura goffa, Axel avanzò risoluto
verso l’uscita del vicolo,
senza voltarsi, né tanto meno arrestarsi ad aspettarlo.
Quando
il ragazzino lo ebbe raggiunto,
si fermò al suo fianco ed iniziò a studiarlo dal
basso, incuriosito. Axel lo
fulminò di sottecchi, e il marmocchio sobbalzò,
impaurito, piantando gli occhi
a terra. L’VIII sorrise con aria divertita e si
passò una mano fra i capelli,
raccogliendoli all’indietro per facilitarsi la visuale.
«Non
temere, ti troverai bene.»
bofonchiò Axel, scrollandosi l’acqua dai capelli
scompigliati «Se non ti
caccerai nei pasticci e farai il bravo, non è detto che tu
non riesca ad
accattivarti il rispetto di qualcuno…anche se è
difficile intenerire qualcuno
che non sa nemmeno cosa significhi…come noi
Nobody.»
Mentre
lo ascoltava, il ragazzino si
accigliò, senza riuscire a comprendere appieno il
significato delle sue
parole.
Axel
lanciò al novellino un’ultima
occhiata, quasi soddisfatto del suo disorientamento, poi tese un
braccio dritto
davanti a sé ed aprì la mano. Mentre il bagliore
bluastro del Portale si
espandeva oltre le sue dita, chinò leggermente il capo di
lato, impaziente,
cercando di ignorare i sobbalzi atterriti che scorgeva al suo fianco,
dal
gracile nuovo Nobody che si teneva stretto in quella veste fin troppo
lunga.
Lasciò
ricadere la mano aperta lungo il
fianco, mentre osservava con aria compiaciuta lo squarcio
d’oscurità che aveva
appena terminato di aprirsi tra le gocce di pioggia, attraversato da
sprazzi di
luce che si muovevano come il moto del mare. Un solo passo, e sarebbe
stato
finalmente all’asciutto.
«Si
parte, marmocchio. Andiamo
all’Organizzazione.»
Avanzò
qualche passo deciso e immerse
la metà destra del suo corpo tra quella massa informe di
luci e colori che
sembrava inghiottirlo lentamente, quando si accorse che il piccolo
biondino era
rimasto impalato a qualche passo di distanza da lui e osservava la
scena
spaventato e quasi inorridito, portandosi le mani tremanti alla bocca e
sgranando i grandi occhi femminei color del cielo. Axel gli tese una
mano,
invitandolo a seguirlo con un cenno.
«Su,
aggrappati: se mi stai vicino non
ti succederà nulla, promesso.» vedendo che il
ragazzino non accennava a
muoversi di un millimetro, l’VIII dischiuse le labbra in un
sorriso lievemente
intenerito «Imparerai che questo squarcio gelatinoso che
galleggia a mezz’aria
è un utilissimo mezzo di trasporto per noi Nobody. Non devi
averne paura…anzi,
è divertente. Ogni volta che ci salto dentro…mi
sembra di fluttuare, come se
fossi una nuvola. E poi…credimi: se una cosa
l’approvo io,» proseguì,
puntandosi il pollice sul petto «allora è
brevettata per chiunque su questo
mondo.»
Il
biondino si aggrappò al braccio del
ragazzo, stringendolo con forza prima di venire inghiottito dal
Portale, il
quale era effettivamente di una consistenza impalpabile, come aveva
affermato
Axel;venendo anch’egli avviluppato da quelle spirali liquide
multicolore gridò,
ammonendo il bambino che gli si era appioppato sull’arto
sinistro:
«Se
ti appiccichi così mi stacchi un
braccio! Guarda che non vado da nessuna parte, eh?!»
Lo
squarcio si restrinse e scomparve
oltre il guanto del numero VIII lasciando un’umida Crepuscoli
nel silenzio.