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Autore: Serenity Moon    23/03/2013    3 recensioni
"L'ora che precede l'alba è sempre quella più nera, ma piano piano, i raggi del sole cominciano a far capolino. Con una lentezza dilaniante, squarciano le nubi e colorano il cielo di infiniti miliardi di sfumature. E' quello lo spettacolo più bello, l'attimo prima dell'alba. L'istante in cui il sole si fa attendere, hai paura che non arrivi più, ma sai che c'è, devi solo dargli il tempo giusto perché sorga e ti abbagli, in tutto il suo splendore.
Ed io ero così. Ero un'alba che aspettava di nascere.
E lui era la Terra che gira. Mi ha dato vita e luce e poi me le ha tolte entrambe".
Dopo tanta attesa, ecco finalmente, il prequel di 'Bitch'.
Bentornata, Jude.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bitch '
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Dawning bitch

 

# 9

 

Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non lo avrai mai”.

Garcia Marquez

 

Everybody hurts (parte 1)

 

L'orologio segnava le cinque del mattino. Mi aspettava un'altra giornata senza fine e soprattutto senza Ryan.

Quanto ancora sarebbe rimasta in città quella? La odiavo ogni secondo di più se era possibile e detestavo me stessa perché non mi piaceva la persona che trovavo riflessa nello specchio. Tutti i progressi che avevo fatto stando con Ryan sembravano svanire al pensiero di lei.

Mi faceva sentire marcia.

Provai a riaddormentarmi, ma le immagini del sogno comparivano non appena chiudevo gli occhi e pur di non rivedere l'espressione ferita di Ryan, li tenni aperti, fissando un punto impreciso nel buio, fino a quando anche questo iniziò a diradarsi.

Non volevo alzarmi.

Mi rannicchiai su me stessa, in attesa che il cellulare desse qualche segnale di vita.

Per tutta la mattinata purtroppo, restò in assoluto silenzio.

Alla fine mi tirai in piedi e mi dedicai un po' alla casa -di nuovo-. Ormai era immacolata da un pezzo e pulire non diede i risultati sperati.

Cercai di ricordare cosa facevo della mia vita prima di conoscere Ryan. Nulla. Il vuoto totale.

C'era qualche bevuta, le ricorrenze con la mia famiglia, la scuola e poi l'università, ma era come guardare tutto in una vecchia televisione in bianco e nero. I colori erano comparsi insieme a lui. Era stato lui ad aver dato un senso a tutto.

E ora che non c'era, la corrente si era interrotta e la TV era spenta, guasta.

Mi mancava da impazzire.

Mi sforzavo di trattenere l'istinto di prendere il cellulare e chiamarlo. Non potevo sapere se erano insieme. Se avesse squillato e lei fosse stata nei paraggi? Come lo avrebbe giustificato?

Gli avrei creato dei problemi e non volevo. Non ero la Jude del sogno, grazie al cielo.

Lo poggiai sul tavolo, come la prima sera in cui gli avevo lasciato il mio numero e sdraiata sul divano, lo fissai, quasi che, concentrandomi abbastanza, avessi potuto smuoverlo col pensiero.

Mi appisolai e nel dormiveglia, sentii uno strano rumore. Quando aprii gli occhi, il display era illuminato e il cellulare vibrava.

Lo afferrai con uno scatto e risposi all'istante.

La sua voce fu subito un toccasana.

«Ciao». E di colpo tornarono luci e colori.

«Ehy». Il mio sollievo era palese

«Stavi dormendo?». Smorzò una risatina ed automaticamente sorrisi anche io. Gli bastava così poco per rendermi felice.

«Non ho niente di meglio da fare» biascicai alzandomi. Avevo il collo tutto indolenzito per la posizione strana che avevo assunto.

«Studiare no, vero?».

Già, lo studio. Mi era completamente passato di testa.

«Ehm... La prossima volta».

Lo immaginai scuotere il capo a destra e sinistra ed alzare gli occhi al cielo a quelle parole, un po' divertito per la mia sbadataggine.

«Sei libero?» gli chiesi. Speravo in tutti i modi che mi dicesse di sì.

«Per un po'. E' andata dal parrucchiere».

Meglio di niente.

«E... hai da fare?». Adesso pregavo per un no.

Rimase un po' in silenzio, valutando attentamente le conseguenze di una possibile risposta.

«Devo fare attenzione».

Involontariamente sospirai e lui se ne accorse.

«Piccola...».

Strinsi gli occhi ed ingoiai il groppo che mi aveva bloccato la gola. Non ce la facevo più a stargli lontana. Era un dolore fisico, mi sentivo bruciare letteralmente. Non avevo mai provato nulla del genere e non mi piaceva per niente.

«E' tutto okay» sussurrai.

Qualche altro istante di silenzio e poi parlò di nuovo.

«Cinque minuti» e la linea cadde.

Rimasi col cellulare in mano, senza capire cosa intendesse.

Puntai lo sguardo sulla porta, sicura di aver sentito male, di aver frainteso. Forse era entrato qualcun altro a cui aveva risposto ed aveva dovuto mettere giù per non farsi scoprire.

Forse invece sarebbe venuto davvero...

Mi arrotolai nella coperta, di guardia, sperando di sentire il motore della sua auto, neanche avessi i superpoteri.

Un quarto d'ora dopo ero ancora immobile, in attesa.

Cominciavo a convincermi di essermi davvero sbagliata, quando una chiave girò nella toppa e la maniglia si abbassò.

Un'occhiata veloce al suo volto, poi scattai in piedi e in men che non si dica, mi fiondai fra le sue braccia. Fui immediatamente travolta dal suo profumo, che l'assenza aveva reso più dolce di quanto ricordassi.

Dopo un attimo di sorpresa, anche lui mi strinse. Fece scivolare una mano fra i miei capelli e abbassò il capo sul mio.

In quel momento avrei giurato di essergli mancata in tutto quel tempo.

Sciolse l'abbraccio per baciarmi le labbra, anche se con una certa titubanza.

«C'è qualcosa che non va?» chiesi allarmata.

«Pensavo fossi...» si interruppe, incapace di trovare il modo esatto di esprimersi.

«Va tutto bene» lo rassicurai. «Sei qui».

Mi sorrise rincuorato.

Ci sedemmo sul divano, dalla televisione, in sottofondo, arrivavano gli schiamazzi di un varietà.

«Non posso restare per molto, ma ho due notizie» mi disse biforcando le dita. Gliele afferrai e le intrecciai alle mie.

Guardavo, anzi divoravo il suo viso. Mi sembrava di non vederlo da secoli e la sua bellezza ancora una volta, mi lasciò senza fiato.

«Fammi indovinare, una bella e una brutta».

Mosse la testa come a voler dire 'più o meno'.

«Prima quella bella». Ne avevo proprio bisogno.

«Va via sabato notte».

Dovetti trattenermi per non esultare a quella rivelazione. Mi sarei volentieri messa a saltare e a far le capriole per la contentezza. Sabato notte. Era 'solo' venerdì, potevo farcela, ancora poco più di un giorno e poi il supplizio sarebbe finito.

Ryan notò la scintilla che si era accesa sul mio viso, ma che si spense subito ricordandomi dell'altra notizia, quella più o meno cattiva.

«Vai con lei?» chiesi sentendomi mancare.

«No, no, assolutamente».

Tirai un gran sospiro di sollievo. Quello non avrei proprio potuto sopportarlo.

«La brutta notizia è che devo un favore al mio migliore amico. Domenica devo andare con lui e molto probabilmente non potremo vederci».

Stemperata dalla paura della mia folle ipotesi, non mi sembrò così cattiva. Ci saremmo comunque potuti sentire e già solo il fatto che non sarebbe stato con lei, faceva tanto.

«Pensavo peggio».

Mi sorrise e mi accarezzò i capelli. Chiusi gli occhi al suo tocco, assaporando il calore delle sua mani che pian piano scendevano sulle guance, si fermavano sotto il mento per alzarlo e permettermi di baciare le sue labbra.

Sebbene avessimo una marea di cose da raccontarci, trascorremmo la maggior parte del tempo in silenzio, solo scambiandoci occhiate a volte divertite, altre scherzose. Erano comunque sguardi felici, di quelli che fino a qualche mese prima non avrei mai pensato potessero esistere.

Rimanemmo abbracciati fino a quando il suo cellulare squillò. Non sapevo quanto fosse passato di preciso.

Ryan si portò l'indice sulle labbra ed io annuii. Era lei.

Serrai gli occhi e mi rifugiai sul suo petto mentre parlavano. Poche battute. Aveva finito e aspettava che lui lo andasse a prendere.

«Ma dove sei?».

Sbirciai il volto di Ryan, la sua espressione mentre le raccontava l'ennesima bugia e mi sorpresi constatando che non mi sentivo per niente in colpa.

«Con Dave. Sta sbrigando una commissione. Arrivo».

La sua naturalezza invece mi colpì. Lo aveva detto in maniera così normale che quasi quasi ci avrei creduto anche io.

Riattaccò con un sospiro e fece per alzarsi.

«Devo andare» sussurrò dispiaciuto.

Nascosi il dolore dell'imminente separazione dietro un sorriso.

«E' questo il favore che devi al tuo migliore amico?».

Strinse gli occhi come suo solito per dirmi di sì, poi parve riflettere e si accigliò.

«Ti da fastidio?».

Mi avvicinai a lui e gli allacciai le braccia al collo. La coperta che avevo sulle spalle si era trasformata in un buffo mantello e arrivò a coprire anche un po' delle sue.

Scossi la testa e mi alzai sulle punte per baciarlo.

Non si fece pregare. In un attimo le sue mani mi strinsero i fianchi e i nostri corpi aderirono l'uno all'altro.

In quel bacio furono racchiusi tutti quelli che ci eravamo negati nei giorni precedenti e quelli che non ci saremmo potuti scambiare in quelli a venire. Era un po' un compenso per la sofferenza che il dover stare lontani ci causava. Una promessa che sarebbe finito anche quel periodo e tutto si sarebbe sistemato.

«Ringrazialo anche da parte mia» bisbigliai tornando a poggiare i piedi a terra, in tutti i sensi.

Lui sorrise. Un altro bacio veloce e poi corse via.

 

L'esperienza degli anni mi aveva insegnato che se Vanessa mandava un SMS potevo stare tranquilla. Se chiamava era successo qualcosa che doveva per forza raccontarmi. Se invece si presentava sulla soglia di casa mia col fiatone, la situazione era davvero grave.

Per questo motivo quando sabato mattina me la ritrovai scalpitante sullo zerbino dapprima mi preoccupai.

La fissai stralunata ed ancora assonnata. Aveva le guance rosse ma i capelli biondo miele in perfetto ordine. Si era sicuramente sistemata prima di suonare. Non riuscivo a capire cosa avesse.

Scandagliai il suo viso in cerca di qualche indizio.

'Oh cazzo, mi ha scoperta' pensai. Cos'altro poteva averla portata da me in quel modo?

Entrò in casa come un razzo e si fermò al centro della cucina. La osservai sospettosa. Si attorcigliava le mani un po' nervosa, ma eccitata.

«Ti ricordi quel ragazzo di cui ti avevo parlato?» iniziò senza tanti preamboli.

Nascosi la sorpresa ed il sollievo insieme. Ragazzo? C'era di buono che Ryan ed io eravamo ancora al sicuro.

Feci di sì con la testa anche se non era vero, ma non potevo di certo deluderla. D'un tratto mi resi conto che era davvero su di giri per la contentezza.

«Ti ha invitata ad uscire?» azzardai. Solo una notizia del genere poteva darle quello stato di esaltazione in cui si trovava.

«No, ma ho scoperto una cosa».

Mi mise le mani sulle spalle e mi costrinse a sedermi sul divano. Mi si piazzò di fronte di fronte, le brillavano gli occhi. Brutto segno.

«Ieri stavamo chiacchierando e gli è sfuggito di essere un grande appassionato di hockey. E indovina? La sua squadra del cuore gioca domani, qui, in città».

Terminò la frase con un gridolino, battendo le mani. Per un attimo mi esaltai insieme a lei, poi però, cominciai pian piano ad avere qualche sospetto. Il suo sguardo la diceva lunga sul fatto che voleva fare qualcosa ed io avrei dovuto aiutarla e se c'era di mezzo un ragazzo potevo pure iniziare a confessare tutti i miei peccati, perché difficilmente ne sarei uscita illesa.

«Cos'hai in mente?» chiesi già terrorizzata. Aveva già organizzato tutto nei minimi dettagli, ne ero certa. Probabilmente aveva pure stilato una scaletta con gli orari esatti.

«Niente, dobbiamo solo casualmente trovarci lì anche noi» disse in un sussurro.

Spalancai gli occhi, incredula.

«CHE COSA???».

Vanessa mi intimò di abbassare la voce. Poi mi rivolse il più significativo degli sguardi. Mi strinse le mani e mi fissò come i cuccioli affamati guardano i loro padroni. Mi stava supplicando. Maledetta, glielo avevo insegnato io quel trucco!

«Ti prego, Jude. Mi piace davvero».

La esaminai per un minuto buono, poi mi arresi. Chi ero io per impedirle di coronare il suo grande amore?

«Quando hai detto che è?».

Urlò di nuovo, mi saltò al collo e mi abbracciò fortissimo, contenta come una bambina di cinque anni. Ricambiai l'abbraccio, nonostante tutto, felice di poterle essere utile.

«Passo a prenderti domenica alle 9, puntuale» mi disse alzandosi. Doveva correre a lavoro.

Ci salutammo e andò via, più contenta di quando era entrata, lasciandomi a scuotere la testa, certa che se ci fosse stato di mezzo Ryan, avrei fatto anche peggio.

Il resto della mia giornata trascorse battendo scontrini alla cassa del negozio.

Ogni tanto alzavo gli occhi e mi ricordavo la scena di qualche giorno prima. Allora ingoiavo la disperazione e tornavo al mio lavoro. Amavo quel negozio prima che lei ci mettesse piede, perché doveva distruggere pure quella parte della mia vita? Non le bastava quanto già stesse compromettendo la mia felicità?

Come se poi ci c'entrasse davvero qualcosa! A conti fatti, lei era l'unica che non aveva alcuna responsabilità in tutta quella storia. Ma non riuscivo proprio a non odiarla per il semplice fatto che esisteva.

Mi chiedevo come sarebbe stata la mia vita senza di lei.

Una volta a casa, mi infilai il pigiama ed inserii un dvd a caso nel lettore. Alcuni sprazzi dell'incubo, ogni tanto tornavano a farsi vivi e non avevo per niente voglia di addormentarmi per paura di dover assistere di nuovo a quello spettacolo senza poter far niente per fermarlo.

Alla fine fu la stanchezza a prendere il sopravvento e un attimo dopo aver chiuso gli occhi, li riaprii quando già era giorno. Avevo dormito così profondamente da non sognare nulla e al trillo della sveglia, mi tirai su. Dovevo aiutare Vanessa, ma prima di tutto chiamare Ryan.

La prigionia era finita. Lei se n'era andata, potevo ricominciare a respirare.

La prima boccata d'aria fu il suo 'Buongiorno'. Poche lettere ed uno smile, per chiunque altro insignificanti, ma per me che ci vivevo, quel giorno in particolare, erano più brillanti e più caldi del sole dopo mesi di pioggia. Sorrisi automaticamente e mi misi addirittura a canticchiare sotto la doccia, nonostante la mia avversione per qualunque suono prodotto dalle mie corde vocali.

Alle nove in punto, Vanessa suonò al mio campanello. Era di nuovo agitatissima, ma stavolta le mani le tremavano per il nervosismo, più che per la gioia.

Cercai di tranquillizzarla in tutti i modi in cui potevo, sortendo ben pochi risultati. Alla fine mi arresi, le diedi un cioccolatino e ci mettemmo in viaggio per lo stadio.

A lavoro mi ero fatta spiegare qualcosa sull'hockey da Christie. Suo fratello giocava in una squadretta di città e sicuramente ne sapeva più di me. Vanessa mi aveva messa al corrente del suo piano: io era la grande appassionata e lei mi stava solo facendo compagnia. Mi servivano assolutamente delle informazioni, visto che non sapevo nemmeno come si scrivesse hockey.

In macchina, Vanessa chiarì alcuni aspetti del suo assurdo piano. Si era pure preparata delle frasi da sciorinare al momento giusto come risposte ad ipotetiche domande di lui o per riempire i momenti vuoti.

Ogni tanto scuotevo la testa, consapevole che la mia migliore amica diventava ogni secondo più pazza. Cosa non si fa quando ti piace qualcuno... Ero la prima a sapere benissimo che in certi casi, la razionalità non esiste.

Parcheggiò in un posto isolato, lontanissimo dall'ingresso e dovemmo fare il resto della strada a piedi. Lei correva, impaziente di entrare. Mi chiedevo come avrebbe fatto ad incontrarlo in mezzo alla confusione di tifosi, ma sicuramente era pronta anche ad una simile evenienza.

Entrammo in un atrio totalmente bianco, con inserti in blu elettrico. Sulla sinistra, un mucchio di gente faceva la fila per acquistare i biglietti. Tre sportelli erano aperti ed erano tutti pieni benché mancasse ancora un'ora all'inizio del match.

Vanessa si alzò sulle punte per ispezionare la zona, alla ricerca del suo bello, che a quanto pare non trovava.

«Cavolo, eppure la sua macchina è fuori» la sentii sussurrare in procinto di perdere la calma.

Poi d'un tratto arrestò la sua ricerca, ritornò coi piedi per terra e mi strinse il braccio.

«Eccolo» disse. Seguii il suo sguardo, fino ad incrociare il punto preciso dove si perdeva il suo.

Due ragazzi. Uno normale, anonimo, né carne né pesce.

L'altro bello, bellissimo, castano e con le spalle grandi. Il sorriso luminoso e gli occhi splendenti come due pietre preziose.

Fissai Vanessa, terrorizzata e il cuore perse un colpo, forse due. Cercai di ricordare se mi avesse detto come si chiamava il tipo che le piaceva. Sì, lo aveva fatto, il giorno prima. Com'era? Non Ryan, non Ryan...

«Dave!».

Urlò quel nome fingendosi assolutamente stupita dalla coincidenza di trovarlo lì e il ragazzo normale si voltò verso di lei, sorpreso di incontrarla.

Tirai un gran sospiro di sollievo, prima di rendermi conto che però quel Dave era lo stesso che avevo ringraziato due giorni prima, quello a cui ero grata per avermi concesso alcuni minuti con Ryan, quello che sapeva di lui e me.

E Ryan gli stava proprio a fianco.

Mi avvicinai, titubante e imbarazzata. Non sapevo dove guardare, mentre dentro di me lo stomaco faceva le capriole per la contentezza di vedere Ryan.

Sbirciai la sua espressione. Anche lui era sorpreso e il suo bel sorriso non si era spento. Forse anche lui era felice di vedermi, o forse semplicemente stava facendo finta di nulla, come avrebbe dovuto.

A turno fecero le presentazioni. Dave si fece scappare un sorrisetto malizioso stringendomi la mano. Ryan invece la prese normalmente, ma si trattenne un secondo di più, tanto perché il suo calore non si fermasse solo alle dita.

«Jude adora l'hockey» stava spiegando Vanessa ad un ancora incredulo Dave.

Mi sentii osservata e mimai una specie di esultanza che risultò molto più buffa che convincente. Ryan di fronte a me, soffocò una risata. Ero sicura che avesse già collegato tutti i fili. Forse se gli avessi parlato di Vanessa, avrebbe capito tutto già dal primo secondo, al contrario di me che nonostante avessi già sentito il nome di Dave non avevo fatto caso a niente. Mi sentii in colpa nei confronti della mia migliore amica.

«Vado a prendere i biglietti».

La fila si sfoltiva e presi dalla chiacchierata, nessuno si era ricordato di quel piccolo particolare.

Senza tanti convenevoli, mi aprii un varco per raggiungere il botteghino meno pieno, seguita dallo sguardo di Ryan.

Avevo sentito il bisogno impellente di allontanarmi da Vanessa dopo essermi resa conto del mio comportamento nei suoi confronti. Sovrappensiero, muovevo piccoli passi, in attesa del mio turno e quando finalmente arrivò, chiesi distrattamente quattro tagliandi al tipo dietro il vetro. Mi sembrò che ci mettesse un secolo per darmeli.

«In che settore preferisci?».

Guardai verso il trio poco lontano e mi pentii all'istante della mia intraprendenza. Settore? E che ne sapevo?

«Da dove si vede meglio» risposi incerta.

Il tipo rise, divertito. Poi mi porse quattro biglietti per la seconda fila della tribuna.

«La prima è piena, ma ti assicuro che lì è pure meglio» mi disse facendomi l'occhiolino.

Li presi, pagai e andai via senza voltarmi. Ne diedi uno a Vanessa e gli altri due ai ragazzi che guadarono sbalorditi prima loro e poi me.

«Seconda fila in tribuna? Come hai fatto?».

Feci spallucce. «Li ho chiesti».

«Davvero esperta la tua amica» disse Dave, rivolgendosi a Vanessa che nel frattempo se la rideva sotto i baffi.

Si incamminarono lasciando dietro Ryan e me. Era buffo. Quello che era partito come un blitz si era trasformato in una specie di appuntamento a quattro.

Vanessa e Dave continuavano a parlare. Sembravano entrambi a loro agio e la cosa mi rasserenò molto. Studiavo i comportamenti di lui in modo tale da poterli poi riferire a lei, in un secondo momento, da brava amica.

«Ehi! Ehi!».

Vanessa si fermò di colpo e rischiai di arrivarle addosso.

«Credo stia parlando con te» bisbigliò indicandomi un ragazzo alle nostre spalle che cercava di farsi largo tra la calca. Tutti e quattro ci voltammo verso di lui e riconobbi il tipo del botteghino.

«Hai dimenticato questo» mi disse infatti mostrandomi un orologio pure brutto.

Automaticamente alzai il polsino della maglietta e gli mostrai il mio senza dire una parola. Il tipo mugulò un 'ah' e fece per tornare sui suoi passi. Neanche un metro e ci ripensò. Si voltò di nuovo verso di noi e prese coraggio.

«Lo sapevo che non avrebbe funzionato, era un piano stupido. Senti... Ti andrebbe di uscire con me?».

Rimasi di sasso, incredula di fronte a quello che stava succedendo. Nonostante fossimo a mezzo metro di distanza sentii chiaramente Ryan irrigidirsi e stringere i pugni a quelle parole. Il tipo, che solo allora sembrò rendersi conto della composizione del gruppo fece un passo indietro.

«Sei fidanzata» affermò.

Stavo per rispondergli con un bel 'sì' convinto quando Vanessa si intromise, sancendo la mia condanna.

«No, no, assolutamente no, vero Jude?».

Incenerii Vanessa con lo sguardo, per evitare di ucciderla lì in presenza di troppi testimoni, sicura che dopo me ne sarei pentita.

«Inizia l'incontro, devo andare» dissi al tipo e mi incamminai verso gli spalti.

«E l'appuntamento?» insistette ancora il tipo. «Ti aspetto fuori alla fine del match» urlò.

«Sì, sì» mormorai infastidita.

Vanessa era già un pezzo avanti. La raggiunsi di corsa e l'afferrai per il braccio, incavolata nera.

«Che diavolo ti è saltato in mente? Perché gli hai risposto in quel modo?».

«Perché è la verità. Dai Jude, è pure carino, devi uscire con qualcuno prima o poi».

«Non voglio uscire con nessuno!» sibilai fra i denti.

Vanessa sbuffò alzando gli occhi al cielo. Si divincolò dalla mia presa e aggraziatamente raggiunse Dave, per poi mettersi al suo fianco e camminare tranquilla verso le gradinate con lui.

Per un attimo pensai di girare i tacchi ed andarmene, lasciarla lì a sbrigarsela da sola, poi però Ryan si voltò. Con la coda dell'occhio si accertò che fossi ancora con loro e quando mi vide lontana divenne scuro in viso.

Abbozzai un sorriso e mi incamminai anche io, consapevole che comunque non avrei potuto perderli di vista o non avrei saputo dove andare.

Dave controllò i biglietti con i numeri assegnati fino a trovare i nostri posti. Il tizio del botteghino aveva proprio ragione, si vedeva benissimo da lì.

Mi infilai tra i seggiolini fino al posto più lontano ed attesi che Vanessa arrivasse, ma Dave, impegnato in una coinvolgentissima conversazione con Vanessa, fece un cenno quasi impercettibile a Ryan e fu lui ad intrufolarsi in quello spazio angusto per poi sedersi vicino a me. Subito dopo Dave parve risvegliarsi e prima lui, poi la mia amica, presero posto.

Vanessa mi salutò da lontano. Ero sicurissima che non le importasse granché del fatto che eravamo separate e forse era pure meglio così. Non l'avevo ancora del tutto perdonata.

Mi concentrai sulla presenza di Ryan vicino a me. Trattenere l'impulso di prendergli la mano e stringerla era difficilissimo. Non potevo neanche soffermarmi a guardarlo, come avrei voluto fare. Era pericoloso, troppo perché mi permettessi anche solo un piccolo sgarro. Pure parlargli avrebbe potuto segnare la nostra fine, ma a quello non resistetti.

Fu un semplice sussurro, a voce bassissima, giusto il necessario perché lui sentisse.

«Grazie per esserti casualmente seduto accanto a me».

Le sue labbra si curvarono appena in un sorriso accondiscendente mentre continuava a guardare fisso il campo di ghiaccio ancora vuoto.

Intrecciai le dita e nascosi le mani fra le gambe in attesa che il match iniziasse.

Un enorme cronometro digitale agganciato al tetto proprio di fronte a noi scandiva un conto alla rovescia che sembrava interminabile. Mancava ancora una mezzora buona ed ogni secondo era un piccolo supplizio inflitto al mio autocontrollo.

Mi imponevo di restare calma e tranquilla, ma non c'era verso che dentro di me il sangue smettesse di bollire.

Ryan mi respirava accanto e l'unica cosa che potevo fare era ignorarlo.

Involontariamente sospirai.

«Vado a prendere da bere» esclamai di colpo alzandomi. «Voi volete qualcosa?».

Speravo che mi dicessero di no. Detestavo il pensiero di dover imbracciare quattro lattine e girovagare come un'anima persa per il palasport. Sempre che avessi trovato un distributore automatico o un bar. Però dovevo fingere che quel luogo fosse familiare come casa mia... La giornata delle recite, ecco cos'era quella! Vanessa fingeva di non provare nulla per Dave. Dave fingeva a sua volta che non avesse capito cosa c'eravamo andate a fare io e lei lì e in più manteneva il segreto di Ryan e mio, quindi doppio bugiardo. Ryan fingeva di non sapere chi io fossi ed io ovviamente fingevo, non solo di non conoscere Ryan, ma pure di essere calma, quando invece rischiavo di esplodere ogni secondo di più. Eravamo proprio un bel quartetto.

«No, resta, vado io».

Ryan mi spiazzò. Nei suoi occhi c'era qualcosa di indecifrabile che oltre a sbalordirmi mi impedì di dissentire. Tornai a sedermi, mentre lui raggiungeva le scale.

Guardai le sue spalle allontanarsi e mi tornò in mente l'incubo che mi aveva terrorizzata. Lui che se ne andava.

L'immagine però stavolta era diversa e pure la sensazione che l'accompagnava. Ero sicura che sarebbe tornato e questo mi rasserenava.

Lo seguii con lo sguardo fino a quando incontrai altri occhi, che non mi piacevano per nulla. Mi vennero in mente i brividi freddi che provavo quando Josh era nelle vicinanze. Non c'era però Josh in cima alle scale, bensì ancora il tipo della biglietteria. Le braccia incrociate sul petto, ispezionava lo spazio sotto di lui.

Ryan se ne accorse e gli andò casualmente a sbattere incontro. Abbozzò una scusa poco sincera e poi prese la via della porta, incurante della stizza che aveva provocato nell'altro.

Tornai ad osservare il campo da gioco che pian piano cominciava a popolarsi degli atleti in fase di riscaldamento. L'espressione di Ryan mi balzava alla mente come una palla da ping pong. Volevo capire cosa gli era passato per la testa.

Una vocina stupida, presuntuosa, fece la sua ipotesi: 'e se fosse geloso?'. Di me? Ci teneva così tanto da arrendersi ad un simile sentimento? Forse... Magari...

«Gentile da parte di Ryan andare al bar».

Vanessa mi riportò coi piedi per terra. Si era sporta verso di me per includermi nella sua conversazione con Dave. Non erano stati zitti un secondo.

Mormorai un 'già' poco convinto, sperando che la chiacchierata si fermasse lì, ma mi sbagliavo.

«E' pure carino...» buttò lì ancora.

Strabuzzai gli occhi e sbuffai di fronte alla sua assurda insistenza nel volermi per forza appioppare qualcuno. Anche se per una volta aveva trovato la persona giusta, mi dava lo stesso fastidio.

«Mi sa che si è perso» continuò.

«Ne starà approfittando per chiamare la sua ragazza» ipotizzò Dave e un altro moto di stizza mi fece stringere le dita fino a conficcarmi le unghie nella carne. Dovevo tagliarle.

«E' fidanzato?». La delusione nella voce di Vanessa a quella scoperta fu quasi paragonabile alla mia quando era stato il mio turno di conoscere la verità. Solo che io avrei preferito morire dopo averlo saputo, lei avrebbe continuato la sua vita come se nulla fosse stato.

«Praticamente da sempre».

Ingoiai l'ennesimo rospo.

«Peccato, sarebbe stato benissimo con Jude».

«Vanessa!» esclamai irritata e paonazza in volto per la vergogna.

«Lo pensa pure Dave» si giustificò lei e Dave dal canto suo si mise ad annuire come uno stupido.

Lo incenerii. Lui dopotutto sapeva e da quello che avevo capito era pure accondiscendente visto che si era addirittura prodigato a nostro favore.

Mi morsi la lingua per non rispondere a tono ad entrambi e mi concentrai sulla partita a cui l'arbitro aveva appena dato inizio con un fischio. Vanessa e Dave non la smettevano di confabulare e ridacchiare.

Per fortuna Ryan stava scendendo le scale, tra le braccia un paio di lattine di Coca. I due piccioncini si zittirono all'istante così da farlo insospettire.

«Di che stavate parlando?» chiese colmando il vuoto sul seggiolino e dentro di me. Mi porse una bibita e in quel gesto mi sfiorò le dita, attardandosi un secondo in più del dovuto. Il mio cuore perse qualche battito. Dovetti voltarmi per non far notare agli altri che ero arrossita.

«Di te» rispose Dave con nonchalance, stappando la sua lattina. «Anzi, della tua fidanzata per essere precisi».

«Ragazza, prego» specificò lui, ma il pugno allo stomaco fu inevitabile. Mi affrettai a prendere un sorso di Coca, magari la sua temperatura gelida avrebbe sistemato un po' le cose. Speranza vana.

Dave si avvicinò all'orecchio di Vanessa per farle una confidenza che in realtà sentimmo tutti.

«Fa la modella» disse suscitando lo stupore della mia amica.

«Davvero?» chiese lei spalancando le labbra in una 'o' di sorpresa.

«La modella...» anche io mi finsi stupita. Chiunque sarebbe dovuto esserlo, o almeno credevo.

«Eh già» fu la semplice risposta di Ryan.

«Hai la faccia di uno che sta con una modella in effetti» buttai lì. Un sorriso divertito gli colorò il volto. Continuava a guardare la partita, mentre la conversazione più assurda a cui avessi mai preso parte si svolgeva.

«Davvero?».

«Sì, sì» annuii.

«E lui?».

«Lui chi?».

«Il tuo ragazzo. Lui com'è?».

Lo squadrai un attimo con la coda dell'occhio. Sembrava serio. Dove voleva arrivare?

«Dai per scontato che abbia un ragazzo?».

«Una persona normale, se non avesse un ragazzo, avrebbe accettato un invito così galante e ben posto come quello che hai ricevuto prima».

«Beh, e chi ti dice che io sia normale?».

Ryan rise sommessamente. Facevamo entrambi finta di nulla, ma le occhiate furtive che ci lanciavamo dicevano più del dovuto. Solo un cieco non se ne sarebbe accorto e per fortuna Vanessa sembrava aver perso del tutto la vista.

«Com'è?» insistette Ryan. Speravo fosse consapevole della pericolosità di quel gioco. E se avessi detto una parola in più che a lui non fosse piaciuta? Si sarebbe arrabbiato e avrebbe ricominciato con la storia del 'non posso per il tuo bene'.

«Nah, non vuoi saperlo» provai a sviare, ma non demorse.

«E invece sì, sono un tipo curioso».

Lo squadrai per bene, poi mi dissi che va beh, se era così deciso, tanto valeva rischiare.

«Sicuro?» mi accertai ancora. Quella parola ormai per noi aveva un suono stupendo. Era l'emblema della fiducia. Rappresentava gran parte di ciò che eravamo. Io sicura di amarlo, lui sicuro che avrebbe potuto contare su di me sempre.

«Sicuro» confermò.

Sospirai, rassegnata e pensai a ciò che avrei potuto dirgli e come.

«Lui... è bellissimo. E' il ragazzo più bello dell'universo. Potrebbe perfettamente stare con una modella anche lui, sai?». Ryan ridacchiò.

«E poi?».

«Beh, è fantastico, anche se ha un difetto tremendo». Strinse gli occhi in quel modo che tanto adoravo, curioso di sapere a cosa mi stessi riferendo. Non lo feci attendere molto. «Si crede sempre secondo a tutti, come se gli mancasse qualcosa per essere... degno, ma si sbaglia di grosso. Lui ha tutto e non è secondo a nessuno. Poi i suoi occhi... Dovresti vederli, sono... non so neanche spiegartelo. Brillano. E il suo sorriso. Non ho ma visto niente di più bello. Sarebbe capace di sbriciolare una montagna solo sorridendo. Non ho mai conosciuto una persona del genere».

Rimasi in silenzio, intimorita dal fatto che probabilmente avevo esagerato, ma lui non fece una piega.

«E' una cosa seria?» chiese invece.

Ci pensai giusto un attimo prima di rispondere.

«Sì, almeno per me».

«Per lui no?».

«Non lo so. Non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo».

«Perché?». Mi parve di cogliere uno stupore sincero in quelle poche sillabe. 'Come perché Ryan' chiesi tra me e me, 'se lo facessi cosa potresti rispondermi?'.

«Sono troppo codarda per ricevere un 'no', ma va bene così. Lui c'è adesso. Ciò che conta è che sia felice».

«Sono convinto che se sta con te un motivo valido l'avrà. In qualche modo, ti vuole bene pure lui».

Mi voltai in sua direzione, assolutamente stupita per quelle parole. Provai a leggere la sua espressione, ma non riuscii a decifrare ciò che gli passava per la mente. Era così bravo a nascondere i suoi pensieri.

«Chissà...» mi limitai a rispondere.

«Ne sono certo» ripeté. «Ma guarda quello che deficiente! Tira idiota!».

Scoppiai a ridere di fronte a quel cambio repentino.

Per i restanti sessanta minuti restai in silenzio, cercando di capire qualcosa di quel gioco totalmente sconosciuto. Vanessa esultava per ogni minima cosa. Lei e Dave non smettevano un secondo di parlare o ridere. Si stavano divertendo tantissimo e per un attimo li invidiai, loro così liberi di potersi comportare naturalmente, mentre io ero prigioniera di una finzione che diventava realtà solo nascosta tra le quattro mura di casa mia.

Scacciai la nostalgia pensando che dall'indomani avrei rivisto Ryan più frequentemente. Era una piccola consolazione, ma meglio di niente.

Alla fine la squadra di Dave perse e scherzosamente lui ci intimò di non farci più vedere da quelle parti, addossandoci la colpa dell'accaduto.

Uscimmo dal palasport e scoprimmo che il sole era stato offuscato dalle nuvole e un leggero venticello aveva abbassato la temperatura.

L'auto dei ragazzi era parcheggiata lontano dall'ingresso e Ryan ci abbandonò velocemente per andare a prenderla. Mi sentivo un po' a disagio da sola con la felice coppietta che nel frattempo si stava sbellicando dalle risate per qualcosa a me sconosciuto. Mi misi a gironzolare distrattamente in attesa che la mia amica si decidesse e potessimo tornare a casa. Certo, speravo che prima si rifacesse vivo Ryan perlomeno.

«Jude, vado un attimo in bagno e andiamo» mi disse Vanessa.

«Vuoi che ti accompagni?».

«No, no, no, no, torno subito».

Avrei dovuto insospettirmi, invece ingenuamente la lasciai andare, confidando che in quanto mia migliore amica mai mi avrebbe giocato un brutto tiro. La seguii con lo sguardo fino all'ingresso dove, impalato ad uno stipite, il ragazzo della biglietteria aspettava.

Due secondi dopo che Vanessa fu dentro, anche lui sparì.

«NO!» esclamai, facendomi cadere le braccia lungo il busto. Dave, accanto a me si rese conto di quello che stava succedendo. Era l'unico a poter comprendere la gravità della situazione e lo fece in pieno.

 

 

Everybody hurts someday.

It's okay to be afraid.

Everybody hurts, everybody screams,

everybody feels this way

and it's okay...”

 

 

Che ritardo sconcertante! Chiedo perdono a tutti, le scuse non dovrebbero mai finire.

Spero che questo capitolo lungo lungo vi abbia ripagato per l'attesa.

Come vi dicevo l'altra volta la storia sta per finire. Almeno questa parte. Ci saranno altri quattro capitoli e poi dopo una piccola pausa per rimettermi in pari, arriveranno altre due parti, di quello che ormai è diventato un vero e proprio libro.

Ringrazio tutti coloro che mi stanno seguendo nonostante i ritardi e che accolgono ogni capitolo con tanto affetto. Siete meravigliosi!

Fatemi sapere cosa ne pensate, se anche voi siete d'accordo che questa storia continui e si concluda.

Vi ricordo la mia pagina su facebook: https://www.facebook.com/oo00SerenityMoon00oo?fref=ts passate a trovarmi.

Il prossimo aggiornamento arriverà di sicuro dopo giorno 5, ma non so quando di preciso. Vi terrò informati.

Grazie ancora di cuore,

Serenity.

P.S. La canzone di questo e del prossimo capitolo è Everybody hurts di Avril Lavigne ;)

   
 
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