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Autore: WinterRose    23/03/2013    1 recensioni
Eric, ragazzo apparentemente privo di qualità eccetto che per un corpo da urlo, e Kathrine, ragazza studiosa, matura e responsabile, si conoscono praticamente da sempre; peccato che non si sopportino a vicenda e che i rispettivi genitori vogliano che i due ragazzi si sposino. Ma le cose possono sempre cambiare giusto? Umorismo, ironia, gelosia e tanto, tanto amore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ciao ragazze! <3
Allora innanzitutto voglio ringraziare tutte voi che seguite la mia storia e che avete scritto delle recensioni, siete fantastiche! :D Sono davvero entusiasta di tutte le belle parole che avete avuto per il capitolo precedente.

BluSelene

hollystar

Anne_ks

Grazie ancora, mi avete aiutata ad andare avanti con buoni propositi, ed eccone il risultato: rullo di tamburi il quarto capitolo!

Dovrebbe essere leggero come capitolo, spero riesca a strapparvi almeno un sorriso, anche perchè ci sarà un piccolo pezzetto in cui la storia è narrata prendendo in considerazione i pensieri del nostro Eric: non è proprio un POV ma ho cercato di avvicinarmici.
Vedremo di nuovo Sean e lo conosceremo un po' meglio.
Quindi vi lascio con questa domanda: chi preferite tra i due e perchè? Lo so che è sadico da parte mia ma sono troppo curiosa di conoscere cosa pensate! :)
Fatemi sapere, spero che il capitolo vi piaccia.

Baci! <3

WinterRose





Un cubetto di ghiaccio appena uscito dal freezer

 

 

 

Every gesture, every move that she makes

makes me feel like never before

Why do I have this growing need

to be beside her”

(Strangers like me, Phil Collins)

 

 

 

 

Le aveva chiesto più volte cosa la piccola Vicky le avesse sussurrato all'orecchio ma lei si era limitata a scuotere la testa e a guardare fuori dal finestrino abbassato.

Alla fine era andato tutto per il meglio; certo, la madre di Vicky era arrivata un po' più tardi del previsto, ma anche lui aveva dovuto ammettere che la piccolina non era affatto fastidiosa, per la sua età s'intende. Avevano giocato a palla, avevano mangiato un hot dog, e avevano preso un po' di sole mentre la bambina parlava e parlava e parlava: dei suoi peluche, del suo cane, delle sue amiche, dei suoi disegni, del suo costume per carnevale, del suo compleanno, di ciò che aveva fatto il giorno prima, di ciò che avrebbe fatto il giorno dopo; nessuno avrebbe mai detto che quella bambinetta tanto silenziosa e da un aspetto poco solare avesse tanta energia e tanta allegria dentro.

Si rigirò nel letto. In qualche modo, non aveva affatto sonno. Sicuramente il fatto che si trovasse in in una camera della mansarda che non fosse la sua e che per altro era troppo bassa per i suoi invidiabili 185 centimetri d'altezza non aiutava a conciliare un buon sonno. Si tirò su a sedere passandosi una mano tra i capelli biondi.

Una parte di lui aveva preso in considerazione anche il fatto che potesse essere la stessa Bennet a tirare fuori il meglio delle persone; d'altronde anche lui non aveva più fumato quel giorno, non si era annoiato come al solito e non aveva rispettato i suoi standard quotidiani di superbia e calcolata freddezza.

Uno strumento di redenzione forse? O era semplicemente uno delle prime avvisaglie della pazzia?

Per il momento, non si pose il problema; aveva molto altro a cui pensare.

Il cellulare sul comodino vibrò, illuminando il display.

Faith per esempio.

 

 

 

Kathrine si guardò un ultima volta allo specchio; i capelli erano leggermente più chiari e un po' troppo secchi sulle punte per i suoi gusti, ma si poteva dire che erano a posto, dopotutto. Forse l'abbigliamento era un po' troppo formale per una semplice uscita in biblioteca, ma era fatta così.

I capelli castani perfettamente lisci le arrivavano all'altezza del seno, una maglietta giro maniche bianca e blu e un cardigan morbido bianco le fasciavano il busto, una gonna blu che le aveva regalato Jessica per il suo scorso compleanno le arrivava qualche dita sopra il ginocchio. E poi, ovviamente, le immancabili ballerine bianche raso terra.

Forse, però, non era una semplice uscita in biblioteca.

La chiamata di Sean il giorno precedente l'aveva stupita assai: non si sarebbe aspettata nulla di simile fino all'inizio del nuovo anno scolastico. La biblioteca era solo il punto di incontro, quindi non si poteva chiamare neanche “una semplice uscita in biblioteca”.

Ma non si poteva definire neanche un appuntamento. Quest'ultima parola addizionata al suo nome e a quello di Sean, le faceva uno strano effetto... Probabilmente la parola più adatta era semplicemente uscita. Con un amico.

Si precipitò giù dalle scale. Riuscì a tirare un sospiro di sollievo solo nel momento in cui una leggera brezza le scompigliò i capelli. Diede un occhiata veloce al cellulare: era in perfetto orario. Qualche minuto e sarebbe arrivata a destinazione. La mattina era limpida e le strade del quartiere iniziavano ad animarsi: qualche persona che portava fuori il cane, qualche ragazzino con lo skate, qualche ragazzina che passeggiava ridacchiando con le amiche. Una normalissima giornata di prima estate.

Quando giunse nello spiazzo davanti alla biblioteca si guardò in giro alla ricerca del volto conosciuto. Lo trovò seduto su una panchina ai margini della piazza che armeggiava freneticamente con il proprio cellulare:

<< Ehi >> Gli si avvicinò. Il ragazzo, udendo la sua voce, si alzò di scatto facendo cadere il telefono a terra.

Kathrine cercò di trattenere un sorriso mentre si chinava per raccoglierlo e riconsegnarlo a Sean che, nel frattempo, era arrossito notevolmente.

<< Passeggiata al parco? >> le propose facendo un cenno con il capo.

La ragazza annuì decisa per nulla intimidita sfoggiando un sorriso luminoso. Si incamminarono.

<> Fu lei ad iniziare.

<< Tutto a posto. Tu, piuttosto? Com'è stato il ritorno dall'Inghilterra? >>

<< Be' mi devo ancora abituare al fuso orario, ma per il resto penso che vada tutto bene >> Si diede mentalmente della bugiarda.

<< Wood? >> si scurì in volto.

<< Sempre il solito >>

Sean parve rasserenato e rallentò un po' l'andatura dopo averle regalato un timido sorriso.

Parlarono molto durante il tragitto, soprattutto il giovane che cercò di aggiornare nel modo migliore Kathrine riguardo eventi significativi che erano avvenuti nel corso della sua assenza. Poi, una volta raggiunto il parco, si erano seduti sul prato, vicino ad un laghetto artificiale e Sean le aveva offerto un gelato alla vaniglia.

Non aveva scelto il cioccolato perché le piaceva solo quando era depressa; il pistacchio quando era allegra; la fragola quando era soddisfatta; la vaniglia quando era intraprendente. Si, si sentiva intraprendente: stranamente, la presenza di Sean non la intimidiva affatto, anzi la faceva sentire perfettamente a proprio agio.

L'unico gusto che veramente non le era mai andato giù, era la panna. Troppo dolce:

<< Come sta tua sorella? >>

Meredith doveva avere appena vent'anni, se aveva fatto bene i conti. Era sempre stata famosa in tutta la città per la sua rinomata bellezza: era alta e con un fisico da modella, aveva lunghi e corposi capelli castani, occhi azzurri leggermente a mandorla e un naso perfetto. Difficilmente in tutta Fairview Kathrine avrebbe potuto pensare ad una ragazza più bella. A quanto si ricordava, doveva aver avuto anche una breve- ma intensa- relazione con Eric poco prima che lasciasse l'America:

<< Ha vissuto momenti migliori >> Sean accennò un sorriso malinconico.

Kathrine si allarmò, anche se cercò di contenersi ed apparire più calma possibile nell'attendere una spiegazione:

<< Si è un po' persa, ultimamente. Frequenta cattive compagnie >>

Se l'era aspettata. Se eri così bella e popolare era facile finire nella cerchia sbagliata, soprattutto se non avevi una punto di riferimento: per quello che sapeva, i genitori di Sean erano sempre stati molto impegnati per il lavoro che svolgevano e non sempre tornavano a casa per l'ora di cena:

<< Capisco. Be' non ti preoccupare, ognuno di noi ha passato brutti momenti >> gli appoggiò amichevolmente una mano sulla spalla << Passerà anche questo >>

Sorrisero entrambi sereni.

 

 

 

Una volta tornata a casa Wood, Kathrine fece un salto in sala da pranzo per avvertire che era tornata.

A occupare buona parte del suo campo visivo in sala c'era Eric che, sommerso da una pila di libri, carte e fogli volanti, stava impegnando tutto se stesso per...

studiare?

Il ragazzo alzò lo sguardo sulla figura femminile che sostava sulla soglia:

<< Come siamo in tiro >> sorrise malizioso << un appuntamento, per caso? >>

<< Nulla di simile >> Kathrine si ricordò mentalmente del discorso fatto in precedenza.

Un'uscita tra amici.

Non era una bugia dopotutto, perché quello non era un appuntamento. Se Eric gli avesse detto invece “Come siamo in tiro, un'uscita tra amici?” lei avrebbe risposto in modo affermativo perché quella era la verità.

O no?

Si avvicinò alla scrivania:

<< Cosa studi? >>

<< Letteratura inglese. Mia madre non è “soddisfatta” del risultato ottenuto quest'anno e se voglio entrare al college devo assolutamente rimediare >> borbottò spostando lo sguardo lateralmente.

Quella sarebbe stata l'occasione giusta per riprendersi una piccola rivincita e umiliare il biondino strafottente, considerò la ragazza. Già si immaginava la scena: tutti riuniti a tavola, lei che si metteva a discutere di letteratura ottocentesca, i commensali che la fissavano ammirati con la bocca aperta; e poi un'innocentissima domandina sulle sorelle Bronte ad Eric; il volto del ragazzo prendere fuoco e la sua bocca balbettare qualcosa di indecifrabile. Già sentiva l'orgoglio dei Bennet gonfiarle il petto e soddisfazione allo stato puro scorrerle nelle vene.

Ciononostante l'indole buona della ragazza ebbe la meglio:

<< Fammi vedere >> disse sporgendosi ancora di più verso Eric.

Stette qualche secondo in silenzio analizzando il libro aperto che giaceva sulla scrivania.

<< Oh >> si raddrizzò << Ho già affrontato quest'argomento in Inghilterra, se vuoi posso darti una mano >>

Eric alzò un sopracciglio dubbioso:

<< Corso avanzato >> La ragazza accennò un timido sorriso.

<< Ma come sei insistente Bennet! E va bene, va bene aiutami pure. Però ricordati che hai un debito nei miei confronti >> Esclamò facendo un gesto noncurante con la mano.

<< Ehi, semmai tu hai un debito nei miei confronti! >>

<< Si, mi ricordo che la matematica non era il tuo forte alle medie>> finse di pensarci su << D'accordo, ti darò una mano così saremo pari. E ora siediti, non ho tempo da perdere >>

Era vero, alle medie Kathrine non era mai spiccata in matematica e anzi, qualche volta, aveva portato a casa qualche votaccio, ma alle superiori si era decisamente ripresa: certo non partecipava ai corsi avanzati di matematica o competizioni a livello nazionale, però se la cavava, ecco. Per dare soddisfazione al ragazzo e farlo stare buono stette zitta, come a rendergliene atto.

Prese una sedia dal tavolo da pranzo e la posizionò alla sinistra di Eric:

<< Allora, cosa hai letto di Joyce? >>

Il biondo non rispondeva, piuttosto trovava più interessante scarabocchiare sulla copertina di un libro di testo:

<< Finiscila immediatamente! >> la ragazza afferrò il libro imbrattato di inchiostro stringendoselo al petto << non maltrattare in questo modo i libri. Sai quanti bambini dell'Africa desidererebbero averne anche soltanto uno? >>

Se c'era una cosa che Kathrine non aveva mai sopportato era rovinare i libri, di qualunque genere fossero. Era una fissa che le aveva trasmesso sua nonna, quella di trattare i libri come persone: quando era piccola e andava a fare i compiti a casa sua, Elizabeth la rimproverava ogni volta che vedeva la nipote adoperare la penna, o fare le orecchie alle pagine o piegare la copertina. Era stato una sorta di lavaggio del cervello per Kathrine, la quale, ormai cresciuta, nutriva una tale adorazione e un tale rispetto nei confronti di questi, al punto di infastidirsi alla sola visione di un libro maltenuto. Più della metà dei litigi che aveva avuto con Jessica in Inghilterra riguardavano la più che evidente inclinazione di quest'ultima a stropicciare, disegnare, pasticciare e, addirittura, nei momenti di disperazione più nera quando si rendeva conto di non sapere nulla il giorno prima del compito in classe, a scaraventare contro le pareti i poveri manuali di testo. Eric, però, non sembrava della stessa opinione:

<< Ma se non sanno neanche leggere >> constatò infastidito cercando di strappare l'oggetto dalle mani di Kathrine << E tanto loro hanno i campi da coltivare e devono andare a prendere l'acqua in pozzi che distano miglia e miglia dalle loro abitazioni; figurati se hanno il tempo di leggere >>

La ragazza si sentì ancora più indignata:

<< Ma ti rendi conto di quello che dici? >>

<< No, e ora ridammi il mio libro, Bennet >>

<< Non ci penso neanche! E poi >> allontanò il libro dal petto per leggerne il titolo, per quanto i segnacci neri lo permettessero << biologia non ti serve in questo momento >>

Eric ne approfittò per afferrare il volume e tirarlo con forza verso di sé.

Si sentì il rumore di uno strappo: Kathrine teneva ancora stretta fra le mani la copertina e le prime pagine, il ragazzo quel che rimaneva.

Eric si accasciò sulla sedia sbattendo la sua parte di fogli sulla scrivania:

<< Siamo peggio di due bambini delle elementari >> constatò la ragazza mentre si rigirava la copertina tra le mani << bell'esempio che daremo ai nostri figli >>

Eric si girò irritato verso di lei:

<< E chi ti dice, Bennet, che avremo dei figli? >> sibilò Eric con una punta di cattiveria.

Era un'alternativa da prendere in considerazione, dopotutto, no? Certo, avrebbero potuto non sposarsi, ma c'era anche la possibilità che ciò accadesse, se il loro piano, peraltro non ancora ideato, per convincere i genitori avesse fatto cilecca. Non osò pensare che tipo di bambini sarebbero potuti uscire fuori: dei baby-modelli viziati, menefreghisti e dispettosi come il padre.

<< Aggiusterò io il tuo libro >> Disse Kathrine allungando la mano verso Eric, in attesa che il giovane le passasse la propria parte di libro.

Il ragazzo, che era pronto ad una sfuriata da parte della sua interlocutrice, si stupì molto dell'improvviso cambio d'argomento. Si era persino preparato in anteprima la rispostina acida da affibbiare alla Bennet nel caso avesse tirato in mezzo i loro genitori e quant'altro, e lei cosa faceva? Si permetteva di essere gentile. Non sapeva proprio cosa fare.

Rimase incerto per qualche secondo fissando prima la mano di Kathrine e poi la parte di libro abbandonata sulla scrivania.

Il manuale era messo male già di suo. Cosa gli costava darlo alla Bennet? La situazione era già pessima e non avrebbe potuto far altro che migliorare. E infondo, molto infondo, forse anche lui era stanco di litigare.

Prese la sua parte di volume e, con un sospiro, la consegnò nelle mani della ragazza.

 

 

Circa un'ora dopo, Kathrine aveva decretato che, come prima lezione, quella poteva andare più che bene. Aveva consigliato al biondino di leggere almeno Ulysses o The Dubliners di Joyce per capire meglio l'argomento trattato, dopo aver saputo che Eric non aveva mai sfogliato neanche un'opera dell'autore.

La ragazza aveva preso il grugnito di disappunto del compagno come un gesto di resa e quindi di assenso.

Stava raccogliendo in modo ordinato i fogli strappati-e-non del manuale di biologia quando Eric, che si era momentaneamente allontanato dalla sala, fece capolino dall'entrata con addosso un giubbotto di pelle:

<< Vado a prendere un caffè al bar. Vieni anche tu? >>

Kathrine si bloccò e alzò lo sguardo verso il ragazzo.

Il primo pensiero che le attraversò la mente fu che quello che le stava davanti era semplicemente un'illusione o qualche sosia comparso dal nulla. Forse un Eric diverso proveniente da un'altra dimensione. Un qualche alieno divora cervelli che aveva fatto irruzione in casa, ed essendosi trovato davanti il biondo si era accontentato del suo di cervello come antipasto e, dopo avene assunto le sembianze cercava di ingannare lei, lei i cui neuroni costituivano il vero e proprio pasto.

Come ipotesi, però, era molto inverosimile, quindi il cervello della ragazza elaborò l'idea che probabilmente, dietro quell'invito spontaneo privo di cattive maniere e modi sgarbati doveva celarsi un tranello, un trucco. Forse attraversando la porta le sarebbe caduto in testa un enorme secchio pieno d'acqua, o la stavano riprendendo con una videocamera. L'avrebbero messa su youtube e avrebbero fatto girare il video su facebook, ecco quello che avrebbero fatto, accidenti.

<< Bennet? Hai per caso perso l'uso della lingua? >> il ragazzo schioccò le dita due volte << sono qui davanti a te >>

L'ipotesi che la proposta fosse innocua e senza alcuna malintenzionata premeditazione, Kathrine non la prese neanche in considerazione. Accipicchia, cosa non andava in quel ragazzo? Era sempre stato prepotente, strafottente, egoista, calcolatore. Dov'era il secondo fine?

Intanto il ragazzo le si era avvicinato con lentezza. Quando si era fermato a un passo da lei, Kathrine era ancora persa nei propri pensieri, spremendo ogni singolo neurone della materia grigia che madre natura le aveva donato per risolvere quel rompicapo che sembrava non avere né inizio né fine.

La mano di Eric che si posava leggera sulla sua fronte indugiando sulla sua pelle per percepirne il calore fecero sussultare Kathrine, che si allontanò istintivamente, come scottata:

<< Si, andiamo >>

Se c'era un qualsiasi trucco Kathrine era certa che per quanto si potesse sforzare non avrebbe mai trovato la soluzione. Tanto valeva rischiare.

La ragazza lo oltrepassò velocemente con il viso in fiamme e lo sguardo basso; Eric alzò gli occhi al cielo.

Erano usciti da pochi minuti e il cielo si era rannuvolato velocemente; all'orizzonte incombevano grosse nuvole scure come a presagire eventi rivoluzionari. Per la strada non incontrarono quasi nessuno, se non qualche ragazzino che si affrettava a tornare a casa prima che la tempesta scatenasse la sua ira sulla città di Fairview.

<< Credo che uscire, alla fine, non sia stata una grande idea >> constatò Kathrine rallentando gradualmente << a momenti scoppierà un temporale >>

<< Io ho voglia di un caffè che non sia annacquato quindi me ne sbatto >> disse Eric spazientito << se tu non vuoi venire nessuno ti obbliga >>

Kathrine si limitò al silenzio e continuò a seguire il giovane che procedeva a passo sostenuto con le mani in tasca.

I minuti passavano lentamente e la ragazza cercò disperatamente un argomento di conversazione:

<< Faith come sta? >>

Non che gliene importasse minimamente di quell'oca incapace di ragionare, ma poteva almeno rendersi utile per porre momentaneamente fine al silenzio che regnava sovrano da un po':

<< E perché ti interesserebbe, Bennet? Si vede chiaro e tondo che non la puoi soffrire>> le chiese con sincerità << Be' in effetti non saprei dire chi veramente riesca a sopportare quella ragazza >> disse tra sé e sé come a scusarla.

<< E allora perché la frequenti? >>

Kathrine non poté trattenersi dal porre la domanda al ragazzo. Non era mai stato un tipo particolarmente invadente o impiccione, ma questa volta le parole erano uscite da sole, come un palloncino che si sgonfia buttando fuori quel poco di aria rimasta al suo interno. Troppo semplice.

Eric rimase interdetto da tale domanda. Be' in effetti come domanda era coerente. Aveva appena detto che Faith era insopportabile e la Bennet aveva fatto due più due e gli aveva chiesto il motivo per il quale si ostinasse a frequentarla.

Dirle che la amava e che quindi quando si ama una persona si accettano i suoi difetti era eccessivo, e in secondo luogo era una bugia. Ma non che se ne preoccupasse più di tanto perché non si faceva alcune problema a mentire, cosa che, del resto, era all'ordine del giorno.

Ora però, pensandoci seriamente, perché stava con Faith?

La risposta gli balenò nella mente: perché aveva un bel culo e una quarta di reggiseno e perché, peraltro, non era una di quelle ragazze che volevano una cosa seria, cene in famiglia, matrimonio e bla bla bla.

Porcate allo stato puro insomma.

Ecco, sì, questo era un vero motivo per cui stava con Faith. Ma Eric passò dalla soddisfazione di aver trovato una possibile risposta all'incertezza nuovamente; cavolo, non poteva dire una cosa simile alla Bennet. Avrebbe solamente peggiorato le cose:

<< Ehi, non volevo metterti in difficoltà. Non fa niente, puoi anche non rispondere >> Kathrine gli rivolse un sorriso incoraggiante.

No, no, no adesso ci si metteva con la sua aura da cherubino e bontà allo stato puro che lo faceva sentire in vena di confessioni.

Che la Bennet fosse una strega?

<< Credo che il motivo principale sia il fatto che … >> Eric esitò un attimo in cerca delle parole giuste << lei non si preoccupi troppo... del futuro, si goda il presente e che non voglia qualcosa di eccessivamente... impegnativo, ecco >>

<< Capisco >>

Nessun commento acido, nessuna allusione, niente di niente.

Comprensione, forse?

Ma cosa cavolo stava dicendo? Le mancava solamente un convento dove andare a passare il resto della vita e sarebbe stata una suora a tutti gli effetti; sicuramente lo stava biasimando dentro di sé o, peggio ancora, stava pregando il buon Signore che perdonasse i suoi peccati.

Non voleva neanche pensarci.

Giunto a queste conclusioni Eric si fermò davanti ad un locale assai modesto con giusto un paio di persone all'interno.

Aprì la porta e fece gesto alla Bennet di entrare.

 

Kathrine, per quanto disprezzasse il modo di fare e la maggior parte delle scelte di Eric, non aveva mia avuto da ridire riguardo ai suoi gusti. Ogni abito, ogni oggetto, ogni luogo da lui scelto era apprezzabile, almeno esteticamente.

Bene, quella volta Kathrine vide uno dei pilastri fondanti della costruzione mentale che si era fatta di Eric venire abbattuto senza pietà.

Il locale in questione era decisamente squallido. Squallido per gli standard di Eric insomma: piccolo, con luci a neon sparse qua e là senza alcun criterio, una serie di tavoli che si affacciavano sull'esterno e un bancone in legno chiaro dietro il quale serviva un cameriere pelato che indossava solamente una canottiera bianca, per giunta macchiata d'olio.

Tuttavia la ragazza evitò di commentare, anche perché sicuramente sarebbe spuntato da un momento all'altro il proprietario del bar, pieno di peircing e orecchini che dopo aver sentito il commento assai poco gentile della giovane avrebbe spezzato il collo ad entrambi. Si, perché sicuramente il proprietario del locale doveva essere un tipo così. Magari anche impegnato in loschi affari.

Presero posto al tavolo più vicino all'uscita.

Appunto.

<< Cosa prendi? >>

Kathrine diede uno sguardo veloce al cameriere che era intento a asciugare con un canovaccio tutt'altro che bianco alcuni bicchieri.

<< Penso che un succo di arancia vada più che bene, grazie >>

Il ragazzo si alzò e si avvicinò al bancone parlando sottovoce al cameriere.

Kathrine fece finta di non accorgersene e si concentrò sulle venature del tavolo in legno chiaro.

Poco dopo Eric tornò con un bicchiere contenente del liquido trasparente, probabilmente alcool allo stato puro, e una bottiglietta dal quale si distingueva il colore arancione della spremuta:

<< E quello sarebbe caffè? >> Domandò scettica afferrando il proprio succo di frutta.

Eric si strinse nelle spalle e prese posto di fronte a Kathrine:

<< Allora Bennet, quale sarebbe questo piano di cui parlavamo ieri? >>

<< Innanzitutto non Bennet, io ho un nome >>

Eric alzò gli occhi al cielo:

<< Non mi viene naturale chiamarti per nome, e poi ti darei troppa confidenza >>

Buttò giù una sorsata di quella bevanda indefinita.

<< Confidenza che deve esserci se vogliamo che il “piano” abbia successo >> La ragazza fece una pausa e aggiunse subito dopo << non mi sembra così traumatizzante come inizio >>

<< Vedrò di fare qualcosa >>

Kathrine cercò allora di stappare la propria bottiglietta ma senza alcun risultato; tuttavia non aveva la minima intenzione di cedere e chiedere al biondo di aiutarla. Quest'ultimo, però, notata la palese difficoltà della ragazza e cui presa la bottiglietta dalle sue mani, la aprì con un semplice gesto e gliela porse guardando fuori dalla vetrata.

Kathrine la prese ringraziando a bassa voce:

<< Non ho un piano ben preciso. Però dobbiamo cercare di elaborarlo il prima possibile. Il tempo stringe >> disse tornando al discorso precedente.

Eric parve innervosito:

<< Siamo a buon punto insomma >>

<< E sentiamo, quale sarebbe la tua idea? >>

<< Non lo so, accidenti! Sei tu quella che passa ore sui libri >>

Quello era un tasto dolente per Kathrine; si poteva dire che era noiosa, che era permalosa, che era pesante ma non tollerava in alcun modo che le si dicesse che era una secchiona, anche perché non la era. La definizione di secchione sul vocabolario era la seguente (l'aveva imparata a memoria per sbaragliare con una frase d'effetto tutti coloro che la definivano tale): alunno che riesce bene perché disciplinato e studioso, pur senza brillare per eccessiva intelligenza. Ma lei era intelligente, e quindi non poteva essere considerata una secchiona:

<< Fattelo da solo questo stramaledetto piano! >> disse alzando il tono di voce.

Il cameriere li guardò incuriosito sporgendo il collo, mentre le altre persone che si trovavano nel locale smisero immediatamente di parlare.

Kathrine fece per andarsene, ma il braccio di Eric la bloccò:

<< Su Bennet, non fare la bambina, ci stanno guardando tutti >>

Kathrine non lo guardò neanche in viso mentre strattonava il braccio affinché il giovane mollasse la presa.

Ma Eric, grazie alle nozioni minime che aveva acquisito nel corso degli anni avendo avuto continuamente a che fare con donne di tutte le età, intuì che continuando a comportarsi così avrebbe solamente peggiorato le cose. Adottò quindi un altro metodo persuasivo, passando allo stadio numero due:

<< Kathrine, per favore, siediti >>

La ragazza cessò di divincolarsi e si girò verso di lui guardandolo stupita.

Ma capì subito di aver sbagliato. Incontrare lo sguardo di Eric era la cosa più sbagliata e stupida che avrebbe potuto fare in quel momento. E l'aveva fatta.

Si sentì come un cubetto di ghiaccio appena uscito dal freezer che veniva esposto al sole cocente di mezzogiorno.

Eric, sentendo la fermezza della ragazza venire meno, allentò la presa sul suo braccio trasformandola quasi in una carezza. Quasi.

Un cubetto di ghiaccio appena uscito dal freezer che veniva esposto al sole cocente di mezzogiorno nel deserto del Sahara, per giunta.

Quegli occhi avevano il potere di mandare la sua razionalità in tilt e formulare un pensiero di senso compiuto era ancora più difficile, specialmente ad un distanza così ridotta.

Il fatto che l'avesse chiamata con il suo nome di battesimo, be', la scombussolava ancora di più.

Kathrine, Kathrine, Kathrine.

Il proprio nome pronunciato dalla sua voce le rimbombava in testa. Ma la cosa più preoccupante era che le piaceva terribilmente.

La consapevolezza di questa sensazione la risvegliò dal torpore in cui era caduta; e per un momento si vide con gli occhi di un estraneo, lì con il volto di una colorazione tendente al carminio e a fissare dolcemente il biondo. Aveva una dignità da difendere, dannazione! Lei era Kathrine Bennet, non un ochetta stupida che perdeva la testa di fronte a un paio di muscoli più allenati del normale.

Chiuse gli occhi, respirò a fondo, come a stabilizzarsi, e dopo aver allontanato la mano di Eric dal suo braccio, si sedette nuovamente al suo posto.

Tra loro calò il silenzio spezzato solamente dalle prime gocce di pioggia che andavano a infrangersi contro il vetro del locale.

Kathrine stava per proporre di ritornare velocemente a casa ma Eric la precedette:

<< Come mai ti piace il succo di arancia? >>

Rimase spiazzata da tale domanda e per un attimo rimase sconcertata: perché le aveva rivolto una domanda personale che non serviva concretamente a nulla? A Eric non era mai interessato dei suoi gusti, di cosa le piacesse o perché le piacesse, non si era mai interessato di lei, punto.

Intanto il ragazzo attendeva pazientemente una risposta. Kathrine si arrese e si sforzò di essere sincera:

<< In Inghilterra bevono solo quello quindi sono diventata dipendente anch'io in qualche modo >>

Eric accennò appena un sorriso.

La ragazza, allora, si sentì in dovere di continuare quell'inusuale conversazione e gli domandò cosa stesse invece bevendo lui:

<< Vodka >> rispose con nonchalance svuotando definitivamente il bicchiere.

Kathrine non volle fare alcun tipo di commenti per non spezzare quella instabile e fragilissimo equilibrio creatosi tra loro, simile ad una sottile lastra di ghiaccio sottoposta ad un peso non trascurabile. Il peso di un brontosauro.

Fuori dal locale un lampo squarciò il cielo plumbeo. Il tuono giunse poco dopo.

<< Faremo così, Bennet >> iniziò Eric passando le dita sul bordo del proprio bicchiere << noi due ci fidanzeremo per finta, ma cercheremo di ritardare le nozze il più tardi possibile; mio zio ha già 84 anni e non durerà a lungo. O almeno si spera >> aggiunse sottovoce << tu hai ancora diciassette anni, prima dei venti dubito che persino i tuoi acconsentirebbero a farti prendere marito. Tu vivrai la tua vita io la mia, senza però rendere palese il fatto che il nostro fidanzamento sia tutta una finzione. D'accordo? >>

<< E se tuo zio non... >> Non osò pronunciare quella parola perché le sembrava quasi gettare il malocchio sullo zio di Eric, e per quanto si potesse trattare di un vecchio egoista e superficiale era pur sempre un essere umano a cui Kathrine non avrebbe mai augurato la morte.

<< C'è ancora tempo >> fece un gesto noncurante con la mano << ci inventeremo qualcosa a tempo debito >>

Kathrine si passò una mano per i capelli cercando di analizzare tutte le possibili conseguenze di quella decisione:

<< E con questo Bennet, voglio chiarire il fatto che almeno di fronte agli altri dobbiamo comportarci come una vera coppia >>

Eric la fissò dritta negli occhi attendendo che il significato delle sue parole venisse totalmente assorbito dalla compagna. Kathrine, che aveva lasciato volontariamente per ultima quella piccola complicazione, si trovò proiettata davanti a questa verità prima del previsto. Come primo e percepibile effetto le guance della ragazza si tinsero di rosso velocemente:

<< Quindi cerca di limitare la tua natura da suora pudica >> Il volto di Eric si aprì in un sorriso sardonico. Kathrine non reagì alla provocazione.

<< Come farai con Faith? Dovrai lasciarla per davvero, dato che non mi sembra molto sicuro rivelarle il nostro piano per giustificare il tuo comportamento >>

Il giovane in un primo momento rimase interdetto poi con studiata tranquillità sibilò:

<< Abbiamo detto che ognuno di noi vivrà la propria vita >>

Il lato più saccente di Kathrine non poté fare a meno di emergere trionfante:

<< Di certo non potrai uscire più con lei in pubblico né invitarla a casa; lei vorrà spiegazioni e, di grazia, tu cosa le risponderai, Eric? Come ho già detto non penso sia una buona idea rischiare di mandare tutto all'aria per una come Faith, con tutto il rispetto, s'intende >> persino lei percepì una nota di disprezzo nella propria voce.

<< Touché >>

Eric che le dava ragione? O l'ipotesi dell'alieno doveva essere nuovamente presa in considerazione o probabilmente la tanto temuta inversione dei poli aveva avuto inizio, perché Kathrine non seppe dare una motivazione valida che giustificasse quei comportamenti troppo, troppo strani nei suo confronti da parte del ragazzo.

<< Quando lo diremo ai tuoi? >>

<< Tra qualche tempo, prima dobbiamo imparare a conoscerci bene per far credere che siamo veramente interessati l'uno all'altra ed evitare ogni minimo sospetto >>.

Kathrine si sentì la gola secca e mandò giù una sorsata di succo.

<< E cosa gli diremo? >> chiese schiarendosi la gola.

Eric roteò gli occhi;

<< Dio mio, Bennet! >> Si corresse non appena incontrò lo sguardo fulminante della ragazza << Kathrine, Kathrine. C'è ancora tempo. Prima dimmi qualcosa su di te, cosicché io possa conoscere al meglio le tue attitudini >>

Era un linguaggio troppo innaturale per Eric, cosa che era suggerita anche dal costante e quasi impercepibile digrignare dei denti del ragazzo; doveva sforzarsi molto per rimanere apparentemente calmo, constatò Kathrine, la quale si impietosì e non volle rendergli il compito ulteriormente difficile:

<< Partiamo dalla musica; mi piace molto la musica classica e adoro i balletti. Non sopporto la musica rap, se non con qualche rara eccezione, e detesto il metal >>.

Eric parve rilassarsi:

<< Vedo che abbiamo qualche cosa in comune. Opera? >> Chiese frugando nelle tasche dei jeans.

Kathrine aveva assistito ad un'opera lirica una decina di anni prima, quando sua nonna l'aveva accompagnata a vedere la Tosca di Giacomo Puccini. Non ricordava molto di quella sera, se non il fatto che quando i personaggi sulla scena cantavano non si capiva niente e che fuori faceva un gran freddo. Però l'opera le piaceva, o almeno la musica che veniva suonata per la sua rappresentazione:

<< Non ho mai assistito ad un'opera vera e propria, o almeno non ricordo nulla, talmente ero piccola. Però penso che quella che preferirei vedere è il Flauto Magico; il canto della regina della notte è stupendo >>

Eric, intanto, aveva tirato fuori un i-pod blu metallizzato di ultima generazione e le porgeva una cuffietta. Kathrine la prese titubante e la portò all'orecchio.

Improvvisamente partirono le prime note di Libiamo ne' lieti calici, opera la Traviata:

<< Chissà perché la tua scelta non mi stupisce >> sorrise ironica la ragazza.

Fuori aveva smesso di piovere. Il sole aveva fatto capolino e i suoi raggi obliqui costrinsero Kathrine a strizzare gli occhi: fortunatamente si era trattato solamente di un temporale estivo di breve durata. Nonostante il temporale, unico apparente motivo che li teneva chiusi insieme in un bar, era cessato i due giovani non si mossero e il pensiero di abbandonare il locale non passò loro minimamente per la testa:

<< Come vanno gli allenamenti? >> La musica di sottofondo cambiò trasformandosi in De' miei bollenti spiriti:

<< Abbiamo una partita ai primi di agosto. Ci alleniamo almeno tre volte la settimana, anche se non tutti si impegnano al massimo... >>

<< James? >> ipotizzò Kathrine

<< E' troppo convinto di vincere. Non è una novità il fatto che salti gli allenamenti almeno una volta ogni tanto >>

<< Sottovalutare il nemico può giocare a vostro sfavore, in effetti >>

Eric si fece pensieroso, portandosi una mano sulla fronte. Kathrine lo capì: come capitano della squadra aveva il compito di guidare gli altri compagni sia negli allenamenti che negli schemi di gioco; si sarebbe sentito sicuramente responsabile di una possibile sconfitta. Cercò, quindi, di alleggerire l'atmosfera fattasi improvvisamente pesante:

<< Be' vedi il lato positivo: almeno avrete delle galline prive di intelletto a sculettare per voi durante la partita, no? >>

Eric ridacchiò:

<< Detto da te suona strano. Comunque grazie per il tentativo, Bennet >>

Uno strano calore si diffuse nel petto della ragazza:

<< Di nulla >>

  
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