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Autore: Leopoldo    23/03/2013    3 recensioni
Due vite più differenti e distanti sono difficili da immaginare.
Un soldato dello US Army che ha lasciato la sua città natale senza tornare per anni ed una giovane supplente di Letteratura possono intrecciare i loro destini e rimanere legati l’uno all’altro?
-Au, Quick centric, accenni possibili di altre coppie-
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck, Nuovo personaggio, Quinn Fabray | Coppie: Puck/Quinn
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4. Tutta la Verità, nient’altro che la Verità

 

 

“Potresti essere meno duro visto che … oh”

Si interruppe da solo dopo aver letto il nome scritto in cima al modulo di assunzione dell’officina di suo padre.

“Puckerman … Noah Puckerman è tornato?”

 

“A meno che non sia uno scherzo ben congeniato, deve essere lui” sospirò suo padre, sollevando la visiera dell’inseparabile cappello per guardare meglio gli occhi incerti del figlio. “In più ho chiesto a Ryder di darmi una descrizione fisica del tipo che ha compilato quel modulo e sì, appena mi ha detto che era uno abbastanza alto e piuttosto massiccio con una cresta e il resto del cranio rasato ho capito. È davvero lui”

 

Kurt continuò a stringere per diversi lunghissimi secondi il foglio tra le dita, provando senza successo ad articolare un singolo suono.

“I-io non …” balbettò dopo un po’ “… non capisco. Ma … quando?”

 

“Cinque giorni fa più o meno. Se invece mi chiedi da quando è a Lima, non saprei come risponderti. Potrebbe essere una settimana come un paio di mesi o più”

 

“… Dio mio”

 

“Addirittura, Kurt?!” sorrise suo padre, nel tentativo di smorzare la tensione, giocando sul fatto che un tipo non credente come suo figlio potesse essere così sconvolto dall’invocare il Suo nome.

 

“Perché?” lo ignorò lui, gesticolando e facendo svolazzare il foglio per il nervosismo. “Insomma … perché in questo modo? Poteva … poteva venire da te, da me o … questa è stata la sua casa per un anno, cazzo!”

 

“Buddy …” lo richiamò suo padre, appoggiandogli una mano sulla gamba “… respira, per favore. L’ultima volta che è stato a Lima non se ne è andato in maniera felice, potrebbe essere ancora arrabbiato oppure credere che noi siamo ancora furiosi con lui”

 

“Ma è successo più di nove anni fa!” sbottò Kurt, incredulo. “Non me lo ricorderei nemmeno se non fosse … lo sai” mentì, sperando tuttavia di tirare acqua al suo mulino e convincere Burt.

 

“Sto solo facendo delle ipotesi. Un’altra idea che mi sono fatto è che non sia più il Puck che siamo abituati a conoscere” aggiunse a bassa voce, studiando con accuratezza le espressioni sul volto del figlio.

 

“I-in … in che senso?” chiese Kurt, più disorientato che spaventato dall’idea.

 

“Che quello che è successo quel giorno non sia stato un episodio isolato. La guerra ti incrina qualcosa dentro, indipendentemente da quanto uno sia forte di testa. Hai presente quello che è successo al padre di Finn?”

 

Un reduce di guerra congedato con disonore e diventato dipendente da droghe e medicinali una volta tornata in America che, piuttosto che farsi vedere ridotto in quello stato da sua moglie e suo figlio, era scappato di casa, finendo con il morire come un cane a Cincinnati per overdose … certo che l’aveva presente.

“S-sì”

 

“Ora …” riprese Burt, notando lo sguardo turbato del figlio “… non dico che questo sia il caso ma non mi sento di escludere nulla e mi limito ai fatti. In questo momento so solo che è tornato qui e vuole incontrarmi, anche solo per avere un lavoretto in officina. Domani lo chiamerò e fisserò un colloquio”

 

“Non l’hai ancora fatto?”

 

“Non sei l’unico ad essere scioccato da questa vicenda, Buddy, ho voluto prendermi del tempo per assimilare la cosa” si difese all’istante dopo aver sentito un briciolo di accusa nella domanda di Kurt. “E prima voleva mettere te al corrente di tutto”

 

“Posso venire anche io al colloq-”

 

“No” lo fermò subito il padre, brusco. “Devo prima valutare diverse cose per non mettergli troppa pressione e … non sappiamo nemmeno se vuole riallacciare i vecchi rapporti. Dobbiamo andare con i piedi di piombo, usare calma, pazienza ed essere disposti ad ascoltare e perdonare.”

 

“Non sono d’accordo, è uno degli amici più cari che abbia mai avuto e ho il diritto di rivederlo!” ribatté immediatamente Kurt, ricevendo uno sguardo di disapprovazione dal padre.

 

“Quel giorno ricordo perfettamente che tu gli dissi di non volerlo rivedere mai più in vita tua. Aspetta” lo anticipò, alzando la mano per fermare le sue proteste. “Io so che tu eri solo sconvolto e che ora sai di aver esagerato. Lui invece no. Aspettiamo e vediamo come comportarci, ok? Magari ha solo paura di non essere ben accetto. Sarebbe in perfetto stile  Noah Puckerman, non credi anche tu?”

 

“Sì però … va bene, hai ragione” concesse, mordendosi il labbro. “Non è detto che voglia rivedermi dopo quello che è successo” ammise a malincuore, stringendo con forza il pezzo di carta che aveva ancora tra le mani.

 

“Puoi dormire nella tua vecchia stanza per stanotte, Buddy”

 

Sorrise di cuore all’affermazione di Burt. Ormai dovrebbe aver capito quanto sua padre sia per distacco il migliore del mondo ma ogni volta riesce a sorprenderlo di più.

“Grazie”

 

“Di nulla” disse l’uomo, facendo leva sulle ginocchia per alzarsi dal divano. “Ci dovrebbe essere del latte fresco in frigo. Vuoi che te ne scaldo un po’?”

 

Miglior. Papà. Di. Tutto. L’Universo.  

 

 

Nasconde il cumulo di pensieri riguardo alla chiacchierata con suo padre della sera prima che gli affollano la mente dietro ad un generoso sorso di latte macchiato scremato dal bicchiere del Lima Bean, scrutando con lo sguardo le persone che affollano il suo bar preferito della città. Sono ragazzini, per lo più, e una discreta parte di loro è impegnata a guardare sottecchi Quinn. Non è difficile immaginare il perché.

 

“Tutto ok?” chiede la ragazza in questione, sollevando lo sguardo dall’elenco di baby-sitter che le ha fornito Carole non appena si sente osservata dall’amico.

È da quando si sono incontrati a scuola diverse ore prima che si è accorta che c’è qualcosa che non va e glielo ha già chiesto due o tre volte, evidentemente nella speranza che decida di confidarsi con lei, senza mai però risultare troppo insistente.

 

“In realtà no” ammette Kurt, finalmente, sorridendo quando vede Quinn agitarsi sulla sedia, puntellarsi sui gomiti e sporgersi verso di lui per dedicargli la sua completa attenzione.

“Quella mattina, quando ti ho raccontato del mio gruppetto di amici del liceo, ho menzionato un certo Puck” inizia, tentennante.

 

“Me lo ricordo” annuisce la giovane insegnante con un tono preoccupato. “Gli è successo qualcosa?”

 

“No, no. Almeno, per quello che so non credo” mormora, palesemente abbattuto dalla consapevolezza di non sapere nulla. “È che … manca da Lima da anni e anni e … la sera in cui siamo andati a vedere la partita di football al McKinley mio padre mi ha detto che è tornato”

 

“La cosa sembra turbarti molto” nota la ragazza, anche se non è necessario un genio per capirlo. “Non dovresti essere contento?”

 

“Nove anni fa, l’ultima volta che l’ho visto, gli ho detto che per me … n-non … che per me era come se non esistesse più” confessa, abbassando lo sguardo per il peso di quel ricordo.

 

“Ouch” mormora Quinn, cominciando evidentemente a capire. “È stato un litigio così brutto? Era forse … il tuo ragazzo?”

 

“Cosa?! No no no! Che dici!” farfuglia, arrossendo clamorosamente. “Non dire mai più una cosa del genere, ok? Io e Puck, insieme … santo Cielo” commenta rabbrividendo.

 

“Scusa, pensavo di aver intuito cosa fosse successo” sorride la giovane insegnante, interpretando l’imbarazzo dell’amico come una mezza ammissione di verità. Se solo lo conoscesse meglio, saprebbe che diventa rosso anche quando alla tv dicono la parola ‘sesso’, e se conoscesse la fama da donnaiolo di Noah Puckerman non ne ipotizzerebbe una relazione con l’amico.  

 

“Magari fosse così semplice, Quinn” sorride amaramente Kurt. “Io … non pensavo che sarebbe tornato dopo quello che è successo”

 

“Cos’è successo di così terribile?”

 

“Ha spaccato la faccia al mio fratellastro, Finn, e ha … spintonato via e praticamente insultato chiunque tentasse di mettersi in mezzo tra loro due” sospira, scuotendo il capo di fronte al ricordo di tanta violenza. “Quando finalmente siamo riusciti a separarli e abbiamo portato Finn ospedale, è venuto fuori che aveva il setto nasale rotto e lo zigomo fratturato. Hanno dovuto operarlo”

 

“Cavolo … ma è terribile!” esclama Quinn, scioccata. “Perché questa … cosa?”

 

“Non c’è un perché, non c’è una spiegazione vera” risponde Kurt, facendo ruotare il bicchiere di caffè tra le dita. “Lui non ci ha più parlato e, dopo aver saputo che Finn non aveva intenzione di sporgere denuncia, non l’abbiamo nemmeno più rivisto. Abbiamo solo delle idee e delle ipotesi, anche se Finn non ha mai voluto parlarne”

 

“Ci deve essere qualcosa” mormora la ragazza, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Anche se non conosco questo tizio, non può essere scattato così all’improvviso. Poi con uno dei suoi migliori amici, giusto?”

 

“In effetti hai ragione. Puck aveva un motivo, l’ha urlato più volte in maniera piuttosto chiara. Era convinto che … che fosse stato Finn ad uccidere Sam

 

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La casa degli Hummel-Hudson non è cambiata molto nel corso degli anni. È solo più vuota, ma è perfettamente normale. L’ultima volta che ci aveva messo piede era un ragazzino e, dietro la porta, c’erano sempre Finn sul divano e Kurt in camera sua con le sue amiche ad aspettarlo.

 

Quello che è cambiato e anche di molto è Burt. È come se fosse invecchiato del doppio rispetto ai nove anni effettivamente passati dall’ultima volta in cui i loro sguardi si sono incrociati, quel giorno di tanti anni prima al cimitero della città.

 

Il suo volto è molto scavato, stanco, affaticato, e dell’uomo piuttosto enorme ed in carne che ricorda, forse anche in maniera esagerata per via del timore che sapeva incutere agli occhi di un diciassettenne, non è rimasto molto.

Eppure, il suo sguardo è ancora lì, tagliente e penetrante, e non si è spostato di un millimetro dalla sua faccia dall’istante in cui ha messo piede in casa. La cosa strana, però, è che non ha ancora detto nulla. E il silenzio di Burt è più letale della doppietta arrugginita che tiene in soffitta.

 

“Sono tornato sulle mie gambe”

Forse non è la cosa più intelligente da dire in un momento come questo, è vero, ma è la prima che gli è venuta in mente per riempire uno dei silenzi più pesanti che abbia mai dovuto affrontare.

 

“Lo vedo”

 

… ok, molto probabilmente serve altro.

“Mi hanno detto che hai avuto una specie di infarto, o qualcosa del genere. Ora stai bene?”

 

“Ti hanno detto bene. E ho avuto anche una specie di tumore alla prostata. Ora, come vedi, sono sano come un pesce”

 

Noah annuisce un paio di volte, facendo ruotare lo sguardo sul televisore e sul muro dietro ad esso. Fatto questo, si alza dal divano su cui ha preso posto in maniera decisa, dando le spalle a Burt.

“Sono felice che tu stia bene ed è stato un piacere rivederti. Per quella domanda di lavoro … facciamo finta che abbiamo scherzato. Addio” saluta, dirigendosi immediatamente verso l’uscita. Non sarebbe dovuta andare così. Proprio no.

 

“Cosa credevi che sarebbe successo, uhm?” lo incalza Burt, alzandosi a sua volta. “Hai pestato a sangue mio figlio-”

 

“Figliastro” lo corregge, fronteggiandolo. Di certo non si aspettava di finire con il litigare con lui, e molto probabilmente nemmeno il signor Hummel visto che aveva detto a Kurt che avrebbe ‘valutato la situazione’, ma certe dinamiche sono imprevedibili e vecchi dissapori ormai sopiti possono tornare a galla senza preavviso.

 

“Lo considero al pari di Kurt e tu questo dovresti saperlo meglio di tutti”

 

Noah allarga le braccia, facendo spallucce.

 

“Hai spaccato la faccia di Finn e non hai nemmeno avuto la decenza di chiedergli scusa, senza considerare che lo hai fatto di fronte a Carole e ad una famiglia in lutto” dice puntandogli il dito sul petto. “E non è tutto. Hai idea di cosa sia successo tra Kurt e Mercedes dopo la tua bella sparata?”

 

“Parliamo di nove anni fa, Burt” dice con irreale serenità, appoggiando una mano sul dito teso dell’uomo.

 

“Non importa. Perché tu hai deciso di andartene e non pagare le conseguenze delle tue azioni e-” 

 

“Io pago le conseguenze delle mie azioni e di quelle delle altre persone da quando ho sette anni, Burt!” grida, liberando la sua ira. “Perciò non venirmi a rinfacciare certe cose, perché sono l’ultima persona che può essere giudicata su questo!”

 

Il padre di Kurt si allontana di una passo, spiazzato, rendendosi conto di non aver seguito i consigli che lui stesso aveva dato a suo figlio. Calma, pazienza, ascolto, perdono.

 

“Sono qui, ora, per cercare di buttare il passato alle spalle. Non vado fiero di nulla di quello che ho fatto negli ultimi tempi ma … ho pagato a sufficienza per tutto e anche di più” aggiunge Noah, cercando di calmarsi ancora una volta con il respiro. “Tu mi dicesti che la tua officina sarebbe sempre stata aperta. La tua offerta è ancora valida sì o no?”

 

“Non funziona così, ragazzo” mormora Burt togliendosi il cappellino da baseball. “Il passato non si butta alle spalle semplicemente facendo finta che non sia mai accaduto. Per voltare pagina, devi prima scrivere la parola fine in fondo al foglio”

 

“E se non avessi la forza di voltarla, quella pagina?” sospira Noah, rivelando parte della sua angoscia. “Non siamo tutti come te o Kurt”

 

“Per esserne sicuro devi prima provarci” gli ricorda, rimettendosi il capello ed addolcendo il tono di voce per quanto sia possibile ad uno come lui. “Partiamo dall’inizio, che ne dici?”

 

“O-ok” concede dopo qualche secondo di riflessione. Tanto cos’ha da perdere? “Cosa vuoi sapere?”

 

“Perché hai sempre pensato che l’incidente di Finn con la sua arma non sia stato un vero incidente?”

 

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Oh Dio … potrebbe essere vero?”

 

Kurt scuote il capo, facendo no un paio di volte. “Sam è morto in Afghanistan. Era … era un soldato. Quando è successo, Finn era a New York con me”

 

“Ma allora … perché?” chiede Quinn, sempre più confusa e sempre più coinvolta in questa storia.

 

“Non lo so con esattezza, te l’ho già detto. Però mi sono fatto una mia idea” mormora Kurt. “Prima, però, devi sapere che Puck non ha avuto alle spalle un’esperienza familiare felice. Suo padre era una bastardo che si muoveva da una donna all’altra, fregandosene di lasciare figli qua e là, sfruttando le persone per avere i loro soldi. Sua madre, invece, non ha molte colpe se non il riuscire a dire di no a quell’uomo

 

“Questo cosa c’entra?” storce il naso la giovane insegnante.

 

“C’entra per un semplice motivo. La famiglia di Puck erano Sam e Finn. Si conoscevano fin dall’asilo … me l’ha raccontato il mio fratellastro … ed erano inseparabili”

 

“Quindi mi stai dicendo che si sono arruolati assieme nell’esercito?”

 

“So cosa stai pensando” fa Kurt, captando la smorfia nel volto della bionda. “Non l’hanno fatto per uno stupido patto di fratellanza. Cioè, in parte per quello, ma ognuno di loro aveva motivazioni sufficientemente valide da resistere alle proteste di tutti noi. Senza dimenticare che non era passato nemmeno un anno dall’11 Settembre

 

“Non ci sono mai motivazioni valide per prendere in mano un fucile” farfuglia Quinn, con una punta polemica. “Aspetta un secondo … non hai detto che Finn era a New York con te? Si è arruolato da un’altra parte o …?”

 

“Non ha mai terminato l’addestramento” le spiega, togliendo le mani dal bicchiere per intrecciare le dita sul tavolino. “Un giorno si è semplicemente presentato alla nostra porta, leggermente zoppicante, dicendo di essere stato rispedito a casa. Poi abbiamo scoperto che si era accidentalmente sparato alla gamba mentre puliva ‘Rachel’, il suo fucile”

 

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“Quale idiota si spara da solo con il proprio fucile? Fucile tra l’altro senza cartucciera e che gli ufficiale fanno scaricare ogni volta, per sicurezza, prima di iniziare la pulizia”

 

Burt incrocia le braccia al petto, evidentemente immerso nei suoi pensieri e dubbi. “Mi è sempre sembrato strano, però … non mi ha mai dato modo di dubitare della sua parola e lui ha spergiurato in più di un’occasione di non averlo fatto di proposito”

 

“Quando pulisci l’arma non solo è scarica ma, sempre per sicurezza, la canna non viene mai rivolta verso parti del proprio corpo quando è ancora montata al resto del fucile” insiste Noah, esponendo la sua versione dei fatti. “Si è ritrovato seppellito dalla merda del lavoro duro a cui non è mai stato abituato e dalla nostalgia di Rachel che continuava a tempestarlo di lettere e chiamate. Sapeva bene che l’unico modo per andarsene dall’esercito dopo aver firmato è in una bara, per sopraggiunti limiti d’età, per handicap fisici o problemi di natura mentale” conta sulle dita, chiudendo poi pollice ed indice. “Sparandosi ha spuntato le ultime due caselle”

 

“Ok, ammettiamo pure che l’abbia fatto apposta” concede Burt. “Anche se fosse stato là con voi, cosa sarebbe potuto cambiare?”

 

“Nulla” risponde prontamente Noah, sorprendendo l’uomo per la durezza della voce. “Ma ha tradito i suoi fratelli, bastava questo visto che con il suo gesto aveva infangato il buon nome del 194esimo Fanteria. E … a quel tempo mi sembrava una motivazione sufficiente. Aveva abbandonato me e Sam, poi … poi anche Sam se ne è andato”

 

Burt lo scruta attentamente, esaminando il modo in cui i suoi pugni sono stretti e il suo capo è reclinato verso il basso in modo da evitare il suo sguardo.

“Lo odi ancora, non è così?”

 

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“Si è sparato da solo?” chiede Quinn, allucinata dalla mole di informazioni che le sta dando Kurt e dalla loro natura. Sembra davvero un racconto tratto da un film più che una storia vera.

 

“Lui ci disse che era stato un incidente. Mercedes però mi raccontò in più di un’occasione che secondo Sam e Puck l’aveva fatto di proposito per poter tornare da Rachel”

 

“Ok. La verità, alla fine, qual è?”

 

“Non lo so” ammette sinceramente Kurt. “So solo che Finn non ha terminato il suo addestramento e che la compagnia di cui anche lui avrebbe dovuto fare parte è stata mandata in Afghanistan verso la fine di quell’anno. Era il 2002”

 

“E il tuo amico … insomma, è morto in quella missione” mormora Quinn, sinceramente dispiaciuta non appena vede gli occhi dell’amico riempirsi rapidamente di lacrime. “N-non devi parlarne più se non ti va, ok?”

 

“N-no, è solo … Sam era un ragazzo d’oro, d-davvero buono come un pezzo di pane e ogni volta che ci penso m-mi … uff” sospira, prendendo un tovagliolino dal contenitore posto in mezzo al tavolino. “Nove anni sono tanti, eppure … fa ancora male, come ognuna delle discussioni e delle litigate nate dopo”

 

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“Ragazzo” sospira Burt, in piedi vicino a Noah, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Non puoi pensare di buttarti il passato alle spalle se non superi questo odio”

 

“Non posso. Lui è … è come mio padre. E non mi venire a dire che non è vero, perché entrambi hanno abbandonato la loro famiglia. Per me lui e Sam erano fratelli di sangue, li mettevo sullo stesso piano di Deborah. E tu lo sai meglio di chiunque altro

 

Burt sbuffa di nuovo, girando attorno al divano per tornare al suo posto e prendersi qualche secondo di riflessione. Sospira per la terza volta nel giro di venti secondi, grattandosi il mento liscio. “Forse allora dovresti parlarne con qualcuno

 

“Uno psicologo?” chiede Noah, lasciandosi scappare una breve risata vuota. “Ci sono stato in terapia e no, non ha funzionato. Mi ha aiutato in tante cose ma su questo proprio no”

 

“E come hai intenzione di risolverla?”

 

“Perché insisti tanto?” chiede ancora Noah, scuotendo il capo. “Per me il problema non esiste nemmeno. Farò finta che sia morto quel giorno insieme a Sam, come ho fatto fin’ora tra l’altro”

 

“Il problema non è tuo, ma mio. Ti ho accolto in questa famiglia esattamente come feci con Carole e Finn, e sarei pure disposto ad accettarti di nuovo se riuscissi a-”

 

“Non chiederò scusa a Finn” lo interrompe, deciso. “Anzi, non solo non ho la minima intenzione di farlo, ma è lui a doversi prostrare ai miei piedi, dei genitori di Sam, di sua sorella e di suo fratello, dei ragazzi del 194esimo e piangere per il nostro perdono

 

“Non mi lasci altra scelta, ragazzo” mormora Burt, dispiaciuto. “Non posso fare finta di niente, correndo il rischio poi di vederti azzannare il collo di Finn alla prima occasione come una bestia fuori controllo”

 

“Non sono più quel cane rabbioso, Burt, e mi infastidisce molto che tu non voglia nemmeno darmi un occasione di dimostrarlo per colpa di quel sacco di merda” decreta, secco e autoritario, mettendosi in piedi. “Pensavo fossi una persona diversa, davvero, eppure fate tutti lo stesso errore. Scegliete sempre di stare dalla parte di chi non merita alcuna fiducia

 

“Non sono tua madre, ragazzo” lo richiama mentre ormai Noah è già con un piede nel piccolo corridoio che conduce alla porta d’ingresso. “Così come Finn non è tuo padre. Riesci a rendertene conto, vero?”

 

“Sì, me ne rendo perfettamente conto” sorride, ironico, voltandosi verso Burt per una manciata di secondi. “Per questo mi fa così male sapere che vi siete comportati esattamente come loro”

 

Se questo non è un addio, beh … poco ci manca.

Mentre si avvia verso la macchina, un’improvvisa sensazione di caldo gli arriva dalla guancia. Se la sfiora con le dita, accorgendosi solo ora di stare piangendo. Da quanto tempo va avanti? Non saprebbe dirlo, in realtà, ma non gli importa più di tanto.

Quello che conta davvero è che Burt ha avvalorato una delle ipotesi che gli frullano nella testa da una vita: non si può contare mai su nessuno all’infuori di sé stessi e dei propri fratelli. Ha solo Deborah e i suoi commilitoni, esattamente come nove anni fa, esattamente come è sempre stato nella sua giovane vita.

 

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“Kurt, davvero, non è necessario che tu continui a parlarne. Ho capito più o meno cosa è successo” tenta di sorridere Quinn, allungando al ragazzo uno dei suoi fazzolettini di carta, molto più morbidi dei tovagliolini del bar.

 

“O-ok” annuisce l’insegnante, cercando di darsi un contegno dopo aver notato di avere addosso lo sguardo di praticamente tutto il locale. “Ora l-lui è tornato e non ho la minima idea di come comportarmi. M-mio padre … lui mi ha detto che l’avrebbe chiamato oggi, quindi potrebbero già essersi incontrati o stare parlando in questo momento, credo che lo scoprirò solo s-stasera. E i-io … non so se è il caso d-di intromettermi”

 

Stavolta è il turno di Quinn di annuire. Anche se Kurt non lo può sapere, lei non è nuova a situazioni in cui le persone appaiono e scompaiono, lasciando gli altri nella condizione di non sapere come comportarsi.

“Se potessi dirgli una sola cosa, quale sarebbe?”

 

“Mi dispiace di non aver capito il tuo dolore” è la risposta che arriva subito, segno che ci sta pensando da davvero tanto tempo. “Ma se lui non ci rivuole nella sua vita … e io lo capisco, davvero, n-nessuno ha … pensato a lui. Dopotutto, Sam era davvero la sua famiglia

 

“Forse dovresti dirglielo in ogni caso” asserisce Quinn con certezza. “Forse è questo che vorrebbe sapere, che tu hai pensato a lui in tutto questo tempo”

 

Kurt farfuglia qualcosa in risposta, un soffio troppo debole per essere udito persino da lui stesso. La sua testa è completamente concentrata su altro per rendersi conto di come Quinn continui ad insistere con sicurezza che tra lui e Puck ci fosse qualcosa di amoroso. Una convinzione completamente sbagliata.

 

“Resta il fatto che non ho la minima intenzione di lasciarti qui da solo” borbotta la bionda dopo aver buttato uno sguardo allo schermo del suo iPhone. “Perciò, ora tu vieni con me a prendere Beth, ti ascolti il racconto di tutta la sua giornata scolastica in ogni minimo dettaglio e dovrai anche convincerla che tu non sei il suo principe azzurro”

 

“Lo pensa davvero?” ridacchia Kurt, tra un singhiozzo e l’altro.  

 

“Certo che lo pensa davvero” sorride Quinn, risparmiando al ragazzo il racconto delle duecento volte in cui Beth le ha chiesto quando avrebbe potuto rivederlo. “Vedrai la faccia che farà non appena capirà che ci sei anche tu ad aspettarla fuori dalle elementari”

 

“Il solo pensare a quella bambina iperattiva mi fa già stare un po’ meglio” ammette Kurt, facendo annuire Quinn.

 

“Beth fa questo effetto praticamente ad ogni persona che incontra” gli fa con un occhiolino, ripetendo praticamente le stesse parole che ha detto a Carole non più tardi di diciotto ore fa. “Anche a me, sempre”

 

Una volta che entrambi si sono alzati, la giovane insegnante prende a braccetto Kurt, sorridendogli non appena gli occhi azzurri leggermente arrossati del suo amico lo guardano grati.

Per la prima volta in questa giornata, dopo aver assistito impotente al dolore del professore di francese, riesce a sentirsi finalmente utile a qualcosa. Ed è una sensazione che non le dispiace affatto, visto che si tratta di un lato dell’amicizia che con Santana e Sebastian, dei pezzi di ghiaccio dal punto di vista emotivo, non ha mai potuto esplorare.

 

“Qualsiasi cosa deciderai di fare, io ti aiuterò” aggiunge una volta fuori dal locale, rendendosi conto che è la prima volta che lo dice senza doversi aspettare come risposta una richiesta di omicidio e occultamente di cadavere –vedi Santana– o di rapimento e legamento di un individuo ad un letto –vedi Sebastian.

 

“Ti sono molto grato, Quinn. E grazie per essere rimasta ad ascoltarmi tutt’oggi”

 

 

 

 

 

Note dell’autore.

 

Capitolo leggerino, eh? Decisamente molti dialoghi e molte informazioni, spero non risulti noioso ma, come il precedente, è necessario. Avrei inserito un altro pezzetto in fondo ma quattromila e passa parole di solo dialogo sono un po’ tante, ho preferito evitare.

 

Come vi è sembrata l’idea di incastrare i due confronti tra di loro? A me sembrava carina, soprattutto per rendere il tutto meno pesante e più scorrevole. Fatemi sapere la vostra, è un esperimento e posso sempre cambiarlo se è poco chiaro o infastidisce.

 

… Sam. Povero piccolo Sammy Evans :(! In origine sarebbe dovuto morire Finn ma, a quel punto, metà delle cose avrebbero perso il loro senso. Inoltre, tra i due il personaggio che preferisco nel telefilm è Sam, con ampio distacco tra l’altro, e visto che scrivo su Glee per migliorare, far morire uno dei personaggi che mi stanno più antipatici, ovvero Finn, sarebbe stato troppo scontato.

In questo modo, invece, devo scrivere di uno che mi sta davvero sulle palle. È una sorta di sfida, diciamo. E mi spiace da morire per Sam, cosa che spero trapeli dalle parole dei personaggi della storia. Sarebbe stato più difficile scriverlo per Finn :)

 

Spero che il tutto sia realistico, anche se ho seguito per larghi tratti ciò che è successo nel telefilm, stiamo parlando di Glee quindi ………

 

Per domande, correzioni, dubbi, suggerimenti, insulti e cose del genere vi invito nuovamente a lasciare un commento o, se preferite, a mandare un messaggio di posta a cui risponderò il più rapidamente possibile. Chiedo scusa per eventuali refusi, ripetizioni, errorini, etc, ma sono molto di fretta. 

Il prossimo capitolo sarà meno pesante per quanto possibile e spero di postarlo entro venerdì!

Grazie a chiunque abbia letto, messo nelle seguite, preferite e da ricordare. Un GRAZIE immenso invece alle due buone anime che hanno recensito lo scorso capitolo, rendendomi partecipe di ciò che pensano sulla storia. Me molto felice!

Alla prossima!

Pace.

  
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