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Autore: misScarlett    24/03/2013    2 recensioni
Klaus Mikaelson non ama parlare di sé. Non è dato sapere come e quando l'amore l'abbia colpito, o se sia proprio questo la causa della sua malvagità. Sembrerebbe senza sentimenti, a un occhio disattento. Incapace di amare.
E se invece avesse amato così tanto, in passato, da non poter più provare un amore tanto forte? Se la perdita di quella donna fosse stato un colpo troppo duro?
E se questa donna comparisse dopo secoli, solo per lui? Chi è lei? Come è fatta? Qual è la loro storia?
E' questa.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klaus, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Si guardava intorno, osservando ogni millimetro di quella piccola cittadina. Contrariamente a Katerina, lei non c’era mai stata prima. Erano state molto diverse le loro vite, eppure anche simili per molti versi.
 
Bulgaria, 1492:
- Katerina…
Non ricevette risposta. Sentiva singhiozzi dall’altro lato della porta, ma nessuna parola. Prese il pomello della porta e lo girò lentamente, aprendola un poco.
- Vattene, Anha.
- Nostro padre ha davvero intenzione di mandarti via?
- Ti ho detto VATTENE!
Katerina ebbe una reazione brusca e si alzò dal letto sul quale era rannicchiata, guardandola con occhi pieni d’odio. Il suo abito cadde a terra dolcemente, ponendosi in contrasto con chi lo stava indossando. Dianha la guardò timorosa, il cuore in gola e gli occhi lucidi. Non sapeva dire se fosse suo quel dolore che sentiva, o fosse solo empatia nei confronti di chi aveva di fronte. Non era lei che aveva il diritto di soffrire, non in quel momento, non tanto quanto Katerina che intanto si avvicinava sempre più a lei.
- Tu non hai un solo problema, sorella. Sei la più piccola di casa, la preferita di papà, non fai mai niente che non vada. Io sono la pecora nera. Io me ne devo andare, solo perché ho avuto una figlia con qualcuno che non gli andava a genio.
- S-sei stata… imprudente.
Aveva parlato con lo sguardo basso, sentendo gli occhi di Katerina su di lei. Quasi li poteva vedere pur non guardandoli. Occhi spietati di chi aveva amato troppo ed aveva perso tutto. Deglutii, sforzandosi di trovare il coraggio di dire ciò per cui era entrata in quella stanza.
- Ho chiesto a nostro padre di poter andare con te.
 
Pensare a quel giorno non era mai piacevole. Per tanti anni era stata convinta che Katerina fosse solo un’anima incompresa e sola. Avevano solo un anno di differenza, eppure un abisso le separava. Le aveva voluto bene, era comunque sua sorella. Era andata con lei a Londra, voleva sostenerla e aiutarla, ma tutto quello che Katerina aveva fatto era stato solo allontanarla sempre di più. Nemmeno la maggiore delle Petrova seppe mai perché il loro padre avesse lasciato andare entrambe le figlie in Inghilterra, ma Anha lo sapeva bene. Nemmeno lei aveva capito subito, ma poi aveva trovato la ragione. I Petrova erano sempre stati una famiglia nobile e con una reputazione da mantenere, una buona reputazione. Tutto ciò che essi facevano era sempre attentamente studiato per fare in modo di ottenere il massimo successo presso la società, con il minimo sforzo. Le due sorelle erano le sole figlie avute, nonostante più e vani tentativi di avere un primogenito maschio. Katerina era la maggiore, ma anche la più debole. La sua salute cagionevole la costringeva spesso a stare a casa e a letto per lunghi periodi, mentre Dianha era più forte fisicamente, il che le permetteva di partecipare assiduamente alla vita mondana che era stata progettata per lei. Le rare volte in cui Katerina era più in forze del solito faceva di testa sua, cercando in tutti i modi di recuperare quel tempo perduto al chiuso, abusando della sua libertà. Anha sapeva tutto quello che faceva, poiché Katerina solitamente le raccontava ciò che le accadeva. Era stato così che aveva conosciuto il giovane Nikolaj, e se ne era innamorata. Era un ragazzo di campagna che lavorava per loro padre, e bazzicava spesso nelle loro tenute. La piccola Petrova aveva subito ammonito Katerina e l’aveva pregata di fare attenzione, ma non era stata ascoltata. Fu così che la loro storia andò avanti per mesi e mesi, finché non giunse un’inaspettata gravidanza. La cosa potè essere nascosta solo i primi mesi, giustificando i vari malesseri con la solita debolezza di Katerina; ma poi fu impossibile nasconderlo, tanto più che Katerina non voleva sentire ragioni quando le si proponevano modi in cui avrebbe potuto perdere il bambino. Così, loro padre era venuto a scoprire tutto. Ricordare la rabbia e le scenate di quel giorno in cui tutto fu svelato faceva ancora male. Dianha era persa nei suoi pensieri tanto da non vedere più cosa c’era intorno a lei.
 
Suo padre aveva i palmi delle mani poggiati al tavolo di quel sontuoso soggiorno, incapace di alzare lo sguardo. Dianha lo guardava, esitante, indecisa se avvicinarsi, parlare o andarsene. Non fece nessuna delle tre cose: stette solo ferma lì, a osservarlo.
- Tu sapevi, Dianhochka, non è così?
Sembrava calmo. L’aveva persino chiamata in quel modo affettuoso che le riservava spesso. Ciò la fece sentire ancora più in colpa, sebbene sapesse che suo padre non aveva quell’intenzione. Voleva solo capire, e lei glielo doveva.
- Sì, padre.
Lui annuì, lentamente, facendo un profondissimo respiro. Sembrava che anche compiere una cosa così naturale come respirare gli costasse fatica, in quel momento. Sollevò la testa, guardandola negli occhi.
- Non posso permettere che tua sorella rimanga qui. Verrebbe additata come una meretrice, una donna dai facili costumi. Avrebbe una vita impossibile, Anha. E io non voglio questo per lei.
La ragazzina spalancò gli occhioni verdi, già intuendo cosa voleva fare suo padre, qual era la sua decisione. E per quanto dentro di sé sapesse che era l’unica possibile, la spaventava.
- Devo mandarla via, in Inghilterra.
- Ma… Ma, padre, voi…
- Non ho altra scelta. Katerina non mi lascia altre possibilità.
- Vi prego!
Suo padre scosse la testa, visibilmente amareggiato, ma troppo orgoglioso per dimostrare del tutto le sue emozioni.
- Fatemi andare con lei, allora.
 
Tornò al presente con corpo e mente, spezzando il filo dei ricordi che si facevano sempre più vividi, fino a poco prima. Sentì il sole sulla pelle e si stupì di quanto fosse piacevole sentire quel calore avvolgente. Aveva vissuto nell’oscurità per anni, di proposito. Osservò stupita i suoi capelli brillare alla luce, con riflessi ramati che aveva dimenticato. Ricordò il giorno prima, quando al buio era apparsa a quella ragazza bionda. Doveva aver pensato di essere di fronte alla donna meno umana che avesse mai visto in vita sua, e forse aveva ragione. Ma era il buio che aveva ingannato la vista della ragazza: Dianha in realtà era una donna bellissima, anche se non aveva mai superato Katerina in quanto a fascino. Anha aveva dei capelli castani, un castano anche piuttosto anonimo, se non fosse per il fatto che andavano schiarendosi in un biondo scuro più vicino alle punte. Il suo viso era meno spigoloso di quello della sorella, il suo fisico meno esile. La sola cosa che possedeva e che amava davvero di sé erano i suoi occhi: verdi, un verde molto scuro con pagliuzze dorate. Per molti anni erano stati talmente spenti da sembrare neri, certo, ma era solo un inganno.
Camminava sul marciapiede di quella che sembrava essere la via principale della cittadina. Poche persone si aggiravano da quelle parti, visi puliti e facce sorridenti che parevano del tutto ignare di ciò che Mystic Falls aveva visto in tanti anni di vita. Dianha sapeva tutto, si era informata molto accuratamente, e oltretutto la storia le era sempre piaciuta. Si ritrovò di fronte a quello che doveva essere il principale – se non l’unico – locale del posto, il Mystic Grill, e vi entrò. La porta scricchiolò quando si richiuse alle sue spalle, lasciando davanti a sé, mille sguardi che la osservavano curiosi. Bastò una sua occhiata generale per farli sparire tutti. Si avvicinò con uno strano sorriso al bancone, dietro al quale un biondino con la faccia angelica era intento a pulire bicchieri e tazzine da caffè. Dianha si sedette su uno sgabello e iniziò a studiarlo.
- Vai alla Robert E. Lee?
Lo colse di sorpresa. Matt Donovan alzò lo sguardo, sospettoso. A Mystic Falls non arrivava più nessuno per puro caso: ormai l’aveva imparato bene. La guardò, cercando di scorgere qualche segnale che gli facesse capire chi si trovava di fronte. Non riusciva a vedere niente di male in lei, ma non si fidava comunque.
- Perché, tu chi sei?
Lei si arrotolò una ciocca di capelli attorno al dito. Cercò di apparire il più innocente possibile, ma sapeva che le veniva un tantino difficile. Aveva perso l’innocenza da troppo tempo per ricordarsi com’era averla.
- Nessuno di importante, mi chiedevo se saremmo stati compagni di scuola.
Era del tutto intenzionata a far credere che si sarebbe trasferita lì, anche se non era sicura che avrebbe finito davvero per farlo. Sarebbe dipeso tutto dalla piega che avrebbero preso gli eventi. Si lasciava trasportare da essi, come sempre. Il ragazzo parve sorpreso ancora una volta.
- Bhè, allora immagino di sì. Sono Matt.
Cercava di fare il gentile, probabilmente l’avrebbe aiutato a capirci qualcosa in più. Sorrise amabilmente e le tese la mano, con quel fare cordiale che gli apparteneva talmente tanto che nessuno avrebbe pensato il contrario. Lei gliela strinse.
- Dianna.
Aveva inglesizzato il suo nome esattamente come Katerina aveva fatto con il suo. Doveva ammettere che Katherine suonava decisamente meglio di Dianna, ma non le importava poi un granché, in fondo. La porta scricchiolò di nuovo, all’improvviso, come se fosse stata aperta bruscamente. Qualche sguardo si levò anche quella volta, ma solo per qualche secondo. Quello di Anha non fu tra quelli. Ma sentì subito dei passi fin troppo familiari avvicinarsi. Matt lasciò la sua mano e si voltò verso la persona che si stava avvicinando. I passi si frenarono, lo sguardo di Dianha non si era ancora spostato, ma anzi, si abbassò. Sentiva gli occhi di Klaus sul suo volto, li sentiva come se le stessero bruciando il viso.
Si voltò, infine.
E c’erano i suoi occhi blu a fissarla. C’era lui che sembrava non aver alcuna difesa.
E c’era lei.
Erano lì entrambi.
  
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