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Autore: Sar_    24/03/2013    6 recensioni
C'è una ragazza, alla Beacon Hills High School, che non è mai stata notata. Ma lei c'era. C'era sempre. In disparte, vivendo la sua vita, ma c'era. E se qualcuno si accorgesse di lei? Se quel ragazzo si voltasse e la guardasse, per la prima volta, dopo tutte le sue preghiere? Se qualcuno nell'ombra approfittasse di tutto questo per trarlo a suo vantaggio? E se ci fosse qualcosa, ancora più a fondo nell'oscurità, in un regno di terrore e buio, che stesse tornando in superficie? Sta per scoppiare una guerra, e a ognuno dei tre schieramenti servono soldati.
......
Questa storia mi è venuta così, di getto, mentre spulciavo tra le fan fiction su teen wolf. Diciamo che è una mia versione della serie e delle origini dei lupetti. Può essere anche presa come una 'Bibbia' del soprannaturale.
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Emma's Chronicles'
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Chapter fifteen: Oliver.

 

 

«Buongiorno, principessa!» una voce maschile e allegra mi svegliò.

 

Spalancai gli occhi.

 

Era la stessa cosa che mi aveva detto Stiles quella mattina.
Mi venne voglia di sferrare un pugno spaccando una mascella.

Ero seduta su una sedia dura e scomoda, mezza scivolata verso il basso.
Raddrizzai la spina dorsale dolorante, appoggiandola per bene contro lo schienale della sedia.

Strizzai gli occhi, scrutando nella penombra: la stanza in cui mi trovavo era piccola, con una sola finestra che la illuminava debolmente. Forse era prima mattina, o tardo pomeriggio.

 

C'era qualcuno, davanti a me.

 

Incrociai le braccia, con muta sorpresa: non ero legata.
Perché?
Cosa stava succedendo?
Chi erano quelli? Scagnozzi di Derek?
No, no. Era assurdo.

 

«Mi dispiace per la rozzezza, ma era l'unico modo. Spero non mi considerai subito un cafone.» disse. Era seduto di fronte a me, chino in avanti, e mi osservava.

 

Aveva i capelli neri e ordinati, gli occhi verde scuro e la pelle chiara.
Gli diedi una trentina d'anni, o poco meno.

Parlava in modo strano, educato, come se fossimo a un colloquio di lavoro.

 

«Chi sei? Dove sono i miei amici?» chiesi, nervosa e spaventata.

 

L'ultima volta che li avevo visti, Neir era svenuto, Scott quasi soffocato e Stiles immobilizzato.

E se gli avessero fatto del male?

Strinsi i pugni.

 

Non fare domande stupide. Fatti vedere spavalda, sicura. La vocina nella mia testa, dopo tanto silenzio, tornò a farsi sentire.

 

«Oliver Silver. Piacere.» sorrise e mi tese la mano.

 

La guardai con disprezzo, e lui la tirò indietro, senza però smettere di sorridermi.

 

«Oh, come vuoi.» raddrizzò la schiena e si leccò le labbra «I ragazzi sono al sicuro. Non li abbiamo toccati.»

 

Il sollievo mi assalì. Non volevo credere che mentisse.
Stavano bene.
Mi fissava, come se potessi trasformarmi in Hulk da un momento all'altro.

 

«Vi ha mandati Derek? Ho già detto di no. Non sono interessata!» risposi secca, mentre la stanza cominciava a girare.

 

Avevo perso i sensi troppe volte per i miei gusti in quel periodo.
Non mi faceva affatto bene.
Non avrebbe fatto bene a chiunque.
Avevo bisogno delle mie pillole.

Strizzai le palpebre, aspettai che la testa smettesse di girare e li riaprii.
Lui era ancora lì, immobile, ma l'espressione era cambiata.
Sembrava confuso.

 

«Derek? Derek Hale?» chiese. Poi rise. «Oh, no. Certo che no. Siamo... dell'altra squadra, più o meno» e mi strizzò l'occhio.

 

Derek Hale.

 

Ecco chi era. L'uomo indagato per le morti...
Ma era stato scagionato, giusto?
Non era lui il responsabile.

 

«Che squadra? Qualcuno vuole spiegarmi qualcosa? È terribilmente irritante, quando la gente intorno a te ti parla di cose che non capisci, e pretende che tu sappia tutto... io sto per impazzire!» esplosi, affondando le dita tra i capelli. Ero sull'orlo di una crisi di nervi.

O forse la crisi era già in atto.
Forse ero già pazza.

Lui si schiarì la voce.

 

«Su, non è il caso di comportarsi così» il tono era quasi quello di un rimprovero.

 

Sì, gli avrei rotto il naso volentieri.

Digrignai i denti e scattai in piedi.
Lui non batté ciglio.

Mi voltai e mi indirizzai verso una porta, aspettandomi di essere seguita. Niente, non si muoveva.
Afferrai la maniglia e la abbassai. La porta non si mosse.

La strattonai con più forza, ma non funzionò.
Ovviamente era chiusa a chiave.

 

«Mi dispiace, non posso lasciarti andare. Prima devi rispondere a delle domande.» mi disse, stando là seduto. «Ti sarei molto grato se tornassi a sederti» e m'indicò la sedia.

 

Io incrociai le braccia e mi appoggiai alla porta, piantando per bene i piedi a terra.
Non mi sarei mossa per nulla al mondo.

Lui alzò gli occhi al cielo.

 

«Teen agers.» soffiò, esasperato. Si alzò anche lui, standomi però a debita distanza.

 

«Come ti dicevo, mi serve che tu mi chiarisca qualche dubbio.» disse, sorridendomi in modo incoraggiante «Derek Hale, che tu stessa hai nominato, ti ha... proposto qualcosa, giusto?» chiese, con un singolo gesto della mano, un ricciolo nell'aria «Cosa, precisamente?»

 

Mi fissava, squadrandomi dalla testa ai piedi e ritorno.

 

«Voleva...» cominciai. Volevo risposte, e lui sembrava sapere esattamente ciò che stavo per dirgli. Quindi, forse sapeva anche qualcosa che io stessa non conoscevo. Ne ero quasi certa. «come si dice... Umh.» quella parola pizzicava contro la lingua, non mi era ancora familiare, con quel significato «Trasformarmi.»

 

Lui annuì.

 

«E non l'ha fatto. Perché?» non volevo rispondere a quelle domande. Mi mettevano a disagio. E volevo vedere i miei amici.

 

«Gli ho detto di no.» risposi, secca. Il suo sguardo passò dalla curiosità a qualcosa di strano, luccicante. Incredulità? ...Stima?

 

«Notevole!» esclamò, mentre un largo sorriso gli spuntava in viso.

 

«Perché? Perché rifiutare quei doni? Quel potere?» potere. Lui ne era bramoso. A quella parola, mi aspettavo di vederlo sbavare come un cane davanti a un osso.

 

Non sapevo cosa rispondere. Feci spallucce.

 

«Non sono interessata.» Balle. M'interessava. Ma non volevo diventare così. Il potere ha sempre un prezzo, e io non ero disposta a pagarne uno così grande. E poi, la vita in compagnia (o meglio, in branco) non mi era mai piaciuta. Nonostante mi crogiolassi nell'autocommiserazione, la solitudine mi coccolava.

Da sola, non avevo capi, comandi, limitazioni.
Ma neanche legami profondi, o persone da proteggere.

Lui scosse la testa.

 

«Scusa, non è di questo che dovrei parlarti. Sto terribilmente divagando.» sorrise ancora. Che uomo strano.

 

«Il punto è questo: tu hai qualcosa che Derek Hale vuole.» si avvicinò. «Ma cosa?» allargò le braccia, teatralmente. «Devi solo dirmelo. Poi potrai tornare dai tuoi cari. Tutto tornerà alla normalità, e sarai protetta. Ma prima devi dirmelo. Semplice, no?» annuì alle sue stesse parole «devi solo parlarmene.»

 

Non gli credevo affatto. Ma comunque non faceva nessuna differenza. Non lo sapevo nemmeno io, cosa voleva da me. Scott me l'avrebbe detto, se l'avesse saputo.

 

«Non lo so.» dissi, e ficcai le mani nelle tasche dei pantaloncini.

Volevo sembrare piccola piccola, innocua.

Lui s'irrigidì.

 

«Come, non lo sai? Non ti hanno detto niente?» era rigidamente cordiale. Inquietante.

 

Ogni fibra del mio corpo mi gridava di andarmene.
Ma dove? Come?

Feci di no con la testa, e lui strinse le labbra.

 

«Non è una bella cosa mentire, sai?» disse.

 

Io non mi aspettavo quella reazione.

 

«Non sto mentendo!» esclamai, schiacciandomi contro la porta.

 

Lui sospirò.

 

«Peccato. È un vero peccato.» rispose.

 

Convincilo!

 

«Te lo giuro. Io non so niente. E nemmeno i miei amici! Forse Neir, ma...» mi fermai di botto. Avevo detto troppo. Per proteggere me stessa, avevo messo nei guai Neir.

 

Idiota!

Lui annuì, sorridendomi.

 

«Visto? Non era tanto difficile.» si avvicinò e mi diede una pacca sulla spalla.

 

Io tentai di impedirgli di oltrepassare la porta, ma lui con nonchalance mi sollevò di peso, mi spostò, uscì e richiuse la porta.

Mi maledissi, per non essermi buttata sul cibo e non essere ingrassata tanto da non essere sollevata come un uccellino.
E non ero neanche magra, dannazione!

Che fare?
In che guaio mi ero cacciata? Cosa volevano tutti da me?
Ero al centro di una guerra non mia.

 

Oh, Giuda ballerino.

 

Cercai di raffreddare la mente, mentre mi dirigevo a grandi falcate verso la finestra.

Oltre il vetro, vedevo una strada asfaltata che passava accanto all'edificio, di cui non riuscivo a riconoscere l'aspetto o l'ampiezza, e una lunga pianura erbosa, senza alberi, che si stendeva per circa un chilometro, ad occhio e croce.

Niente boschi.
Niente alberi.
Niente protezione.

Anche se, per miracolo, rompendo la finestra non avessi attirato l'attenzione di qualcuno e fossi riuscita a scappare, mi avrebbero avvistata di sicuro.

Che luogo perfetto, per una segregazione.

Troppe domande mi si affollavano nella testa.
Per l'ennesima volta, mi sentii inutile, impotente e portatrice di soli guai.
Ma non mi sarei arresa, no.
Questa volta avrei combattuto, mi sarei fatta volere.

 

Perché Emma Lightwood ha le palle.

 

Mi sedetti a terra, sotto la finestra, raccolsi le gambe contro il petto, le circondai con le braccia e cominciai a formulare un piano.





Somebody needs help? Super(stiles) is here!

Eccomi con un nuovo capitolo! Non ha l'azione di quello precedente, ma spero vi abbia fatto intuire qualcosa su chi siano quelle persone in nero che sanno tutto tranne chi (o cosa) sia Emma... chi vuole intendere intenda! (gli altri in camper)
Ok, HAHAHAHAHAHAHA la finisco, giuro, era per allentare la tensione.
Finalmente settimana prossima ci sono le "vacanze"... avrò tempo per scrivere la nuova storia che mi sta girando in testa da un bel po', che però terrò top secret per molto tempo, visto che non so neanche come andrà a finire (ripeto, non ho niente di scritto)
Vi mando tanto affetto,
Sara <3

  
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