4. Venerdì sera
Qualche
giorno dopo la trovata pubblicitaria in grande stile delle Hizamo, ad
Hogwarts
non si parlava d’altro.
Far sparire gli aeroplanini per i professori era stato
un gioco da ragazzi, un po’ meno individuare il colpevole.
Le artefici
di tutto quello scompiglio sogghignavano compiaciute,
nell’ombra, sicure del
loro anonimato.
Era un’idea
nata un po’ per gioco, quella dell’agenzia di
investigazione, ed in effetti si
stavano divertendo un mondo, ma non avrebbero mai pensato che potesse
suscitare
tanto interesse. In pochi giorni le Hizamo avevano ricevuto una
quantità
spropositata di gufi e la cosa stava iniziando a sfuggir loro di mano.
Presto
avrebbero dovuto escogitare un altro sistema per venire contattate,
dato che
l’elevato numero di pennuti alla loro finestra avrebbe potuto
sollevare dei
sospetti.
Le ragazze
dovevano guardarsi soprattutto dalle loro compagne di dormitorio, visto
che si
prospettava sempre più difficile agire alle loro spalle.
Alyssa
aveva avuto così tanto da fare che non aveva neanche trovato
il tempo di
aggiornare Lily sulle sue ricerche, rivelatesi un autentico buco
nell’acqua.
Aveva
ricostruito i movimenti di Brianna Campbell prima che giungesse in
Inghilterra,
ma non era emerso nulla di scottante sul suo passato. Madre francese e
padre
inglese, aveva trascorso l’infanzia in Francia e si era
iscritta a Beuxbatons, dove
aveva frequentato fino al quarto anno; poi, a Settembre, il padre aveva
ricevuto un’importante offerta di lavoro
dall’Inghilterra e così la ragazza
aveva fatto richiesta per poter frequentare il quinto anno ad Hogwarts,
seppur
con un mese di ritardo.
Alyssa non
aveva trovato nulla su cui scavare, la storia era verosimile e, per
quanto poco
usuale, non era strano che uno studente cambiasse scuola.
Certo,
Brianna sapeva essere irritante anche solo quando salutava, ma
l’antipatia
personale non era un elemento sufficiente per supporre che non fosse
chi diceva
di essere. L’avrebbe continuata a tenere d’occhio,
se non altro per fare un favore
a Lily (i Grifondoro sapevano essere incredibilmente testardi quando si
convincevano di qualcosa), ma dal canto suo la riteneva abbastanza
innocua.
Si diresse
verso la finestra, ormai tempestata da cacche di gufo, la
aprì e venne
investita da una tonnellata di lettere. Qualche secondo dopo la porta
si aprì e
Alyssa si voltò di scatto, temendo si trattasse di Janice, o
peggio, della
Warrington. Per fortuna era solo Scarlett. Sarebbe stata
un’impresa ardua,
tentare di arrangiare una spiegazione.
-Dobbiamo
trovare una soluzione.- Esordì Alyssa, completamente
sommersa da fogli di carta.
-Lo credo
bene. Questa puzza di escrementi è insopportabile!- Disse
Scarlett, arricciando
il naso.
-Un Gratta e Netta risolverà
tutto, non è
quello il problema. I gufi attirano troppo l’attenzione.
Ormai gravitano qui
intorno da giorni. Dobbiamo pensare a
qualcos’altro…qualcosa di meno
riconducibile a noi.-
-Tipo?-
-Tipo, non
lo so! Ci serve un’idea.-
Dopo
svariati minuti di riflessione, Scarlett si arrese, frustrata.
-Ouff! Non
è possibile, non mi viene in mente niente. Eppure siamo noi
i geni del male!-
-Sai cosa
ti dico? Forse è il caso di chiedere aiuto ai piani alti.-
-Non vorrai
mica andare dai Grifondoro?!-
-Non sia
mai. Saranno loro a trovarci, come sempre. Dopotutto bisogna
ammettere che, seppur imperfetta, la mente dei Potter - Weasley produce
sempre qualcosa di
geniale.-
-E va bene.
In effetti potrebbero lasciarsi sfuggire qualcosa di utile, proprio
quando noi,
per puro caso, ci troviamo lì nei paraggi…-
Alyssa
sogghignò compiaciuta, in perfetto stile Serpeverde.
-Vedo che
hai colto ciò che intendo. Stanotte agiremo.-
***
Lily e
Roxanne erano quel genere di amiche che la gente prendeva sempre per
sorelle.
Non tanto per l’aspetto fisico, quello no, visto che non
avrebbero potuto
essere più diverse.
Lily era
minuta, pallida, aveva incantevoli occhi color zaffiro
–eredità di nonno
Arthur- ed una chioma rossa inconfondibile. Roxanne era molto
più alta della
cugina, con quelle gambe chilometriche che popolavano i sogni di
parecchi
ragazzi, ed era dotata di una bellezza esotica, frutto
dell’unione dei tratti
tipicamente inglesi del padre e di quelli afro della madre.
Nonostante
la parentela, fisicamente non avevano nulla in comune. Ciò
che induceva all’errore
era la loro inquietante intesa, quasi condividessero un unico cervello.
Pensavano
le stesse cose, si completavano le frasi a vicenda e quando sui loro
volti
compariva lo stesso malizioso sorriso, si poteva star certi che guai
molto
grossi erano in arrivo.
Le due
cugine vivevano in simbiosi, nonostante la differenza
d’età. Erano l’incubo dei
professori, la disperazione dei propri genitori ed il sogno di tutti i
ragazzi.
Erano spesso oggetto di pettegolezzi, ma a loro non importava molto di
smentire
o confermare. Si divertivano a stare al centro
dell’attenzione e a fare le
sciocche. Per non parlare di tutte le volte che si erano beccate una
punizione,
il più delle volte separatamente perché i
professori ritenevano che scontare le
punizioni insieme per loro fosse una pacchia (e non avevano tutti i
torti).
Era bello
vivere così, a mille, con il sorriso onnipresente sulle
labbra. Non c’era mai
stato nessun problema o incomprensione tra loro, nessun ragazzo a
dividerle –
del resto nessuna delle due si era mai innamorata seriamente- tutto
liscio come
l’olio.
Ma Lily
avrebbe dovuto immaginarlo, che l’adolescenza non sarebbe
stata liscia, piatta,
calma. L’adolescenza era tutto un procedere a zigzag, era
turbolenza,
perturbazione e lei stava per lasciare l’occhio del ciclone
per imbattersi
nella tempesta. Ciò che riteneva saldo, inamovibile, presto
si sarebbe
incrinato irrimediabilmente.
Non poteva
saperlo, ovviamente, né credeva ai presentimenti, ma
avvertiva uno strano grumo
allo stomaco da parecchi giorni. Era un groviglio di sensazioni a cui
non era
in grado di dare un nome, qualcosa di assolutamente sgradevole ma che
non
riusciva a buttare fuori.
Quella sera
si era allenata con più foga del solito –era
sempre un buon modo per sfogarsi-
ma quando era scesa dalla scopa, la spiacevole sensazione era tornata a
materializzarsi, più ingombrante di prima.
Nelle scale
quasi si scontrò con Lysander, persa com’era nei
suoi pensieri.
-Buonasera
splendore.- Il ragazzo le fece un inchino che le strappò un
sorriso. –Come mai
questa faccia desolata?-
-Mmm, credo
di avere un cinghiale sullo stomaco. –
Lui
scoppiò
a ridere per l’assurdità
dell’affermazione, ma Lily non offrì ulteriori
spiegazioni. Non che a Lysander potesse o volesse nascondere qualcosa,
ma non
le sembrava il caso di annoiarlo con i suoi sbalzi umorali, se
così si potevano
chiamare.
-Allora,
mio bel principe, mi accompagni fino alla torre?-
-Volentieri,
mia incantevole dama. -
Giocavano
spesso ad interpretare i ruoli di principe e principessa, era un
passatempo
iniziato da bambini e che continuava a divertirli abbastanza,
nonostante tutto
si facesse più equivoco col passare degli anni. Certo,
Lysander era un bel
ragazzo, ma Lily era abbastanza sicura che non fosse il suo tipo. Era
troppo
buono, gentile, disponibile, sensibile…troppo perfetto, in
un certo senso. A
volte credeva che fosse gay, perché nessun altro ragazzo
sarebbe stato ad
ascoltarla così a lungo. Poi notava come la guardava ed era
costretta a
ricredersi. Le scappò un sorrisino.
-Perché
sorridi?-
-Nulla, mi
è venuta in mente una cosa…-
-Sei
enigmatica oggi. Non mi sveli nulla di ciò che pensi.-
-Oh, ma non
c’è bisogno che io te lo dica. Mi capisci fin
troppo bene.-
-Hai
ragione. Allora immagino che tu stessi pensando a me?- Tirò
a indovinare lui,
con fare scherzoso.
-Tesoro, ma
è ovvio. Tu sei sempre nei miei pensieri!- Rispose in
falsetto. Poi, dopo qualche
secondo, con voce normale:- Ok, però adesso basta fare gli
scemi.-
Lysander
rise. Sapeva bene quanto Lily potesse essere frivola, ma al tempo
stesso quanto
odiasse comportarsi da oca.
-Bene
milady, siamo arrivati. Ti lascio, seppur con il cuore gonfio di dolore
per
dovermi da te distaccare.-
-Oh,
piantala!- Fece lei, fintamente esasperata.
-Ai suoi
ordini, principessa. Ci vediamo a cena.- La salutò lui,
mandandole un bacio.
Lily lo
guardò allontanarsi per le scale e poi pronunciò
meccanicamente la parola
d’ordine. Non vedeva l’ora di buttarsi sotto
l’acqua bollente e farsi una bella
doccia rilassante. Peccato che - come scoprì quando
salì in camera- il bagno
fosse occupato.
-Chi
c’è?- Chiese.
Pensava che le sue compagne fossero già andate a cena, visto
che solitamente
gli allenamenti finivano tardi e nessuna di loro aveva mai dimostrato
il buon
cuore di aspettarla.
-Io...- La
voce di Estelle giunse, un po’ tremolante, da dietro la porta
-Es?! Non
sei andata a cena?-
-No, volevo
aspettarti.-
-Pff.
Bugiarda.-
-Ook.
Allora diciamo che stavo facendo una cosa…-
Lily
iniziò
a spazientirsi. –D’accordo, facciamo che non mi
interessa. Perché non apri la
porta?-
-Sei
proprio sicura? Vuoi che lo faccia davvero?-
-Oh,
insomma! Muoviti!-
-D’accordo.
Io ti ho avvisato però. Quindi non ti spaventare.-
-Ti vedo
tutte le mattine senza trucco e con i capelli scompigliati, mi sono mai
spaventata?-
Estelle
però esitava ancora. Lily non capiva cosa le prendeva.
-Promettimi
di non ridere.-
-Non
riderò.-
-Promettilo!-
-Prometto.
Adesso apri, dai!-
Estelle
aprì la porta, piano. Sembrava quasi che volesse
nascondersi.
-Es,
che è succ…? Oh Godric!-
Lily si portò le mani alla bocca, lottando con
tutte le sue forze per non scoppiare a ridere in faccia
all’amica, che sembrava
invece sull’orlo delle lacrime.
-Non
ridere, stronza! Non ridere! Hai promesso!- Urlò, mentre la
picchiava con una
spazzola, col risultato che a Lily venne da ridere ancora di
più.
-Ma che hai
fatto, scema?-
Estelle
aveva i capelli completamente rosa. Rosa shocking. Considerando che era
una
ragazza di origini africane, quindi dalla pelle scura e i capelli
crespissimi,
l’effetto era ancora più raccapricciante.
-Ho
sbagliato la pozione! Volevo tingerli, ma non di questo rosa di merda!-
Lily
cercò
di non ridere, l’amica aveva bisogno di tutto il suo
supporto. Ci sarebbe stato
tempo per riderci su, in seguito.
-Ma
perché
l’hai fatto? Erano bellissimi prima.- Disse, e lo pensava
davvero. Estelle
aveva lunghi capelli neri che teneva sempre acconciati in elaborate
treccine,
legate con elastici dai mille colori.
-Non
è
vero. Erano una merda, punto e basta. Erano una merda prima e ora lo
sono
ancora di più. Una merda. Una merda rosa. Di’, si
è mai vista una merda rosa
shocking in giro? No? Vorrà dire che da oggi sarò
la prima merda rosa del
mondo! Un applauso per Estelle! Urrà!-
-Ma ti vuoi
calmare, brutta pazza psicopatica???-
-No, non ce
la faccio!- Si sedette sulla tavoletta del water, sconsolata. -Volevo
cambiare,
sembrare diversa, dire addio alla vecchia Estelle…-
-Oh, Es.
Non mi dire che è per Fred che hai fatto tutto questo!-
I suoi
occhi pieni di lacrime erano una risposta più che eloquente.
Lily non
sapeva cosa dirle, trovava davvero triste ridursi così per
un ragazzo che non
l’aveva mai degnata d’uno sguardo. Dopotutto, Fred
poteva anche essere un
idiota - anzi, lo era di sicuro, se aveva iniziato ad uscire con
-Scommetto
che ti sembro una stupida. Ma non credevo che potesse fare
così tanto male…-
-Certo che
mi sembri una stupida. Lo sei, indubbiamente. Ma a me piaci
così, con tutti i
tuoi difetti. Non hai bisogno di cambiare. Certo, io non sono Fred
Weasley, ma…ehi!
Non sono forse altrettanto bella?-
Estelle
scoppiò a ridere.
-Megalomane.
Non stavamo parlando di me, adesso?-
-Certo.
Dov’ero rimasta? Ah sì, sei una stupida,
un’idiota, una pazza senza speranze,
in più adesso con questi capelli sembri un clown scappato da
un circo (sai
quelle robe babbane…), ma non per questo devi fingere di
essere una persona che
non sei. Voglio dire, lo sai che Fred è un idiota e
-Apprezzo
il tuo tentativo di ‘politically correct’.-
-Eh?-
-Ma
sì,
quel tuo sostituire “sgualdrina” ad un ben
più volgare “troia”.-
-Sì,
ma non
è questo il punto. Hai capito qualcosa di ciò che
ti ho detto?-
-Sì,
che
nonostante tutti gli insulti che mi hai rivolto mi ami lo stesso.-
-Va beh,
più o meno. Che ne dici di sgomberare il bagno,
così io mi faccio una doccia e
poi andiamo a cena?-
-È
un piano
fantastico, tesoro, ma credi davvero che io abbia il coraggio di farmi
vedere
in giro con quest’ammasso di merda?-
-Se vuoi ti
rapo a zero, conosco una fattura che…-
-No, no,
risparmiami, grazie. Ho visto cos’hai fatto al povero Malfoy.-
-Però
bisogna ammettere che era davvero spettacolare.- Fece lei, gongolante.
-Ora non
perderti nei tuoi ricordi di gloria. Ho bisogno di aiuto! Come faccio?-
-Senti, ci
sono tre opzioni. Uno: scendi così e chissenefrega. Due: ti
rapo a zero, così
risolvi il problema e chissà, magari lanci una nuova moda.
Tre: ti metti
qualcosa in testa per coprirti e scendi.-
-Ma…-
-Quattro:
non rompere le palle, sono stanca, affamata, voglio farmi la doccia e
ti ho
consolata abbastanza!- Lily entrò in bagno e
sbatté la porta alle sue spalle.
Estelle le
rivolse un gestaccio, poi si guardò allo specchio
rassegnata. Si trovava
semplicemente orribile.
-Bei
consigli…- Fece, ironica. Ma in realtà adorava
Lily e il suo essere sempre
schietta e sincera. Apprezzava il modo in cui aveva cercato
d’aiutarla,
nonostante fosse evidente che non capiva come avesse fatto a perdere la
testa
in quel modo. Certo, per Lily era facile, a parte qualche cotta
occasionale non
si era mai presa una vera e propria sbandata e non poteva capire cosa
si
provava a sentirsi il cuore accartocciato. Non che non
l’avesse preventivato.
Prima o poi anche Fred si sarebbe innamorato di qualcuna, solo che
stupidamente
aveva sempre pensato che dovesse trattarsi di lei.
Quanto si
sentiva ridicola, adesso. Ma Lily aveva ragione, non poteva cambiare
per gli
altri e soprattutto non poteva nascondersi. Doveva reagire e
l’avrebbe fatto. Capelli
rosa e tutto il resto.
***
Il
venerdì sera
era un’ istituzione, per i ragazzi di Serpeverde. Si
riunivano in sala comune
per giocare a carte, a notte inoltrata, quando i più piccoli
erano già andati a
dormire. Capitava, a volte, che qualcuno di loro sgattaiolasse per
osservarli e
carpire qualche segreto, nella speranza di prendere il loro posto, un
giorno.
Le partite
potevano durare anche ore, e proseguire il venerdì
successivo, se non erano
state portate a termine durante la nottata.
Le ragazze
assistevano, parteggiando per l’uno o l’altro
giocatore, ma se le cose andavano
per le lunghe si ritiravano nelle loro stanze, annoiate e deluse per
non essere
state oggetto di attenzione. Del resto quello che a loro sembrava solo
un
noioso passatempo, per i ragazzi era una competizione intoccabile. Il
venerdì sera
non esisteva nient’altro. Si prendevano tremendamente sul
serio, avevano rigide
regole e una classifica generale che, alla fine dell’anno,
decretava il
migliore. Albus, che di quella classifica era il dominatore indiscusso,
era
ancora in attesa di qualcuno che riuscisse a sconfiggerlo.
Quell’anno
andava molto di moda un gioco chiamato “quindici”
o, più volgarmente, “culo”.
Si distribuivano quindici carte, se ne pescavano due dal mazzo e se ne
scartava
una. Lo scopo del gioco era sbarazzarsi di tutte le carte in mano,
anche se
l’aspirazione massima rimaneva realizzare la scala reale. La
difficoltà stava nel fatto
che non si giocava con le carte babbane, ma con una loro versione
magica. Si
trattava di carte mutevoli, che cambiavano volto a loro piacimento ed
in
maniera del tutto imprevedibile. Le figure si spostavano da una carta
all’altra, un otto poteva trasformarsi in un nove, una carta
di fiori poteva
diventare una di picche, rendendo così vano qualsiasi
tentativo di imbastire
una strategia.
Nessuno
osava calare, per timore che la propria combinazione si trasformasse in
qualcos’altro (erano previsti dei punti di penalizzazione per
quell’eventualità), ma ancora peggiore era la
prospettiva che qualcun altro,
fortuitamente, riuscisse a chiudere prima che gli altri avessero
calato. In
quel caso, chi vinceva acquisiva tremila punti, mentre gli altri
subivano una
perdita di almeno mille punti.
Insomma,
era un gioco complicato, dove l’unica cosa che contava era il
fattore C, e
Albus aveva dimostrato di averne parecchio.
Quella sera
sedevano tutti vicino al caminetto, disposti a semicerchio attorno al
tavolino.
Albus stava mescolando meticolosamente il mazzo, Scorpius continuava a
passarsi
la mano tra i capelli ripetutamente, come a volersi assicurare che gli
fossero
ricresciuti davvero, Salomon fissava le fiamme con aria vagamente
spiritata e
gli altri – William, Martin e alcuni ragazzi del sesto e
settimo anno-
attendevano silenziosamente le proprie carte.
Le ragazze,
eccitate da tutta quell’atmosfera di mistero, si producevano
in una serie di
risatine che Albus, solitamente deliziato dalle loro attenzioni,
trovava
estremamente seccanti. Cos’avrebbe dato perché ci
fosse
L’infatuazione
di Albus per Scarlett risaliva all’anno precedente, quando
lui ci aveva provato
con lei e la sua risposta era stata: -Uscirei
con te, Potter, solo se io e te fossimo gli ultimi esseri umani rimasti
sulla
Terra e solo se, ovviamente, avessi poi tutta questa voglia di
garantire la
sopravvivenza della specie!-
Ricordava
quella frase a memoria, compresa di virgole, pause e intonazioni. Per
lui non
poteva esistere dichiarazione d’amore migliore e se la
sarebbe volentieri
tatuata sul braccio, se solo non fosse stata una frase così
lunga.
Distolse il
pensiero dalla Higgs e dai suoi penetranti occhi neri, e si
concentrò sul
gioco. Notò che Salomon sembrava perso nel vuoto, ma non ci
fece molto caso.
Dato il suo largo consumo di sostanze più o meno illegali,
era raro vederlo in
condizioni normali.
Distribuì
le carte, lentamente, e quando girò la carta che avrebbe
dato il via alla
partita, il chiacchiericcio si spense. Scorpius, alla sua destra, fu il
primo a
pescare e, mossa piuttosto prevedibile in quella fase del gioco,
scartò senza
calare alcuna combinazione. Le ragazze nel frattempo, capitanate da
Felicity
Warrington, si erano accomodate nei divanetti affianco, lanciando di
tanto in
tanto sguardi bollenti ai giocatori. Qualcuno ricambiava, come Esmond
Flitt, un
colosso del settimo anno dal volto tempestato di cicatrici, ma gli
altri erano
troppo concentrati sul gioco per prestare attenzione a quelle ridicole
avances.
Dopo
William fu il turno di Salomon, che sembrava non essersi accorto di
niente. I
suoi occhi erano due pozzi neri senza fine, la sua mente probabilmente
in
viaggio verso altri mondi.
-Ohi,
Salomon.- Silenzio.
-Salomon?-
Tentò ancora Albus.
-Eh?-
-Tocca a
te!-
Salomon
sembrò riscuotersi un attimo, i suoi occhi tornarono a
focalizzarsi su ciò che
lo circondava. Poi, senza dire una parola, si alzò,
lasciò le carte sul tavolo
e uscì.
-Ma che gli
prende?- Chiese Flitt.
-Bastardo!
Aveva due jolly! Ah no, adesso è un tre di
fiori…- Disse Scorpius, che stava
controllando le carte abbandonate da Salomon.
-Continuiamo.-
Tagliò corto Albus, infastidito. Nessuno poteva abbandonare
il gioco. Era
scritto, faceva parte delle regole. Chi decideva di iniziare la partita
poi
doveva portarla a termine, non poteva tirarsene fuori.
Certo,
c’era da dire che Salomon non si era mai curato delle regole,
se non delle
proprie. Era uno spirito libero, faticava ad accettare le convenzioni
sociali e
fuggiva da qualsiasi genere di legame. Detestava sentirsi intrappolato,
ed era
per quello che non aveva mai avuto una ragazza e nemmeno un amico.
Scorpius,
Albus, William e Martin pensavano di essergli amici, e probabilmente
era così,
ma sicuramente non era vero il contrario. Salomon non si era mai
interessato a
loro, se non occasionalmente, e non conosceva il concetto di
reciprocità. Viveva
per se stesso, ma il suo non era egoismo, pensava Albus, era
incapacità di
adattarsi al mondo. La libertà era il suo ideale, il suo
orizzonte che non
avrebbe mai raggiunto.
Per Albus
la libertà era vincere, era giocare a Quidditch, era poter
cazzeggiare dopo
aver dato gli esami, erano gli occhi di Scarlett, erano le torte di
nonna
Molly…Non riusciva a capire che per Salomon potesse essere
qualcosa di più
profondo, quasi un’ossessione che lo rendeva incapace di
vivere nel mondo
reale.
Non era mai
riuscito a capire come funzionasse la sua testa, a volte ci provava,
altre no,
ma alla fine non gli restava altro che scrollare le spalle.
-Continuiamo.-
Ripeté.
***
Le Hizamo
amavano considerarsi le reginette dell’investigazione.
Avevano occhi e orecchie
dappertutto, un certo numero di inconsapevoli collaboratori e una
discreta rete
di conoscenze, che permettevano alle voci di giungere fino al loro
quartier
generale nei sotterranei. Amavano il loro regno e difficilmente lo
abbandonavano (bisognava pur sempre proteggerlo dagli invasori), ma
qualche
volta la ricerca sul campo si rendeva necessaria. Non uscivano spesso
allo
scoperto, specie a quell’ora della notte
–preferivano mandare in avanscoperta
qualche malcapitato primino, succube della loro bellezza- ma quello era
un
problema da risolvere personalmente. Non potevano rischiare che certe
informazioni cadessero nelle mani sbagliate.
Alyssa,
Scarlett e Chantal, rigorosamente vestite di scuro per confondersi
nell’ombra,
attendevano nascoste dietro una colonna, appena fuori dai sotterranei.
Era una
buona postazione, la loro, se si voleva spiare i Grifondoro, dato che
bazzicavano
spesso lì nei paraggi con l’intenzione di fare
esplodere l’intero dormitorio
dei Serpeverde. Le Hizamo non erano mai riuscite a coglierli sul fatto,
ma
erano quasi sicure che dietro i numerosi
‘attentati’ alla loro sala comune ci
fossero due Grifondoro abbastanza noti, James Potter e Fred Weasley.
Alyssa
trovava abbastanza disturbante trovarsi a contatto con il fratello di
Lily, sin
da quando, durante il loro primo viaggio sull’espresso, aveva
fatto irruzione
nel loro scompartimento. Non le aveva staccato gli occhi di dosso per
un
istante e ancora, a distanza di tre anni, ogni volta che si
incrociavano non
riusciva a scacciare quell’orribile sensazione di sentirsi
violata, seppur solo
con lo sguardo. Sperò di non incontrarlo, o meglio, di non
dover avere a che
fare con lui.
Si
trovavano lì, in speranzosa attesa, da circa venti minuti.
Non sapevano cosa
aspettarsi, per la precisione. Qualche impavido Grifondoro,
sicuramente. Ma
dopo? Cosa avrebbero fatto? Li avrebbero semplicemente spiati o
sarebbero
passate all’azione? Ma quale azione, poi?
Erano tutte
intente a formulare questi pensieri e così concentrate su un
punto al di là
della loro colonna d’appostamento, che non si erano rese
conto dell’arrivo di
qualcuno alle loro spalle.
-BU!- La
voce di Salomon echeggiò nel silenzio del corridoio. Le tre
ragazze sobbalzarono
per lo spavento e impiegarono i successivi cinque minuti a riportare il
battito
cardiaco ad una velocità normale.
-Vai a
cagare, Salomon. Con affetto.- Gli sussurrò Chantal, la meno
diplomatica del
gruppo. Le altre due non si sarebbero mai espresse così
volgarmente, ma
sottoscrivevano appieno le sue parole.
Il ragazzo
scoppiò a ridere e poi si allontanò, venendo
inghiottito rapidamente
dall’oscurità.
-Chissà
dove va…- Mormorò Alyssa.
-Non me ne
può fregar di meno. Sto ancora cercando di riprendermi
dall’infarto che ci ha
fatto venire!- Replicò Chantal.
-Sssh.- Le
zittì Scarlett. Qualcuno si stava avvicinando e, a giudicare
dal volume elevato
delle voci, doveva trattarsi proprio dei Grifondoro. Avevano sempre la
brutta
abitudine di urlare, quando parlavano, come se esistessero soltanto
loro.
Scarlett li riteneva piuttosto fastidiosi.
-Buona la
torta che ci ha dato Blinky.- Stava dicendo James Potter. Le ragazze
fecero attenzione.
-Deliziosa.
Chissà se al ritorno ce ne danno un’altra fetta.-
Fu la risposta di Fred
Weasley, il suo compare. Nella notte spiccavano soltanto i suoi occhi
blu, per
il resto sarebbe passato del tutto inosservato.
-Vuoi
tornare alle cucine?! Fra un paio d’ore c'è la
colazione!-
-Eh, che vuoi
che ti dica, l’azione
mi fa venire fame.-
-A
proposito di azione, preso tutto?-
-Ho rubato
qualcosa dall’aula di Nott, le scorte erano quasi finite.
Andiamo?-
-Aspetta,
fammi controll…- James si fermò di colpo.
–C’è qualcuno qui.-
Le ragazze
si appiattirono contro la parete, cercando di non fiatare.
-Dove ho
messo la mappa?- Chiese, frugandosi le tasche.
-Forse
l’hai dimenticata su…-
Mappa?
Alyssa si annotò mentalmente quella parola.
James si
stava ancora guardando intorno, quando Fred estrasse qualcosa dalla
tasca, di
vagamente somigliante ad un galeone.
-Uh oh.
Messaggio di Rox.-
Alyssa
trattenne un gridolino di giubilo.
-Che dice?-
Chiese James.
-“Dietrofront”-
-Fantastico.-
James e
Fred si dileguarono e le Hizamo ripresero a respirare normalmente.
Alyssa era
raggiante.
-Beh?-
Chiese Chantal
-Ce
l’ho!
Ho la soluzione al nostro problema!-
-E
sarebbe?-
-I Galeoni
Comunicanti dei Tiri Vispi Weasley! Avete visto Weasley che ne tirava
fuori
uno, no? È un’idea geniale. Come ho fatto a non
pensarci prima?-
-Non male.
Forse sarebbe utile qualche modifica, però. Ci stanno
messaggi troppo brevi…e
noi stiamo ricevendo poemi!-
-Dietrofront…chissà
cosa stavano architettando.- Disse invece Scarlett.
-E dai!
Cosa ce ne frega. L’importante è che siano andati
via senza averci scoperto.-
-E senza
aver disintegrato i sotterranei, direi.-
-Dite che
dovremmo passare al contrattacco, ogni tanto?-
-Naaa.
Possiamo lasciare che siano i ragazzi a farlo per noi. Basta mettergli
la pulce
nell’orecchio…-
-Sei
proprio malefica Lyss. Malefica e scansafatiche.-
Alyssa rise
compiaciuta.
-Torniamo
alla base, ragazze. Missione compiuta.-
Salomon avrà un modo di agire e pensare tutto suo, ma
c'è un motivo per cui ha mollato il tavolo da gioco, anche
se Albus ovviamente non se lo immagina neanche.