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Autore: didi93    24/03/2013    1 recensioni
Bella si è appena trasferita a Seattle per allontanarsi da un passato che le condiziona la vita quando incontra Edward, l’unico con il quale sente di potersi aprire. Per un attimo crede di aver trovato nell’amore la sua salvezza, ma anche lui nasconde qualcosa…
Dal cap. 4
Tutto intorno a me era buio. Attesi che i miei occhi si abituassero all’oscurità, scostai piano le coperte e scesi dal letto, evitando accuratamente ogni rumore. Faceva freddo e il pavimento era gelato. Riuscivo a capire dove mi trovassi, era la mia vecchia camera, le pareti ancora dipinte di rosa come quando ero bambina, gli oggetti perfettamente in ordine sugli scaffali. Ogni cosa era uguale a se stessa, tutto esattamente al proprio posto…tranne me.
Dal cap. 7
Mi guardò per un po’ senza parlare, poi, tenendomi le mani sui i fianchi, mi si avvicinò. Credetti che stesse per baciarmi. In realtà volevo che lo facesse, ma non accadde, si fermò a pochi centimetri dal mio viso, accostò la guancia alla mia e mi sussurrò all’orecchio. -Ho una voglia terribile di baciarti.-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Non avevo il coraggio di aprire gli occhi. Il tappeto viscido sotto di me continuava a muoversi ed io ero inerme, ferma, terrorizzata. Sapevo, nel profondo del mio cuore, di cosa si trattasse. Erano serpenti. Si agitavano tutt’intorno a me senza mordermi, come se volessero solo spaventarmi, come se il mio terrore li appagasse molto più del mio sangue. Ed io, distesa su di loro, non avevo neppure il coraggio di guardare, di accertarmi che ciò che immaginavo fosse reale. La paura stessa mi paralizzava ogni muscolo. Ad un tratto una voce familiare, una risata che non sentivo più da un’eternità, una delle cose che più mi erano mancate. Quel suono bastò a farmi aprire gli occhi, bastò a far si che mi alzassi in piedi e, vincendo paura e disgusto, mi dirigessi verso la bambina, seduta poco più in là. Teneva uno dei serpenti sulle ginocchia e sembrava l’accarezzasse. Non era sola, la mia sorellina era circondata da persone che conoscevo, volti familiari la fissavano inespressivi mentre giocava con la morte. Mi inginocchiai di fronte a lei, incurante di ciò che mi circondava e frastornata da quei sibili assordanti. Credevo che non l’avrei più rivista e invece adesso avevo la possibilità di salvarla. Alzò la testa e fissò i suoi occhi nocciola nei miei.
-Lucy...- dissi con le lacrime agli occhi –devi allontanarti da lì...ti prego vieni con me.-
Mi rivolse un rapido sguardo e subito tornò a concentrare l’attenzione sul suo nuovo giocattolo. Non parlava ma capivo che non aveva intenzione di fare quello che le chiedevo.
-Ti prego.- ripetei tra i singhiozzi.
Questa volta scosse la testa. Voleva che mi rassegnassi, ma non ne avevo nessuna intenzione. Ad un tratto, il serpente ebbe uno scatto. L’aveva morsa e si allontanava da lei, lasciandola cadere a terra senza vita.
-No!- gridai e, per la prima volta, mi voltai a guardare quei visi indifferenti tutt’intorno –Aiutatemi! Aiutatemi! Perché non fate niente?- Non ricevetti risposta e, disperata e arrabbiata, provai a prendere tra le braccia mia sorella, non volevo lasciarla lì, ma non riuscivo neanche a sfiorarla, come se fosse un’illusione. La sua immagine perdeva consistenza. –Non posso lasciarti andare così…è colpa mia.-

-Bella! Bella!- Rose, chinata su di me con aria preoccupata, mi scuoteva per una spalla.
-Che…che cosa…- provai a dire mentre ancora le lacrime mi rigavano il volto.
-Gridavi…hai avuto un incubo?-
-Credo…credo di si…-risposi sistemandomi a sedere -Mi dispiace…ti ho svegliata?-
-No, non preoccuparti, devo comunque andare a lavoro. Che hai sognato?-
-Non me lo ricordo.- mentii.
Rose sospirò-D’accordo, non importa…tutto bene ora?-
-Si…si certo, tranquilla.-
-Vorrei tanto trovare il modo di aiutarti...-
Sollevai le spalle -Forse non c'è modo.-
-Deve esserci.- Rose mi accarezzò la fronte sudata e mi rivolse uno sguardo determinato -Beh...vado a fare colazione ed esco, Jasper è già uscito, comunque se hai bisogno di qualcosa puoi chiamarmi sul cellulare.- disse dopo un attimo.
-Va bene.-
-Ci vediamo stasera-
-Ok.-
Si voltò e uscì dalla stanza, ascoltai il suono dei passi sulle scale e quello della porta della cucina che si apriva cigolando, poi mi guardai attorno. La calma della stanza mi sembrava paradossale, dopo tutta quell’angoscia. Mi asciugai il viso con un lembo del lenzuolo e mi alzai dal letto. Mentre attendevo che il respiro, ancora affannoso, si normalizzasse, mi diressi verso la finestra e l’aprii. La temperatura era rigida, come sempre, ma, quella mattina, un timido sole illuminava il cielo azzurro, non più coperto dalla solita coltre di nubi. Respirare l’aria fresca mi fece bene, mi aiutò a riacquistare una parvenza di tranquillità. Forse dovevo rassegnarmi, quegli incubi non mi avrebbero mai dato respiro, erano diventati una componente naturale delle mie notti, non potevo farci nulla, neppure potevo cancellare il desiderio incessante di tornare indietro per cambiare le cose, per dare la mia vita al posto di quella di Lucy. Scossi la testa come nel tentativo di scacciare questi pensieri e tornai con la mente alla sera precedente, era tutto così strano, per qualche ora mi ero quasi sentita meglio, quasi libera da quello che la vita aveva voluto dolorosamente insegnarmi, come se raccontare tutto mi avesse concesso qualche istante di tregua. Sentii la porta d’ingresso chiudersi con un rumore sordo e scesi al piano inferiore. Non avevo nessuna voglia di fare colazione, un terribile senso di nausea mi attanagliava lo stomaco. Presi a girovagare per casa freneticamente e senza una meta precisa. Non trovavo nulla che mi distraesse. Finii un’ora dopo a leggere il mio libro seduta in cucina. Tuttavia la mia insofferenza non accennava a migliorare, anzi, se possibile, di ora in ora si amplificava. Dovevo uscire di casa. Salii di sopra, indossai alla svelta un jeans, una felpa rossa e scarpe da ginnastica, presi il cellulare dal comodino e scesi al piano inferiore.
Quando mi chiusi il portone alle spalle, mi resi conto di quanto fosse fredda quella giornata apparentemente soleggiata, il cappotto non mi proteggeva affatto dal clima gelido, ma era comunque molto meglio che stare in casa. Osservai la strada, le vetrine dei negozi già erano addobbate in occasione delle feste natalizie e tutto sembrava brillare di luce riflessa. Molte persone passeggiavano tranquille, osservando ciò che le circondava, pacificamente attendevano un altro Natale, provai invidia per loro, senza neppure conoscerli. Invidiavo quelle facce tranquille, dentro un’atmosfera imperturbabile, per me invece tutto era cambiato, inesorabilmente. Seguii il corso della folla e mi ritrovai nella solita strada ampia e costeggiata da vetrine illuminate. Mi riscoprii a pensare ad Edward, alla promessa che mi aveva fatto, mi chiedevo se vi avrebbe tenuto fede, avrei tanto voluto rivederlo e non potei fare a meno di sentirmi in colpa per questo pensiero, non avevo il diritto di ricercare attimi di felicità dopo quello che avevo fatto.
Tornai verso casa qualche ora dopo. Cercai le chiavi nella tasca del cappotto e mi avvicinai per aprire il portone.
-Bella!- una voce familiare mi riscosse.
Edward era appoggiato alla sua macchina, sull’altro lato della strada. Mi voltai a guardarlo, mentre un sorriso inaspettato sorgeva sul mio volto.
Mi avvicinai e gli diedi un bacio leggero sulle labbra. –Come mai da queste parti?-
Mi scrutò per un attimo perplesso –Venivo da te, come promesso.-
-Sei venuto solo perché me l’avevi promesso?- chiesi indagando la sua espressione.
Sorrise e mi sfiorò il viso–Sarei venuto anche se non te l’avessi promesso.- poi si avvicinò di più e aggiunse, a voce più bassa –Non potevo lasciar passare neppure un altro secondo senza vederti.-
-Sai sempre cosa dire.- dissi avvicinando di più il mio viso al suo e mi baciò come se fosse passata un eternità dall’ultima volta.
Quando si allontanò da me il suo sguardo si fece più serio. –Come stai?-
-Adesso molto meglio.- risposi con sincerità.
-Bene.-
Feci un passo indietro, Edward era più bello del solito nella flebile luce del sole di quel mattino invernale. I suoi occhi chiari avevano assunto un colore che spaziava tra le tonalità del grigio e quelle del verde, come per adattarsi alla tinta del cielo. Indossava una giacca a vento nera che lasciava intravedere il collo di una camicia azzurra e pantaloni bianchi.
-E’ ora di pranzo.- disse dopo un attimo di silenzio guardando l’orologio che aveva al polso. –E scommetto che non hai mangiato.-
-In effetti no, ma non ho fame.-
Sospirò con rassegnazione –Ci avrei giurato, bisogna proprio obbligarti a mangiare, io non voglio che tu scompaia nel nulla a forza di digiuni.-
-Mangio quanto basta, sta tranquillo.-
-E se cucinassi per te? Ti va di andare in un posto?-
-D’accordo.-
Salimmo in macchina e ci allontanammo. Il tragitto fu lungo. Raggiungemmo una zona residenziale che non avevo mai visto, lungo i due lati della strada file di ville dall’aspetto imponente ed elegante, circondate dal verde, catturavano lo sguardo. La macchina si fermò.
-Dove siamo?- chiesi.
Edward sorrise e non rispose, poi scese dall’auto. Feci lo stesso. Lo seguii finchè ci ritrovammo di fronte ai cancelli chiusi di una grande villa. Lo vidi estrarre da una tasca della giacca un mazzo di chiavi.
-Questa è la casa dove sono cresciuto.- disse, mentre la chiave girava nella serratura.
  
  
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