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Autore: releuse    25/03/2013    7 recensioni
Un sorriso senza euforia contrasse le labbra di Yu. “Bene, Ken Wakashimazu!” Puntò quindi il dito contro il fratello. “Io ti sfido a un incontro di karatè. E ti farò rimangiare queste parole!”
“Benissimo Yu Wakashimazu!” Il portiere lo additò a sua volta. “Prega pure per la tua vittoria. Perché se perderai, sarai tu a dover diventare il successore di papà!”
Questioni in sospeso, una sfida fra fratelli e una posta in gioco... molto particolare!
Fa parte del mio mondo JunXKen
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Jun Misugi/Julian Ross, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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... rieccomi!!! Dopo Makoto & Louis ho sentito il bisogno di tornare ai miei due figlioli Ken&Jun, ma per scrivere qualcosa di leggero e senza troppe pretese... quindi mi è venuta l'ispirazione per scrivere questa ff che avevo in mente dal lontano 2009 per la challege "I parenti Poveri, quei poveri parenti" di Berlinene, risalente a quei tempi XD. In verità la ff sarebbe una specie di seguito di "Un giorno vale l'altro", ff sempre della sottoscritta e facente parte del mondo Jun X Ken, anche se non è necessario averla letta... si aggancia più che altro per l'ambientazione, i riferimenti, i toni un po' scanzonati e, soprattutto, per il fratello di Ken, Yu! Nella precedente ff l'avevo citato per poche righe, ma mi ero ripromessa di trattarlo in una ff a parte, questa!! Che avevo ideato già a quei tempi, ma che avevo sempre rimandato ^__^ La trama è rimasta davvero la stessa, a parte qualche piccolissimo cambiamento... tornano quindi i toni buffi, le gag del povero Ken, cane Genzo e il vanitoso fratello maggiore di Ken ^_^  Che ho sempre visto così... un po' leggero, sfacciato, ironico, apparentemente molto scansafatiche... ma sarà davvero così?? Leggere per credere;)

 

 

 

Grazie mille alla super beta Berlinene per il betaggio e l'apprezzamento dell'intera ff e del personaggio di Yu!!

Non Sono Un Karateka

 

Finalmente era arrivato. Jun Misugi arrestò il passo e, per qualche istante, rimase immobile a fissare il maestoso portone della dimora Wakashimazu. Un sorriso raggiante gli illuminò lo sguardo, mentre respirava a pieni polmoni: si sentiva proprio bene! Forse, a occhi estranei, una casa di quel tipo poteva sembrare austera e antiquata, eppure a lui era sempre apparsa affascinante e accogliente, nemmeno la propria gli faceva quell’effetto, anzi. L’abitazione di Ken, con il suo giardino rigoglioso, i mobili adornati dai vasi di fiori composti con sapienza secondo la tradizione ikebana, il profumo del legno, il fruscio della carta di riso nello scorrere dei fusuma, lo metteva in risonanza con il proprio spirito nipponico, restituendogli una cultura che gli apparteneva, ma che, nella sua famiglia, si era persa, a favore di una occidentale e di facciata.

Sollevò il viso verso il sole, lasciando che i tiepidi raggi di quella mattina gli coccolassero un po’ la pelle.  Erano appena iniziate le vacanze primaverili e Ken lo aveva invitato a passare qualche giorno a casa sua, invito che aveva accettato con piacere. Adorava la famiglia del suo portiere: si tratteneva volentieri con sensei Wakashimazu, a conversare di argomenti perlopiù culturali e attuali, mentre si dilettavano in partite di  shogi. ‘Tu mi metti in serie difficoltà, Misugi, sei un vero stratega!’, gli aveva detto più volte l’uomo, inorgogliendolo; mentre la signora Himeko, la moglie, nonché madre di Ken, aveva sempre delle parole gentili nei suoi confronti e amava tentarlo con ottimi manicaretti. Peccato che fosse totalmente negata nel fare i dolci. Il principe del calcio rise fra sé, rammentando quel dettaglio. Per questo, preferiva di gran lunga recarsi lui da Ken. Quelle poche volte che Wakashimazu era rimasto a dormire a casa sua, aveva notato il disagio di fronte ai suoi genitori, soprattutto a sua madre, che lo tempestava di domande, spesso invadenti. Inoltre, quell’ambiente ‘occidentalizzato’, così perfetto, così pulito, così impeccabile, lo irrigidiva. Dopotutto, Ken aveva un animo selvaggio. E, anche se non lo dava a vedere, anche Misugi stesso era asfissiato da quel conformismo mascherato da modernismo. C’era da dire, poi, che sua madre non aveva accettato che lui e Yayoi si ‘fossero lasciati’. “Non capisco le tue ragioni!” Gli aveva ripetuto più volte, sull’orlo di un piagnisteo isterico che, proprio, non sopportava. Come poteva non capire: con Yayoi erano stati insieme alle elementari e magari, ora che erano al liceo, volevano altro! No, se non capiva prima quello, non avrebbe mai compreso neppure il vero motivo per cui non sarebbe  più potuto stare non soltanto con Yayoi, ma con nessun’altra donna.

Scosse la testa, imponendosi di non pensarci. Quella mattina era andato lì proprio per distrarsi e passare un week end rilassante con Ken. Quindi, si decise a suonare il campanello e un rapidissimo “Jun?”, gli suggerì che il suo ragazzo era davanti al citofono da chissà quanto tempo, impaziente. “Sì, sono io!” Rispose, travolto da un entusiasmo che solo la presenza del portiere riusciva a regalargli. “Ti apro!” Disse la voce raggiante di Wakashimazu.

Mentre il portone si apriva automaticamente, Jun cominciò a intravedere il meraviglioso giardino fiancheggiante il vialetto che lo avrebbe portato davanti all’abitazione. Varcò l’ingresso, senza rendersi conto che il suo passo si faceva sempre più svelto man mano che si avvicinava: aveva una voglia matta di rivedere Ken, era passata più di una settimana dall’ultima volta. Il suo cuore batteva all’impazzata, più vivo che mai.

“Jun!”

Eccolo lì il suo portiere, che gli andava incontro, con indosso il karategi, i capelli un po’ scarmigliati e la fronte leggermente sudata. Di sicuro, aveva appena finito l’allenamento mattutino, al quale, nonostante la scelta di dedicarsi al calcio, non rinunciava mai. Nei suoi occhi c’era lo stesso desiderio di rivederlo che animava i propri.

“Ken!” Stava per raggiungerlo, sapeva di doversi trattenere dall’abbracciarlo… si trovavano pur sempre a casa sua e agli occhi di tutti erano semplicemente dei grandi amici, per cui…

“Jun, tesooooooooooooooooooooooooooooro!! Sei arrivato!”

Uno strepito improvviso, un movimento fulmineo e il principe del calcio si trovò cinto da un abbraccio stile piovra. Ah, sì. Poco prima, mentre ripensava alla famiglia di Ken, aveva dimenticato di menzionare anche…

“Yu!” Rantolò, tentando di divincolarsi. “Così mi soffochi!”

“Yu!!!” Esclamò Ken, furibondo, strattonando il fratello per un braccio. Come osava avvinghiarsi a Jun in quel modo spudorato? ‘Togli le tue zampacce dal mio ragazzo’, avrebbe voluto dire. Ma si limitò a un irato: “Lascia stare Misugi!”

Il fratello maggiore di Ken liberò così il suo ostaggio, non prima, però, di avergli scompigliato un po’ i capelli. “Guarda che non te lo rovino, il fidanzato!” Sospirò Yu, con sorrisetto sornione. A Ken prese un colpo. “Che diavolo dici?!” Sbraitò, lanciando occhiate intorno, per accertarsi che non ci fosse qualcun altro nelle vicinanze. Per fortuna c’era solo Genzo, che si avvicinò scodinzolando, cercando l’attenzione dei presenti. “Non dire certe cose ad alta voce!”

“Ma, Ken-chan, sei tu che ti stai sgolando!” Yu fece spallucce, poi si rivolse a Misugi. “Ma è sempre così apprensivo?”

“Un po’…” Jun rise di gusto, mentre si chinava per accarezzare un Genzo festante. Yu era proprio diverso da Ken. Sia nel carattere, così allegro e cordiale, sia nell’atteggiamento, un po’sfacciato e, talvolta, provocatorio. Anche in quel frangente, nel vederlo con quella camicia lucida, i jeans attillati e i capelli a spazzola, ingessati da una quantità abnorme di gelatina, Jun non poté esimersi dal pensare che i due fossero agli antipodi. Inoltre, era davvero una delle poche persone in grado di metterlo in imbarazzo. Soprattutto quando si slanciava in gesti esuberanti come quello di poco prima.

“Scusa Yu…” Disse poi il principe, un po’ disgustato. “Ma quanti litri di profumo ti sei messo?” Lo sguardo di Yu si fece tutt’un tratto serio. “Jun. Un uomo deve sempre essere pronto.”

Il principe del calcio storse la bocca. “Pronto… per cosa?”

Il ragazzo spalancò le braccia. “Ma per l’occasione della vita!” Poi, si posò una mano sulla fronte, gettando il viso su un lato, teatrale. “In qualsiasi istante potrei incontrare la donna della mia vita!”

“Sì, nel frattempo ne cambi una a settimana!” S’intromise Ken, afferrando il braccio di Jun. “Ma tu ascolti ancora le cazzate di mio fratello?” Sbuffò,  spazientito. Non voleva darlo a vedere, ma la scenetta di poco prima dove Jun rideva con lui, proprio non gli era piaciuta. Avrebbe quasi giurato di aver visto Misugi arrossire!

 

“Tu non capisci, Ken-chan.” Yu scosse la testa rassegnato, quasi parlasse un’altra lingua. “Fra uomini è diverso…”

“La vuoi smettere?” Ringhiò Ken. Va bene che ormai Yu sapeva di lui e Jun, ma sbandierarglielo in quel modo spudorato! Se non fosse stato suo fratello, l’avrebbe già messo ko con un colpo ben assestato.

“Questo è l’odore che piace alle donne di oggi! Mica il sudore di voi calciatori…” Continuava Yu, come estasiato.

“Mi sono stufato! Ne ho abbastanza!” Il portiere trascinò via il suo ragazzo, lasciando Yu a recitare le sue congetture. “E tu smettila!” Sbuffò, sentendo Misugi, alle sue spalle, soffocare una bella risata.

 

******

“Jun caro, che piacere averti qui con noi, è da un pezzo che non passavi a trovarci!” La madre di Ken sorrise dolcemente, mentre gli allungava un piatto colmo di Oyako Don*. Si erano appena seduti a tavola, Ken gli era di fronte, vicino al padre, mentre Yu stava inginocchiato al suo fianco e giocherellava con le bacchette, distratto. Il profumo di cui aveva impregnati gli abiti, per fortuna, sembrava essersi attenuato.

“Grazie, signora…” Il principe del calcio sorrise a sua volta, per poi inebriarsi del profumo di quel piatto, delizia per il palato e diletto per gli occhi, data la sapienza e l’eleganza con cui era stato preparato.

“Oh cielo, con questa ‘signora’! Te l’ho detto tante volte, chiamami pure Himeko!” Lo rimproverò bonariamente la donna.

“Ahem… va bene… Himeko-san…” Si corresse il principe, arrossendo. Poi riprese il filo del discorso. “Purtroppo gli impegni scolastici e la riabilitazione mi hanno impegnato un sacco questo periodo!”

“Già, è vero.” Intervenne Wakashimazu-san, con cui Misugi, fino a poco prima, si era trattenuto in una partita di shogi lasciata a metà. “Come va la riabilitazione?”

“Sembra bene!” Esclamò Jun, dopo aver assaggiato la pietanza. “… è ottimo, Himeko-san, complimenti!” La donna gli sorrise riconoscente, poi il ragazzo continuò. “Vado alla clinica dalle tre alle quattro volte alla settimana, dopo la scuola. È impegnativo, ma è l’unico modo che ho per riprendere a giocare a tempo pieno, senza dovermi accontentare di dieci-quindici minuti a partita…” Terminò la frase con un sospiro. “… pare ci siano buone speranze!”

“Vedrai che andrà tutto benissimo” Ken andò in suo soccorso, notando il breve lampo di preoccupazione che aveva attraversato lo sguardo del suo ragazzo. “… e presto tornerai in campo più forte che mai!” Terminò, incoraggiante. Il portiere sapeva bene quanto gli stesse costando quella riabilitazione: ormai era da un anno che Misugi non metteva piede in campo e la Musashi ne stava pagando le conseguenze. Il Toho stesso, l’ultima volta, l’aveva battuta con troppa facilità, e di questo Jun si sentiva in colpa. Il portiere, poi, aveva provato un profondo senso di vuoto, quando non aveva visto Misugi a centrocampo, nonostante sapesse il perché. Amava la tacita sfida che li voleva avversari sul campo, gli piaceva vederlo concentrato per fargli goal, provava un’indescrivibile ebbrezza nel balzare per parare i suoi drive shot. Però, era sempre stato tutto per pochi minuti… ora, grazie a quella riabilitazione, molto probabilmente, Jun avrebbe potuto presto giocare un’intera partita e quel traguardo valeva i sacrifici che stava affrontando. Che stavano affrontando.

 

“Sei proprio coraggioso, Jun… faresti di tutto per tornare in campo…” Intervenne Yu, usando un tono serio, decisamente atipico per lui. Ma fu solo un attimo, perché subito dopo il ragazzo puntò un gomito sul tavolo, poggiando il viso sul palmo della mano. “Bah, consolati… Ken torna sempre ammaccato ultimamente, si distrugge per tutt’e due! Chi glielo fa fare!” Sospirò, dimostrando di non comprendere tutta quella dedizione.

“Ah, beh! Almeno io faccio qualcosa, invece di stare a oziare tutto il giorno!” Gli rispose secco il fratello ma, vedendo lo sguardo interrogativo di Jun, gli si rivolse subito . “In effetti, ultimamente gli allenamenti sono parecchio pesanti…” Ammise, dandosi dei colpetti sulle spalle, mentre tendeva il collo, a sciogliere un po’ i muscoli.

“Nat vi sta massacrando?” Domandò Jun, con una punta d’ ironia nella voce*.

“Già!” Grugnì Ken. “Quella strega vuole vincere anche quest’anno il campionato nazionale… cioè, lo vogliamo anche noi, ma lei non ha il senso della misura! Così ci farà a pezzi!Altroché!”

Misugi scoppiò in una bella risata. “Si vede che è stata un’allieva di mister Kira!”

“Sì, soprattutto dall’alito di alcool!” S’intromise Yu e Ken, stavolta, si trovò costretto a dargli ragione. Wakashimazu-san scosse la testa, limitandosi a un “… i tempi cambiano troppo velocemente…”, mentre la moglie gli poggiava comprensiva una mano sulla spalla, non nascondendo un risolino.

“Bene, dai… vincete anche per noi, allora! Siete sempre i rappresentanti del nostro distretto!” Lo caldeggiò Jun, stringendo i pugni con entusiasmo.

“Puoi contarci!” Assicurò Ken. Il suo sguardo, nell’incrociare quello del suo ragazzo, si addolcì e tale dettaglio non sfuggì alla signora Himeko. “Ah, meno male che Ken ha un amico come te, che sollievo!” La donna alzò gli occhi al cielo, congiungendo le mani e tutti la guardarono perplessi. “Quando ci sei tu, mio figlio diventa molto più posato e ha lo sguardo meno accigliato di quando sta con Hyuga e gli altri ragazzi del Toho. Quando è con loro, assume l’aspetto di un piccolo teppista!”

“Mamma!” Ken strabuzzò gli occhi. “Te l’ho già detto che Hyuga e gli altri sono in gamba…”

“Lo so, lo so, ma è lo sguardo bieco che li rende inquietanti…”

Ken si portò una mano alla fronte. “… è sempre la solita storia…”

 

Mh….  però mamma ha ragione…” Yu incrociò le braccia  e con lo sguardo percorse la figura di Jun, sulle labbra un ghigno accennato. “Anche se ’aria da bel tenebroso calzerebbe bene anche a te, Jun... perché non ti iscrivi al Toho? ” Buttò lì, ma Jun sobbalzò, impreparato, e così anche Ken. “Così potete fare ciccì e coccò anche lì!” Aggiunse Yu, sussurrando all’orecchio di Misugi.

‘Ma perché non si fa mai i cazzi propri…’ Imprecò fra sé il karate keeper, trattenutosi solo per rispetto dei genitori.

Il principe del calcio capì che, dietro quella domanda apparentemente innocua, Yu gli stava chiedendo come mai non si era trasferito nella scuola di Ken, dato che stavano insieme da un pezzo, ma si vedevano poco.  “Il Toho non ha un indirizzo di medicina…” Spiegò Jun, distendendo le labbra e i tratti del viso, riacquistando abilmente il controllo. “E io, oltre a riprendere la carriera calcistica, voglio diventare medico!”

Ken ammirò il suo ragazzo per la prontezza che mostrava magistralmente in ogni occasione. Jun gli sorrise, complice. Quella, in fondo, era la verità o, meglio, mezza verità. Il principe del calcio ricordava che tempo prima, anche Ken gli aveva chiesto di iscriversi alla sua scuola e lui gli aveva risposto allo stesso modo, convincendolo. Solo che c’era anche un altro motivo… e si chiamava Kojiro Hyuga. Jun sapeva di non essere una presenza gradita al capitano del Toho, soprattutto da quando ai suoi occhi, lui e Ken erano diventati molto amici. Misugi sentiva che Hyuga temeva di essere spodestato dal ruolo di ‘migliore amico’ di Ken, anche perché non sapeva come stessero realmente le cose. E, per ora, il suo ragazzo non sembrava intenzionato a dirglielo, per questo preferiva non minare ulteriormente la situazione e rimanere al suo posto. Ken aveva bisogno dei suoi amici e, soprattutto, di Kojiro.

 

“Tu sì che hai le idee chiare, Jun!” Disse Yu, facendo schioccare la lingua sul palato, come a emettere un’inderogabile sentenza. “Mica come mio fratello!”

“Che diavolo intendi dire?” Scattò Ken, lanciandogli un’occhiataccia. Misugi schiuse le labbra, ma non disse nulla, avendo il sentore di non doversi intromettere.

Il fratello maggiore di Ken scrollò le spalle. “Quello che sto dicendo. Fai calcio, fai karatè, non hai fatto una scelta definitiva!”

“Che diavolo stai dicendo, Yu?” Ken cominciava a infervorarsi. “La mia scelta l’ho fatta, ed è il calcio!”

“Uuuuh, beh. Sbaglio o ogni tanto dici che dopo la carriera calcistica potresti anche diventare maestro di karatè?” Il tono di Yu era molto, molto sarcastico, tanto che Jun stesso se ne stupì.

“Certo! La carriera di un giocatore non dura per sempre!”

“Ah e tu pensi di poterti dedicare anche al karatè, perdendo tempo con il calcio? Sai bene che il karatè richiede una rigida disciplina. Scegli: o l’uno o l’altro.” Incalzò Yu, provocatorio, ma molto, molto calmo. Atteggiamento che ebbe l’effetto contrario sul fratello, che s’innervosì. “Ho chiarito con nostro padre, non vedo perché debba dare spiegazioni a te! E, si dà il caso, che almeno io qualcosa la faccio, mentre tu che fai? Nulla! Hai abbandonato il karatè per correre dietro alle ragazze e perdere tempo all’università.” Ken si alzò in piedi, fuori di sé, additando il fratello. “Tu sei il maggiore, tu dovresti prendere il dojo di famiglia!”

Yu alzò lo sguardo, reggendo bene quello dell’altro, per nulla intimorito. “Quante storie… ve l’ho già detto… datemi ancora cinque, sei anni e poi, magari, potrei anche dedicarmi al dojo di famiglia!”

“Cinque, sei anni? E nel frattempo che fai? Cazzeggi?!” Ken non si controllava più. “E tu dici a me di fare una scelta? Pensi che dopo anni d’inattività tu possa riprendere il karatè e diventare un maestro?”

Yu distolse lo sguardo, afferrò il proprio bicchiere e sorseggiò un po’ d’acqua. “Perché no?”

“Ma non farmi ridere, Yu! Io, almeno, nonostante il calcio, continuo ad allenarmi e sarei in grado di batterti in qualsiasi momento!” Continuava Ken, agguerrito.

Yu ripose con deliberata lentezza il bicchiere sul tavolo, agganciando nuovamente il proprio sguardo tagliente a quello del fratello. “Ne sei sicuro?”

 

“Adesso basta!”

 

Sì, era proprio la voce di Wakashimazu-san: per nulla alterata, ma decisamente grave e inflessibile. Teneva gli occhi chiusi, aveva le braccia incrociate e respirava piano. Il principe del calcio l’aveva visto osservare i figli durante quella discussione e, probabilmente, non era intervenuto perché voleva ascoltare i loro sfoghi. “Questa discussione è inutile.” Continuò l’uomo, riaprendo gli occhi, ammonendo i due con lo sguardo, i quali abbassarono il loro con afflizione e reverenza. Poi nessuno aggiunse altro e così fu per il resto del pranzo.

 

Mentre terminava il suo oyako don, Jun fu pervaso da uno strano sentore. Da quando lo conosceva, Yu non si era mai comportato in quel modo. Certo, aveva sempre stuzzicato Ken, creato l’occasione per prenderlo bonariamente in giro, ma mai aveva toccato quell’argomento, abbastanza scottante per la famiglia Wakashimazu. Fino ad allora sembrava non essergli mai importato del dojo, anzi, gli era sempre sembrato evitasse l’argomento, come mai, adesso, invece, lo aveva tirato fuori?

*******

 

 

“Non lo sopporto!” Scoppiò Ken, dopo essersi chiuso la porta della propria camera alle spalle. “Ma con quale diritto si permette di parlarmi in quel modo? Proprio lui che ha abbandonato il karatè, spara sentenze?” Era davvero furibondo.

“Dai, adesso calmati, Ken…” Lo esortò il suo ragazzo, mentre si sedeva sul pavimento. Misugi aprì il borsone e cominciò a tirar fuori le proprie cose, per sistemarle nella cassettiera che il portiere gli metteva a disposizione quando si fermava a dormire lì. “Ma come faccio a stare calmo? Mettiti nei miei panni, Jun!” Sbuffò Ken, sedendosi al suo fianco, cercando un minimo di comprensione.

“Lo so… hai ragione…” Gli sorrise Jun, accarezzandogli i capelli. Ken chiuse gli occhi per assaporare meglio la sensazione di benessere che quel gesto gli trasmetteva, riuscendo a calmargli almeno un po’ l’animo infiammato. Il principe del calcio osservò il respiro del proprio ragazzo regolarizzarsi, mentre con la mano percorreva in discesa le lunghe ciocche corvine. Sapeva bene quanto Ken si sentisse ancora responsabile del futuro del dojo di famiglia, nonostante il padre avesse ormai accettato che avesse scelto il calcio. Questo fardello, poi, pesava ancora di più da quando Yu aveva smesso di allenarsi negli ultimi due anni, lasciando il dojo Wakashimazu senza un successore definito. Per questo Ken aveva cominciato a sostenere, da un po’ di tempo a quella parte, che dopo la carriera calcistica avrebbe potuto prendere in mano la scuola di famiglia. Ma tutto ciò gli stava costando un enorme dispendio di energie mentali.

“Stai tranquillo…” Lo rassicurò Misugi, abbracciandolo. Ken aprì gli occhi, ricambiando il gesto. “Grazie di essere venuto, Jun…” Sorrise, chiudendo il suo viso nelle proprie mani. “Mi sei mancato….”

“Anche tu…” Rispose il principe, tendendosi verso di lui, a cercare quel bacio che avrebbe voluto concedersi fin da quando l’altro l’aveva accolto all’ingresso. Le loro labbra si sfiorarono per un brevissimo istante, prima che la porta venisse spalancata di colpo, sbattendo contro la parete. I riflessi di Jun e Ken si attivarono simultaneamente, così, nel tentativo di divincolarsi, i due si diedero una sonora testata, finendo vergognosamente in terra, il portiere sopra il principe del calcio.

 

Yu rimase sulla porta a osservare incuriosito la scenetta. “Scusate se ho interrotto i vostri calorosi saluti da buoni amici…” Disse con un sorrisetto, non nascondendo l’allusione. “Ma prima che cominciate, ho bisogno di parlare con Ken!”

“Sei impazzito, Yu?” Il portiere si alzò di scatto. “Chiudi quella porta!”

“Non preoccuparti… mamma e papà sono usciti e torneranno stasera…” Spiegò l’altro. Aveva una luce strana nello sguardo, che a Jun non sfuggì.

“Cosa vuoi?”  Lo sollecitò Ken, nuovamente alterato.

Yu fece qualche passo e lo raggiunse, stagliandosi di fronte a lui. Lo superava di una decina di centimetri. “Prima che papà s’intromettesse, stavi dicendo che saresti stato in grado di battermi in qualsiasi momento… lo pensi davvero?”

“Certo!” Rispose Ken con fermezza, non mostrando il minimo timore.

Un sorriso senza euforia contrasse le labbra di Yu. “Bene, Ken Wakashimazu!” Puntò quindi il dito contro il fratello. “Io ti sfido a un incontro di karatè. E ti farò rimangiare queste parole!”

Lo stupore di Ken fu subito offuscato dalla rabbia che gli salì al cervello. Suo fratello lo sfidava, sostenendo, con arroganza, di essere in grado di batterlo? Proprio lui che aveva abbandonato il dojo di famiglia, fregandosene altamente, lasciando a lui il peso della responsabilità di esserne il successore? Non poteva accettarlo.

“Benissimo Yu Wakashimazu!” Il portiere lo additò a sua volta. “Prega pure per la tua vittoria. Perché se perderai, sarai tu a dover diventare il successore di papà!”

 

“Ken!” Lo richiamò Jun, allarmato da quelle parole, gettate fuori con foga, senza la minima riflessione. Il principe del calcio, in quella manciata di secondi, sperò nella risposta negativa di Yu, ma quando il maggiore dei due Wakashimazu pronunciò un perentorio: “Ci sto”, Misugi ebbe davvero paura delle conseguenze. Sapeva di non potersi intromettere in quella sfida tra fratelli. Non ne aveva alcun diritto.

 

Nonostante i timori, però, Jun pensò che ci aveva visto giusto: Yu, quel giorno, non aveva fatto altro che cercare un pretesto per litigare con Ken. Anzi, per combattere contro di lui.

 

 

 

 

I raggi del sole di quel primo pomeriggio si riversavano sul parquet e sui tatami della palestra, rendendo superflue le luci artificiali accese sul soffitto. Il profumo dolce del legno pulito si scontrava con la tensione dell’aria e con quella dei muscoli del suo corpo immobile: Jun Misugi stava inginocchiato oltre i tatami e fissava i due fratelli al centro del dojo che si studiavano senza fiatare. Indossavano entrambi un karategi chiuso da una cintura nera. Il principe del calcio si rese conto che quella era la prima volta che vedeva Yu indossare la divisa di karatè… e, dove ammetterlo, gli donava moltissimo. Osservati da quella prospettiva, con indosso quella mise e con la stessa espressione severa in viso, Jun si rese conto che, nonostante le diversità caratteriali, Ken e Yu si somigliassero davvero molto, almeno nell’orgoglio. E, proprio in virtù di ciò, era sicuro che entrambi avrebbero lottato senza risparmiarsi… sperò solo non si facessero male sul serio.

 

Siccome lui non era in grado di arbitrare, era stato deciso che sarebbe stato il buon senso e la loro lealtà a fare da discriminante.  Jun si limitò soltanto a dare il via con un secco “Hajime!”* al quale seguì lo scatto dei due avversari che, destreggiandosi subito in movimenti agili, cominciarono la gara. Jun non conosceva molto di quella disciplina, ma i suoi occhi, abituati ormai da tempo a studiare gli avversari dalla panchina, gli permise di cogliere tecniche eseguite a velocità straordinaria. Si stupì della precisione di Yu, del modo in cui teneva testa a Ken e di come parava i suoi colpi ed era questo, di sicuro, che stava turbando il suo ragazzo. Sì, perché il corpo del portiere era leggermente più teso di quello del fratello, i movimenti apparentemente fluidi e precisi, sembravano mancare di quella calma che, all’opposto, Yu dimostrava. E ciò gli fu fatale.

 

La gamba di Yu sembrò fendere l’aria, come una katana guidata con maestria. Il piede, apice di quella lama pronta a ferire, accompagnò un elegante quanto fatale yoko geri keage*, fermandosi all’altezza del viso di Ken, trovandolo impreparato, ma fu solo quando lo vide crollare sulle ginocchia, con l’espressione disorientata, Misugi realizzò che il suo ragazzo aveva perso l’incontro.

 

“Complimenti Ken.” Yu torreggiava sul fratello, l’espressione grave in viso. “Se non fossi stato così sicuro di battermi, probabilmente, ora ci sarei io al tuo posto. In fondo, fra i due, sei sempre stato tu il migliore.”

 

Ken si sorprese di quelle parole, ma non trovò il coraggio di sollevare gli occhi. Strinse i pugni, battendoli sul tatami, non capacitandosi di quella sconfitta. Yu si era battuto con grande abilità, sembrava migliorato dall’ultima volta che avevano combattuto, forse poco più di un anno prima. Anzi, sembrava che non avesse mai smesso di allenarsi.

 

Aveva sbagliato a sottovalutarlo.

 

Jun si sollevò lentamente, rendendosi conto di avere le gambe tremanti. Le sue paure si stavano concretizzando. Mentre raggiungeva il compagno per inginocchiarsi al suo fianco, pensò che aveva sbagliato a non intromettersi, poco prima. Si diede dello stupido per non aver fatto ragionare Ken sul fatto che, se avesse perso, sarebbe stato lui a dover succedere al padre nel dojo di famiglia.

 

“Yu… io ho perso…”

 

La voce mesta ma solenne di Ken gli fece intendere che il suo ragazzo se n’era appena reso conto. Avrebbe voluto impedirgli di pronunciare quelle parole.

 

 Ken… avrebbe abbandonato il calcio?

 

“… quindi… sarò io a prendere il dojo…”

 

 

“Tsk, che diavolo stai dicendo, cretino?” Il tono scanzonato di Yu li portò a sollevare il viso con stupore. “Non sono mica così stronzo come qualcuno di mia conoscenza!”

“Yu…” Pigolò Ken, mortificato, mentre Jun tirava un sospiro di sollievo pensando che, con molta probabilità, l’altro avesse voluto soltanto dargli una lezione di vita.

Yu si accovacciò, mentre sulle labbra si allargava il tipico sorriso a trentadue denti. “Tu hai dettato la tua condizione… ma non mi hai mai chiesto quale fosse la mia!”

“Hai ragione! Farò qualunque cosa tu mi chieda!” Esclamò Ken, in tono rispettoso, abbassando la testa come a inchinarsi.

“Ah, meno male!” Trillò Yu. Dopodiché sollevò l’indice con fare furbetto. “Perché sai, voglio un appuntamento con Misugi!”

“CHECCOSA?” Ken strabuzzò gli occhi, mentre Jun pensò di aver improvvisi problemi all’udito.

“Sei impazzito! Neanche per sogno!” Si ribellò Ken, digrignando i denti.

“Questo vuol dire che preferisci dedicarti anima e corpo al dojo?” Domandò Yu, sornione.

Ken si sentì pugnalato a tradimento. “Questo non è leale!”

“Oh, suvvia. È solo un appuntamento piccolo piccolo…”

“Non voglio che esci con Jun!”

“Non te lo mangio mica!”

“Azzardati a toccarlo e ti ammazzo sul serio!”

“Esagerato! Non lo voglio toccare… voglio solo uscirci... una passeggiatina innocua io e lui!”

“Non ci sto!”

“Ricorda che hai perso una scommessa… non è un comportamento da uomini!”

“Sì ma non mi avevi detto che la posta in gioco era Jun!”

“Perché tu non me l’hai chiesto, fratellino.”

 

Appuntamento? Toccarlo? Uscire? Mentre li vedeva discutere, Jun pensò che avrebbe fatto meglio ad alzare i tacchi e andarsene. Quei due stavano lì a blaterare e nessuno chiedeva il suo parere, nonostante fosse lui l’oggetto della contesa. Stava seriamente meditando di lasciarli nella loro follia, quando qualcosa lo fece desistere. “Ok, ci sto!” Dichiarò quindi, alzandosi con uno sbuffo, a significare che non sopportava più il loro ciarlare. “Quando dovremmo uscire?” Domandò, avvicinandosi.

“Ma… ma… ma… Jun! Che diavolo stai dicendo?” Ken lo guardò esterrefatto, sperando che scherzasse. All’opposto, Yu si sollevò anche lui, manifestando la sua gioia. “Ma anche subito, Jun-chan caro! Il tempo di prepararmi con cura!”

“Jun!” Ken, ancora in ginocchio, gli tirò un lembo della maglia, richiamando la sua attenzione. Lo sguardo afflitto non placò il principe del calcio che, anzi, lo guardò con rimprovero. “Ken, hai perso la scommessa, datti pace! Dovevi prendere in considerazione questa eventualità, ma non l’hai fatto. Non ti sei posto minimamente il problema delle conseguenze. Hai rischiato di dover rinunciare al calcio per il tuo orgoglio. Ti rendi conto?  Non hai protetto te stesso e neppure me. Quindi io uscirò con Yu!”

 

Il ‘ti serva di lezione’ non venne pronunciato, ma Ken lo sentì rimbombare a lungo nella sua testa.

 

 

Quando udì le voci di Jun e Yu in giardino, Ken non volle affacciarsi alla finestra e rimase seduto sul tappeto della propria camera, braccia conserte e sguardo fisso nel vuoto. Non voleva vederli chiacchierare in quel modo amichevole, come avevano fatto poco prima, mentre si accordavano sull’appuntamento. Suo fratello aveva più volte sfiorato la spalla di Jun, gli aveva scompigliato i capelli, comportandosi come se lui non ci fosse. E il suo ragazzo gliel’aveva permesso. Un dolore gli serrò il cuore, ma il capire che non era soltanto la gelosia a farlo stare in quel modo, lo sconvolse ancora di più. Era deluso dal comportamento del fratello: perché? Perché gli stava facendo questo?

 

Col senno di poi cominciò a ripercorrere il suo comportamento strano, quel giorno: era la prima volta che Yu tirava fuori questioni sul karatè, sul successore della palestra e, soprattutto, sulla sua scelta di dedicarsi al calcio. Anzi, Yu l’aveva sempre appoggiato.  Non era stato lui a difenderlo, quando suo padre voleva impedirgli di giocare a calcio, sostenendo che non aveva alcun diritto di decidere del futuro di suo figlio, accusandolo di egoismo? Parole che lui non aveva avuto il coraggio di pronunciare davanti al genitore. Ed era stato proprio grazie al fatto che si era sentito spalleggiato da lui, da suo fratello maggiore, che aveva trovato il coraggio di opporsi alle decisioni paterne.

 

Che Yu avesse cambiato idea?

 

Gli tornarono alla mente episodi di quando erano più piccoli e si allenavano insieme nella palestra. Yu era molto bravo, ma il padre riteneva che fosse lui il migliore, nonostante avesse cinque anni in meno del fratello. Ma Yu non si era mai mostrato sofferente per quel giudizio, anzi. “M’ impegnerò sempre di più per batterti, Ken!” Gli aveva detto più volte, ridendo. Lui sembrava prendere tutto alla leggera… quello era il lato più tipico del suo carattere.

 

“Sì, Yu! E un giorno guideremo insieme la palestra di papà!”

 

A quel ricordo, Ken sussultò. Forse Yu…. si era a sua volta sentito deluso da lui? Abbandonando il karatè, era venuto meno anche alla loro promessa. Ci rifletté su qualche attimo poi, però, il pensiero che era appena uscito con Jun lo riscosse. Tempo prima gli aveva parlato della sua relazione con Misugi perché aveva avuto bisogno di confidarsi con qualcuno e lui ora si approfittava del suo punto debole. Si alzò di scatto, dirigendosi verso l’armadio, preda di una nuova forza. Tirò fuori una serie di vestiti, da un cassetto recuperò un paio di occhiali da sole e diede via alla vestizione. Pensò poi che, qualunque fosse la sua ragione, Yu non aveva alcun diritto di provarci con suo ragazzo!

 

******

 

Misugi rimestava il cucchiaino nel frappé ancora intatto che aveva davanti. Era stato troppo severo con Ken, se ne stava rendendo conto. Con quale diritto gli aveva parlato in quel modo? Di sicuro l’aveva ferito e, stavolta, non sarebbero bastate delle banali scuse per farsi perdonare. Il suo bisogno di vederci chiaro, gli aveva fatto sfuggire di mano la situazione. Già. Perché voleva capire il motivo dello strano comportamento di Yu, del perché gli avesse chiesto di uscire… perché una ragione c’era, di sicuro! Anche se, una parte di lui, cominciava a dubitarne… che Yu volesse soltanto prendersi gioco di Ken? Nell’avallare questa tesi, si sentì complice involontario di quella trama e ancora più in colpa verso il proprio ragazzo. Mentre si perdeva in quelle congetture, notò uno strano movimento al di là della vetrata vicino al posto dov’ era seduto. Si stropicciò gli occhi, guardando meglio: gli era sembrato che uno degli arbusti sul marciapiede si muovesse, come se qualcosa, o qualcuno, vi si fosse nascosto dietro. Si sporse, ma in quell’istante passò una scolaresca che gli coprì la visuale, cosicché, quando la strada fu nuovamente sgombra, non notò più nulla di strano. Perplesso, si chiese se non avesse avuto le allucinazioni.

 

“Che succede, Ju-chan, ti annoi?” Lo richiamò Yu, con voce squillante.

“Ah, no!” Rispose lui distratto, stirando un sorriso, ricordandosi del frappé. Ne sorseggiò un po’ dalla cannuccia, subendo lo sguardo del fratello di Ken che, invece, aveva quasi finito il proprio. “È buono?” Chiese quest’ultimo, speranzoso.

“Sì, sì, lo è.” Jun cominciava a sentirsi davvero stupido. Aveva assecondato Yu per tutto il tempo: il ragazzo l’aveva trascinato in vari negozi di abbigliamento glamour, profumerie, grandi magazzini, gli aveva chiesto consigli su camicie e pantaloni che si era provato, senza poi acquistare nulla, avevano girato in lungo e in largo. Ormai erano al tramonto. Infine, erano entrati in quel locale per bere qualcosa e rilassarsi, come gli aveva detto Yu. Sì, il principe del calcio pensò di averne proprio bisogno, anche perché si stava spazientendo.

 

“Senti, Yu.”  L’altro lo guardò con occhi curiosi. “Io ti ringrazio di questo pomeriggio divertente e spensierato…” Che le sue parole non fossero convincenti lo capiva anche da solo. “Mi hai trascinato in una miriade di negozi per distrarmi, ma ho notato che guardavi spesso l’orologio, come se stessi aspettando un orario ben preciso. Dove vuoi andare, veramente?” Domandò diretto, sperando di metterlo in difficoltà.

Yu non rispose subito, ma si limitò a sbattere più volte le palpebre e a pronunciare un: “Però, sei proprio acuto!” Fece un lunghissimo sospiro, al solito parecchio teatrale, poi lo sguardo si fece procace, mentre si sollevava leggermente dalla sedia, sporgendosi verso Misugi, poggiandogli due dita sotto il mento a sollevargli il viso. “Vedi, Jun…” La voce tentatrice “… i love hotel aprono solo dopo una certa ora…”

 

Rimasero incatenati l’uno allo sguardo dell’altro e neppure il rumore di bicchieri che andavano in frantumi, caduti dal vassoio di una cameriera, unita a un: “Faccia più attenzione, lei! Ma com’è vestito?”, li distrasse.

 

Jun allontanò il viso, respingendo la mano di Yu con la propria. Quest’ultimo tornò a sedersi. Misugi pensò di essere al limite, ma mai si sarebbe concesso una caduta di stile. “ Caro cognatino…” Sottolineò. “Non sono un karateka, è vero.” Si espresse in tono serio, incrociando le braccia e accavallando le gambe, ostentando una nota di supponenza che, se si sforzava, gli riusciva proprio bene. “Ma posso assicurarti che un mio drive shot fra le gambe non è che sia proprio piacevole!”

“Ouch!” Yu si intirizzì all’istante, serrò la bocca e aspirò l’aria, facendola sibilare fra i denti, come se avesse incassato il colpo. “Ok, ok… ho capito!” Sofferente, alzò un palmo, in segno di resa, abbandonando l’atteggiamento da conquistatore. “Non si può proprio scherzare con te, eh?” Mostrò un sorriso disteso. “Va bene!” Si alzò di scatto, afferrandogli un braccio per esortarlo a fare altrettanto. “In effetti se arriviamo un po’ prima è meglio!” Yu si affrettò a pagare e trascinò fuori Jun che lo seguì senza fiatare. Quel repentino cambio di atteggiamento lo incuriosì e inquietò allo stesso tempo. Non aveva neppure finito il frappé, ma, dopotutto, non gl’importava.

Usciti dal locale, il chiacchiericcio vivace di Yu era scomparso, il ragazzo sembrava essersi chiuso in un proprio mondo di pensieri imperscrutabili e Jun non poté fare altro che assecondarlo e seguirlo, rimanendo in silenzio. Salirono sulla metro, come sempre particolarmente affollata, eppure il principe del calcio si sentiva osservato. Cercò di guardarsi intorno, ma la calca della gente gl’impediva di scorgere persone conosciute, anche se, quel lungo cappotto beige del tizio di spalle, indossato in piena primavera, poi!, gli dava da pensare. Lui e Yu scesero quindi alla fermata di un quartiere che Misugi conosceva poco e camminarono per una decina di minuti, fermandosi infine davanti al portone di una casa piccola ma, a una prima occhiata, molto antica. Ormai era già sera.

 

“Sakamoto” Pronunciò Jun, leggendo la targhetta di fianco al campanello che Yu, prontamente, premette. “Si può sapere dove…” Nel rivolgersi a Yu, Jun perse la parola: cos’era quella seriosità che trapelava non solo dallo sguardo ma anche dal portamento, improvvisamente composto, del ragazzo? Non gli aveva mai visto tale espressione in viso, quella fierezza quasi solenne… in quell’istante, gli sembrò che Yu somigliasse tantissimo a Ken quando si concentrava sul campo, anzi, in verità, forse somigliava molto di più a…

 

“Wakashimazu- sensei!” Qualcuno gli rubò le parole di bocca. Un ragazzino minuto aveva aperto il portone e li stava salutando con un inchino di reverenza. Indossava un karategi chiuso da una cintura bianca. “È in anticipo!”

“Lo so, Kentaro-kun. Ma ero in zona…” Rispose Yu, scrollando le spalle con un sorriso sincero. “Lui è un mio amico.”

“Sono Jun Misugi” Si presentò il principe del calcio, l’altro s’inchinò ancora. “Prego…” Aggiunse, facendo strada.

Yu si sporse verso Misugi, strizzandogli un occhio. “Stai dietro di me…”.

“Ok…” Jun rimase un attimo basito, poi seguì i due, guardandosi intorno con attenzione: il corridoio che stavano attraversando sembrava quello che portava al dojo in casa di Ken… aveva anche lo stesso profumo! Inoltre, il ragazzino aveva chiamato Yu ‘sensei’ e indossava il karategi. Lo stavano assalendo diversi interrogativi, uno dei quali trovò subito risposta alla fine del percorso: non era grande come quello di casa Wakashimazu, ma, davanti a lui, c’era davvero un dojo di karatè. Diversi ragazzini, tutti sui dieci-dodici anni, forse qualcuno più grande, si stavano allenando. Misugi non riuscì a parlare dallo stupore.

 

“Yu-chan!” Una ragazzina piuttosto esile, avanzò verso di loro. Aveva i capelli molto lunghi, legati da una treccia che le cadeva morbida sul petto. “Sei già qui?”

“Sì, Ai-chan! E ho portato anche un amico!” Esclamò Yu, scansandosi per mostrarle Misugi dietro di sé.  Lo sguardo della ragazza, dapprima incerto, s’illuminò, manifestando enorme stupore. Poi, l’imbarazzo prese il sopravvento, facendola arrossire. Subito spostò gli occhi su Yu. “Jun Misugi!? Ma allora era vero che lo conoscevi!”

“Certo, perché, ne dubitavi?” Sbuffò il ragazzo, fintamente offeso.

“Mah… ne spari sempre tante…!” Buttò lì Ai.

Yu si finse scioccato. “Ma che dici?!” Poi scosse la testa, disperato. “Ecco, non mi aveva creduto!” “Ahem, io…” La ragazzina, facendosi coraggio, si rivolse a Jun, inchinandosi “Sono Ai Sakamoto. Ho quindici anni. Sono onorata di averti qui, Misugi…”

“Il… piacere è mio!” Esclamò Jun, un po’ perplesso e, forse, un tantino infastidito. Sperò di non aver sorbito quell’uscita solo per incontrare una sua fan invasata. Non avrebbe retto.

“Io… sono una tua grandissima ammiratrice!” Buttò fuori lei, agitata. Misugi pensò di aver colto nel segno, poi, però, quando lei sollevò lo sguardo,  la dolcezza che il principe del calcio vi percepì lo colpì al punto da farlo sentire in imbarazzo come poche volte in vita sua. La ragazza poggiò le mani sul petto, a enfatizzare la sincerità e il trasporto delle sue parole. “Tu mi dai coraggio… ogni giorno. L’impegno che metti in ogni partita, nonostante i pochi minuti di gioco, hanno dell’incredibile. Ammiro la tua tenacia e la tua forza di volontà, per me sei un esempio da seguire. Quando sono abbattuta, mi basta guardare una tua partita per ritrovare il coraggio. Grazie! Grazie davvero!” S’inchinò di nuovo.

Jun le restituì lo sguardo gentile.  Dentro di sé era emozionato per una simile rivelazione. Di solito le sue ammiratrici lo adoravano per l’aspetto fisico, non certo per il gioco o l’impegno.  “Grazie a te delle tue parole, Ai…”

Lei arrossì lievemente. “Ahem… torno dagli altri. Rimani… accomodati pure…” Disse, guardandosi intorno. “Se ti fa piacere seguire gli allenamenti…”

“Mi farebbe molto piacere….” Precisò Misugi e Ai gli sorrise grata.

“Aspettiamo ancora qualcuno e poi cominciamo, Yu?” Domandò poi Ai, all’indirizzo di Yu, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.

“Certo, piccola!” La rassicurò lui. Jun era sicuro di non averlo mai visto rivolgersi a qualcuno con una simile dolcezza.

“Perfetto!” Trillò la ragazzina che, prima di allontanarsi, sfiorò il braccio di Yu. “Grazie…” Misugi la guardò raggiungere i compagni sul tatami, e subito notò come il suo sguardo fosse divenuto serio e risoluto, mentre cominciava a dirigere il riscaldamento. “Mi hai portato qui… per lei?” Domandò, senza distogliere lo sguardo dall’esile corpo di Ai.

“Sì… volevo farti conoscere la tua fan. Lei lo desiderava tanto.” La voce di Yu era particolarmente bassa, quasi malinconica. Jun respirò profondamente, intuendo subito che Ai non era la solita ammiratrice infatuata del suo viso. Non era uguale alle altre. La guardò attentamente parlare con i compagni, spiegare azioni e movimenti compiute da lei stessa, dimostrandosi molto capace, quando notò un movimento familiare: quel modo di portarsi distrattamente una mano sul cuore, quasi fosse un gesto spontaneo, ma che, invece, nascondeva preoccupazione e protezione per quella parte del corpo. Il respiro, poi, era leggermente disarmonico, ma, di tanto in tanto, lei lo correggeva.  Jun ebbe un brivido. “Lei è… come me?” Stavolta, cercò conferme negli occhi di Yu. Questi non sembrò per nulla sorpreso da quella conclusione. “Sì.” Rispose, franco. “Anche Ai ha una malattia cardiaca. Perciò non può fare grandi sforzi, né allenarsi a lungo. Le hanno detto che la potranno operare soltanto fra qualche anno, quando il corpo sarà più solido e sviluppato…” Yu strinse i pugni, e a Jun non sfuggì la sua apprensione. “Ma lei continua a dedicarsi al karaté, lo sport che ama con tutta se stessa. Non vuole mollare e va avanti stringendo i denti, a volte mi viene difficile farla riposare… perciò litighiamo.” Sospirò il ragazzo, abbozzando un sorriso.

Jun si grattò la nuca. “Mi ricorda qualcuno!”

“Ahahaha! Sì. Siete molto simili. Per questo ti ammira. Non sai quante foto tue ha attaccato alle pareti della camera! Tu sei il suo punto di riferimento e il suo esempio. Ai ha la tua stessa tenacia, nello sguardo e nel cuore.”

“Ma tu… cosa c’entri in tutto questo?”

 

Yu sussultò. Nonostante fosse inevitabile, quella domanda lo mise un po’ in difficoltà. “Beh…” Balbettò un istante, prima di trovare le parole. “… suo padre è morto due anni fa. Yoma Sakamoto era un grand’uomo. Praticava un karatè diverso da quello di mio padre e, siccome sono un tipo curioso, frequentavo il suo dojo di tanto in tanto. Amavo chiacchierare con lui, mi trasmetteva serenità. Conosco Ai da quando era molto piccola. Perciò, quando Sakamoto-san è mancato, Ai ha sentito su di sé la responsabilità del dojo… non voleva che sparisse insieme a suo padre. E non lo volevo neppure io. Il suo desiderio più grande è quello di diventare il successore di questo dojo. Solo che fino a diciotto, vent’ anni non potrà esercitare. Perciò, quando sentii la madre parlare della possibilità di vendere tutto…”

“… hai deciso di diventare tu il maestro di questo dojo.” Lo anticipò Jun, dando voce a ciò che aveva capito sin dal momento che avevano messo piede lì dentro.

“… è così.” Ammise finalmente Yu. 

“Non l’avrei mai immaginato… sei incredibile. Chi l’avrebbe mai detto.” Misugi lo guardò con ammirazione. “Ci hai proprio preso in giro tutti!”

“Già…”

Poi, colto da un dubbio, Jun cominciò a fare dei conteggi sulle dita delle mani, sottovoce, riflettendo: “Ma se lei ha quattordici anni… fra cinque, sei anni ne avrà diciannove, venti… ah! Quindi… è vero che dopo questo tempo prenderai il dojo della tua famiglia… quelli sono gli anni che servono a Ai per poter prendere in mano il suo dojo!”

Yu incrociò le mani dietro la testa, sbuffando. “Certo! Ve l’ho detto che avevo intenzione di prenderne le redini, siete voi che non mi avete creduto!”

Il sollievo che Jun provò a quell’ammissione, fu davvero grande. “Sarà che quando parli non lo fai seriamente? Te l’ha detto anche Ai.” Insinuò il principe, ridendo. “Quindi non è nemmeno vero che passi tutto il tempo con le ragazze!”

Yu scoppiò a ridere. “Ahahahahaha! Non nel numero che pensano i miei familiari naturalmente, dato che passo gran parte del mio tempo qui! Capita che ne frequenti qualcuna, ma non ce n’è una fissa…”

“Perché… aspetti lei?”

 

Stavolta, fu Yu a imbarazzarsi. Jun lo vide fare un enorme sforzo per non arrossire. “Vado a cambiarmi, ormai ci sono tutti. Tu accomodati pure.” Jun lo lasciò congedarsi, senza indagare oltre. Ormai, tutto era molto più chiaro. Pensò che Yu era davvero un bravo ragazzo e che doveva amare proprio tanto il karatè… probabilmente più di Ken. Sorrise, pensando che, forse, molto più in là, se era vero ciò che aveva intuito, i dojo Sakamoto e Wakashimazu sarebbero diventati uno solo.

 

“Misugi, siediti pure qui…” Ai si era avvicinata nuovamente per porgergli una sedia. Sorrideva, leggermente in imbarazzo.

“Grazie Ai-chan. Ma sarò più a mio agio se seguo inginocchiato per terra… altrimenti mi sembra di stare su un trono!” Scherzò Jun. Lei ridacchiò. “Come preferisci!”

Il principe del calcio scrutò la sua figura minuta che, nonostante tutto, trasmetteva forza, non riuscendo a trattenere quella domanda affioratagli alle labbra. “Ami molto il karatè, vero?”

“Certo! Per me è importantissimo, più d’ogni altra cosa!” Rispose d’istinto la ragazzina.

“La tua passione è importante…” Le sorrise Jun. “Ma non cercare di forzare i tuoi limiti… faresti preoccupare e soffrire chi ti vuole bene.” Portò poi una mano sul petto, sfiorandosi laddove percepiva il battito. “Questo cuore ci dà dei grossi grattacapi. Ma ci aiuta anche ad andare avanti.”

Ai lo guardò sorpresa. Poi sembrò comprendere, quindi gli rivolse un sorriso grato. “Ho capito.”

 

Poco dopo, Yu fece ritorno: indossava un karategi con il simbolo della famiglia Sakamoto ricamato sul petto. Sembrava proprio un’altra persona. I ragazzi presenti si misero tutti in fila e lo salutarono con reverenza, seguendo le sue direttive. Yu mostrava lo stesso sguardo fiero di quando, poco prima, si era annunciato: lo sguardo del vero Maestro.

 

Jun si rese conto che, quel ruolo, ce l’aveva nel sangue.

 

Stavano per iniziare gli allenamenti veri e propri, quando Kentaro, che ancora mancava all’appello, fece la sua comparsa, strillando. “Sensei Wakashimazu! Ai-san!” Sembrava agitato.

“Cosa succede, Kentaro?” Domandarono Yu e Ai, cercando di calmarlo.

“C’è una persona losca che si aggira nei pressi della casa! L’ho visto cercare di spiare attraverso le finestre!”

Nella palestra si alzò un vociare preoccupato fra cui spiccarono epiteti quali ‘maniaco’, ‘ladro’, ‘barbone’.

“Ora vado fuori e gli do una bella lezione!” Esclamò Ai agguerrita, tirandosi su una manica del karategi.

“Indossa un lungo cappotto beige e occhiali da sole!”Aggiunse, sempre Kentaro. A quel punto, Yu e Misugi si lanciarono uno sguardo e, scoprendovi la medesima consapevolezza, scoppiarono a ridere.

“Te n’eri accorto?” Domandò Yu, le braccia a reggersi lo stomaco.

“Certo… da quando eravamo al bar!” A Jun scesero un paio di lacrime, a causa dalle risate.

“Io da un po’ prima… ero in allerta, lo conosco mio fratello!”

Il principe scosse la testa. “… prevedibile! Non ci avrebbe mai lasciato uscire da soli!”

“Vai a prenderlo, va’!” Yu gli poggiò una mano sulla spalla, esortandolo.

“Ne sei… sicuro?” Jun si meravigliò, ma Yu scacciò i suoi dubbi con un sorriso sincero. “A questo punto non posso più negarmi… e poi… vorrei recuperare un po’ di dialogo con Ken, in effetti…”

Misugi rimase in silenzio, rimuginando su una cosa che non aveva ancora chiara. “In effetti, scusa… non facevi prima a prendermi in disparte e chiedermi di venire qui con te?”

Yu spalancò gli occhi. “Scherzi?” Poggiò poi le mani sui fianchi e gonfiò il petto, tronfio. “Bwahahaha, e che gusto ci sarebbe stato? Naaaaa, prendervi in giro è stato esaltante! Se avessi potuto, avrei filmato le vostre facce in tutta questa storia!!”

Jun lo guardò sconcertato, poi capì di doversi rassegnare. Non sapeva più se era più matto Yu con i suoi piani diabolici, Ken che, vestito da maniaco, li aveva seguiti, o lui stesso che ancora seguitava a trovare un senso in quella storia. Cercando una risposta si avviò all’uscita, per ripescare il fidanzato da qualche parte là fuori.

 

 

*******

 

“Sono stato proprio uno stupido a dubitare di Yu…”

 

Ken tirò su con il naso. Era seduto sul letto della sua camera, abbracciato alle ginocchia.

“Dai… non potevi mica saperlo…” Jun, seduto sul bordo, gli accarezzava testa e capelli, consolandolo. “Ci ha presi in giro… ma per una buona causa!”

“Sì, lo so…” Ken convenne con lui, poi si accucciò ancora di più, esibendo un lungo broncio. “Avrei dovuto capirlo…”

“Non sentirti in colpa… dovresti essere fiero di lui!”

“Ma lo sono!” Il portiere abbozzò un sorriso. “Avrei solo voluto comprenderlo da me…” Sospirò. “Hai visto come allenava i ragazzi? Sembrava proprio papà!” Quel pensiero sembrò alleggerirgli il peso sul cuore, facendolo riflettere. “Hai ragione! Devo essere fiero di lui!” Esclamò, abbandonando la posizione ‘da disperato’, per lasciarsi cadere di lato e finire con la testa sulle gambe di Jun.

Si fissarono per qualche istante, poi una mano di Ken andò a sfiorare una guancia del principe, camminando fin dietro il collo, facendo una lieve pressione. Misugi si chinò quindi su di lui e gli baciò le labbra.  La delicatezza del suo gesto si scontrò con l’inaspettata passionalità del portiere che lo costrinse a un bacio più profondo e possessivo.

“… sono stato geloso da morire.” Ammise Wakashimazu, quando ripresero fiato.

Jun ridacchiò. “L’ho notato… ma non c’era motivo. Non ti cambierei per nulla al mondo! Anche se…” Sembrò ripensarci. “Vestito in quel modo m’ inquietavi!”

Ken divenne più rosso di un peperone. “E che dovevo fare? Non ho avuto scelta!” Incrociò le braccia, sbuffando. Misugi scoppiò a ridere. “… è stato divertente. Almeno, adesso potrai dedicarti al calcio senza pensieri e sensi di colpa.”

Ken fissò negli occhi il compagno sopra di sé.  E, stavolta, il suo sguardo era più serio che mai “Sì, hai ragione.”

 

“Il primogenito della famiglia Wakashimazu prenderà le redini del dojo e tu diventerai un grande portiere!” Annuì Jun, tutto contento.

 

Ken rise, aggrappandosi alle sue spalle, per tirarlo sopra di lui. “Puoi contarci!”

 

FINE

 

 

 

 

*Fusuma: pannelli verticali scorrevoli che separano le stanze nelle case giapponesi.

*Ikebana: arte della disposizione floreale.

*Shogi: gioco di strategia, simile agli scacchi.

*La mamma di Ken in “Un giorno vale l’altro” bruciava torte e biscotti.

*Oyako Don: Piatto tipico a base di riso caldo, con pollo, uova, cipolle verdi e altri ingredienti, fatti bollire con salsa di soya e sakè.

*Natsumi, detta Nat, è nel mio immaginario l’allenatrice del Toho nel triennio del liceo dopo le dimissioni di Kitazume. Una tipa un po’ eccentrica, sulla quale spero di scrivere presto una ff ^^

*Hajime: Nelle arti marziali giapponesi (almeno nel karate e nel judo) significa inizio del Match.

*Yoko Geri Keage: calcio laterale frustato.

 

.... FINITA!!!!!

Spero vi sia piaciuta!! Yu è un vero bastardo inside... ma nel senso buono!!! Adoro il suo pg!! Ken è tornato a fare le sue solite figuracce... -_-""""" povero, ma lo adoro sempre!! E Jun è adorabile, sempre!! Anche se qui fa un po' il cattivello... ma poi se ne pente;))

Nel mio immaginario, Yu somiglia molto a Akira Sendo di Slam Dunk <3 con quell'espressione sempre serena e velatamente di sfida ^_^

Grazie a tutte!!!!

  
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