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Autore: O0oSuNsHiNeo0O    12/10/2007    1 recensioni
Vi è mai capitato di pensare: "Ma se Dio fosse qui, ora, cosa gli chiederei? Di che cosa potremmo parlare?". Se volete sapere molti retroscena sul nostro padreterno, beh, buona lettura. P.S: Non indicato per persona molto religiose con scarso senso dell'umorismo.
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiedo umilmente perdono per il ritardo. Ma ho avuto problemi di varia natura che non sto qui ad elencare perchè riempirebbero un enciclopedia. Vi basti sapere che torno a postare il mio folle dialogo con Dio. Ringrazio tutti dei commenti carinissimi e delle "dichiarazioni d'amore" ;)) “Senti”, inizio io, “tu prima hai detto di non conoscere una canna”.
Dio annuisce.
“Ma con cosa vi siete ubriacati tu e i tuoi, ehm, amici?”, chiedo.
“Beh, con il vino”.
“E conoscete il vino ma non l’erba?”, ribatto io.
Dio arrossisce violentemente.
“Beh, ho detto la verità”, risponde sulla difensiva, “Io non l’ho mai chiamata con quel termine”.
“Già, il termine canna è abbastanza recente”, commento io.
Rimaniamo in silenzio.
Dio è imbarazzato al pensiero dell’imminente domanda.
“Te ne sei mai fatta una?”
Appunto.
“Chi, io?”, domanda lui.
“Sì, tu”.
“No”.
Lo scruto attentamente.
Ha le orecchie tendenti al rosso sangue, sta torturando un indifeso pezzetto di carta e non mi guarda negli occhi.
“Dio, tu le palle non le sai proprio raccontare”, ridacchio io.
“Io non racconto palle”, esclama con aria compunta.
Lascio cadere il discorso.
E mi torna in mente una cosa.
“Ehi, boss”, inizio.
Lui sbuffa: “Non ti avevo detto di non chiamarmi boss?”
“Forse, ma non è questo il problema”, ribatto io.
“Prima tu hai detto una cosa: che i boss siamo noi. Che vuol dire?”
Restiamo in silenzio per un po’, poi lui sorride.
“Ne abbiamo già parlato”, mi risponde.
“Ovvero?”
“Voi siete i boss della vostra vita. Nascete liberi e...”
“Questo non è vero”
Mi osserva con disappunto.
“Se nasci femmina in Afghanistan, ad esempio, non sei libera per il semplice fatto che sei quello che sei. In quel caso sono gli altri a scegliere per te. Dire: ‘ognuno è artefice del proprio destino’ è un’utopia.”
Dio sembra interdetto.
“Ma…”, inizia con ardore.
Poi si blocca.
Rimane per un attimo con la bocca aperta.
Sospira e si lascia cadere pesantemente sulla poltrona.
“Non so che risponderti. Non so che cosa sia l’Afghanistan.”
Si prende le testa fra le mani e rimane così per un po’.
Borbotta qualcosa tra le quali capto parole come: “tutto” e “sbagliato”.
Quando rialza il viso ha gli occhi un po’ rossi e l’aria triste.
“Non ti devi preoccupare Boss”, lo consolo, “pensa che neanche io non sapevo cosa fosse. Beh,”, aggiungo dopo una pausa, “fino a 11 anni, certo”
“Ma io sono Dio”, piagnucola lui.
Ci rifletto un po’ su.
“Beh, allora sì,è proprio imperdonabile”, aggiungo con un sorriso.
L’Onnipotente mi lancia uno sguardo torvo.
“Molto consolante, grazie”, risponde lui tornando a nascondere il volto tra le mani.
“Non c’è di che”
Dio si drizza improvvisamente sulla sedia, conscio forse, della posizione poco professionale che aveva assunto.
“Hai mai pianto?”, gli chiedo io.
“Come?”
“Hai mai pianto?”
“Chi io?”
Sbuffo impaziente, questo Dio sa essere impossibile a volte:
“Sì, tu”
Scrolla leggermente le spalle.
“No”
“No?”
“No”
Lo scruto un attimo.
“E’ una cosa davvero molto triste”, concludo poi.
Dio sbarra gli occhi.
“Triste? E perché? Piangere è una cosa triste, non piangere è…è…”
“Triste”, concludo io.
“No, affatto”, risponde con fervore.
Lo squadro con aria di commiserazione.
“Beh, perché mi guardi con quella faccia?”, chiede risentito.
“Piangere vuol dire avere dei sentimenti. Non è necessariamente qualcosa di triste, Boss. Si può piangere di felicità, di malinconia, di tristezza, di rabbia. E se piangere vuol dire avere dei sentimenti, avere dei sentimenti, beh, vuol dire essere vivi”, concludo io con una scrollata di spalle.
Dio abbassa gli occhi.
Che lentamente si riempiono di lacrime.
Poggia il capo sulle braccia.
Piange in silenzio.
Senza un singhiozzo, senza un gemito.
Io non lo disturbo.
Gli prendo la mano e lo lascio fare.
La stringo, la carezzo.
Non c’è più traccia nessuna in lui di prepotenza, superbia e presunzione.
Adesso piange.
E mentre piange ride.
E poi piange di nuovo.
Mentre le lacrime lasciano solchi salati sulle guance.
Mentre il cuore rallenta i battiti.
Dio mi stringe la mano.
Restiamo così per un minuto.
O forse per ore.
  
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