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Autore: La sposa di Ade    25/03/2013    2 recensioni
Una ragazza che scopre di non essere quello che ha sempre creduto; una fanciulla dal cuore tenero si rivela essere un’ arma di sterminio vivente per una guerra già terminata, senza veri genitori e senza più nulla in cui credere viene protetta da un salvatore che incarna la morte. La loro sarà una profonda caduta nell’ inferno che è dentro ognuno di noi.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gears'
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2.      L’ ala di ghiaccio e la salvezza.

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“Don't let the water drag you down
Don't let me drown, don't let me drown in the waves.
I could be found,
I could be what you had saved
Saved, saved, saved.”

 
Vedeva solo il buio. Eppure le ombre sembrano essersi posate da poco su di lei e sull’ambiente circostante; non sentiva più il ruggito del vento, non sentiva il freddo della neve.
Poi fu come risvegliarsi da un coma. Ci fu quel momento di smarrimento in cui quasi dimenticò anche chi fosse, ma all’ improvviso si sentì catapultata di nuovo nel mondo reale come se se ne fosse distaccata per secoli e solo dopo poco arrivò quella piccola certezza di essere ancora vivi, di essere ancora lì, in quel corpo che non desiderava, e la portò a pensare in modo estremamente lucido che quella volta era stata fortunata e non ci aveva rimesso la vita, o che forse quella non era stata fortuna, forse semplicemente non era ancora arrivata la sua ora. Eppure in quel tiepido buio si sentiva quasi al sicuro; con quella freschezza che le accarezzava la pelle e la spingeva ad aprire, seppur lentamente, gli occhi. Una distesa di erba e alberi, spruzzati dalla neve, fiori congelati e silenzio, tanto silenzio.
Nonostante la solitudine che quel posto le trasmetteva si sentiva stranamente bene, some se non dovesse preoccuparsi di nascondere le ali. Sorrise tra sé, si sentiva al sicuro, come si sente un bambino quando raggiunge la sua casetta sull’ albero, il suo nascondiglio segreto.
Una figura in lontananza, ora due, dai tratti fin troppo conosciuti, anziani e sorridenti come sempre che si avvicinavano con passo tranquillo.
“Madre.” Si avvicinò a lei contenta di vederla viva.
“No.” Fece lei con la sua solita voce tenera tenendola a distanza.
“Cosa…”
“Mi dispiace Dizzy, non sono tua madre, non lo sono mai stata.” La voce anziana le graffiava nelle orecchie. La ragazza abbassa lo sguardo, sconfortata, sulle sue labbra un sorriso triste.
“Infondo, l’hai sempre saputo, no?” Disse il vecchio Alan. “Che noi non siamo i tuoi veri genitori. Ti ho trovata tanti anni fa proprio in questo bosco, c’era così freddo eppure tu splendevi ed emanavi calore come un sole.” Entrambi gli anziani sorrisero al ricordo mentre l’espressione sul volto della ragazza iniziava a farsi sempre più triste. “Gear.” Sussurrò appena senza alzare lo sguardo. Un paio di mani si posò sulle sue spalle facendola rabbrividire; erano così fredde, come quelle di un morto. “Che cosa vuol dire?”
“Vuol dire che d’ora in poi la tua vita sarà piena di sofferenza.” Sollevò lo sguardo, mentre in testa le balenavano le ultime immagini che aveva visto prima di perdere i sensi e di ritrovarsi in quel giardino sicuro.
“Che cosa è successo?” Si sentiva spaesata, come se si fosse appena svegliata da un profondo sogno e ancora non riuscisse a distinguere la realtà da tutto il resto. “Cosa vi è successo?”
“A quanto pare ormai la gente ha ben poca educazione verso gli anziani.” Sorrisero tristi.
“No…” Un’ondata di sconforto quasi la soffocò, mentre la gola le annodava e lo stomaco si contorceva. “Voi siete qui, non potete essere morti.”
“Noi non siamo veramente qui, noi non siamo reali, né lo è questo posto, è tutto frutto della tua testolina, e forse non solo.” Lentamente, ai margini del suo campo visivo sembrò addensarsi uno strato di ghiaccio lucente, che ben presto arrivò a circondare tutto, anche quelle due figure vicino a lei che persero il colore naturale della pelle e sembrarono trasformarsi in statue di ghiaccio dai tratti imprecisi, prima di dissolversi nella lieve brezza. Dizzy si allungò verso di loro, ma troppo tardi, perché le sue dita sfiorarono solo polvere e si ritrovò di nuovo da sola in quel posto in cui il tempo era ghiacciato.

Questo sarà uno degli ultimi spiragli di luce che vedrai.
Una figura indistinta si mosse nella foschia sempre più fitta di quella foresta; aveva sembianze umane, e per un attimo le sembrò di vedere di nuovo una di quelle statue di ghiaccio, prima di vedere il volto dai tratti delicati ma definiti di una donna, lunghi capelli del colore della neve le incorniciavano il viso e le spalle nude. Attorno a lei un mantello di piume bianche che sembrava fondersi interamente con la sua figura. Un paio di lunghe e snelle braccia color ghiaccio si allungarono verso di lei. Le sue labbra si muovevano, eppure Dizzy non sentiva. Si avvicinò timorosa a quell’essere che credeva di non aver mai visto e, con grande orrore, sentì le sue parole pungerle nella mente come ghiaccio.
Svegliati.
Non voleva lasciare quel bosco.
Svegliati.
Anche se non era reale, anche se la sua intera vita non era ciò che credeva, anche se lei stessa aveva scoperto di non essere quello che credeva, non voleva andarsene da quel posto così puro, immacolato.
Svegliati.
Nonostante i suoi genitori non fossero quelli veri e il desiderio di conoscerli le bruciava l’animo tanto quanto la paura aveva il terrore di andarsene, i suoi piedi si muovevano verso quella figura pallida, che ora sorrideva rassicurante.
Anche se tutte le sicurezze si erano dileguate come fumo e la sua vita si stava sbriciolando sotto i piedi non riusciva a fermarsi, piuttosto si sarebbe persa in quel sogno.
Un paio di gelide braccia la avvolsero, facendole del male.

Svegliati.
 
 “Sono sempre così strani?” La voce sommessa superava appena il suono della neve sotto gli stivali pesanti.
“Potresti evitare?” Fece quello con la benda sull’occhio.
“Perché scusa?” L’altro era dietro di lui e aveva appena aperto con il solito coltello il cappotto pesante della ragazza che si stava portando in spalla l’altro caccatore.
“Perché già è difficile camminare nella neve dovendosi trascinare una ragazza di cinquanta kili, ci manchi solo tu a far diventare un’impresa i miei tentativi di non cadere.” Sbuffò, issandosi meglio in spalla la ragazza.
“Ok, ok, scusa.” Sollevò le mani in segno di scuse, lasciando correre ma senza riuscire a distogliere lo sguardo dalle strane ali della ragazza; erano di due colori diversi, una aveva le stesse tonalità del ghiaccio che riflette il colore del cielo, l’altra completamente nera e lucida, dalle sfumature verdastre.
 

Aprì gli occhi; e quasi non fu sorpresa di vedere le sue braccia penzolare a pochi centimetri dalla neve, mentre i suoi capelli vi strisciavano sopra. Era ancora stordita per il colpo alla testa e con strana lucidità pensò che avrebbe dovuto tagliarli; stavano crescendo troppo.
Iniziò a sentire di nuovo il freddo sulla pelle; diverso da quello doloroso che aveva sentito in quello strano sogno, come se si stesse rotolando nella neve, sentiva l’aria pungerle le guancie e i brividi che le correvano su tutto il corpo. Gemette, quando sentì una forte e fastidiosa pressione appena sotto lo sterno. Poi un vuoto allo stomaco e l’impatto con la neve, eppure era ancora diverso; sentiva la pelle a contatto con la neve bruciare, ma quello del sogno, lo capiva solo ora, era vero e proprio dolore.
Alzò il viso scrutando confusa la neve che scendeva, ancora stordita per il colpo alla testa, le sembrò di vedere una figura scura in lontananza muoversi verso di loro, istintivamente tentò di allungarsi in quella direzione intravedendo le orme che avevano lasciato; sarebbe tornata a casa, al sicuro, tra le braccia rassicuranti e calde delle persone che amava.
A distruggere le sue speranze furono un paio di braccia forti che la strinsero in vita e la sollevarono di nuovo.
“Devo darle un altro colpo in testa?” Sentiva le loro voci lontane.
“Dubito ce ne sia bisogno.” Infatti, come si ritrovò sulla sua spalla la vista le si riempì di macchie scure, ma lottò per resistere e alzare di nuovo lo sguardo. Non se l’era immaginato, perché ora riusciva a vedere i tratti di quella persona che mai aveva visto prima; i lunghi capelli neri sembravano un tutt’uno con i suoi abiti scuri che a malapena coprivano il petto, intorno alle sue gambe una larga veste si muoveva insieme al vento. Tutto quel nero faceva risaltare in maniera impressionante il pallore del viso e il rosso intenso degli occhi, lo stesso rosso della lama della falce che portava tra le mani. L’ultima cosa che sentì prima di perdere di nuovo i sensi fu ancora il freddo della neve e la paura che s’impadroniva di lei.
 

Urla e risate si sovrapponevano in quel silenzio che le aveva invaso la testa. Immagini di creature deformi che distruggevano il candore della neve con i loro corpi sanguinosi le invasero la mente a lungo fino a che non rimase più nulla, fino a che non si accorse che ciò che aveva visto non era solo nella sua testa. Un inferno straziava i corpi dei cacciatori che cedevano come bambole sotto i colpi di quella falce. Creature deformi ne mangiarono con avidità i resti, fino a che sulla neve non rimasero che alcune macchie di sangue e loro due; una ragazza con tanto di ali e quel salvatore cruento che sembrava la morte fatta persona. E mentre quello scontro terminava, la tempesta di neve sembrava ritirarsi, spaventata tanto quanto lei.
La macchia scura posò a terra la falce la quale lama macchiò di rosso la neve circostante prima di sparire apparentemente inghiottita da essa, e si chinò sulla ragazza; le scostò una ciocca di capelli dal viso e guardò i suoi occhi rossi, vacui e stanchi, sorrise appena coprendola il possibile con quello che restava del cappotto per poi prenderla in braccio, in modo che la sua testa si poggiasse sulla sua spalla.
Lei sentì il calore di un corpo avvolgerla e si sentì stranamente al sicuro, anche se sentiva l’ odore del sangue e della morte su di lui. Riprendeva coscienza a tratti, riuscendo a intravedere tra le macchie scure i rami scheletrici degli alberi e il candore di quel cielo invernale che assomigliata tanto al colore della sua pelle. Forse per il calore del suo corpo, la vista tornava lentamente quella di sempre, nitida e chiara e la consapevolezza di trovarsi tra le braccia di uno sconosciuto che aveva appena ucciso tre uomini davanti a lei, seppur salvandola, la inondò di adrenalina e paura, si agitò tra le sue braccia, e lui, sorpreso da quella reazione, la lasciò cadere. Finì con il sedere a terra e le mani infilate nella neve. Altro dolore che si insinuò nella sua testa, svegliandola più di quanto già non fosse. Alzò lo sguardo su di lui, che ora la fissava come se fosse appena caduta dal cielo.
“Stai bene?” Si chinò su di lei allungando le mani pallide. Lei istintivamente si tirò indietro e lui fece finta di non essersene accorto. “Ero certo fossi già sveglia, e invece blateravi nel sonno.” Un’ ombra di divertimento attraversò il suo volto.
“Tu hai…”
“Ti ho salvato.” Fece con voce ferma interrompendola, mentre la sua espressione s’induriva, probabilmente nel tentativo di convincerla.
“Tu… oh.” Aveva ucciso delle persone, sì, ma aveva ragione; l’aveva salvata. E chissà perché solo in quel momento si sentì davvero stupida per non averlo capito prima e aver provato nient’altro che paura. “Dove mi hai portato?” La sua mente si affollava sempre di più.
“Per ora da nessuna parte.” Lei si guardò intorno, riconoscendo quella foresta ghiacciata che si estendeva tutt’intorno alla casetta di legno in cui aveva sempre vissuto, ma mai si era chiesta quanto potesse essere estesa. “Comunque, ti sto portando al sicuro. E sarebbe meglio fare in fretta, anche perché quelli non erano gli unici cacciatori sulle tue tracce.” La guardava da sotto le ciglia, eppure il rosso intenso dell’ iride spiccava in maniera impressionante in contrasto con i colori del suo viso.
“Anche tu eri sulle mie tracce?” Incalzò lei.
“Sì, ma non ho intenzione di farti del male.” Rispose con tale sincerità che Dizzy non poté che credergli. “Né di costringerti a seguirmi.” Per un solo momento le balenò in mente l’idea di tornare a casa ma questa svanì quando ricordò con estremo dolore che non aveva più nessuno da cui tornare, perché una casa vuota non è nulla senza il calore di qualcuno che si prende cura di te. Allora si alzò, tentando di trattenere le lacrime e con voce tremante decise.
“Ok. Però rispondi alle mie domande.” Aveva bisogno di tenere la mente occupata. Per un solo attimo i suoi occhi rossi furono attraversati da un’ombra, che però svanì velocemente com’era arrivata. Fece un cenno d’assenso, così che la ragazza poté trarre un sospiro di sollievo mentre una marea di domande le invadeva la testa, tentò di concentrarsi su quella che aveva più importanza quasi senza accorgersi che lui aveva ripreso a camminare. Si strinse nel cappotto, accorgendosi solo in quel momento che aveva un lungo taglio sulla schiena e che le sue ali era improvvisamente visibili. Un senso di vergogna la invase e quasi si aspettò di vederlo che le urlava qualcosa, riferito al suo aspetto, come avevano sempre fatto gli esseri umani. Invece no, lui la guardava semplicemente, aspettando di essere seguito.
“Allora, niente domande?”
“Non so bene cosa chiederti.” Iniziò a seguirlo studiando il suo volto attraverso le ciocche di capelli scuri; profilo affilato e occhi sottili dalle iridi lucenti come rubini. Ora che lo notava Dizzy non aveva mai visto nessuno, a parte se stessa, con un tale colore degli occhi. Si morse l’interno della guancia, nervosa. “Perché non mi dici qualcosa di te, così evito di farti domande scomode?” Continuò a fissarlo e per un momento credette che non le avrebbe detto nulla perché il suo volto rimase impassibile, poi un angolo della sua bocca si sollevò, ma dubitò che quello si trattasse di un vero sorriso.
“Sono anche io un Gear. Ma non come te; tu sei nata così, eppure sei diversa da quei mostri senza senno.” La guardò con una strana espressione “Sei strana.”
“Ma non dovevi dirmi qualcosa di te?” Non amava parlare di se stessa, non che l’ avesse mai fatto, ma sentire il proprio nome sulla labbra altrui le aveva sempre dato un senso di fatidio.
“Io lo sono diventato. Per questo non vado in giro a distruggere tutto quello che vedo.”
“E io? Visto che lo sono nata non dovrei essere così, o sbaglio?”
“Infatti, sei diversa, ma non sono sicuro di sapere il perché.” Seguì un breve silenzio in cui sentirono solo i loro passi sulla neve.
“Che cosa vuoi da me?”
“Proprio perché sei diversa da loro ho intenzione di proteggerti. Ci sono molti cacciatori di taglie in giro che ci cercano. Dicono di sterminare il male, i Gear che distrussero tutto durante la Guerra di Fuoco. Eppure a loro basta vedere qualcuno di diverso per correre alle armi-” Detto questo, le porse due fogli ingialliti e arrotolati su se stessi. Per un attimo solo si chiese da dove fossero spuntati, visto che evidentemente i suoi abiti non possedevano tasche, ma lasciò correre. Li prese e vide i loro volti disegnati a matita sopra una scritta uguale per entrambi ‘Gear, vivo o morto.
Confrontò i loro volti, certo, erano tracciati con una maestria incredibile e nonostante vedesse il suo stesso volto come quello di una qualsiasi ragazzina felice, il suo sembrava non rendergli giustizia; tratti approssimati e poco precisi, più capelli a coprire gli occhi quasi del tutto nascosti, sembravano quasi due persone diverse.
Strinse i fogli tra le dita chiedendosi come fosse finita in una situazione del genere, che da quanto poteva immaginare era più complicata date le sue risposte vaghe.
“Il tuo nome?”
“Testament.” E in quel momento si fermò voltandosi e guardando un punto imprecisato in mezzo a quegli alberi ghiacciati, e così fece anche Dizzy ma non trovò ciò che aveva causato il turbamento sul suo volto. “Dobbiamo muoverci.” Prima di poter anche solo voltarsi una presa calda e forte si serrò sul suo polso, tirandola, costringendola ad accelerare il passo sempre di più, fino a correre.
“Che succede?” Ad ogni passo affondava sempre di più nella neve, rendendo quella corsa sfiancante.
“Altri cacciatori.” La sua voce era normale, e il respiro regolare come se stesse passeggiando, non sembrava neanche fare fatica.
“Ma perché scappiamo, poco fa…” Ricordava fin troppo lucidamente il colore che aveva assunto la neve dopo quello scontro.
 “Questa volta è diverso.” Si voltò di nuovo controllando alle loro spalle, Dizzy non lo fece perché sapeva che se lo avesse fatto probabilmente avrebbe perso l’ equilibrio, e una strana sensazione le diceva che se fosse successo sarebbero incappati in ciò da cui stavano scappando.
Seguirono qualche istante di corsa concitata, in cui il silenzio del bosco dava sempre meno l’ idea di un posto tranquillo e sicuro. Dizzy continuava a correre, anche se ciò che si agitava dentro di lei erano emozioni quasi del tutto nuove; una costante frenesia che le avvolgeva lo stomaco in una morsa nervosa e le appesantiva il cuore. L’ adrenalina le scorreva nelle vene come non mai, dandole un senso di ebbrezza misto a terrore. Guardò di nuovo la figura scura davanti a sé, e solo per un istante si chiese se potesse davvero fidarsi, ma prima che il dubbio le si insinuasse più in profondità nella mente lo sentì dargli indicazioni ben precise, comunque sempre senza smettere di correre.
“Vai avanti, più velocemente possibile, vola se puoi; c’è una radura più avanti lì ci sarà un’ aeronave. Due persone ti stanno aspettando, fa il mio nome e ti porteranno al sicuro.”
“Ma…”
“Poi ti racconterò tutto, promesso.” Finalmente incrociò il suo sguardo, rosso come il sangue che da lì a poco avrebbe versato. “Corri!” E le lasciò il polso voltandosi verso la direzione da cui erano arrivati, poi si rimise a correre ma quello che Dizzy vide fu solo una macchia scura muoversi dentro il candore di quella foresta.

 
Allora; capitolo piuttosto lungo direi, o almeno, più del solito. Ho un paio di cose da dire:
1 Accidenti non mi ricordo!
2 Testament è un nome particolare, non c’entra con la storia, semplicemente data la mia scarsa originalità con i nomi ho deciso di chiamarlo come una band di trash-metal (credo) che sto tentabdo di farmi piacere.
3 Mi ero dimenticata di aggiornare (domenica), avevo e ho perso completamente la cognizione del tempo, infatti una mia amica mi ha ricordato (oggi) che era già passata una settimana. Scusate non succederà più, ma rallegratevi, per il prossimo capitolo dovrete aspettare solo sei giorni ^^
Anyway, questa ambientazioni sono un po’ particolari, magari un po’ esagerate, ma questo è il mio primo tentativo di creare un’ atmosfera steampunk, ma la mia mente rimane terribilmente legata al classico fantasy, quindi il risultato è questo; tipo pasta alla nutella (ehi, è buona!).
Grazie e a presto :D

 

 

  
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