2.
L’
ala di ghiaccio e la salvezza.
“Don't
let the water drag you down
Don't let me drown, don't let me drown in the waves.
I could be what you had saved
Saved, saved,
saved.”
Vedeva
solo il buio. Eppure le ombre sembrano essersi posate da poco su di lei
e sull’ambiente
circostante; non sentiva più il ruggito del vento, non
sentiva il freddo della
neve.
Poi
fu come risvegliarsi da un coma. Ci fu quel momento di smarrimento in
cui quasi
dimenticò anche chi fosse, ma all’ improvviso si
sentì catapultata di nuovo nel
mondo reale come se se ne fosse distaccata per secoli e solo dopo poco
arrivò
quella piccola certezza di essere ancora vivi, di essere ancora
lì, in quel
corpo che non desiderava, e la portò a pensare in modo
estremamente lucido che
quella volta era stata fortunata e non ci aveva rimesso la vita, o che
forse
quella non era stata fortuna, forse semplicemente non era ancora
arrivata la
sua ora. Eppure in quel tiepido buio si sentiva quasi al sicuro; con
quella
freschezza che le accarezzava la pelle e la spingeva ad aprire, seppur
lentamente, gli occhi. Una distesa di erba e alberi, spruzzati dalla
neve,
fiori congelati e silenzio, tanto silenzio.
Nonostante
la solitudine che quel posto le trasmetteva si sentiva stranamente
bene, some
se non dovesse preoccuparsi di nascondere le ali. Sorrise tra
sé, si sentiva al
sicuro, come si sente un bambino quando raggiunge la sua casetta
sull’ albero,
il suo nascondiglio segreto.
Una
figura in lontananza, ora due, dai tratti fin troppo conosciuti,
anziani e
sorridenti come sempre che si avvicinavano con passo tranquillo.
“Madre.”
Si avvicinò a lei contenta di vederla viva.
“No.”
Fece lei con la sua solita voce tenera tenendola a distanza.
“Cosa…”
“Mi
dispiace Dizzy, non sono tua madre, non lo sono mai stata.”
La voce anziana le
graffiava nelle orecchie. La ragazza abbassa lo sguardo, sconfortata,
sulle sue
labbra un sorriso triste.
“Infondo,
l’hai sempre saputo, no?” Disse il vecchio Alan.
“Che noi non siamo i tuoi veri
genitori. Ti ho trovata tanti anni fa proprio in questo bosco,
c’era così
freddo eppure tu splendevi ed emanavi calore come un sole.”
Entrambi gli
anziani sorrisero al ricordo mentre l’espressione sul volto
della ragazza
iniziava a farsi sempre più triste.
“Gear.” Sussurrò appena senza alzare lo
sguardo. Un paio di mani si posò sulle sue spalle facendola
rabbrividire; erano
così fredde, come quelle di un morto. “Che cosa
vuol dire?”
“Vuol
dire che d’ora in poi la tua vita sarà piena di
sofferenza.” Sollevò lo
sguardo, mentre in testa le balenavano le ultime immagini che aveva
visto prima
di perdere i sensi e di ritrovarsi in quel giardino sicuro.
“Che
cosa è successo?” Si sentiva spaesata, come se si
fosse appena svegliata da un
profondo sogno e ancora non riuscisse a distinguere la
realtà da tutto il resto.
“Cosa vi è successo?”
“A
quanto pare ormai la gente ha ben poca educazione verso gli
anziani.” Sorrisero
tristi.
“No…”
Un’ondata di sconforto quasi la soffocò, mentre la
gola le annodava e lo
stomaco si contorceva. “Voi siete qui, non potete essere
morti.”
“Noi
non siamo veramente qui, noi non siamo reali, né lo
è questo posto, è tutto frutto
della tua testolina, e forse non solo.” Lentamente, ai
margini del suo campo
visivo sembrò addensarsi uno strato di ghiaccio lucente, che
ben presto arrivò
a circondare tutto, anche quelle due figure vicino a lei che persero il
colore
naturale della pelle e sembrarono trasformarsi in statue di ghiaccio
dai tratti
imprecisi, prima di dissolversi nella lieve brezza. Dizzy si
allungò verso di
loro, ma troppo tardi, perché le sue dita sfiorarono solo
polvere e si ritrovò di
nuovo da sola in quel posto in cui il tempo era ghiacciato.
Questo
sarà uno
degli ultimi spiragli di luce che vedrai.
Una
figura indistinta si mosse nella foschia sempre più fitta di
quella foresta;
aveva sembianze umane, e per un attimo le sembrò di vedere
di nuovo una di
quelle statue di ghiaccio, prima di vedere il volto dai tratti delicati
ma
definiti di una donna, lunghi capelli del colore della neve le
incorniciavano
il viso e le spalle nude. Attorno a lei un mantello di piume bianche
che sembrava
fondersi interamente con la sua figura. Un paio di lunghe e snelle
braccia
color ghiaccio si allungarono verso di lei. Le sue labbra si muovevano,
eppure
Dizzy non sentiva. Si avvicinò timorosa a
quell’essere che credeva di non aver
mai visto e, con grande orrore, sentì le sue parole pungerle
nella mente come
ghiaccio.
Svegliati.
Non
voleva lasciare quel bosco.
Svegliati.
Anche
se non era reale, anche se la sua intera vita non era ciò
che credeva, anche se
lei stessa aveva scoperto di non essere quello che credeva, non voleva
andarsene da quel posto così puro, immacolato.
Svegliati.
Nonostante
i suoi genitori non fossero quelli veri e il desiderio di conoscerli le
bruciava l’animo tanto quanto la paura aveva il terrore di
andarsene, i suoi
piedi si muovevano verso quella figura pallida, che ora sorrideva
rassicurante.
Anche
se tutte le sicurezze si erano dileguate come fumo e la sua vita si
stava
sbriciolando sotto i piedi non riusciva a fermarsi, piuttosto si
sarebbe persa
in quel sogno.
Un
paio di gelide braccia la avvolsero, facendole del male.
Svegliati.
“Sono sempre
così strani?” La voce sommessa
superava appena il suono della neve sotto gli stivali pesanti.
“Potresti
evitare?” Fece quello con la benda sull’occhio.
“Perché
scusa?” L’altro era dietro di lui e aveva appena
aperto con il solito coltello
il cappotto pesante della ragazza che si stava portando in spalla
l’altro
caccatore.
“Perché
già è difficile camminare nella neve dovendosi
trascinare una ragazza di
cinquanta kili, ci manchi solo tu a far diventare un’impresa
i miei tentativi
di non cadere.” Sbuffò, issandosi meglio in spalla
la ragazza.
“Ok, ok, scusa.” Sollevò le mani in
segno di scuse, lasciando correre ma senza
riuscire a distogliere lo sguardo dalle strane ali della ragazza; erano
di due
colori diversi, una aveva le stesse tonalità del ghiaccio
che riflette il
colore del cielo, l’altra completamente nera e lucida, dalle
sfumature
verdastre.
Aprì
gli occhi; e quasi non fu sorpresa di vedere le sue braccia penzolare a
pochi
centimetri dalla neve, mentre i suoi capelli vi strisciavano sopra. Era
ancora
stordita per il colpo alla testa e con strana lucidità
pensò che avrebbe dovuto
tagliarli; stavano crescendo troppo.
Iniziò
a sentire di nuovo il freddo sulla pelle; diverso da quello doloroso
che aveva
sentito in quello strano sogno, come se si stesse rotolando nella neve,
sentiva
l’aria pungerle le guancie e i brividi che le correvano su
tutto il corpo.
Gemette, quando sentì una forte e fastidiosa pressione
appena sotto lo sterno.
Poi un vuoto allo stomaco e l’impatto con la neve, eppure era
ancora diverso;
sentiva la pelle a contatto con la neve bruciare, ma quello del sogno,
lo
capiva solo ora, era vero e proprio dolore.
Alzò
il viso scrutando confusa la neve che scendeva, ancora stordita per il
colpo
alla testa, le sembrò di vedere una figura scura in
lontananza muoversi verso
di loro, istintivamente tentò di allungarsi in quella
direzione intravedendo le
orme che avevano lasciato; sarebbe tornata a casa, al sicuro, tra le
braccia
rassicuranti e calde delle persone che amava.
A
distruggere le sue speranze furono un paio di braccia forti che la
strinsero in
vita e la sollevarono di nuovo.
“Devo
darle un altro colpo in testa?” Sentiva le loro voci lontane.
“Dubito
ce ne sia bisogno.” Infatti, come si ritrovò sulla
sua spalla la vista le si
riempì di macchie scure, ma lottò per resistere e
alzare di nuovo lo sguardo.
Non se l’era immaginato, perché ora riusciva a
vedere i tratti di quella
persona che mai aveva visto prima; i lunghi capelli neri sembravano un
tutt’uno
con i suoi abiti scuri che a malapena coprivano il petto, intorno alle
sue
gambe una larga veste si muoveva insieme al vento. Tutto quel nero
faceva
risaltare in maniera impressionante il pallore del viso e il rosso
intenso
degli occhi, lo stesso rosso della lama della falce che portava tra le
mani. L’ultima
cosa che sentì prima di perdere di nuovo i sensi fu ancora
il freddo della neve
e la paura che s’impadroniva di lei.
Urla
e risate si sovrapponevano in quel silenzio che le aveva invaso la
testa.
Immagini di creature deformi che distruggevano il candore della neve
con i loro
corpi sanguinosi le invasero la mente a lungo fino a che non rimase
più nulla,
fino a che non si accorse che ciò che aveva visto non era
solo nella sua testa.
Un inferno straziava i corpi dei cacciatori che cedevano come bambole
sotto i
colpi di quella falce. Creature deformi ne mangiarono con
avidità i resti, fino
a che sulla neve non rimasero che alcune macchie di sangue e loro due;
una
ragazza con tanto di ali e quel salvatore cruento che sembrava la morte
fatta
persona. E mentre quello scontro terminava, la tempesta di neve
sembrava
ritirarsi, spaventata tanto quanto lei.
La
macchia scura posò a terra la falce la quale lama
macchiò di rosso la neve
circostante prima di sparire apparentemente inghiottita da essa, e si
chinò sulla
ragazza; le scostò una ciocca di capelli dal viso e
guardò i suoi occhi rossi,
vacui e stanchi, sorrise appena coprendola il possibile con quello che
restava
del cappotto per poi prenderla in braccio, in modo che la sua testa si
poggiasse sulla sua spalla.
Lei
sentì il calore di un corpo avvolgerla e si sentì
stranamente al sicuro, anche
se sentiva l’ odore del sangue e della morte su di lui.
Riprendeva coscienza a
tratti, riuscendo a intravedere tra le macchie scure i rami scheletrici
degli
alberi e il candore di quel cielo invernale che assomigliata tanto al
colore
della sua pelle. Forse per il calore del suo corpo, la vista tornava
lentamente
quella di sempre, nitida e chiara e la consapevolezza di trovarsi tra
le
braccia di uno sconosciuto che aveva appena ucciso tre uomini davanti a
lei,
seppur salvandola, la inondò di adrenalina e paura, si
agitò tra le sue
braccia, e lui, sorpreso da quella reazione, la lasciò
cadere. Finì con il
sedere a terra e le mani infilate nella neve. Altro dolore che si
insinuò nella
sua testa, svegliandola più di quanto già non
fosse. Alzò lo sguardo su di lui,
che ora la fissava come se fosse appena caduta dal cielo.
“Stai
bene?” Si chinò su di lei allungando le mani
pallide. Lei istintivamente si
tirò indietro e lui fece finta di non essersene accorto.
“Ero certo fossi già
sveglia, e invece blateravi nel sonno.” Un’ ombra
di divertimento attraversò il
suo volto.
“Tu
hai…”
“Ti ho salvato.” Fece con voce ferma
interrompendola, mentre la sua espressione
s’induriva, probabilmente nel tentativo di convincerla.
“Tu…
oh.” Aveva ucciso delle persone, sì, ma aveva
ragione; l’aveva salvata. E
chissà perché solo in quel momento si
sentì davvero stupida per non averlo
capito prima e aver provato nient’altro che paura.
“Dove mi hai portato?” La sua
mente si affollava sempre di più.
“Per
ora da nessuna parte.” Lei si guardò intorno,
riconoscendo quella foresta
ghiacciata che si estendeva tutt’intorno alla casetta di
legno in cui aveva
sempre vissuto, ma mai si era chiesta quanto potesse essere estesa.
“Comunque,
ti sto portando al sicuro. E sarebbe meglio fare in fretta, anche
perché quelli
non erano gli unici cacciatori sulle tue tracce.” La guardava
da sotto le
ciglia, eppure il rosso intenso dell’ iride spiccava in
maniera impressionante
in contrasto con i colori del suo viso.
“Anche
tu eri sulle mie tracce?” Incalzò lei.
“Sì,
ma non ho intenzione di farti del male.” Rispose con tale
sincerità che Dizzy
non poté che credergli. “Né di
costringerti a seguirmi.” Per un solo momento le
balenò in mente l’idea di tornare a casa ma questa
svanì quando ricordò con
estremo dolore che non aveva più nessuno da cui tornare,
perché una casa vuota
non è nulla senza il calore di qualcuno che si prende cura
di te. Allora si
alzò, tentando di trattenere le lacrime e con voce tremante
decise.
“Ok.
Però rispondi alle mie domande.” Aveva bisogno di
tenere la mente occupata. Per
un solo attimo i suoi occhi rossi furono attraversati da
un’ombra, che però
svanì velocemente com’era arrivata. Fece un cenno
d’assenso, così che la
ragazza poté trarre un sospiro di sollievo mentre una marea
di domande le
invadeva la testa, tentò di concentrarsi su quella che aveva
più importanza
quasi senza accorgersi che lui aveva ripreso a camminare. Si strinse
nel
cappotto, accorgendosi solo in quel momento che aveva un lungo taglio
sulla
schiena e che le sue ali era improvvisamente visibili. Un senso di
vergogna la
invase e quasi si aspettò di vederlo che le urlava qualcosa,
riferito al suo
aspetto, come avevano sempre fatto gli esseri umani. Invece no, lui la
guardava
semplicemente, aspettando di essere seguito.
“Allora,
niente domande?”
“Non
so bene cosa chiederti.” Iniziò a seguirlo
studiando il suo volto attraverso le
ciocche di capelli scuri; profilo affilato e occhi sottili dalle iridi
lucenti
come rubini. Ora che lo notava Dizzy non aveva mai visto nessuno, a
parte se
stessa, con un tale colore degli occhi. Si morse l’interno
della guancia,
nervosa. “Perché non mi dici qualcosa di te,
così evito di farti domande
scomode?” Continuò a fissarlo e per un momento
credette che non le avrebbe
detto nulla perché il suo volto rimase impassibile, poi un
angolo della sua
bocca si sollevò, ma dubitò che quello si
trattasse di un vero sorriso.
“Sono
anche io un Gear. Ma non come te; tu sei nata così, eppure
sei diversa da quei
mostri senza senno.” La guardò con una strana
espressione “Sei strana.”
“Ma
non dovevi dirmi qualcosa di te?” Non amava parlare di se
stessa, non che l’
avesse mai fatto, ma sentire il proprio nome sulla labbra altrui le
aveva
sempre dato un senso di fatidio.
“Io
lo sono diventato. Per questo non vado in giro a distruggere tutto
quello che
vedo.”
“E
io? Visto che lo sono nata non dovrei essere così, o
sbaglio?”
“Infatti,
sei diversa, ma non sono sicuro di sapere il
perché.” Seguì un breve silenzio
in cui sentirono solo i loro passi sulla neve.
“Che
cosa vuoi da me?”
“Proprio
perché sei diversa da loro ho intenzione di proteggerti. Ci
sono molti
cacciatori di taglie in giro che ci cercano. Dicono di sterminare il
male, i
Gear che distrussero tutto durante la Guerra di Fuoco. Eppure a loro
basta
vedere qualcuno di diverso per correre alle armi-” Detto
questo, le porse due
fogli ingialliti e arrotolati su se stessi. Per un attimo solo si
chiese da
dove fossero spuntati, visto che evidentemente i suoi abiti non
possedevano
tasche, ma lasciò correre. Li prese e vide i loro volti
disegnati a matita
sopra una scritta uguale per entrambi ‘Gear,
vivo o morto.’
Confrontò
i loro volti, certo, erano tracciati con una maestria incredibile e
nonostante
vedesse il suo stesso volto come quello di una qualsiasi ragazzina
felice, il
suo sembrava non rendergli giustizia; tratti approssimati e poco
precisi, più
capelli a coprire gli occhi quasi del tutto nascosti, sembravano quasi
due
persone diverse.
Strinse
i fogli tra le dita chiedendosi come fosse finita in una situazione del
genere,
che da quanto poteva immaginare era più complicata date le
sue risposte vaghe.
“Il
tuo nome?”
“Testament.”
E in quel momento si fermò voltandosi e guardando un punto
imprecisato in mezzo
a quegli alberi ghiacciati, e così fece anche Dizzy ma non
trovò ciò che aveva
causato il turbamento sul suo volto. “Dobbiamo
muoverci.” Prima di poter anche
solo voltarsi una presa calda e forte si serrò sul suo
polso, tirandola,
costringendola ad accelerare il passo sempre di più, fino a
correre.
“Che
succede?” Ad ogni passo affondava sempre di più
nella neve, rendendo quella
corsa sfiancante.
“Altri
cacciatori.” La sua voce era normale, e il respiro regolare
come se stesse
passeggiando, non sembrava neanche fare fatica.
“Ma
perché scappiamo, poco fa…” Ricordava
fin troppo lucidamente il colore che
aveva assunto la neve dopo quello scontro.
“Questa
volta è diverso.” Si voltò di nuovo
controllando alle loro spalle, Dizzy non lo fece perché
sapeva che se lo avesse
fatto probabilmente avrebbe perso l’ equilibrio, e una strana
sensazione le
diceva che se fosse successo sarebbero incappati in ciò da
cui stavano
scappando.
Seguirono
qualche istante di corsa concitata, in cui il silenzio del bosco dava
sempre
meno l’ idea di un posto tranquillo e sicuro. Dizzy
continuava a correre, anche
se ciò che si agitava dentro di lei erano emozioni quasi del
tutto nuove; una
costante frenesia che le avvolgeva lo stomaco in una morsa nervosa e le
appesantiva il cuore. L’ adrenalina le scorreva nelle vene
come non mai,
dandole un senso di ebbrezza misto a terrore. Guardò di
nuovo la figura scura
davanti a sé, e solo per un istante si chiese se potesse
davvero fidarsi, ma
prima che il dubbio le si insinuasse più in
profondità nella mente lo sentì
dargli indicazioni ben precise, comunque sempre senza smettere di
correre.
“Vai
avanti, più velocemente possibile, vola se puoi;
c’è una radura più avanti lì
ci sarà un’ aeronave. Due persone ti stanno
aspettando, fa il mio nome e ti
porteranno al sicuro.”
“Ma…”
“Poi
ti racconterò tutto, promesso.” Finalmente
incrociò il suo sguardo, rosso come
il sangue che da lì a poco avrebbe versato.
“Corri!” E le lasciò il polso
voltandosi verso la direzione da cui erano arrivati, poi si rimise a
correre ma
quello che Dizzy vide fu solo una macchia scura muoversi dentro il
candore di
quella foresta.
Allora;
capitolo piuttosto lungo direi, o almeno, più del solito. Ho
un paio di cose da
dire:
1
Accidenti non mi ricordo!
2
Testament è un nome particolare, non c’entra con
la storia, semplicemente data
la mia scarsa originalità con i nomi ho deciso di chiamarlo
come una band di
trash-metal (credo) che sto tentabdo di farmi piacere.
3
Mi ero dimenticata di aggiornare (domenica), avevo e ho perso
completamente la
cognizione del tempo, infatti una mia amica mi ha ricordato (oggi) che
era già
passata una settimana. Scusate non succederà più,
ma rallegratevi, per il
prossimo capitolo dovrete aspettare solo sei giorni ^^
Anyway,
questa ambientazioni sono un po’ particolari, magari un
po’ esagerate, ma
questo è il mio primo tentativo di creare un’
atmosfera steampunk, ma la mia
mente rimane terribilmente legata al classico fantasy, quindi il
risultato è
questo; tipo pasta alla nutella (ehi, è buona!).
Grazie
e a presto :D