Fandom: Glee
Personaggi/Pairing(s): Quinn
Fabray/Santana Lopez
Avvertimenti: raccolta,
future life, AU (kind of); brodaglia sanguinolenta.
Prompt :
Serial Killer.. (GENTE MA CHE RAZZA DI PROMPT.)
Note: i
personaggi hanno la sfortuna di non essere miei. Nessuno mi paga per
scrivere questa roba, molti lo farebbero per farmi smettere;
E'
spudoratamente ispirato alla trama di Dexter. BLESS DEBRA MORGAN AND
EVERYTHING SHE DOES.
You're the only one who can kill me.
Il
sangue sulle mani non sa spiegarselo, Quinn.
E' rosso, appiccicoso
e sa di metallo. E' scuro, caldo e le scotta la pelle come se fosse
fatto di fuoco. Le dita ricoperte, gli occhi lucidi, la bocca
impastata di saliva e bile.
Sta tremando, lo sente.
I ricordi
sono confusi, aggrovigliati in una rete distorta e le arrivano alla
memoria come delle cannonate che la stordiscono senza darle modo di
chiarirsi le idee.
Il corpo è lì vicino, disteso sulla schiena.
Gli occhi aperti e la bocca socchiusa, un'espressione attonita. Sul
collo il rivolo di sangue secco che ha smesso di fuoriuscire e una
linea netta. Di fianco un coltello. La lama imbrattata di
rosso.
Quando la porta si spalanca alle sue spalle, Quinn non
riesce a muoversi.
Le gambe sembrano di burro, il sapore in bocca
più acido e il respiro accelerato.
«Quinn.»
Una voce.
Quella
voce.
L'unica che non avrebbe voluto sentire.
Si sente
sollevare di peso e poi due braccia si stringono attorno a lei.
Un
bacio, delle parole confuse, la sua parlantina concitata.
Le
mani ambrate attorno ai suoi fianchi.
E
poi quella domanda, diretta, senza giri di parole.
«Che cosa hai
fatto?»
Santana
guarda i fogli sulla scrivania e continua a battere il piede ad un
ritmo forsennato. Sente la maglia che si attacca alla sua pelle, il
rumore del rubinetto che perde che le martella in testa e la spia
della segreteria che lampeggia ogni maledetto secondo.
Si alza di
scatto e fa il giro della casa, indecisa se buttarsi in doccia o
aspettarla lì, sul divano, mentre sfoglia una rivista
scandalistica
di notizie senza senso.
Si morde l'interno della guancia e mugugna
un po' quando i denti sprofondano un po' troppo nella carne e il
sapore metallico del sangue le invade la bocca.
Beve
un bicchiere d'acqua per togliersi quel gusto orribile dal palato ma
sembra si sia attaccato lì. Sotto la pelle.
Sputa nel lavandino
e alza lo sguardo.
Lo specchio che le riflette un'immagine che non
è la sua.
Due occhi gonfi, contornati da occhiaie e il colorito
spento.
Non è più l'avvocato di successo di qualche mese
prima.
Quella che entrava in ufficio e che tutti si giravano a guardare
perché indossava delle gonne mozzafiato e con cui nessuno
incrociava
lo sguardo perché, la leggenda diceva, che solo con il
potere dei
suoi occhi poteva incenerirti.
Una lacrima le scivola lentamente
sulla guancia.
Vorrebbe lasciarsi andare e addormentarsi e non
svegliarsi più.
Ma lo scricchiolio della porta la riporta alla
vita.
E
la voce roca di Quinn le spezza il respiro.
«Sono a casa.»
Quinn
finisce di lucidare l'ultimo coltello e lo sistema accanto agli
altri.
Piega accuratamente tutto e rimette a posto lo scatolone
sul fondo dell'armadio. Apre la porta del bagno, si spoglia
velocemente e lascia che l'acqua le faccia scivolare addosso la
tensione e l'eccitazione della caccia.
L'ultimo uomo a finire con
la gola squarciata aveva quarant'anni e l'aveva fatta franca in due
casi di violenza su minore. Ma Quinn l'aveva rimesso al suo posto.
Aveva pregato e piagnucolato.
L'aveva
supplicata di non farlo.
«Ti
prego, posso pagarti.»
Gli uomini, sempre così attaccati ai loro
soldi.
Come se tutto dipendesse da quello.
Si stringe nella
stoffa dell'accappatoio, frizionandosi i capelli con un asciugamano.
Ha le mani bianche e pallide, a differenza di qualche ora prima,
quando coperte da un paio di guanti in lattice erano affondate nel
sangue della sua vittima.
Infila le pantofole e si dirige in
cucina.
Santana è piegata sul tavolo, le mani tra i
capelli.
Quinn perde un battito. Piange tutte le volte, dopo.
Non
ha mai smesso di amarla, dopo la prima volta. E il loro rapporto
è
diventato teso, malato, quasi insano.
Santana non ce la fa più.
Quinn lo sa. Ed è egoista, insano, ma Quinn non vuole
lasciarla.
Le
stringe le braccia intorno alla vita. La bocca che si fa spazio sul
collo.
I sospiri pesanti. I tocchi leggeri.
I baci
rubati.
Santana rabbrividisce tra le sue braccia. E' come se
riuscisse a modellarla, ogni volta in maniera diversa. Con le sue
mani, i suoi occhi il suo corpo.
Quinn
sa di averla in pugno ed è spaventata, perché
potrebbe uccidere un
uomo senza pensarci due volte, ma il solo pensiero di far star male
Santana le chiude la bocca dello stomaco e le manda in tilt la
ragione.
Quando Santana sospira il suo nome, con gli occhi chiusi
e le labbra aperte, Quinn ricomincia a vivere e tutte le sembra
tornato normale.
Prima di quel giorno.
Prima
di tutto.
L'ennesimo
biglietto.
L'ennesima vittima.
Santana lo trova sul tavolo
della cucina stavolta, accanto alla colazione.
Ed è strano come
la cosa possa essere terrificante e romantica allo stesso momento.
Ma
d'altronde non sa più cos'è normale nella sua
vita.
Se solo suo
padre sapesse.
Se sapesse che la sua vita gira intorno ad una
donna, ad una donna che non si fa scrupoli a tagliare la gola agli
uomini. Anche se questi uomini hanno ucciso, violentato,
rapito.
Hanno tolto l'innocenza a delle bambine, delle ragazzine
con la sola colpa di essersi trovate lì al momento
sbagliato.
Come
Quinn.
Tanti
anni prima.
Come quella volta che l'ha trovata con la gonna
strappata seduta per terra, tremante e con un coltello lì
vicino. Il
corpo di quell'uomo, ormai senza vita lì accanto.
Voleva
proteggerla.
Ma non può più farlo.
Non di nuovo.
Scarabocchia
velocemente qualcosa sul retro del foglio e alza la cornetta.
La
detective che risponde è una giovane donna, e quando Santana
bisbiglia quelle parole, con il groppo in gola, capisce che deve fare
presto a farla confessare prima che cambi idea.
Quando Santana
finisce di raccontarle i fatti, la volante della polizia è
fuori
dalla porta che l'aspetta.
E prima di uscire, con gli occhi lucidi
guarda la loro foto sul tavolino basso all'ingresso.
«Mi
dispiace, Quinn.»